La minaccia atomica

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da FELIPE CATALANI*

Postfazione al libro recentemente pubblicato di Günther Anders

1.

“La storia che leggerò ora si inserisce nel seguente contesto: nel 1961, cioè tre anni dopo il mio soggiorno a Hiroshima, e un anno dopo la pubblicazione del mio scambio di lettere con il pilota Claude Eatherly, ricevetti dalla Germania federale una lettera da una giovane ragazza che mi ha chiesto di scrivere qualcosa sulla situazione atomica per una collezione”. Così esordisce Günther Anders in uno dei rari filmati disponibili, del 1987: ha quasi 90 anni, le sue mani sono gravemente deformate dall'artrite di cui soffre da decenni.

Nel filmato legge ad alta voce la favola “O futuro chorado”, lo stesso testo che apre questo libro – l’unico testo di fantasia tra altri articoli e saggi. Si inizia spiegando brevemente l'origine del testo. La raccolta a cui fa riferimento è stata pubblicata con il titolo Gegen den Tod: Stimmen deutscher Schriftsteller gegen die Atombombe [Contro la morte: voci di scrittori tedeschi contro la bomba atomica], con testi di Anna Seghers, Hans Magnus Enzensberger, Oskar Maria Graf, Max Brod, Bert Brecht, tra gli altri – il testo di Anders viene utilizzato come apertura del libro.

E continua: “Nel tempo che è trascorso, l’organizzatrice è morta, o, per onorare la verità, è stata “uccisa”. Il nome di questa ragazza, che non avevo mai visto in vita mia, era: Gudrun Ensslin. Senza di lei questa storia che vi leggerò non sarebbe mai emersa”.[I]

Come è noto, Gudrun Ensslin fu, insieme a Ulrike Meinhof e Andreas Baader, uno dei fondatori della RAF (Fazione dell'Armata Rossa), che rappresentò, dopo il riflusso del 1968, uno dei momenti più drammatici di radicalizzazione politica nella Germania del dopoguerra. In altre parole, la questione era già nell’aria quando, in un’intervista con Manfred Bissinger, Günther Anders nel 1986 sconvolse i suoi lettori, i suoi compagni combattenti antinucleari e l’opinione pubblica di lingua tedesca in generale legittimando l’uso della violenza contro il potere dominante. poteri. , criticando con forza le “pseudo-azioni” e eventi in cui, ad esempio, i manifestanti abbracciano edifici pubblici e regalano fiori agli agenti di polizia, tra le altre esibizioni.[Ii]

Annuncia la “fine del pacifismo”, anche se il movimento “pacifista”, sia antinucleare che di opposizione alla guerra del Vietnam, è proprio quello in cui è impegnato da decenni. In un piccolo libro organizzato da Manfred Bissinger sul problema della violenza, che contiene anche una “intervista immaginaria” e innumerevoli risposte indignate del pubblico, Günther Anders afferma che “coloro che preparano o almeno accettano lo sterminio di milioni di persone, oggi e domani queste dovranno scomparire, non potranno più esistere”.[Iii]

Se collegassimo gli uni agli altri, dedurremmo che Günther Anders era un appassionato assoluto della RAF, il che sarebbe affrettato. Il 20 settembre 1977 Anders scrive insieme a Robert Jungk[Iv] una “lettera aperta alla RAF”. In quel momento, il confronto tra lo Stato tedesco e la RAF (ormai militanti di “seconda generazione”) raggiunse livelli stratosferici. Ulrike Meinhof era morta l'anno prima, Gudrun Ensslin e Andreas Baader erano in prigione dal 1972 e nell'aprile 1977 erano stati condannati all'ergastolo.

Il 5 settembre di quell'anno, con l'obiettivo di liberare i prigionieri politici, membri della RAF rapirono Hanns Martin Schleyer, allora presidente dell'Unione degli imprenditori tedeschi e dell'Associazione dell'industria tedesca, nonché exUntersturmführer delle SS durante il regime nazista. Nei media, i partiti conservatori hanno chiesto la pena di morte per i prigionieri, e lo Stato ha organizzato una vera e propria operazione militare per “dare la caccia ai terroristi”, senza la minima intenzione di scambiare il riscatto.

Anders e Jungk iniziano quella lettera aperta del 20 settembre con a Lie Freunde - "Cari amici". Per poche righe sotto, scrivi in ​​grassetto: “Dobbiamo dirti che vediamo la tua cecità e lo stile delle tue azioni con perplessità e orrore!”[V] In tutta la lettera affermano che tali atti produrrebbero l'opposto di ciò che intendevano e contribuirebbero alla creazione di un nuovo Stato autoritario, e chiedono che gli attacchi cessino e che Schleyer venga rilasciato. Meno di un mese dopo questa lettera, la notte del 18 ottobre 1977, Jan-Carl Raspe, Andreas Baader e Gudrun Ensslin morirono di “suicidio” nel carcere di Stannheim a Stoccarda. Di conseguenza, Schleyer fu giustiziato il giorno successivo con tre colpi alla testa e lasciato in un'auto nella città francese di Mulhouse, al confine con la Germania. Così finisce l’”autunno tedesco”.[Vi]

Nel 1981, quattro anni dopo questi eventi, il libro Endzeit und Zeitenende [Tempo della fine e fine dei tempi] (1972), ora dal titolo inequivocabile L'atomo di Drohung [La minaccia atomica]. Questo è probabilmente il libro più politico e acuto di Anders, che è anche un ramo del primo volume di L'obsolescenza dell'uomo (1956), che si conclude con un ampio saggio dal titolo “Sulla bomba e le radici della nostra cecità di fronte all’apocalisse”. La sua analisi sarà sempre doppia, focalizzata allo stesso tempo sulla bomba e sulla “cecità” che essa produce, cioè sia sulla bomba “in sé” che sulla bomba “per noi”, rendendo visibile questo vuoto che è la enorme discrepanza tra ciò che la bomba è realmente e ciò che viene percepito dalle nostre limitate facoltà di percezione, cognizione, immaginazione, ecc.

Molto più enfaticamente diObsolescenza…, c'è uno scontro politicamente situato, anche contro specifiche figure contemporanee. Karl Jaspers, ad esempio, che nel 1957 pubblicò un libro di 500 pagine intitolato Die Atombombe und die Zukunft des Menschen: Politisches Bewußtsein in unserer Zeit [La bomba atomica e il futuro dell'uomo: la coscienza politica nel nostro tempo],[Vii] appare come un costante antipodo (nella corrispondenza con Hannah Arendt, Günther Anders racconta le sue impressioni di lettura con crescente irritazione).[Viii] Jaspers aderisce all’errore dell’”assioma dei due inferni” (equiparando la minaccia atomica alla minaccia “totalitaria” – in questo caso, sovietica) e sconvolgerà anche Maurice Blanchot, che in “Inizia l’apocalisse"[L'apocalisse delude] è colpito dal fatto che “ciò che lo preoccupa è la fine dell’umanità, ma ancor più l’avanzata del comunismo”.[Ix]

Oltre alla follia dell’anticomunismo, Karl Jaspers fa il paragone filosoficamente assurdo tra un fatto storico – l’esistenza dell’Unione Sovietica – che da un momento all’altro potrebbe finire (come è avvenuto), con il pericolo della fine irreparabile e irreversibile dell'umanità. Il verdetto di Günther Anders è chiaro: “Se Jaspers ha vinto il premio per la pace, è soprattutto perché ha lasciato solo Adenauer” (p. 63).

Em La minaccia atomica Günther Anders mette in pratica il suo metodo che è, secondo la sua curiosa definizione, “un incrocio ibrido di metafisica e giornalismo”.[X] I fatti mondani non sembrano “illustrare la metafisica”, eterna per eccellenza – anzi il contrario: è approfondendo il fatto storico casuale (nell'“occasione”, come dice lui) che il pensiero filosofico acquista consistenza; È così che funziona il tuo.Filosofia Gelegenheit”, o “filosofia occasionale”.[Xi]

E in effetti c’è qualcosa di unico nel suo stile – in una tarda intervista, del 1982, riflettendo sul suo lavoro e sulla sua generazione, Günther Anders risponde: “Sono diventato famoso solo perché tutti quelli della mia generazione sono già morti. […] Non nego di aver reagito in modo più contemporaneo dei miei amici alle questioni di filosofia della tecnologia; La maggior parte di loro era incapace di uscire dalle problematiche e dal vocabolario del marxismo o della psicoanalisi e di tuffarsi nei nuovi problemi dell’era atomica. Invece di leggere i classici, leggo i giornali. Ma appunto modalità filosofica. "[Xii]

Naturalmente non si tratta di un ingenuo salto nell’immediatezza. Per comprendere il suo procedimento è necessario tener conto anche della sua formazione di fenomenologo nel trattare gli oggetti del mondo. Contro la filosofia egocentrica, degenerata in un eterno discorso di metodo e formulatrice sempre di nuove “epistemologie” (ecc., ecc.), Günther Anders ha cercato di pensare a partire dalle “cose stesse” – siano esse la televisione o la bomba atomica.

Chi ha lo sguardo fisso sul metodo di spiegazione finisce per diventare cieco di fronte alla cosa che viene spiegata, un po' come il cane Castore che, invece di vedere la salsiccia, vede solo il dito che la indica: “Quando indicai a Castore il pezzo di salsiccia che avevo messo sul lato dell'albero, lui, saltando all'impazzata, guardò il mio dito, invece di guardare ciò che gli veniva indicato. Apparentemente gli animali non capiscono l'indicazione. […] Noi filosofi non ci comportiamo come Castore? Salti sempre in alto, guardando il tuo dito indice? Invece di guardare ciò che è indicato?”[Xiii]

A ciò si aggiunge il fatto che la vita intellettuale e la produzione di Günther Anders si sono sviluppate, in larga misura, al di fuori della filosofia accademica. C'è un mix di convinzione politica in questa storia (“la bomba non è appesa solo sui tetti dell'università”, ha ripetuto) e caso (la tragedia dell'emigrazione). Se negli anni Venti Günther Anders era un “beniamino” dell’università e uno studente brillante, figlio di intellettuali affermati e frequentatore della grande filosofia del suo tempo (avendo studiato con Husserl, Heidegger, ecc.), in America in esilio comincia a vivere di lavoro, e passerà da spazzino di studio di Hollywood a operaio, dopo aver tenuto alcuni corsi di filosofia dell'arte a Nuova scuola per la ricerca sociale in New York.[Xiv]

Al ritorno in Europa, dopo 14 anni negli Stati Uniti, chiede aiuto a Helmuth Plessner per ottenere un posto all'università, e dice di voler tornare a insegnare. Ernst Bloch cerca di procurargli qualcosa anche nella Germania dell'Est.[Xv] In nessun caso ha funzionato. Anni dopo, la Libera Università di Berlino gli offrì – per due volte – una cattedra, un invito mediato da Jacob Taubes. In quel momento l’invito è stato rifiutato – entrambe le volte.[Xvi]

Indipendentemente da questi fatti biografici, nei suoi testi è notevole lo sforzo consapevole e costante di rompere l'“esoterismo” del gergo filosofico (tema da lui spesso discusso), che gli fa sviluppare uno stile di scrittura e una dizione molto particolari.[Xvii] Cerca, per quanto possibile, di usare un linguaggio schietto che sfidi il lettore frontalmente, con un uso molto insolito nella prosa tedesca di frasi brevi e di sintassi diretta, priva di ogni ornamento.

Se il suo stile finalmente si avvicina alla forza tipica dei discorsi religiosi (è impressionante come riesca a formulare, in modo convincente e sobrio, sia i “comandamenti” che la necessità dei “giuramenti”[Xviii]), è perché effettivamente c'è qualcosa che gli interessa. Ad un certo punto dello scambio di lettere con Hans Jonas, dove si parla del rapporto con la religione, Günther Anders dice: “In effetti, ascolto i discorsi del prete locale alla radio ogni mattina alle 6, come è tradizione del linguaggio diretto in essi [Approccio diretto] che era totalmente perso nella filosofia.[Xix]

2.

È noto il saggio di Adorno “L'educazione dopo Auschwitz”, che così inizia: “L'esigenza che Auschwitz non si ripeta è innanzitutto quella dell'educazione. In modo tale da precedere ogni altro, tanto che non credo sia né possibile né necessario giustificarlo. Non riesco a capire come abbia ricevuto così poca attenzione fino ad oggi. Giustificarlo avrebbe qualcosa di mostruoso di fronte a tutta la mostruosità avvenuta”.[Xx]

Günther Anders condivide con Adorno l’intuizione che, da un certo momento in poi, certe esigenze morali (quelle decisive) non necessitano più di giustificazione: “La questione se debba esserci o meno umanità ha senso tutt’al più nell’ambito della ragione teorica (se è possibile rispondere), per “ragioni pratiche” non è interessante.”[Xxi] Forzando un’analogia (non così forzata, vista la parentela strutturale tra campo di sterminio e bomba atomica, “fratelli storici” per così dire)[Xxii]), potremmo riassumere buona parte del lavoro di Anders sotto la rubrica: “L’educazione dopo Hiroshima”.

E anche se Günther Anders non si occupa di questioni pedagogiche in senso stretto (cioè per quanto riguarda la sfera scolastica stessa), è possibile estrarre dalla sua opera un’enfatica nozione di educazione – un’educazione attraverso la catastrofe, quindi per intenderci, anti-apocalittico, che si confronta con la mutazione antropologica a cui siamo sottoposti. Un'educazione centrata sulla più fondamentale delle facoltà umane secondo Anders, cioè l'immaginazione (dal suo primo saggio sulla bomba si afferma l'imperativo della “formazione della fantasia morale”).[Xxiii]).

Non a caso, proprio la facoltà che non è riuscita a superare ogni sviluppo tecnico della civiltà, che a sua volta ha portato al suo opposto, nella misura esatta in cui si è prodotto l’inimmaginabile: il “nulla inimmaginabile”.[Xxiv] È lavoro umano. All’inizio degli anni quaranta, nella traccia di quella che sarebbe diventata la sua “Filosofia della cultura” (mai pubblicata), Günther Anders definiva: “La barbarie è la differenza tra l’uomo e i suoi prodotti”.[Xxv]

Un’educazione i cui fini sono vicini a quelli ricercati da Theodor Adorno, ma che a sua volta è formulata in altri termini, soprattutto perché la teoria psicologica di fondo ha un altro vocabolario – sì, c’è una psicologia in Günther Anders (che era in realtà figlio di due famosi psicologi, Clara e William Stern), di cui però non rende espliciti i presupposti, per cui non è così facilmente classificabile.

Se Theodor Adorno ha in mente la dialettica del processo di civilizzazione, più o meno come la pensava Freud in Il malessere in cultura, Günther Anders non riflette tanto sulla questione delle pulsioni mal indirizzate o poco contenute, né sul problema dell'aggressività individuale (legata, evidentemente, alle sue forme collettive). Il suo problema è piuttosto il vuoto immaginativo, frutto della “discrepanza prometeica”, e produttore dell’”indifferenza di fronte all’apocalisse”.[Xxvi]

La questione non è tanto l’odio o la freddezza – Günther Anders parla addirittura di una sinistra abolizione dell’odio e dell’inimicizia[Xxvii] – ma l’apatia morale e mentale che sostiene una mostruosa normalità, cementata dalla cecità del lavoro come forma universale di attività (alienata e alienante, certamente) e che funziona come un enorme sistema di collaborazione.[Xxviii]

Günther Anders dirige il suo sforzo didattico, nel senso brechtiano del termine, contro questa normalizzazione, che ne è il vero oggetto – non sarebbe esagerato leggere l'opera di Günther Anders come una grande teoria del conformismo (in questo caso, della cambiamento nel modo in cui tale “conformismo” funziona). Non è un caso che il titolo originale diObsolescenza… fossa Terrore soft e altri studi sul conformismo. Questo singolare mix tra orrore e conforto Günther Anders ha visto in Franz Kafka, che ha decifrato la macabra normalità del XX secolo: da qui la peculiarità della sua forma letteraria, che opera una sorta di stranezza al contrario.

Nella tecnica brechtiana dello straniamento si trattava cioè di mostrare ciò che era “naturale” come in realtà artificiale (cioè storico e, quindi, trasformabile), rivelando il normale come strano – Kafka fa il contrario. Presenta lo strano come se le cose normali, insolite o addirittura terrificanti accadano con la massima naturalezza, perché, appunto, “la cosa sorprendente di Kafka è che lo straordinario non spaventa nessuno”[Xxix] – lo spavento che non stupisce, o l’orrore che non provoca angoscia né paura: questo è il problema da indagare. Ecco perché Anders parlerà dell'“antisensazionalismo” del tono kafkiano e di un principio formale che lui chiama “esplosione negativa”, un'esplosione sommessa e non fragorosa, che rimane senza conseguenze drammatiche. Qualcosa come un allarme antincendio al contrario.[Xxx]

Il mantenimento della normalità, a prescindere da ciò che è già accaduto e da ciò che potrà accadere, è alla base anche della commedia disperata di Beckett, che, in fine del gioco, sviluppa un dialogo del tipo: “Clov: Ci sono così tante cose terribili. Hamm: No, no, non ce ne sono così tanti adesso. [Rottura]"[Xxxi] Analizzando l'opera Aspettando Godot, Anders interpreta Vladimir ed Estragon come “guardiani del concetto di significato in una situazione manifestamente priva di significato”.[Xxxii] Cioè, non sono “nichilisti”, ma piuttosto incapaci di esserlo anche in una situazione assolutamente senza speranza. “Parte della miserabile tristezza che irradia dall'opera deriva non tanto dalla situazione disperata dei due eroi, ma proprio dal fatto che essi, continuando ad aspettare, non sono all'altezza di questa situazione, cioè dal fatto che non sono nichilisti. E a questa incapacità devono la forza della loro comicità”.[Xxxiii]

Come deve essere chiaro, l'educazione all'angoscia di Günther Anders passa attraverso la presa di coscienza della situazione apocalittica del nostro tempo, la cui temporalità è ampiamente analizzata nel cruciale saggio “The Deadline” (p. 185), delineando anche le distinzioni (e gli aspetti comuni) tra apocalisse nucleare ed escatologie tradizionali. Ci sarebbe anche il problema della durata, visto che anche la scadenza è un tempo “abbreviato”.[Xxxiv], ma non necessariamente breve, può essere addirittura abbastanza lungo da annoiare (da qui l'assurdità, formalizzata da Beckett, di un tempo apocalittico vissuto come noioso, un tempo essenzialmente “detemporalizzato”).

Ma al di là della nostra “apocalisse senza regno”, cioè di questa fine che è pura fine (e che non è, come nell'apocalisse di Giovanni, allo stesso tempo un inizio), dobbiamo considerare anche la “non escatologia” nell'apocalisse apocalittica. tempi, che a sua volta è legato a quel meccanismo ideologico per il mantenimento della normalità – noto anche come progressismo. “Non credi alla fine, non vedi la fine – il concetto di progresso ci ha reso ciechi di fronte all’apocalisse”.[Xxxv] Anche questa cecità non è casuale, in larga misura si tratta di ideologia nel senso marxista più rudimentale, cioè la visione della classe dominante. Quelli in alto non vedono e non hanno interesse a vedere “la fine”, poiché vedono anche ciò che vogliono, cioè la continuità del mondo così com’è, sempre migliore.

Delineando cosa sarebbe una “sociologia della fine dei tempi”, Günther Anders osserva che “[…] non ci sono mai state aspettative apocalittiche che devono la loro origine alle potenze dominanti. […] Coloro che dominano insistono sulla propria permanenza e, con ciò, sulla permanenza del mondo. Solo chi è “alla fine” pensa alla fine, aspetta la fine, si consola con la fine. Formulato positivamente: le concezioni apocalittiche devono sempre la loro esistenza a gruppi che si trovano condannati all'impotenza attraverso una pressione quasi assoluta […]. Solo questi gruppi hanno bisogno (o meglio: hanno bisogno) di pensare alla fine, perché con l'aiuto di essa sono riusciti a superare l'umiliazione che hanno sopportato in questo mondo” (p. 136).

In breve: l’escatologia è, storicamente, una cosa per i dannati della terra, che passano dalla disperazione alla speranza (e viceversa), mentre le concezioni di continuità costituiscono la visione dei gruppi dominanti e di coloro che si accontentano di questo mondo. Nella situazione in cui ci troviamo, allora come oggi, coloro che deridono il “catastrofismo” come qualcosa di “irrazionale” diventano necessariamente i guardiani della normalità, proprio come le figure beckettiane. Ma è altrettanto necessario vedere il lato B di tale visione, cioè l’uso dell’apocalisse come ricatto per il mantenimento della normalità, che inizia a funzionare solo sotto la costante tensione di una minaccia permanente.

Il grande pericolo (che nella maggior parte dei casi ha un fondamento reale) diventa una retorica dell’obbedienza, o, nel peggiore dei casi, una logica sacrificale: assistiamo oggi all’emergere di una “collapsologia” di destra, che con l’esempio trasforma la situazione la minaccia reale del collasso climatico diventa la base della misantropia razzista – contro l’immigrazione e il panico demografico, anche la morte diventa “ecologica” (oggi, in Francia, è diventato comune parlare di “ecofascismo”). Lo stesso Anders visse abbastanza da vedere qualcosa di simile nella prima metà del XX secolo, con la rivoluzione conservatrice in Germania e la “controrivoluzione apocalittica”.[Xxxvi]

Se l’apocalisse genera anche discorsi mistificanti, la posizione andersiana sarebbe forse quella che Jean-Pierre Dupuy ha definito “catastrofismo illuminato”.[Xxxvii] Günther Anders non esita a dichiararsi razionalista, anche se il modo in cui lo fa è, per così dire, piuttosto eterodosso. Della tradizione filosofica dell'illustrazione, Günther Anders ne conserva il lato eretico e negativo, nella stessa misura in cui si presenta come un feroce critico del progressismo.

Günther Anders rivendica addirittura un rigore morale analogo a quello di Kant – forse con stupore degli stessi kantiani, Anders dice di essere un kantiano nello stesso paragrafo in cui difende la necessità della violenza: “Lo stato di emergenza giustifica l’autodifesa, la moralità infrange legalità. Non è necessario suffragare questa regola duecento anni dopo Kant. Il fatto che kantiani come noi siano etichettati come “piantagrane” non deve disturbarci […], questo è solo un segno dell’analfabetismo morale di coloro che ci etichettano in quel modo”.[Xxxviii] Vedere i limiti della ragione (comunicativa o meno...) e non aspettarsi chiarimenti morali da chi ha poteri apocalittici è qualcosa, di per sé, razionale: “Solo gli idealisti sentimentali sopravvalutano il potere della ragione! Il primo compito del razionalismo è non lasciarsi ingannare dal potere della ragione e dal suo potere di convinzione”.[Xxxix]

Günther Anders si definisce un “moralista” (La minaccia atomica è, in larga misura, un libro di filosofia morale), con la piena consapevolezza che “lo spazio verso cui dobbiamo saltare è lo spazio della politica”. (pag. 178). Ovviamente non si tratta del mondo della politica in senso banale – per opporsi Günther Anders parla addirittura di “metapolitica”. Da un lato, le buone vecchie rivoluzioni sembrano appartenere a un’altra temporalità storica; d’altro canto è ancora qualcosa di simile a loro, magari con un’altra concezione della storia e un’altra nozione di “trasformazione”, perché, affinché il mondo si trasformi, deve ancora esistere. In questo senso, Günther Anders si unisce alla tradizione dell'apocalittica rivoluzionaria, che risale almeno a Rosa Luxemburg e Walter Benjamin. In ogni caso, tale ambito “metapolitico” si riferisce alla politica come lotta e decisione, poiché è in gioco “l’essere o il non essere” dell’umanità.

È qui che va “l’educazione dopo Hiroshima”.

*Felipe Catalani è un dottorando in filosofia all'USP.

Riferimento


Gunther Anders. La minaccia atomica: riflessioni radicali sull’era nucleare. Traduzione: Gabriel Valladão Silva. San Paolo, edizioni n-1, 2023, 256 pagine. [https://amzn.to/3H9uYAL]

note:


[I] Video disponibile su: https://vimeo.com/37359723

[Ii] “È altrettanto insufficiente, anzi insensato, intraprendere uno sciopero della fame per la pace nucleare. Ciò produce effetto solo in chi digiuna, cioè la fame; e forse la buona coscienza di aver “fatto” qualcosa. A Reagan e alla lobby nucleare non importa se mangiamo troppo o troppo poco pane. Questi sono davvero solo 'eventi‘. Le nostre azioni attuali, apparentemente politiche, assomigliano a queste pseudo-azioni emerse negli anni Sessanta, in modo davvero spaventoso. Coloro che li hanno realizzati credevano di aver superato la barriera puramente teorica, ma ciononostante sono rimastiattori‘ solo nel senso di attori di scena. Facevano solo teatro. E lo hanno fatto, cioè, per paura di agire veramente. In realtà non hanno sparato alcun colpo, ma solo una scossa. Anche uno shock che dovrebbe deliziare. Teatro e nonviolenza sono strettamente legati”. Günther Anders, Gewalt – già oder nein. Una discussione inaspettata. (org: Manfred Bissinger). Monaco: Knaur, 1987, p. 24. In prosieguo: Gew.

[Iii] Gew, pag. 104.

[Iv] Jungk era un caro amico di Anders e dedicò anche una serie di libri a questioni tecnologiche e nucleari.

[V] Günther Anders, “Il trasgressore ha informato la RAF”, Literaturarchiv der Österreichischen Nationalbibliothek, 237/W186/4.

[Vi] Per quanto riguarda gli eventi dell'“autunno tedesco”, una delle migliori elaborazioni resta il film Germania nell'erba (1978), diretto da un gruppo di registi, tra cui enfant terribile della sua generazione Rainer Werner Fassbinder, insieme ad Alexander Kluge e altri. Anche l'intervista carceraria del 1997 con Stefan Wisniewski, che partecipò al rapimento di Schleyer, è uno dei materiali più interessanti sull'argomento. Stefan Wisniewski, Wir waren so unheimlich konsequent… Ein Gespräch zur Geschichte der RAF. Berlino: ID-Verlag, 1997.

[Vii] Karl Jaspers, Die Atombombe e die Zukunft des Menschen. Politisches Bewußtsein in unserer Zeit. Monaco: Piper und Co. Verlag, 1960.

[Viii] Hannah Arendt, Gunther Anders. Schreib doch malvagio fatti concreti oltre a te. Breve 1939-1975. Monaco: Piper, 2018.

[Ix] Maurice Blanchot, “L'Apocalypse déçoit” in L'Amitié. Parigi: Gallimard, 1974.

[X] Günther Anders, Die Antiquiertheit des Menschen I. Monaco: Beck, 2010, pag. 8. Di seguito: AdM I

[Xi] Le considerazioni di Anders sul suo “metodo” sono poche e senza pretese, ampiamente formulate a posteriori, con uno sguardo retrospettivo all'opera stessa. Si trovano in modo più concentrato nell'introduzione al primo volume diObsolescenza…e alla fine del secondo volume.

[Xii] Günther Anders, Günther Anders risponde: Interviste & Erklärungen. (org.: Elke Schubert). Berlino: Edizione Tiamat, 1987, p. 79. Di seguito: Gaa.

[Xiii] Günther Anders, Ketzereien. Monaco: Beck, 2022, p. 142.

[Xiv] In una lettera, Max Horkheimer si riferisce a GüntherAnders come segue: “Marcuse e io potremmo, ad esempio, scrivere saggi articolati sul progresso. Inoltre, l’affamato Günther Stern [Anders] potrebbe fornire lavoro aggiuntivo per una piccola somma.” Breve Max Horkheimer an Gretel und Theodor W. Adorno, 4.8.1941, in: Theodor W. Adorno/Max Horkheimer, Briefwechsel 1927–1969, Band II: 1938–1944. Francoforte/M, 2004, pag. 179.

[Xv] Günther Anders, Bene, dass wir einmal die patate bollenti scavare fuori. Briefwechsel con Theodor W. Adorno, Ernst Bloch, Max Horkheimer, Herbert Marcuse e Helmuth Plessner. Monaco: Beck, 2022.

[Xvi] Lo scambio di lettere con i membri della FU è amichevole, e Anders risponde all'invito sempre lusingato e grato, ma parlando dell'impossibilità di conciliare le sue altre attività politiche (che comportavano molti viaggi, soprattutto legate alla Russel Court) con le sue attività accademiche obblighi. Dopo un po' di insistenza, Anders menziona il fatto che proprio in quel momento erano stati resi pubblici i finanziamenti e il sostegno indiretto della CIA alle "istituzioni culturali" della Germania occidentale – compresa la FU – il che gli ha reso definitivamente impossibile diventarne membro. Università. (Lettera di G. Anders a Margherita von Brentano, 25/02/1967 – Literaturarchiv der ÖNB, 237/B41.)

[Xvii] C'è un piccolo frammento, in omaggio a Walter Benjamin, in cui Anders parla del rapporto tra “verità e dizione”. G. Anders, “[Wahrheit und Diktion] (1950)” in Schreib doch bad…, cit., pag. 181. Anche nello scambio epistolare tra Adorno e Anders si discute sullo stile e sul rapporto con il lettore e con l'oggetto di alto interesse filosofico e politico. Vale la pena notare che il tentativo di Anders di allontanarsi dalla prosa concettuale e di “universalizzare” il suo pensiero in forma letteraria non sempre ha successo. Esistono diversi dialoghi filosofici immaginari, che sembrano emulare qualcosa dei dialoghi socratici, che sono semplicemente cattivi, pedagogici nel senso cattivo del termine, e che sono ben lontani dai suoi saggi. In questo aspetto, Die Kirschenschlacht (e in una certa misura, anche il Ketzereien) finisce per essere un'opera minore, per quanto interesse possa suscitare. Già nei tuoi diari (Die Schrift an der Wand. Tagebücher 1941-1966), la questione dell'esperienza personale è finemente combinata con la riflessione filosofica (morale, storica, ecc.) – ancora un altro esempio tedesco del frammento come forma. In una lettera a Helmuth Plessner, Anders afferma che il suo “impiego di tutte le forme letterarie è inteso alla precisione”. Günther Anders, Buono, quello siamo einmal…, cit., pag. 221.

[Xviii] Cfr. “Comandamenti per l’era atomica” in Günther Anders, Hiroshima è ovunque. San Paolo: Elefante (in corso di stampa) e “Il giuramento di Ippocrate”, qui p. 151.

[Xix] Lettera di Günther Anders a Hans Jonas, 24. Archivio letterario ÖNB, 09/B1976.

[Xx] T. W. Adorno, “L’educazione dopo Auschwitz”. Educazione ed emancipazione. San Paolo: Paz e Terra, 2008, p. 119.

[Xxi] AdM II, pag. 390.

[Xxii] Cfr. Anders, “La più mostruosa delle date”, p. 183.

[Xxiii] AdM I, pag. 271.

[Xxiv] Ecco, pag. 110.

[Xxv] G. Anders, “Kulturphilosophie”, ÖNB Literaturarchiv, 237/W52.

[Xxvi] Ecco, pag. 200.

[Xxvii] Ecco, pag. 119 e G. Anders, Die Antiquiertheit des Hassens. In: Kahle/Menzner/Vinnai (org.), Hass. Die Macht eines unerwünschten Gefühls. Reinbeck: Rowohlt, 1985. In larga misura, Anders vide con qualche decennio di anticipo come sarebbe stata la guerra con i droni. Sull’argomento si veda anche Gregoire Chamayou, Teoria dei droni. San Paolo: Cosac & Naify, 2015.

[Xxviii] Vedi G. Anders, Noi figli di Eichmann. San Paolo: Elefante, 2022. Anche se evita il termine, dice Anders nel suo discorso in cui ha ricevuto il “Premio Adorno”: “L’alienazione [alienazione] era il tema di tutti noi, il tema di Marcuse, Horkheimer, Adorno e mio. L’accento che abbiamo posto era sicuramente diverso”. Gaa, pag. 173. Per il fenomeno dell'alienazione, in alcuni passaggi Anders dice che il termine alienazione rispetto al classico alienazione (probabilmente a causa del prefisso Ent-, negazione equivalente a “de-” o “des-” nelle lingue latine).

[Xxix] Günther Anders, Kafka, pro e contro.I fascicoli del caso. San Paolo: Cosac & Naify, 2007.

[Xxx] Il 2 agosto 1914 Kafka racconta così l’inizio della prima guerra mondiale: “La Germania dichiarò guerra alla Russia. – Nel pomeriggio lezione di nuoto.” Franz Kafka, Diari: 1909-1923. San Paolo: Tuttavia, 2021, p. 387.

[Xxxi] Samuel Beckett, fine del gioco.

[Xxxii] AdM I, 221.

[Xxxiii] Idem.

[Xxxiv] Sulle aspettative apocalittiche e sull'abbreviazione dei tempi, cfr. Reinhart Koselleck, “Abbreviazione e accelerazione del tempo. Uno studio sulla secolarizzazione” in Strati di tempo. Rio de Janeiro: Contraponto/Puc-Rio, 2014.

[Xxxv] AdM I, pag. 276.

[Xxxvi] Con il termine “controrivoluzione apocalittica” Jacob Taubes designò Carl Schmitt. Vedi Jacob Taubes, Ad Carl Schmitt. Gegenstrebige Fügung. Berlino: Merve Verlag, 1987. Un altro aspetto regressivo delle visioni apocalittiche è legato anche a una certa pulsione suicida, lontana da ogni prospettiva di trasformazione sociale, che si esprime in fenomeni che vanno dall'escatologia della nuova estrema destra (analizzata da Adorno all'epoca fine degli anni Sessanta) al nuovo fondamentalismo islamico jihadista – in entrambi i casi, espressioni ideologiche di un oggettivo collasso.

[Xxxvii] Jean-Pierre Dupuy, Per un catastrofismo illuminato. Quando l’impossibile è certo. Parigi: Seuil, 2002.

[Xxxviii] Gew., pag. 93.

[Xxxix] Gew., pag. 104


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