da CARLOS EDUARDO ARAÚJO*
Agli apologeti della dittatura civile-militare, che hanno promosso manifestazioni per invocare questo oscuro passato: attenti a ciò che desiderate!
"Chissà, tra qualche decennio saremo in grado di compiere la straordinaria impresa di far semplicemente scomparire una dittatura?" (Edson Teles e Vladimir Safatle ,).
Thomas Hobbes una volta disse che sua madre aveva dato alla luce due gemelli, lui e la paura. Nel 1588, l'Inghilterra correva il rischio imminente di subire un'invasione navale da parte della cosiddetta "Invincible Armada" della Spagna. Questa possibilità generò un quasi panico che si diffuse nella società inglese dell'epoca, a causa della potenza leggendaria dello squadrone spagnolo. E la paura sarebbe stata responsabile della nascita prematura della madre del filosofo, accompagnando Hobbes per tutta la vita, essendo evidente nella sua opera principale, Leviathan.
Non posso dire che mia madre abbia partorito due gemelli, a me e alla dittatura, ma lo ha fatto a malapena. Né sono nato prematuro, a causa del terrore indotto dall'infame autocrazia, poiché è scattato pochi mesi dopo la mia nascita. Sono nato nell'agosto del 1963 e il colpo di stato militare è avvenuto pochi mesi dopo il mio avvento, il 1 aprile 1964. Pertanto, sono cresciuto durante la dittatura militare. La mia infanzia, adolescenza e il mio ingresso nell'età adulta sono avvenuti sotto il suo calcagno. Quando è scaduto, nel marzo 1985, avevo già 22 anni.
Pertanto, non ho subito, direttamente e consapevolmente, i suoi effetti dannosi e violenti. Ero allora, nel periodo più buio della dittatura, avvenuto dall'AI-5 del 1968, troppo giovane per avere coscienza politica e percezione di quanto stava accadendo nel nostro Paese, in quegli “anni di piombo”. Tuttavia, nel mio ricordo più lontano di quell'epoca nefasta, sono sopravvissuti personaggi come Ernesto Geisel, João Batista Figueiredo, Jarbas Passarinho, Golbery do Couto e Silva e Delfim Neto. Ho il ricordo di averli visti al telegiornale sui giornali. L'ultimo presidente del regime autoritario, me lo ricordo bene. Principalmente a causa dei suoi sfoghi, del suo cattivo umore, della sua maleducazione, della violenza verbale che emanava da lui. Sono stato testimone oculare e testimone uditivo di frasi come queste: “Arresto e rompo. Non ho dubbi". O "Se guadagnassi il salario minimo, sparerei alla noce di cocco".
Ho partecipato, ma da spettatore ed entusiasta, al movimento “Diretas Já”, che ha mobilitato il Paese tra il 1983 e il 1984 e ne ha subito la sconfitta. Ho visto Tancredo Neves eletto, indirettamente, dal Collegio Elettorale, per poi vederlo morire poco dopo, sprofondando il Paese in una profonda tristezza. Ho partecipato alla convocazione e all'insediamento dell'“Assemblea Nazionale Costituente”, il 1° febbraio 1987. Mesi prima si discuteva se dovesse essere autonoma o congressuale. Ero sostenitore della prima alternativa, nel senso di evitare problemi legati al conflitto di interessi, se fosse elaborata dagli stessi parlamentari, eletti per le funzioni ordinarie della vita legislativa e i cui mandati sopravvivrebbero all'Assemblea Costituente. Ha vinto la tesi opposta.
Ricordo di aver assistito ad un dibattito, tenutosi nell'Auditorium della Facoltà di Giurisprudenza dell'UFMG, il cui tema era proprio se l'Assemblea Nazionale Costituente dovesse essere autonoma o congressuale. I relatori sono stati i professori Dalmo de Abreu Dallari e José Alfredo de Oliveira Baracho.
Ho studiato Giurisprudenza tra il 1986 e il 1991. Ero, quindi, nel 2° periodo del corso quando è stato avviato il processo costituzionale, che mirava, dopo 21 anni sotto un regime truculento arbitrario, autoritario e oppressivo, a dotare il Paese di una Costituzione di nuovo democratico. I miei compagni di classe e io abbiamo assistito allo stato di avanzamento del lavoro svolto nell'ambito dell'Assemblea nazionale costituente, in cui il nostro professore di diritto costituzionale, all'epoca, l'attuale ministro dell'STF, Cármen Lúcia Antunes Rocha, ha fornito consulenza legale.
Ricordo chiaramente la seduta in cui fu approvata la nostra attuale Costituzione. In quell'occasione l'allora presidente della Camera dei Deputati, il valoroso deputato federale Ulisses Guimarães, che la brandì tra le dita, in un'affollata plenaria del Congresso Nazionale e lanciò queste eloquenti, enfatiche e storiche parole:
“La persistenza della Costituzione è la sopravvivenza della democrazia. Quando, dopo tanti anni di lotte e sacrifici, abbiamo promulgato lo statuto dell'uomo, della libertà e della democrazia, abbiamo gridato per l'imposizione del loro onore: odiamo la dittatura. Odio e disgusto. Malediciamo la tirannia ovunque disonori uomini e nazioni, specialmente in America Latina”. [due]
Questo lungo introito vuole situarmi di fronte al tema, sul quale mi sono proposto di riflettere, relativo al bolsonarismo, inteso come movimento antidemocratico, autoritario, populista di estrema destra, demagogico e violento, che oggi prospera tra noi . Il bolsonarismo è chiaramente e inequivocabilmente antagonista ai valori civilizzatori, alle idee democratiche e alla convivenza plurale e inclusiva, che, purtroppo, hanno subito infami interregni, nel corso della nostra travagliata storia. Sotto il bolsonarismo, la democrazia brasiliana è a rischio permanente.
Poiché, nel periodo post-dittatura civile-militare, ci siamo dotati di una nuova Costituzione democratica, promulgata il 05 ottobre 1988, con il recupero, tra gli altri diritti soppressi dal regime militare, del diritto di voto diretto, per il Presidente della la Repubblica. Tutto sembrava indicare che si stava aprendo la strada, ancora una volta, alla tanto agognata fondazione della nostra democrazia, anche se, come sempre, più formale che sostanziale.
Con il susseguirsi degli anni e delle nuove elezioni, eravamo convinti che la nostra democrazia si stesse consolidando e rafforzando, pur essendo permeata da gravi problemi sociali, economici e politici, mai adeguatamente affrontati. Pur avendo attraversato l'ultima epoca dispotica, non molto tempo fa, mi ero illuso che non ci saremmo più avventurati nelle acque torbide dell'autoritarismo, né che si azzardasse nemmeno la possibilità di un ritorno all'inferno.
Immagino quanto debba essere drammatico e persino traumatico, soprattutto per coloro che hanno vissuto la dittatura brasiliana, durante la loro vita adulta, subendone direttamente o indirettamente gli influssi, vedere una parte consistente della popolazione brasiliana eleggere un presidente, governatori, governi statali e federali deputati, alle elezioni del 2018, con discorsi elogiativi di un periodo oscuro della storia recente di questo Paese. Discorsi intrisi di uno sconsiderato pregiudizio fascista o protofascista.
Persone dotate di un minimo di spirito democratico e di coscienza politica, sono scioccate, impaurite, rivoltate, indignate, perplesse, con la semplice prospettiva di tornare nel Tartaro. Per chi ha vissuto il terrore, la tortura, l'inquietudine, la tortura, l'angoscia e la morte di amici e parenti, avvenuti in quegli anni, che hanno consumato due decadi della loro vita e quella di un intero Paese, c'è una chiara percezione di tutto ciò che ha rappresentato quel periodo nefasto, in termini di perdita della libertà di espressione e dei diritti, violenze, morti e imposizione di un'ideologia autoritaria. E, con quale sgomento, vedono riapparire i fantasmi del passato, emergere dai loro putridi sarcofagi, come morti viventi che tornano a perseguitarli.
Come ho detto righe sopra, sembrava improbabile o addirittura inconcepibile che avremmo nuovamente invocato gli spiriti maligni, che sembravano essere adeguatamente esorcizzati. Ma ecco che un'estrema destra, sempre presente, di nascosto, negli oscuri sotterranei della società brasiliana, ha trovato l'occasione per emergere. E che, oltre alla bandiera del “ritorno alla dittatura” e dell'AI-5, ha cominciato a sventolare anche le bandiere dell'oscurantismo, dell'arretratezza, del reazionario, dell'irrazionalismo, dell'egocentrismo, dell'antiintellettualismo, dell'antiscientificismo, del disprezzo per arti, cultura, diversità culturale, politica, religiosa, etnica e di genere.
Il biografo Ruy Castro, in un articolo recentemente pubblicato su Folha de Sao Paulo, ha registrato la seguente dichiarazione:
“Per noi che abbiamo passato 21 anni di vita adulta (1964-1985) sotto la dittatura, i generali erano sudditi sinistri, con gli occhiali scuri, che ci dettavano quando, se e per chi potevamo votare, cosa potevamo leggere, guardare, ascoltare, dire e scrivere e, se si parlasse di istituzioni, diritti e libertà, si arresterebbero e si scioglierebbero. Avevano le armi, i fondi e le penne con cui far valere la loro autorità. E le cantine, strumenti di tortura e balivi per applicarla. La sola vista di un'uniforme era intimidatoria. Ci ha ridotto moralmente a minorenni, a calzoni corti, a pannolini.
C'è qualcosa di incomprensibile per un brasiliano oggi. Non capirà come i militari possano avere quella forza. Per lui i militari sono soggetti che Jair Bolsonaro mette al governo, sfoggia sui social e ben presto comincia a sminuire, sminuire, demoralizzare e, infine, fulmina con il licenziamento. In meno di due anni lo ha già fatto con 16 generali, quattro brigadieri e un ammiraglio, e solo tra alti ufficiali”. [3]
È quanto meno irrazionale o frutto di masochismo, insito nell'inconscio collettivo, a destra, vedere la gente, nelle manifestazioni pubbliche, tra bandiere, manifesti e altoparlanti, urlare, urlare, urlare, strillare, gridare , ululare, supplicare, mendicare, schiamazzare, mendicare, postulare, usando a tal fine “canti”, slogan e danze bizzarre e grottesche, tutto per chiedere agli autocrati e ai sadici di turno, di dettare quando, se e per chi votare , quello che possiamo leggere, vedere, ascoltare, dire e scrivere e, oltre a toglierci diritti e libertà, ci ha fatto arrestare e distruggere. Loro, con le loro armi, fondi e penne, con cui avrebbero imposto la loro autorità, il loro autoritarismo. Quanti di questi criminali mentali chiamerebbero di essere gettati negli scantinati della “loro” stimata dittatura, sperimentando i più diversi strumenti di tortura e ufficiali giudiziari. È questo che vogliono questi sciocchi? Incredibile!
Tuttavia, forse l'ipotesi più probabile è che questa folla bolsonarista, nella sua sostanziale costituzione, sia composta da sadici e risentiti. Secondo Freud:
“[…] il sadismo corrisponderebbe a una componente aggressiva autonomizzata ed esagerata della pulsione sessuale, spostata per spostamento nel luogo preponderante. Il concetto di sadismo oscilla, nel linguaggio quotidiano, da un atteggiamento meramente attivo o addirittura violento nei confronti dell'oggetto sessuale ad un appagamento esclusivamente condizionato dalla soggezione e dai maltrattamenti inflittigli. In senso stretto, solo quest'ultimo caso estremo merita il nome di perversione. […] Che la crudeltà e la pulsione sessuale siano intimamente correlate ce lo insegna, al di là di ogni dubbio, la storia della civiltà umana, ma nel chiarire questa correlazione non siamo andati oltre l'accentuazione del fattore aggressivo della libido”. [4]
Nelson Werneck Sodré ritrae, con amaro lirismo, ciò che rappresentò e rappresenta ancora oggi la spregevole dittatura civile-militare, che si trascinò per due decenni, inoculando tra noi il suo fiele:
“La cosa più difficile è non perdonare alla dittatura alcune delle sue manifestazioni più apparenti e anche tipiche. La cosa più difficile sarà perdonarlo – se sarà possibile, cioè se le cose andranno così, in termini di resa dei conti – perdonare la sua infamia. La più triste, la più amara, la più clamorosa è stata, senza dubbio, questa infamia che, inserita nella nostra vita, ha cominciato ad accompagnarci, a circondarci, a soffocarci. È chiaro che la dittatura non ha inventato l'infamia. È sempre esistito. Faceva parte della vita. Era inseparabile dalla condizione umana. Ma come accidente, come circostanza, come elemento accessorio, la cui efficacia era nota sporadicamente, qua e là. Era l'eccezione, che confermava la regola, l'elemento isolato, che compariva di volta in volta, e veniva segnato, come un marchio, inciso a fuoco, macchiando figure o episodi. La dittatura l'ha istituzionalizzata, sistematizzata, ufficializzata. Era un'eccezione; divenne la regola. Era disonorevole; è diventato glorioso”. [5]
In un altro estratto dalle sue memorie, Nelson Werneck Sodré dà un'idea dell'ambiente di oscurità e violenza contro la cultura e gli intellettuali:
“L'atmosfera nel Paese era cupa: la cultura era calpestata, demoralizzata, accusata di essere infame; gli intellettuali furono arrestati, maltrattati, perseguitati; la loro attività era censurata e violata, insomma regnava il terrorismo culturale”. [6]
Più tardi, nello svolgersi delle sue memorie, Nelson Werneck Sodré si sfoga, costernato:
“Ora vivevamo in un paese triste e agonizzante, con la popolazione che attraversava privazioni e in un ambiente sempre teso. Sviluppare attività intellettuali, in questo clima, è stato doloroso”. [7]
Non sapeva che le cose, che andavano già male dall'aprile 1964, avrebbero subito ancora un netto peggioramento con l'emissione dello sfortunato AI-5, del 13 dicembre 1968.
Non dimentichiamo che una delle sordide e folli bandiere del bolsonarismo è la riedizione di AI-5, il famigerato atto normativo della dittatura civile-militare. Voglio credere che i bolsonaristi non abbiano un'idea chiara e realistica di cosa fosse questa norma draconiana. Secondo Nelson Werneck Sodré:
“L'AI-5 corrisponde dunque ad una risposta delle forze che controllavano il potere ai tentativi, ancora piuttosto disorganizzati e quindi deboli, di liberazione. Con quell'editto l'individuo perdeva ogni garanzia ei diritti politici elementari venivano sommariamente eliminati. La dittatura ora ha revocato i diritti dell'intero popolo brasiliano”. [8]
E Werneck Sodré continua:
“Adesso non c'erano mezze misure. Era necessario distruggere, eliminare, radere al suolo tutto ciò che si opponeva alla dittatura, nei suoi scopi e fini. Naturalmente, in primo luogo, c'era la cultura. Contro di essa, poi, si fece una guerra senza tregua: si installò la censura nelle redazioni dei giornali, nelle radio e nelle televisioni; il teatro è stato da lei ridotto alla più semplice espressione; il cinema, vietato affrontare la realtà. Anche la musica popolare non è stata risparmiata. […] Ovunque, la paura si è insinuata. [9]
Sfortunatamente, la famigerata dittatura civile-militare brasiliana ha lasciato segni indelebili nel cuore della società brasiliana. Le sue pratiche insidiose di tortura, violenza, autoritarismo, razzismo rimangono presenti negli individui e nelle istituzioni del presente. Come sostengono Edson Teles e Vladimir Safatle:
“Perché crediamo che una dittatura si possa misurare (perché no?, abbiamo il coraggio di dire che misurare una dittatura è una buona idea). Si misura non contando i morti che lascia, ma con i segni che lascia nel presente, cioè con ciò che lascerà nel futuro. In questo senso si può tranquillamente affermare: la dittatura brasiliana è stata la più violenta dittatura che il ciclo nero latinoamericano abbia conosciuto”. [10]
Alla società brasiliana è mancata l'opportunità catartica di processare la dittatura, di punire i suoi principali carnefici, di ripudiare con veemenza la sua esecrabile eredità. Non avendolo fatto, ha dato adito ad alcuni sciocchi che le rendevano omaggio nel presente e la vedevano, retrospettivamente, con uno sguardo tenero e nostalgico. Ho già sentito, con mio grande stupore, da amici intimi che l'era della dittatura è stata positiva per il Brasile. È spaventoso, scioccante e scoraggiante! Anche così, sono stato colto di sorpresa e indignazione nel vedere alcuni di loro confessare il loro voto per il sordido e perverso candidato del PSL, Jair Bolsonaro.
Edson Teles e Vladimir Safatle espongono la questione, in una magistrale sintesi, in linea con l'infame realtà che viviamo in questi bui tempi di Bolsonar:
“Quando gli studi dimostrano che, contrariamente a quanto avveniva in altri Paesi latinoamericani, le pratiche di tortura nelle carceri brasiliane sono aumentate rispetto ai casi di tortura nella dittatura militare; quando vediamo il Brasile come l'unico paese sudamericano dove i torturatori non sono mai stati processati, dove non c'era giustizia di transizione, dove l'esercito non ha fatto mea culpa delle sue tendenze golpiste; quando sentiamo sistematicamente ufficiali in servizio attivo e nelle riserve rendere incredibili lodi alla dittatura militare; quando ricordiamo che a 25 anni dalla fine della dittatura conviviamo con l'occultamento dei cadaveri di coloro che sono morti per mano delle Forze Armate; allora cominciamo a vedere, un po' più chiaramente, cosa significa esattamente “violenza”. Perché nessuna parola meglio di “violenza” descrive questo modo che ha il passato dittatoriale di rimanere come un fantasma che infesta e contamina il presente”. [11]
La dittatura civile-militare brasiliana creò nemici fittizi da amalgamare intorno a sé, oltre agli interessi imperialisti, aristocratici e alle élite borghesi, di cui era portavoce, una borghesia conservatrice, retrograda, risentita e ignorante, risultando in un gruppo di persone , aziende e istituzioni terribilmente antidemocratiche. All'inizio degli anni '60, in piena guerra fredda, questa borghesia fascista minacciò la folla impazzita con il fantasma del comunismo, rendendola responsabile di tutti i mali che la affliggevano.
Ho trovato nell'opera di Nelson Werneck Sodré, "Vita e morte della dittatura - 20 anni di autoritarismo in Brasile", un'allegoria eccellente e illustrativa, che Sodré a sua volta ha trovato in un'opera teatrale del drammaturgo tedesco Bertolt Brecht, sulla creazione di nemici fittizio per distogliere l'attenzione delle persone dai problemi reali che le affliggono. Werneck Sodré nell'introduzione al suo libro ci dice che:
“Dal 1933, quando il nazismo prese piede in Germania, Brecht non smise mai di viaggiare, sempre con l'avanzata nazista al suo seguito: da Berlino a Vienna, da Vienna a Copenaghen, da Copenaghen a Helsinki, da Helsinki agli Stati Uniti. una pausa relativamente lunga. In quest'ultima tappa non mancò di denunciare l'espansione nazista, la furia maccartista, con le inchieste che fecero uscire dal Paese tanti personaggi meritevoli. Per lui si trattava di vivere e combattere: la sua arma sarebbe stata il teatro. Il lungo esilio gli ha regalato esperienze indimenticabili. I suoi pezzi di questo periodo saranno naturalmente controversi. Pongono nuovi temi, su cui tornerà in seguito, per migliorare. Da qui l'eterogeneità di ciò che ha prodotto durante questo periodo. Una di quelle commedie segna chiaramente l'epoca, da un lato, e il palcoscenico del teatro di Brecht, dall'altro. Iniziato nel 1932, quando il nazismo era solo un'oscura minaccia, e terminato nel 1935, con il nazismo in pieno potere. Teste tonde, teste appuntite rappresenteranno la cruda satira del nazismo. Non una delle migliori commedie di Brecht, naturalmente, ma una delle più interessanti come forma di azione politica. Il nazismo, finanziato dall'Occidente, cioè dall'imperialismo, è nato dalla crisi economica e finanziaria, mobilitando politicamente il capitale, l'aristocrazia militare e la piccola borghesia in preda al panico per l'ascesa dei lavoratori. Lo spettacolo, che riflette la situazione, sarà allegorico. Si trova nel regno immaginario di Jahoo, dove i ricchi proprietari terrieri, temendo la rivolta dei contadini indebitati, si appellano ai servigi di un uomo provvidenziale, Iberin. Si tratta di nascondere la realtà della crisi e le sue cause materiali, sostituendola con un mito. L'uomo provvidenziale sa che il popolo non è abituato alle astrazioni e, per deviarlo dal cammino, è necessario additare un nemico concreto, palpabile, stretto del proprio ambito di conoscenza. Così, operando da indottrinatore, presenta al popolo un falso antagonismo: tra persone con la testa tonda e persone con la testa a punta, accusando queste ultime, in una propaganda basata sulla ripetizione frenetica, furiosa e sistematica, di essere responsabili della crisi che il regno sta attraversando. Guida, incanala, concentra, dunque, nelle teste appuntite le frustrazioni, i rancori profondi, l'odio accumulato di una classe media impoverita e persino di una classe operaia devastata dalla disoccupazione. Pertanto, queste classi sono deviate dall'azione di rivendicazione. Brecht mostra come tutti, senza distinzione di classe, si aspettino da Iberin la soddisfazione di tutto: che serva proprietari e affittuari, padroni e dipendenti, proprietari e dipendenti, venditori e consumatori, che abbassi e aumenti i prezzi, che emetta e finisca con l'inflazione, che aumenta e riduce le tasse. Che, insomma, stabilisca la conciliazione dove regna l'antagonismo e stabilisca soprattutto l'ordine, cioè che nessuno si lamenti. È chiaro che le teste appuntite pagheranno un prezzo altissimo per tutti questi miracoli: vengono esiliate, arrestate, torturate, private del lavoro, assassinate. Il più grande miracolo di questo regno dalla testa tonda è semantico: il nazismo sarà soprannominato democrazia; il saccheggio di chi ha poco si chiamerà sviluppo; l'impostura sarà conosciuta come cultura; la verità sarà la menzogna e la menzogna sarà consacrata come verità.
Il lungo brano, sopra riprodotto, tratto dall'introduzione che Nelson Werneck Sodré scrisse alla sua opera, pubblicata nel 1984, delinea molto chiaramente le strategie che la destra e l'estrema destra hanno utilizzato nel corso della nostra storia, ovvero la creazione di nemici fittizi , con lo scopo di distogliere l'attenzione dai problemi reali e concreti, presenti da tempo nella realtà brasiliana.
I problemi reali e concreti, che chiedevano e chiedono tuttora di essere affrontati, erano elencati nel nucleo delle “riforme di fondo”, che furono delineate nei primi anni '60, come progetto per un Paese più equo ed egualitario: riforma agraria, riforma politica, riforma bancaria, riforma politica, lotta alle disuguaglianze sociali, salvaguardia degli interessi nazionali a scapito degli interessi del grande capitale, USA in prima linea. Queste presunte riforme furono le ragioni dello scoppio del colpo di stato del 1964.
E, per giustificare il golpe del 1964, si esasperava la paura del comunismo. Stratagemma che era già stato utilizzato da Getúlio Vargas per decimare l'Intento Comunista, del 1935. Nel 2018, il bolsonarismo, alleato con la destra tradizionale, ha elevato all'ennesima potenza un anti-PTismo che era stato gestato e alimentato negli anni precedenti, con un massiccia campagna mediatica tradizionale, sempre alleata con l'imperialismo, il neoliberismo e con i settori più retrogradi e reazionari della società brasiliana. Hanno anche resuscitato il fantasma del comunismo, lo spauracchio che ha terrorizzato per decenni la classe media brasiliana.
Come più volte è accaduto nel corso della nostra storia, queste forze sinistre, ogni volta che intravedono la possibilità di mutamenti sociali e popolari che si profilano all'orizzonte della società brasiliana, si organizzano per disgregare e annientare ogni possibilità in tal senso.
Oggi occupa il potere, efferato idolatra della famigerata dittatura civile-militare, da lui più volte lodata, celebrata e onorata nel corso degli anni. I più abbietti e famigerati torturatori e assassini meritarono l'elogio dell'esecrabile capo dell'esecutivo di quel disastroso periodo della recente storia brasiliana, come l'esempio dell'allora colonnello Carlos Alberto Brilhante Ustra. Bolsonaro ha commesso un reato elogiandolo pubblicamente in una seduta della Camera dei Deputati che ha portato all'impeachment arbitrario dell'allora presidente Dilma Rousseff, di triste e vergognosa memoria. Avrebbe dovuto essere punito in modo esemplare per un atto così deplorevole in quel momento. Non lo era. Il che lo ha portato a ricadere, ripetutamente, con il suo discorso criminale.
Recentemente, dimostrando che non ci sono limiti alle sue azioni ridicole, perpetrate fino allo sfinimento, in una “intervista” al figlio Eduardo Bolsonaro, ha ammorbidito ancora una volta le barbarie compiute dalla dittatura e ha elogiato la memoria del suo vile aguzzino, il famigerato torturatore Carlos Alberto Brilhante Ustra. Questo fatto è stato riportato sul giornale Folha de Sao Paulo, pubblicato il 20 dicembre, da cui si estrae quanto segue: “In un'intervista sul canale YouTube del figlio Eduardo, il presidente Jair Bolsonaro ha affermato che il centro di repressione della dittatura a San Paolo trattava i prigionieri politici con “ogni dignità”.[13]
E ha anche detto: “No, non era un prigioniero politico. I terroristi sono stati trattati con dignità al DOI-Codi, comprese le detenute incinte. Questi sono fatti, storie vere”.
Nella stessa "intervista" menziona il torturatore Brilhante Ustra, che definisce un eroe.
Come è noto, Bolsonaro e il suo entourage di pazzi e sciocchi hanno un totale disprezzo per la verità, per i fatti, per la storia. L'inganno, la frode, l'inganno, la presa in giro, la farsa, l'inganno, il travisamento, l'inganno, l'inganno, l'inganno e la menzogna sono materia costitutiva per lui e per i suoi, essendo un elemento essenziale delle loro mediocri esistenze.
Il “Rapporto della Commissione Nazionale per la Verità” elenca 434 persone uccise o scomparse dalla dittatura. Nel DOI-Codi di San Paolo, citato da Bolsonaro, tra gli altri casi, il giornalista Vladimir Herzog è stato brutalmente torturato e ucciso nel 1975.
Il suddetto DOI-Codi a San Paolo era noto, tra gli altri nomi, come "A Casa da Vovó". Dobbiamo al giornalista Marcelo Godoy un lavoro singolare, di recupero storico-documentale, di uno dei momenti più bui e violenti della nostra storia recente, ancora vividamente presente. Il suo lavoro negli scantinati del DOI-Codi ha consumato più di un decennio della sua vita, in letture, ricerche, interviste.
Come descrive Godoy:
“UN SIMBOLO DELL'ARBITRIUM e dei crimini di un regime, l'Information Operations Detachment (DOI) ha ricevuto un nome in codice dai suoi membri. L'hanno chiamata la casa della nonna. Lì, militari e poliziotti hanno lavorato fianco a fianco in anni che molti di loro oggi considerano memorabili. Gli ufficiali furono trasformati in "medici" ei delegati in "capitani". C'erano altri codici in quel posto: 'medico generico', 'clienti', 'pazienti', 'flirt', 'cani' e, a seconda di quale parte, terroristi. Lo frequentavano centinaia di agenti e alcuni gli diedero anche un altro soprannome: 'Açougue'. Creato a San Paolo, il suo modello si è diffuso in tutto il paese. Nella città di São Paulo, ha occupato un appezzamento di terreno tra Rua Tutoia e Rua Tomás Carvalhal, nel quartiere di Paraíso. Prima era conosciuta come Operazione Bandeirante, l'Oban; in seguito decisero di battezzarlo con l'acronimo che lo rese famoso: DOI. Ancora oggi, molti di coloro che vi lavoravano preferiscono chiamarla Casa da Vovó, perché, come spiegò uno dei suoi agenti, 'lì si stava bene'. L'antinomia è evidente. Tanto più quando questi uomini e queste donne hanno deciso di raccontare quello che sapevano sulla morte di 66 persone, di cui 39 sotto tortura dopo l'arresto e altre 27 dopo essere state gravemente colpite durante la detenzione in quelle che sono state descritte come imboscate o sparatorie”. [14]
L'eroe di Bolsonaro è stato responsabile dell'organizzazione e del comando del DOI-Codi nella sua fase più violenta e crudele, con un'abbondanza di torture e morte.
Come dirà Godoy:
“La funzionalità della tortura è la spiegazione e la giustificazione più ricorrente data dagli agenti per il suo uso. Accettata come necessaria anche da chi non lavorava per il DOI, la tortura ha segnato il regime. Per compiere la loro missione, gli agenti non potevano ragionare in termini morali, ma dal punto di vista dell'efficienza. È come diceva il presidente Ernesto Geisel: 'Penso che la tortura in certi casi diventi necessaria per ottenere confessioni'”. [15]
L'Arcidiocesi di São Paulo ha svolto un'indagine esaustiva sulle torture subite dai prigionieri politici durante la dittatura civile-militare. Il documento, pubblicato nel 1985, si chiamava “Projeto Brasil Nunca Mais”. A capo di un'impresa così importante e coraggiosa c'erano il religioso Dom Paulo Evaristo Arns, il rabbino Henry Sobel e il pastore presbiteriano Jaime Wright. L'indagine da loro coordinata ha prodotto diversi tomi e volumi. [16]
Sono state ascoltate centinaia di persone che hanno vissuto l'orrore della tortura, esercitata nei modi più vari e perversi, che nei documenti sono classificati in “Tipi di tortura”. Diamo un'occhiata ad alcuni a scopo illustrativo:
1 - Vincoli morali e psicologici – Generici – provati e consumati (minacce – minaccia di stupro sessuale – minaccia di strappare le palle – minaccia la famiglia – minaccia di torturare i fratelli – minaccia di seppellire il formicaio – minaccia di tagliare un arto – minaccia di uccidere il bambino – minaccia di tagliare le dita – minaccia di uccidere la famiglia – minaccia giocare in aereo – minaccia di scarafaggi – minaccia di cani – minaccia di serpenti – minaccia di seppellimento vivo – minaccia di alligatore – minaccia di tagliarsi un orecchio – minaccia di topo – minaccia di ferire gli occhi – ecc.
2 - Vincoli fisici – generici – provati e consumati (flagelli – schiaffo – bastone – manganello – frusta – frusta – calci – corridore polacco – gomiti – colpi alla testa – colpi di culo – spinte – colpi di judo – pugni alla ruota del karate – strattoni – percosse – schiaffi – telefono – pugni – maltrattamenti fisici – eccetera.
3 - Vincoli fisici – specifici e consumati (legatura del pene per impedire la minzione – inserimento di un bastoncino elettrico nell'ano – introduzione di un manico di scopa nell'ano – inserimento di una sigaretta nell'ano – introduzione di uno scarafaggio nell'ano – genitali forati con un ago – pendenti per i testicoli – inserimento di uno stiletto nel pene – testicoli legati su – testicoli schiacciati – infilare un manico di legno nella vagina – stupro di una donna in carcere – violenza sessuale con donne – violenza sessuale con una moglie in carcere – violenza ai genitali – ecc. [17]
Esistono molti altri “tipi di tortura” elencati nei libri del “Projeto Brasil Nunca Mais”: torture con strumenti perforanti, contundenti, taglienti e brucianti, torture con dispositivi meccanici ed elettrici, ecc.
Non mi dilungherò nel dettaglio di tutta questa macabra ingegneria della tortura praticata nei sotterranei della dittatura, all'insaputa dei generali che presiedono, come testimoniano i documenti oggi conosciuti. Credo che l'elenco di cui sopra sia più che sufficiente per renderci conto che la dignità dei prigionieri politici è stata, a differenza di quanto sostiene l'indicibile genocidio, oltraggiata, in modo vile, codardo e quotidiano, nei sotterranei della dittatura.
Secondo una data interpretazione storica, la dittatura avrebbe cominciato a usare la sua consueta truculenza solo a partire dal numero di AI-5, del 13 dicembre 1968, contestato da una svariata schiera di storici, sulla base di testimonianze e abbondanti prove documentarie. . La dittatura ha mostrato i suoi denti di piombo fin dal primo giorno della sua infelice esistenza.
In questo senso, le storiche Maria Celina D'Araújo e Mariana Joffily ci informano:
“Nei giorni successivi al golpe sono seguiti una serie di arresti e arresti. I governatori di Sergipe e Pernambuco furono rimossi dalle loro funzioni. A Recife, durante una manifestazione contro l'arresto del governatore Miguel Arraes, due studenti sono stati uccisi a colpi d'arma da fuoco. I leader delle entità del movimento sociale come il Comando generale dei lavoratori (CGT), le Leghe contadine, l'Azione popolare (AP) e diversi sindacati sono stati arrestati. La sede dell'Unione nazionale degli studenti (UNE), a Rio de Janeiro, è stata invasa dalle truppe e data alle fiamme il giorno del colpo di stato. L'Università di San Paolo (USP) è stata rilevata dai militari; quello di Minas Gerais, sottoposto all'intervento; quello di Brasilia ha subito gravi interferenze nel suo programma. Diversi detenuti sono stati portati in luoghi come lo Stadio Maracanã, a Rio de Janeiro, o navi della Marina, che sono diventate prigioni improvvisate, come il Custodio de Mello e Raúl Soares. Le stime dell'ambasciata degli Stati Uniti ammontano a 50 arresti poche settimane dopo la deposizione di Goulart. Senza identificare fonti, Alves cita un sondaggio che indica l'arresto di 18 persone su tutto il territorio nazionale nei primi mesi del nuovo regime. La repressione è avanzata di fronte a una società con le spalle al muro, sorpresa o sollevata. I sentimenti erano contrastanti. [XNUMX]
Che dire agli apologeti della dittatura civile-militare, che hanno promosso manifestazioni per invocare questo oscuro passato: state attenti a ciò che desiderate!
*Carlos Eduardo Araujo Master in Teoria del diritto presso PUC-MG.
note:
[1] Edson Teles e Vladimir Safatle. Quel che resta della dittatura. Boitime, 2010.
[2] Discorso integrale del Presidente dell'Assemblea Nazionale Costituente, Dott. Ulisse Guimaraes. Camera è Storia, 2020. Disponibile su: https://www.camara.leg.br/radio/programas/277285-integra-do-discurso-presidente-da-assembleia-nacional-constituinte-dr-ulysses-guimaraes-10-23/.
[3] Ruy Castro. Folha de Sao Paulo, 12/11/2020.
[4] Sigismondo Freud. Tre saggi sulla teoria della sessualità. Opere complete di Sigmund Freud, vol. VII, 1905. Casa editrice Imago, 1996.
[5] Nelson Werneck Sodré. L'ira di Calibano - Ricordi del colpo di stato del 64. Bertrand Brasile, 1994.
[6] Nelson Werneck Sodré. L'ira di Calibano - Ricordi del colpo di stato del 64. Bertrand Brasile, 1994.
[7] Nelson Werneck Sodré. L'ira di Calibano - Ricordi del colpo di stato del 64. Bertrand Brasile, 1994.
[8] Nelson Werneck Sodré. L'ira di Calibano - Ricordi del colpo di stato del 64. Bertrand Brasile, 1994.
[9] Nelson Werneck Sodré. L'ira di Calibano - Ricordi del colpo di stato del 64. Bertrand Brasile, 1994.
[10] Edson Teles e Vladimir Safatle. Quel che resta della dittatura. Boitime, 2010.
[11] Edson Teles e Vladimir Safatle. Quel che resta della dittatura. Boitime, 2010.
[12] Nelson Werneck Sodré. Vita e morte della dittatura – 20 anni di autoritarismo in Brasile. Voci, 1984.
, Folha de Sao Paulo, 20 dicembre 2020.
[14] Marcello Godoy. La casa della nonna: una biografia di DOI-Codi (1969-1991), il centro di sequestro, tortura e morte della dittatura militare. Alameda, 2014.
[15] Marcello Godoy. La casa della nonna: una biografia di DOI-Codi (1969-1991), il centro di sequestro, tortura e morte della dittatura militare. Alameda, 2014.
, Progetto Brasile Mai più. Arcidiocesi di São Paulo, 1985. Volume V, vol. Io, La Tortura.
, Progetto Brasile Mai più. Arcidiocesi di São Paulo, 1985. Volume V, vol. Io, La Tortura.
[18] Maria Celina D'Araújo e Mariana Joffily. Brasile repubblicano. Volume 4. Il tempo del regime autoritario: dittatura militare e ridemocratizzazione. Quarta Repubblica (1964-1985) / organizzazione Jorge Ferreira, Lucilia de Almeida NevesDelgado. – 1a ed. – Rio de Janeiro: Civiltà brasiliana, 2019.