1848 – Rivoluzione e bonapartismo

Clara Figueiredo, senza titolo, saggio Films Overdue, fotografia analogica digitalizzata, Messico, 2019
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da PADIALE RAFAEL DE ALMEIDA*

L'analisi di Marx del concetto di Bonapartismo, come risposta borghese alla rivoluzione permanente, e la sua posizione sui generis di fronte a un fenomeno così autoritario

Introduzione

Per discutere il problema della strategia di conquista del potere politico da parte della classe operaia, è di grande importanza la valutazione di Marx della Rivoluzione del 1848. Ebbe un grande impatto sul rivoluzionario, che ne trasse le conseguenze per il resto della sua vita. Il Marx del 1852 – quando, dal nostro punto di vista, l’autore concluse il bilancio di questa rivoluzione – è molto diverso da quello del 1847. Tuttavia, il più giovane viene spesso confuso con il più anziano, con la conseguente cancellazione di fondamentali insegnamenti storici.

Il presente testo è diviso in tre parti. Nel primo, analizzeremo come Marx inizialmente delineò una strategia democratico-rivoluzionaria per l'intervento nella rivoluzione del 1848. Tuttavia, nel mezzo del processo rivoluzionario, il tedesco si rese conto che questa strategia era storicamente limitata. Nella seconda parte, discuteremo lo sviluppo del concetto di rivoluzione permanente nell'opera di Marx, come risultato della sua riflessione sui limiti della rivoluzione del 1848. Nella terza parte, esamineremo la sua analisi del concetto di Bonapartismo, come risposta borghese alla rivoluzione permanente, e la sua posizione sui generis di fronte a un fenomeno così autoritario.

La strategia democratico-rivoluzionaria

Nel periodo immediatamente precedente la rivoluzione del 1848 – iniziata in Francia e presto diffusa in diversi paesi d’Europa e del mondo – Karl Marx aveva già adottato posizioni comuniste.[I] Tuttavia, proprio come il comunismo moderno era un fenomeno storicamente nuovo, allo stesso modo si stava sviluppando la strategia comunista per una situazione rivoluzionaria.

Nel suo lavoro sulla rivoluzione tedesca del 1848, Marx delineò inizialmente una strategia democratico-rivoluzionaria, secondo la quale era necessario instaurare prima l'ordine borghese (contro le forze dell'Ancien Régime) e solo in seguito avviare una lotta comunista per rovesciare quello stesso ordine.[Ii]

Sebbene brevemente, questo è contenuto nel capitolo finale di Manifesto del Partido Comunista (scritto a cavallo tra il 1847 e il 1848), quando afferma quanto segue: "In Germania, il Partito comunista, non appena la borghesia entra in scena in modo rivoluzionario, lotta insieme alla borghesia contro la monarchia assoluta, la proprietà terriera feudale e la piccola borghesia. Ma non manca neppure per un momento di formare negli operai la coscienza più chiara possibile dell'opposizione ostile tra borghesia e proletariato, cosicché gli operai tedeschi possono immediatamente trasformare le condizioni sociali e politiche, che la borghesia deve necessariamente creare con il suo dominio, in altrettante armi contro la borghesia, cosicché dopo il rovesciamento [dopo la tempesta] delle classi reazionarie in Germania, inizino immediatamente la lotta contro la borghesia stessa."[Iii]

Come puoi vedere, il Manifesto esprime una posizione che oggi si direbbe “stadiografica”: bisognerebbe realizzare prima una fase borghese, poi una comunista. È possibile che Marx, in questo senso, abbia emulato concetti derivati ​​dalla grande rivoluzione del suo tempo, la Rivoluzione francese del 1789, che dopo aver instaurato il predominio della borghesia creò le basi per lo sviluppo – per la prima volta nella storia – delle idee comuniste moderne.[Iv]

Non è chiaro, nel Manifesto, come il proletariato si approprierebbe del potere politico in una rivoluzione comunista. Il testo contiene la nota frase, spesso dibattuta: “Abbiamo già visto sopra che il primo passo della rivoluzione operaia è l’elevazione del proletariato a classe dominante, la lotta per la democrazia [l'emergere della democrazia] ”.[V]

Come apparirebbe questa “elevazione”? Sarebbe opportuno prendere lo Stato esistente e usarlo a favore della classe operaia? Se sì, come e con quali misure? Sarebbe opportuno emulare la strategia attuata dalla borghesia durante la Rivoluzione francese, in cui – dopo la rivolta popolare – fu conquistato il potere legislativo e questo fu utilizzato come leva per conquistare il potere esecutivo?

Che si trattasse di togliere il potere allo Stato allora esistente è chiaro dalle famose dieci richieste transitorie presentate alla fine del capitolo 2 di Manifesto: Espropriazione della proprietà terriera e utilizzo della rendita fondiaria per spese statali; Imposta fortemente progressiva; Abolizione del diritto successorio; Confisca dei beni di tutti gli emigranti e dei ribelli; Centralizzazione del credito nelle mani dello Stato attraverso una banca nazionale con capitale statale e monopolio esclusivo; Centralizzazione dei trasporti nelle mani dello Stato; Espansione delle fabbriche nazionali, degli strumenti di produzione, della coltivazione e del miglioramento delle terre secondo un piano collettivo; Lavoro obbligatorio per tutti, con la creazione di eserciti industriali, soprattutto per l'agricoltura; Combinazione di attività agricola e industriale, mirata alla progressiva eliminazione della distinzione tra città e campagna; Istruzione pubblica gratuita per tutti i bambini. Abolizione del lavoro minorile nelle fabbriche nella sua forma attuale. Tra le altre misure, integrazione dell'istruzione con la produzione materiale.[Vi]

In effetti, Marx ed Engels seguirono l’esperienza della Rivoluzione francese, come sosteneva David Ryazanov: “La tattica mantenuta nella Manifesto si basava sullo studio degli eventi della Grande Rivoluzione Francese, sull’idea che la conquista del potere politico da parte del proletariato avrebbe seguito forme analoghe a quelle della Convenzione [terrore giacobino]”.[Vii]

Forse la strategia mal determinata del Manifesto – sul carattere della rivoluzione, sulle misure transitorie da attuare e sui mezzi per realizzare la presa del potere – non nacquero da errori politici degli autori, ma dall'immaturità della lotta della classe operaia contro l'ordinamento capitalista. Durante la rivoluzione del 1848, in particolare nella Confederazione tedesca, tale “indeterminatezza strategica” si rivelò una trappola; portò alla sottomissione dei lavoratori agli interessi privati ​​(non progressisti) della borghesia.

La strategia democratico-rivoluzionaria nella prima fase della rivoluzione

Allo scoppio della Rivoluzione francese, nel febbraio 1848, Karl Marx si trovava a Bruxelles, in Belgio.[Viii] Per ragioni politiche, il rivoluzionario venne espulso proprio in Francia (dove intendeva recarsi per partecipare alla rivoluzione). A Parigi venne a conoscenza dell'inizio della Rivoluzione di marzo nella Confederazione tedesca. Iniziata a Vienna, la rivoluzione si diffuse rapidamente in tutto il territorio tedesco; in alcuni regni rovesciò i monarchi e, in altri, creò forme semi-parlamentari[Ix].

Sempre in Francia, con poteri dirigenziali nella Lega dei Comunisti (composta principalmente da tedeschi), Marx ricostruì la dirigenza di questa organizzazione e scrisse, con i suoi compagni, un opuscolo contenente diciassette rivendicazioni da diffondere nella Confederazione tedesca (molto simili alle dieci rivendicazioni alla fine del capitolo II del Manifesto comunista)[X]. Si tratta dell’opuscolo intitolato “Richieste del Partito Comunista in Germania”, del marzo 1848.

Nonostante la somiglianza con le affermazioni del Manifesto, questo opuscolo conteneva punti che chiarivano il carattere democratico-borghese delle azioni immediate dei comunisti nella rivoluzione. Sottolineiamo, ad esempio, la decima affermazione: “10. Tutte le banche private devono essere sostituite da una banca statale [Banca di Stato], la cui moneta è a corso legale. Questa misura consente di regolamentare il credito nell’interesse dell’intero popolo [persone fortunate] e quindi mina il predominio degli uomini del denaro. Sostituendo gradualmente l'oro e l'argento con la carta moneta, il prezzo dello strumento indispensabile del commercio borghese, il mezzo di scambio generale, verrà ridotto, e l'oro e l'argento potranno essere utilizzati nel commercio estero. In definitiva, questa misura è necessaria per legare [fino al punto di fallimento] gli interessi della borghesia conservatrice [borghese conservatore] alla rivoluzione."[Xi]

Di seguito commenteremo l’autocritica di Marx ed Engels in relazione a questo punto programmatico. Per ora vale la pena solo notare che Friedrich Engels, quando scrisse il breve testo intitolato “Contributo alla Lega dei Comunisti”, allegò l’opuscolo delle diciassette rivendicazioni come documento storico, ma omise il punto 10 e l’intero lungo commento sopra citato…

Come si può vedere in questa decima rivendicazione, Marx e i suoi compagni volevano letteralmente legare gli interessi della “borghesia conservatrice” alla rivoluzione tedesca. Fu proprio la borghesia industriale tedesca che avrebbe potuto avere interesse a rovesciare rivoluzionariamente gli “uomini del denaro” [lavoratore].

Il progetto democratico-rivoluzionario di Nuova Gazzetta Renana

Poco dopo il suo arrivo in Renania, Karl Marx ritenne che le attività clandestine della Lega dei Comunisti fossero limitate; che era necessario trovare modi più influenti per agire sul movimento rivoluzionario nel suo complesso. Pertanto, sospese le attività clandestine della Lega (contro la volontà di leader come J. Moll e K. Schapper); aiutò a fondare l'Associazione Democratica della città di Colonia (un'organizzazione ampia, non esattamente proletaria)[Xii]; e soprattutto fondò il quotidiano Nuova Gazzetta Renana. La sua strategia consisteva nell’unirsi al “partito democratico” per criticarlo dall’interno, cercando di portarlo a sinistra, verso la radicalizzazione.[Xiii]

A Nuova Gazzetta Renana inizialmente seguì la linea generale del suddetto decimo punto dell'opuscolo "Richieste...". Come se rilanciasse la sua performance alla testa del vecchio Gazzetta del Reno (negli anni 1842/43), Marx cercò di creare un'alleanza tra la popolazione proletaria urbana e un possibile settore radicale, presumibilmente rivoluzionario o progressista, della borghesia tedesca. Il sottotitolo del nuovo giornale, nell'intestazione, ne chiariva le intenzioni: "Organo della democrazia" [Organo della democrazia][Xiv]. Secondo Engels, il programma di Nuova Gazzetta Renana era: "Una repubblica tedesca democratica, unita e indivisibile e la guerra contro la Russia, compresa la restaurazione del Regno di Polonia".[Xv]

L'alleanza tra il proletariato e una parte della borghesia forse non sembrava impossibile a Marx, dopotutto lo stesso nuovo ministero prussiano, formato in seguito alla Rivoluzione di marzo, comprendeva sue vecchie conoscenze, come il ministro-presidente G.L. Camphausen, figura principale del governo, e il ministro delle finanze D. Hansemann. Entrambi erano azionisti della prima Gazzetta del Reno (1842/43) e approvò la direzione di Marx in questo. Quindi, se il capo del nuovo governo del regno principale della confederazione era formato da uomini con cui Marx poteva dialogare, perché non provare a radicalizzarli politicamente?

Il carattere iniziale borghese-democratico di Nuova Gazzetta Renana è venuto alla luce prima della sua pubblicazione, nella “dichiarazione di intenti”. In una lettera pubblica al quotidiano italiano L'Alba, pubblicato alla fine di maggio del 1848, Marx, a nome della Nuova Gazzetta Renana, scrisse quanto segue: “Tendiamo fraternamente la mano al popolo italiano e vogliamo dimostrare che la nazione tedesca [la nazione tedesca] ripudia in ogni modo la politica di oppressione portata avanti nel suo Paese dallo stesso popolo che nel nostro ha sempre perseguito la libertà. Faremo del nostro meglio per promuovere l'unità e la buona comprensione tra le due grandi e libere nazioni [la nazione più grande e più amichevole], che un vergognoso sistema di governo ha finora portato a credere essere nemici. […]”.[Xvi]

Sottolineiamo la presenza dell’idea dello Stato-nazione come amalgama di un “popolo”. Non fa grandi distinzioni tra le classi all'interno della nazione; È caratteristico del pensiero borghese ed è coerente, in una certa misura, con la strategia democratico-rivoluzionaria inizialmente delineata da Marx per la Germania. Il “nemico” che combatte la “libertà” sia in Germania che in Italia sono le monarchie prussiana e austriaca (e non le classi dirigenti, compresa la borghesia, di questi paesi).

Contraddizioni nella strategia democratico-rivoluzionaria

Pochi mesi dopo l’inizio del processo rivoluzionario, Marx – come era prevedibile – cominciò a criticare pubblicamente la borghesia del “partito democratico” di cui lui stesso aveva fatto parte. Questo “partito” venne criticato per essere troppo esitante e centrista, per non aver portato avanti la rivoluzione, per non aver realmente consolidato le sue vittorie, cioè per aver sempre aperto un varco al nemico feudale-monarchico prussiano per riorganizzarsi e recuperare i fronti di battaglia.

E' quanto sostiene l'autore nel secondo numero di Nuova Gazzetta Renana, nell'articolo “Il Partito Democratico” (2/6/1848): “Chiediamo al Partito Democratico di essere consapevole della sua posizione. Questa esigenza nasce dalle esperienze degli ultimi [due] mesi. Il Partito Democratico si è lasciato andare troppo al delirio della sua prima vittoria. Inebriato dalla gioia di poter finalmente proclamare a gran voce e apertamente il suo principio, immaginava che gli sarebbe bastato dichiararlo per garantirne immediatamente l'attuazione. Dopo la prima vittoria e le concessioni ad essa direttamente collegate, non si andò oltre questa proclamazione. Ma mentre lui era generoso con le sue idee e abbracciava come un fratello tutti coloro che non osavano sfidarlo immediatamente, gli altri, che se ne andavano o cedevano il potere, agivano.”[Xvii]

Nello stesso testo, Marx critica coloro che sono capaci di “conquistare una posizione intermedia tra il partito democratico e gli assolutisti, avanzando da una parte e arretrando dall’altra; coloro che sono allo stesso tempo progressisti – contro l’assolutismo – e reazionari – contro la democrazia”.[Xviii]

Come si vede, Marx non riteneva che tali argomenti fossero erroneamente considerati lontani dal polo della classe operaia, bensì dal polo del partito democratico; Non li consideravo centristi perché erano contrari ai desideri della classe operaia, ma a causa della loro posizione contro la “democrazia”. Un termine del genere continua a fungere da ombrello al di sopra degli interessi di classe.

Il settore conciliatorio criticato era “la borghesia moderata e prudente”, presente sia nell’Assemblea nazionale tedesca che nel ministero guidato dal ministro-presidente Camphausen. Questo settore borghese, diceva anche Marx, ingannò il “partito del popolo” [Volkspartei]; con il suo centrismo, capitolò di fronte a una “reazione potente, che giunse al potere prima ancora che egli avesse compiuto un’azione rivoluzionaria”. Tali capitolazionisti erano, secondo Marx, gli “amici ipocriti”, che sostenevano di essere d’accordo con il “principio democratico”, ma dubitavano delle possibilità della sua realizzazione da parte del “popolo”. “Queste persone sono pericolose”, ha affermato.[Xix]. All’indeterminatezza dell’obiettivo politico – la “democrazia” – si è aggiunto l’indeterminatezza dell’agente politico – il “popolo”.

Il paradosso della strategia democratica: dittatura e terrorismo

Pochi giorni dopo, Marx registrò una svolta nella sua strategia democratico-rivoluzionaria. Esasperato dalle oscillazioni dei democratici borghesi, l’autore sosteneva che essi avrebbero dovuto agire “dittatorialmente” se avessero voluto assicurarsi il potere e impedire la reazione monarchico-feudale. In un articolo del 7 giugno 1848, tale concezione – la difesa di una “dittatura” – apparve per la prima volta nella sua opera.

Lì chiese all'Assemblea nazionale tedesca di agire energicamente, senza aspettarsi nulla dal ministero Camphausen: "La situazione attuale in Germania diede [all'Assemblea nazionale] l'opportunità di superare la sua sfortunata situazione materiale. Tutto quello che doveva fare era opporsi dittatorialmente [indicazioni dittatoriali] alle incursioni reazionarie del governo obsoleto ovunque, perché in questo modo otterrebbe un tale potere nell'opinione popolare che, contro di lui, tutte le baionette e i fucili si spezzerebbero”.[Xx]

Ma invece l’Assemblea nazionale “annoiò il popolo tedesco” con spettacoli del parlamentarismo e delle frasi altisonanti (quello che nel 1852 Marx chiamava “cretinismo parlamentare”). Secondo lui, questo darebbe più spazio alla reazione.

Tuttavia, la “dittatura” rivendicata non era ancora associata al dominio di classe del proletariato. Marx non ha mai usato l’espressione “dittatura del proletariato” in Nuova Gazzetta Renana. Se realizzata, si tratterebbe di una dittatura dell'Assemblea nazionale allora costituita, di carattere di classe eterogeneo ("popolare"), contro i resti monarchici (in particolare in Prussia, il regno di Federico Guglielmo IV rimase in piedi e finse di adattarsi alle richieste popolari).

È interessante notare che lì, quando sosteneva la necessità di una dittatura, Marx presentò per la prima volta la difesa della strategia del doppio potere. La “dittatura” desiderata sarebbe quella del potere legislativo (dell’Assemblea nazionale) contro ciò che restava del potere esecutivo monarchico-feudale (la Corona di Federico Guglielmo IV). La strategia di Marx emulava quindi – come abbiamo già sostenuto – quanto accadde nei momenti più radicali della Rivoluzione francese, in particolare sotto la Convenzione nazionale, quando una dittatura del potere legislativo spazzò via l'Ancien Régime.

Ecco cosa dice l’autore sulla necessità di una dittatura e sull’esistenza di poteri paralleli: “Ogni situazione provvisoria dopo una rivoluzione richiede una dittatura, e in effetti una dittatura energica [decreto energetico]. […] Così, mentre il signor Camphausen dormiva il sogno costituzionale, il partito sconfitto rafforzava le sue posizioni nella burocrazia e nell’esercito, e qua e là rischiava persino una lotta aperta. L’Assemblea […] si schierò dalla parte della Corona, su un piano di parità. Due potenze uguali [Due grandi successi] in un governo provvisorio!”.[Xxi]

I due poteri erano la monarchia di Federico Guglielmo IV e l'Assemblea nazionale; Il ministero di Camphausen, a sua volta, era un elemento intermedio o unificante (“due poteri uguali in un unico governo provvisorio”). La funzione del ministero era quella di riconciliare i due poteri, evitando lo scoppio di una guerra civile. Marx, al contrario, si aspettava la fine della conciliazione insostenibile; Volevo che il dualismo dei poteri si sviluppasse e si dirigesse verso la definitiva distruzione del potere monarchico-feudale da parte dell'Assemblea nazionale.

Come ha sostenuto: “La Corona e l’Assemblea sono faccia a faccia. La “conciliazione” ha portato [anche] alla separazione, al conflitto. Forse saranno le armi a decidere. Chi avrà più coraggio e impegno vincerà!”[Xxii]

Due mesi dopo, Marx sembrava ancora più esasperato. Come se la parola “dittatura” non bastasse, il suo significato è diventato ancora più incisivo. Analizzando la sconfitta della rivoluzione a Vienna e vedendo un futuro poco chiaro in Germania, scrisse che “il cannibalismo della controrivoluzione stessa convincerà il popolo che c’è un solo modo per semplificare e concentrare i dolori della morte della vecchia società e i sanguinosi dolori del parto della nuova, un solo mezzo: il terrorismo rivoluzionario [nel mezzo – il terrorismo rivoluzionario] ”.[Xxiii]

Nel maggio 1849, il Nuova Gazzetta Renana è stata soppressa. L'ultimo numero, famoso per i suoi caratteri in inchiostro rosso, conteneva una minaccia di Marx: "Quando verrà il nostro turno, non maschereremo il terrorismo!"

Quanto è diverso questo Karl Marx da quello in Manifesto comunista! Invece dell’astratta “lotta per la democrazia”, abbiamo la necessità di realizzare il “terrorismo”, attraverso una “dittatura energica” del potere legislativo (che rappresenta la maggioranza del “popolo”), conducendo una guerra civile contro il potere esecutivo. Ora sulla scena c’è un Marx “giacobinista”.[Xxiv] Tuttavia, siamo ancora ben lontani dalla conclusione cui è giunto l'autore in merito alla strategia rivoluzionaria a partire dalla rivoluzione del 1848.

*Rafael de Almeida Padial Ha un dottorato in filosofia presso Unicamp. Autore di Sul passaggio di Marx al comunismo (Alameda). [https://amzn.to/3PDCzMe]

Versione ampliata del capitolo del libro in ANTUNES, J.; MELO, R. & PRADO, C., Bonapartismo, storia e rivoluzione. Uberlandia: Navigazione, 2022.

Riferimenti


ENGELS, F., “Marx e la nuova Rheinische Zeitung', 1848-1849”. In MEW, vol. 21. Berlino: Dietz, 1962;

Documenti e materiali della Federazione dei Comunisti, Berlino: Dietz, 1983;

MARX, K., “Breve approfondimento del direttore del quotidiano L'Alba”. Nel MEW, vol. 5, Berlino: Dietz Verlag, 1959;

Italiano: “Il Partito Democratico”, 02/06/1848. In MEW, vol. 5, Berlino: Dietz Verlag, 1959;

Italiano: “La crisi e la controrivoluzione”. Nel MEW, vol. 5, Berlino: Dietz Verlag, 1959;

Italiano: “Programma del Partito Radicale Democratico e dei Links a Francoforte".In MEW, vol. 5, Berlino: Dietz Verlag, 1959;

Italiano: “La controversa rivoluzione di Vienna".In MEW, vol. 5, Berlino: Dietz Verlag, 1959;

MARX, K., & ENGELS, F., Manifesto del Partito Comunista. in MEW, volume 4, Berlino: Dietz Verlag, 1977;

MARX, K., ENGELS, F. e altri, "Protezione dei partiti comunisti in Germania”. Nel MEW, vol. 5, Berlino: Dietz Verlag, 1959;

MCLELLAN, D., Karl Marx, la sua vita e il suo pensiero. Londra: Macmillan, 1973

F. MEHRING, Karl Marx, la storia della sua vita, Milano: Einaudi, 2013;

RIAZANOV, D.I., Manifesto del Partito Comunista – Note di DI Riazanov, Città del Messico: Edizioni Cultura Popolare, 1978.

note:


[I] A questo proposito, vedi il nostro libro, Sulla transizione di Marx al comunismo, op. cit.

[Ii] Ciò che lì chiamiamo “strategia democratico-rivoluzionaria” potrebbe anche essere chiamata “strategia democratico-popolare” o, addirittura (secondo i testi dell’epoca), strategia “democratico-radicale”.

[Iii] Cfr. MARX, K., & ENGELS, F., Manifesto del Partito Comunista [Manifesto del Partito Comunista], in MEW (Marx-Engels Werke), volume 4, Berlino: Dietz Verlag, 1977, p. 493. Il corsivo è nostro.

[Iv] Tuttavia, l'autore sosteneva che la rivoluzione borghese tedesca si sarebbe verificata con delle specificità, poiché il proletariato tedesco era più sviluppato dei proletariati inglese e francese nelle loro rivoluzioni borghesi. Pertanto la rivoluzione borghese in Germania, anche a un certo stadio, sarebbe solo un “preludio immediato” alla rivoluzione comunista. Vedi lo stesso estratto da Manifesto.

[V] ibid, P. 481.

[Vi] Ibid., pag. Italiano: Marx ed Engels sostengono, nella prefazione all’edizione tedesca del 481, che “non si dovrebbe attribuire alcuna importanza a queste rivendicazioni” perché le rivoluzioni del 82 e del 1872 le hanno storicamente negate. Dimostrare questo è parte del compito di questo articolo.

[Vii] RIAZANOV, D.I., Manifesto del Partito Comunista – Note di DI Riazanov, Città del Messico: Edizioni Cultura Popolare, 1978, p. 151.

[Viii] Per una contestualizzazione generale della situazione del 1848 e del ruolo di Marx in essa, vedere la biografia centenaria di MEHRING, F., Karl Marx, la storia della sua vita, São Paulo: Sundermann, 2013 (capitolo “rivoluzione e controrivoluzione”). Questa biografia presenta però dei punti deboli e dovrebbe essere usata con parsimonia. Ad esempio, nasconde deliberatamente la figura di Andreas Gottschalk, la cui analisi sarà affrontata più avanti.

[Ix] Anche se in questo testo utilizziamo talvolta il termine “Germania”, vale la pena ricordare che all’epoca l’identità nazionale racchiusa oggi in quel nome non esisteva realmente. Il termine corretto è Confederazione Germanica, un'unità di 39 regni, ducati, principati e città libere, fondata dopo il Congresso di Vienna (1815), comandata dai regni d'Austria e di Prussia. La confederazione venne sciolta nel 1866, durante la guerra austro-prussiana.

[X] Sulla nomina di Marx a capo della Lega dei Comunisti in questo periodo, vedi “Divulgazione del Comitato Centrale della Lega dei Comunisti a Bruxelles dopo il suo trasferimento a Parigi”, in Documenti e materiali della Federazione dei Comunisti, Berlino: Dietz, 1983, pp. Italiano:

[Xi] MARX, K., ENGELS, F. e altri, “Richieste del Partito Comunista in Germania”], nel MEW, vol. 5, Berlino: Dietz Verlag, 1959, p. 4. L'opuscolo, scritto da Marx, è firmato da lui, K. Schapper, H. Bauer, F. Engels, J. Moll e W. Wolff.

[Xii] A Colonia l'Associazione Democratica rivaleggiò in parte con l'Associazione dei Lavoratori, di carattere proletario, fondata e diretta nei suoi primi anni da Andreas Gottschalk, ex membro della Lega dei Comunisti, difensore del cosiddetto “vero socialismo” (o “socialismo tedesco”) e allievo di Moses Heß. Torneremo più avanti a Gottschalk. Sulle due associazioni, vedi MCLELLAN, D., Karl Marx, la sua vita e il suo pensiero. Londra: Macmillan, 1973, capitolo 4.

[Xiii] Il “partito democratico” non esisteva formalmente come entità giuridica con quel nome. La nozione di “partito” è usata lì in senso lato, come movimento di tutti coloro (organizzazioni e individui) che lottano per la democrazia.

[Xiv] I nomi possono creare confusione. Marx era in prima linea due giornali con nomi simili, entrambi con sede a Colonia (regione della Renania). Nell'ottobre del 1842, sostenitore di posizioni liberali, divenne caporedattore del Gazzetta del Reno (Rheinische Zeitung). Ciò durò fino al marzo 1843. Marx ottenne un grande successo politico alla guida del giornale. IL Gazzetta del Reno era un organo democratico-borghese e il suo sottotitolo era “Per la politica, il commercio e l’industria” [per la politica, Handel e il lavoro]. Nel giugno del 1848, indicando una certa continuità con il suo lavoro precedente, Marx fondò la Nuova Rheinische Zeitung – Organo della Democrazia (Nuova Rheinische Zeitung – Organo della Democrazia), con il quale ottenne anche successo politico (“il giornale più famoso del periodo rivoluzionario tedesco”, disse Engels nel suo testo “Marx e la nuova Rheinische Zeitung”). Il secondo esperimento durò circa un anno.

[Xv] ENGELS, F., “Marx e la 'Nuova Rheinische Zeitung', 1848-1849”. In MEW, vol. 21. Berlino: Dietz, 1962, p. 19.

[Xvi] Cfr. MARX, K., “Brief an den Redakteur der Zeitung L'Alba” [“Lettera al direttore del quotidiano L'Alba”], nel MEW, vol. 5., op. cit., pag. 8.

[Xvii] Cfr. MARX, K., “Die demokratische Partei” [“Il partito democratico”], 02, in MEW, vol. 5, pag. 22.

[Xviii] Vedere Ibid., p. 23.

[Xix] Tutte le ultime piccole citazioni ibid, Pp 23-24.

[Xx] Idem, “Programma del Partito Radicale Democratico e di Sinistra di Francoforte”, 07/06/1848, in ibid, Pp 40-41.

[Xxi] Idem, “Die Krisis und die Kontrerevolution” [“La crisi e la controrivoluzione”], in particolare l’articolo pubblicato il 14/9/1848, in ibid., P. 402.

[Xxii] ibid, P. 404. Vale la pena notare che la nozione di “dualità dei poteri” era già apparsa, ma en passant, nell'articolo “Programmi del Partito Radicale Democratico e di Sinistra di Francoforte”, da noi già citato. Dopo l’articolo su cui abbiamo lavorato – “La crisi e la controrivoluzione” –, la nozione di dualità dei poteri sarà sempre più presente in NGR. Si vedano in particolare gli articoli “Libertà di deliberazione a Berlino” (17); “La crisi di Berlino” (09/1848/9); “La controrivoluzione a Berlino” (11/1848/12); “Il Ministero è accusato” (11/1848/15); “L'ufficio del Procuratore generale e l' Nuova Gazzetta Renana”(22/11/1848); “Il processo contro il comitato distrettuale renano dei democratici” (25 e 02).

[Xxiii] Idem, “Sieg der Kontrerevolution zu Wien” [“Vittoria della Controrivoluzione a Vienna”], 07, in ibid, P. 457.

[Xxiv] È noto che dopo aver lasciato il Gazzetta del Reno (il primo, dal 1842/43), e prima di trasferirsi a Parigi (ottobre 1843), Marx studiò a fondo la Rivoluzione francese del 1789. In essa, cercò certamente di comprendere le leggi generali di un processo rivoluzionario. Marx intendeva addirittura scrivere una “Storia della Convenzione” (periodo del “terrore” giacobino). Tuttavia, in nessuno dei suoi appunti dell'epoca egli rivelò un grande apprezzamento per la via giacobina della Rivoluzione francese. Nel suo primo articolo scritto per la pubblicazione – “Osservazioni sulle ultime istruzioni prussiane sulla censura”, scritto nel febbraio 1842 ma non pubblicato fino al febbraio 1843 – Marx attaccò direttamente il terrorismo dei giacobini. Anche più tardi, nel suo periodo francese (fine 1843), in difesa di nozioni democratiche – come il “suffragio universale” –, Marx difese vie socialiste come quelle di Dézamy e Cabet, contro la corrente comunista “dittatoriale” che, direttamente da G. Babeuf, proveniva dalla Rivoluzione francese e conduceva a P. Buonarroti e A. Blanqui. Ora, nel 1848, abbiamo un Marx che in realtà beve da quest’altra vena “giacobinista” della Rivoluzione francese. Vale la pena notare che Engels, nel suo articolo “Marx e la Nuova Gazzetta Renana", del 1884, commenta che il NGR imitarono ampiamente (anche se inconsciamente) le tattiche di L'Ami du Peuple, di Marat. Questa, come è noto, rappresentò una delle ali più radicali (insieme agli hébertisti di Parigi) della piccola borghesia giacobina nella Rivoluzione francese del XIX secolo. XVIII.


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