Di fronte a una linea di demarcazione sempre presente, l'arte cerca di raggiungerla o superarla, salvo poi riposizionarsi, in seguito, come utopia
Di Flavio Aguiar*
Confesso che quando ho scelto questo titolo non sapevo affatto a cosa mi avrebbe portato, anche se avevo, ovviamente, qualche idea su da dove avrei cominciato, su quali argomenti avrei affrontato. Prima di tutto, devo avvertirti che commetterò alcune eresie durante questa conversazione che ho sempre combattuto come accademico. In anticipo, perdonami: sono libertà che mi dà l'avanzare degli anni. Mi riferisco a quella che in gergo universitario chiamiamo critica impressionista, quella che parte non dall'inventario analitico e rigoroso degli oggetti di studio, ma dalle impressioni che ne ha l'osservatore.
Affronterò infatti argomenti di cui sono ben lungi dall'essere un esperto, nemmeno un visitatore intimo, anche se ho una vasta esperienza nell'avvicinarli con la coda dell'occhio, come un viaggiatore che si innamora di un paesaggio improvviso. Viaggiatore: ecco un termine che si adatta qui. Ascoltami come uno che accompagna un saggio più sul mondo tumultuoso di un viaggiatore che su ciò che osserva. Sottolineo la parola “viaggiatore”: a differenza del pellegrino, che compie una meta, o del turista, che compie il destino che guida o oggi la ricerca di selfie lo riconduce, il viaggiatore, cambiando se stesso lungo il cammino, realizza le parole di il poeta Antonio Machado: “escursionisti, non c'è modo, c'è un modo per camminare”.
Affronterò due argomenti che mi piacciono, ma sui quali non ho accumulato una conoscenza sistematica: la nascita, lo sviluppo e la fine della Scuola, o delle Scuole Bauhaus, in Germania dove si stava sviluppando ed esplodendo il nazismo; e la Settima Sinfonia di Shostakovich, dedicata a Leningrado, in particolare la sua udienza nell'agosto 1942, nella città assediata dai nazisti, in un assedio che durò dal settembre 1941 al gennaio 1944, lasciando una scia di oltre cinque milioni di vittime, tra morti, feriti e dispersi, di cui più di un milione erano civili russi uccisi dai bombardamenti a causa di malattie e malnutrizione.
Il terzo tema mi è più familiare. Questa è la testimonianza della principessa russa Marie Vassiltchikov, in lei Diari di Berlino: 1940-1945, riconosciuto come la testimonianza più completa non solo della barbarie della guerra e del nazismo nella capitale tedesca, ma anche dei preparativi, dell'esecuzione e delle conseguenze e sequele del fallito tentativo di assassinare Adolf Hitler il 20 luglio 1944.
Questi eventi, così diversi tra loro, nascono da situazioni estreme che i loro protagonisti hanno dovuto affrontare. Situazione limite: quel vicolo cieco che si raggiunge, senza possibilità di tornare indietro, come nei famosi duelli dei film western, in cui nessuno dei contendenti può indietreggiare.
La situazione limite è una frontiera invalicabile, salvo il suo confronto radicale, in un passaggio di vita o di morte. Credo invece che una delle possibilità dell'arte, come spero si vedrà, sia il potere di trasformare una situazione estrema in un orizzonte, quella linea di demarcazione che invita e chiama ad attraversarla, proprio per, sempre presente, come un'utopia, per riposizionarsi più avanti, per aprire la strada al futuro, a qualche futuro, alla consapevolezza che, come diceva padre Antonio Vieira nel XVII secolo, anche se per motivi diversi dai nostri oggi, “il più importante è la storia del futuro”.
Ho anche pensato alla possibilità di parlare della vita e dell'opera del personaggio nella mia tesi di laurea, il drammaturgo del gaucho pagato, José Joaquim de Campos Leão, Qorpo-Santo. Ha affrontato una situazione estrema: quella di essere considerato e legalmente interdetto come “pazzo”.
Ricordo, sulla scia di Michel Foucault, che la “follia” è qualcosa di diverso dai disturbi emotivi, cognitivi o neuronali che possono colpire le persone. Le due cose possono o non possono coincidere. La “follia” è un ruolo sociale, il cui oggetto è definito da altri e che si manifesta nell'eventuale sforzo da parte del “pazzo” di dimostrare che non è solo la conferma della sua “follia”. Così, se passi la vita scrivendo e autofinanziando giornali cercando di difenderti, sforzandoti di caratterizzare i drammi morali del tuo tempo, e scrivendo qualche pezzo di alta creatività drammaturgica, puoi essere considerato un “pazzo”, come lo era il caso di Qorpo-Santo nel “tardo” XIX secolo.
Se continui a parlare di feci e peni mattina, pomeriggio e sera, se continui a insultare le donne, punto a dire che una di loro non è nemmeno degna di essere violentata perché “è brutta”, se ti dedichi a lodare la violenza, di dittature, dittatori e torturatori, non solo non sarai considerato “pazzo”, ma potresti anche essere eletto presidente della repubblica, nel XXI secolo “avanzato”.
Ma è così che siamo arrivati dove volevo arrivare: il quadro tematico della violenza, che accomuna quei tre “eventi”, chiamiamoli così, che ho scelto di affrontare: Bauhaus, Settima sinfonia, e lo scritto Diario di guerra – e questo non è banale – da una donna. Sono storie, ognuna a suo modo, di personaggi che, ognuno a suo modo, hanno affrontato situazioni estreme di estrema violenza durante l'ascesa, l'esibizione e la caduta del nazismo.
Li ho scelti perché forse possono dirci qualcosa sulla nostra situazione oggi, quando affrontiamo diverse forme di violenza, che vanno dalla banalizzazione delle guerre e dell'oppressione, alla continua invasione della nostra vita quotidiana da parte di notizie false e tenta di frenare il rispetto per le differenze. E voglio esaminare come l'arte, in diverse manifestazioni, abbia facilitato la trasformazione dell'esperienza di quelle situazioni estreme in nuovi orizzonti di apertura alla comprensione e alla dignità umana.
Bauhaus
Nel 1919, in una Germania materialmente e spiritualmente devastata dalla prima guerra mondiale, coinvolta in feroci contese tra sinistra e destra e già alle prese con l'ascesa della Freikorps, embrioni delle future SA e SS del nazismo, l'architetto Walter Gropius fondò – cosa esattamente? – una scuola, ma più che una scuola, un movimento, ma più che un movimento, un’entelechia, nel senso aristotelico della parola, cioè un “essere in atto”, opposto a un “essere in potenza”, un modo artistico di essere in cui l'enorme sforzo di risorgere dalle macerie della guerra è stato trasposto nella vita e nelle esperienze individuali.
La Prima Guerra è diventata una catastrofe che ha riunito, in un modo mai visto o navigato prima, le nuove tecniche e conoscenze scientifiche a disposizione di una capacità distruttiva che ha fatto soccombere un intero continente, devastando imperi e nazioni a una velocità senza precedenti nella storia umana. Quattro imperi furono feriti a morte durante il conflitto: quello russo, quello tedesco, quello austro-ungarico e quello ottomano, anche se quest'ultimo durò a lungo. La stella britannica cominciò a declinare, contemporaneamente a quella dell'imperialismo nordamericano ea quella dell'ormai defunta Unione Sovietica.
È chiaro che hanno contribuito alla creazione e allo sviluppo della Scuola Bauhaus, o delle Scuole Bauhaus, come ce ne sono state diverse, una serie enorme di personalità privilegiate di uomini e donne che si sono dedicate a loro nei loro 14 anni di esistenza, effimera, ma che hanno lasciato i loro segni indelebili influenze nell'architettura, nella plastica e in altre arti e tecniche, così come nell'insegnamento in tutto il mondo. Pochi sanno, ad esempio, che la prima “Bauhaus Exhibition” al mondo non si è tenuta in Europa o negli Stati Uniti, ma… in India!, a Calcutta.
Sta di fatto, però, che le basi per la creazione del Bauhaus devono molto alle convinzioni di Walter Gropius, che ne fu il direttore dal 1919 al 1928. Gropius non agì nel vuoto. Iniziative simili, che riunivano architettura, nuove tecniche costruttive e tecnologiche, pratiche di design industriale, produzione di massa, arti visive, scultura, tra le altre, si stavano articolando in diverse parti del mondo, dagli Stati Uniti alla neonata Unione Sovietica. Va inoltre notato che non a caso l'esperienza da lui condotta ebbe inizio a Weimar, città che aveva già visto l'approfondimento poetico e lo studio dei colori da parte di Goethe, che ebbe, tra gli altri, la presenza di Schiller, Liszt e Nietzsche.
Tuttavia, l'originalità di Gropius risiedeva nell'approfondire radicalmente la sperimentazione del tutto – dei materiali e delle forme, nel senso di, invece di creare una “Scuola”, nel senso artistico del termine, aprendo l'orizzonte di maestri e allievi ad una creatività radicale, permettendo a ciascuno di sviluppare il proprio stile particolare. Tanto che, anche su iniziativa di altri maestri del Bauhaus, i primi momenti di un corso erano spesso dedicati alla libera sperimentazione con tutti i materiali a disposizione, in modo che gli studenti potessero liberarsi dei pregiudizi precedenti.
I procedimenti del Bauhaus erano in sintonia con le sperimentazioni delle avanguardie artistiche su scala mondiale che cercavano di fare “arte” ciò che non era considerato tale. Per questo non si può parlare, ad esempio, di uno “stile Bauhaus”. Quello che c'è stato è stato un fiorire di stili diversi – di arte e di comportamento – e che, non di rado, sono entrati in conflitto tra loro.
Il Bauhaus ha avuto due fasi più lunghe, una a Weimar, dove è nata, e un'altra a Dessau, città dove si è trasferita nel 1926. Vi è stata anche una fase finale, della durata di dieci mesi, iniziata nel 1932, quando la Scuola si è trasferita a Berlino, e terminò a metà del 1933, quando i suoi stessi membri decisero di chiuderla di fronte alle pressioni e alle persecuzioni dei nazisti trionfanti.
A Weimar, il Bauhaus aveva un rapporto sempre teso con parte delle autorità e dell'ambiente intellettuale della città, fortemente influenzato dal pensiero tradizionalista e conservatore. Gropius sosteneva che il Bauhaus fosse apolitico, ma era inevitabile che attorno ad esso si creasse, diciamo, un alone di sinistra e di opposizione al status quo su più fronti, sia nelle arti e nella politica che nel costume, in un momento tedesco, europeo e mondiale in cui le dispute ideologiche si radicalizzavano e l'Unione Sovietica stava sbocciando.
I conflitti con le autorità locali, o almeno con una parte di esse, raggiunsero anche l'area finanziaria, e nel 1926 la maggior parte dei suoi mentori e studenti decisero di trasferirsi nella città di Dessau, che li aveva invitati. Secondo me è a Dessau che la scuola – adottiamo questa terminologia, seppur precaria – ha raggiunto il suo apogeo. Lì, grazie al sostegno ricevuto, i suoi membri hanno potuto esprimere tutta la loro creatività, sia in termini di pratiche tecniche e artistiche, sia in termini di esperienza personale e collettiva.
Lì, accanto al complesso principale, furono edificate, ad esempio, le “Case dei Maestri”, secondo i dettami funzionali, pratici ed estetici desiderati. Queste case sono state costruite attraverso l'unione libera di blocchi standardizzati secondo le loro funzioni: camera da letto, soggiorno, cucina, sala da pranzo, ecc. Risultato: gli isolati erano uniformi, mentre le case non lo erano, in quanto molto diverse tra loro, sia all'esterno che all'interno.
Ma a Dessau si svilupparono anche conflitti brucianti, in ogni campo immaginabile, dagli stili di vita a quelli di natura ideologica. A causa di queste tensioni, Gropius si dimise da direttore nel 1928, venendo sostituito da Hannes Meyer, che lo diresse fino al 1930, quando fu letteralmente licenziato, lasciando il posto a Mies van der Rohe, anch'egli architetto, come i suoi predecessori. La tensione si intensificò, con tentativi da parte degli studenti di fondare una o poche cellule bolsceviche, mentre i nazisti assunsero il governo della provincia di Sachsen-Anhalt, dove si trova Dessau. La Scuola si trasferì a Berlino, città dove ebbe luogo l'esito, dopo che i nazisti presero il governo federale con le loro idee che consideravano il Bauhaus parte dell'arte e della cultura “degenerata”.
Sempre a Dessau, uno dei casi emblematici di questi confronti e anche della convivenza delle differenze, si trova nelle case gemelle di Paul Klee e Wassily Kandinsky. All'esterno erano abbastanza simili, sulla falsariga dei “mattoni” della scuola. All'interno, il contrasto era enorme. La casa Klee era caratterizzata dalla sobrietà, sia nell'atmosfera che nei costumi. Kandinsky, invece, proveniva da una famiglia russa dai costumi aristocratici, eccelsa nel lusso e nell'accogliere grandi nomi della cultura e delle arti europee. Il suo stile di vita era considerato stravagante ed era spesso criticato da altri membri del Bauhaus, che promuovevano un comportamento più austero. La convivenza di Kandinsky e Klee, invece, era abbastanza armoniosa.
Dopo la chiusura della scuola di Berlino, molti dei suoi maestri si rifugiarono negli Stati Uniti, tra cui Gropius. Alcuni studenti e Hannes Meyer sono fuggiti in Unione Sovietica. Da lì l'ex direttore andò in Messico e poi in Svizzera, dove morì nel 1954. Alcuni membri della scuola aderirono al nazismo o semplicemente prestarono servizi ai nazisti, progettando fabbriche e persino, in un caso, l'alloggio di un campo di concentramento . Ma questi erano casi eccezionali. Diversi membri della scuola, tra cui sei donne, sono morti nei campi di concentramento. Al giorno d'oggi, è in atto anche una rivalutazione del ruolo delle donne nelle formulazioni e proposte della scuola.
Sta di fatto che in mezzo a questo fermento, insieme costruttivo e distruttivo, il Bauhaus ha lasciato un sigillo storico e un nuovo orizzonte nel design e nell'architettura mondiale. Oggi il suo lascito è oggetto di studi, nuove valutazioni e anche di dispute tra le istituzioni delle città che lo hanno ospitato: Weimar, Dessau e Berlino. Certo, ci sono anche varie iniziative per rivedere il “mito” del Bauhaus, per segnalare falle e limiti nell'operato dei suoi dirigenti e allievi, tra cui quella di Walter Gropius, accusato, ad esempio, di dichiaratamente parziale misoginia, come non vedeva auspicabile che il numero delle donne nella scuola fosse molto elevato, pena la “riduzione del suo prestigio”.
Ma in generale questo prestigio è solo aumentato nel tempo, anche nell'ex Germania dell'Est, dove si trovavano sia Weimar che Dessau. E poi, va detto, oggi il Bauhaus è diventato una casa di moda e dà il nome a una delle case di vendita di materiali da costruzione più famose d'Europa, Bauhaus AG, con sede in Svizzera. In un certo senso, anche il Bauhaus ha subito la stessa sorte del riformatore religioso severo e austero, Johannes Calvinus, che ora presta il suo nome e somiglianza a una marca di birra molto popolare a Ginevra.
La settima sinfonia di Shostakovich
L'assedio di Leningrado da parte delle truppe naziste è uno degli eventi più drammatici, tragici, epici e persino lirici della seconda guerra mondiale. L'attacco iniziò a metà agosto 1941; l'assedio terminò l'8 settembre e fu revocato solo il 27 gennaio 1944, durando 872 giorni. La città contava quasi 4 milioni di abitanti. Nonostante l'assedio, i sovietici riuscirono a evacuare 1 milioni di persone all'inizio del 700, inclusi 1943 bambini. Riuscirono anche a mantenere un precario approvvigionamento di derrate alimentari, insufficiente, però, a prevenire la malnutrizione cronica e mortale che colpì i superstiti.
Da parte sovietica, le perdite hanno raggiunto i 3,5 milioni di militari; 1 milione di civili morirono durante l'assedio. Alla fine dell'assedio non c'erano in città né cani, né gatti, né topi, mangiati com'erano dagli abitanti disperati. Dalla parte nazista, sostenuta dalle truppe finlandesi e dai volontari della falange spagnola, le vittime raggiunsero i 580 soldati. Ad oggi, i numeri sono sbalorditivi. Leningrado, che oggi è tornata al suo nome originale pre-sovietico di San Pietroburgo, ospita uno dei più grandi cimiteri del mondo, se non il più grande. Vi giacciono 420 civili morti durante l'assedio, oltre a 50 soldati. Dalla parte dei nazisti, a ridosso della città, sono sepolti 30 tedeschi, una cifra leggermente superiore a quella dei 27 soldati sovietici sepolti a Berlino, nel cimitero di Treptow, una parte di coloro che morirono durante la cattura del tedesco capitale, che pose fine alla seconda guerra mondiale in Europa nel 1945.
Quando fu stabilito l'assedio, il musicista Dmitri Shostakovich, nato in città, stava già lavorando alla sua Settima Sinfonia. Era pronto all'inizio del 1942, e il musicista lo dedicò alla sua città natale, nominandolo Leningrado. Ci sono storici che vedono nel gesto di questo compositore uno sforzo di recupero prima di Stalin, musicisti e critici ufficiali del regime, che non hanno apprezzato il suo stile, visto come troppo sperimentale ed eclettico. Dmitri aveva già subito pesanti attacchi da parte dei suoi avversari dal 1936 in poi, trovandosi in un virtuale ostracismo.
Debuttò nel marzo 1942 nella città di Kuybyshev, oggi Samara, sulle rive del fiume Volga, molti chilometri prima della città di Volgograd, poi Stalingrado, dove si sarebbe svolta una delle battaglie decisive della Seconda Guerra. La sinfonia divenne subito un'icona della resistenza sovietica contro il nazismo, allora apprezzata in Occidente. Dopo una nuova esibizione a Mosca, è andata alla ribalta a Londra e New York.
Fu lì che il governo sovietico e le autorità di Leningrado decisero di fare una presentazione storica proprio nella città che le diede il nome e che a quel tempo soffriva ancora di terribili problemi di fame e malattie. Per completare il simbolismo politico, fu deciso che il concerto si sarebbe tenuto all'Hotel Astoria, perché a quanto pare Hitler aveva espresso l'intenzione di celebrare lì la caduta della città, che pensava sarebbe stata rapida.
Le difficoltà erano enormi, quasi insormontabili. L'Orchestra Filarmonica di Leningrado e il suo direttore principale, Ievgueny Mravinsky, erano stati evacuati in Siberia. Ciò che restava in città, per così dire, era la squadra di riserva e malversata: appena 15 musicisti dell'Orchestra della Radio di Leningrado e il suo direttore, che alla Filarmonica era il secondo di Mravinsky, Karl Eliasberg. È stato quindi fatto un drammatico appello a chiunque fosse un musicista e si trovasse in città - comprese le bande militari - a presentarsi per le prove. Il brano di Shostakovich richiede almeno 108 musicisti, molti dei quali per gli strumenti a fiato, che, insieme alle percussioni, giocano un ruolo di primo piano nella sua esecuzione. A causa della fame e della malattia, alcuni musicisti erano senza fiato durante i preparativi. Altri, deboli, non sono riusciti a sostenere gli strumenti più pesanti durante l'esecuzione della sinfonia, che dura almeno 75 minuti. Razioni alimentari supplementari sono state riservate ai musicisti per rafforzare il respiro e i muscoli. Nonostante ciò, 3 dei musicisti selezionati morirono durante i preparativi, a causa di malori causati dalla malnutrizione.
Lo spettacolo era previsto per la notte del 9 agosto 1942. Doveva essere trasmesso dalla radio in tutta l'Unione Sovietica e dagli altoparlanti in tutta la città e diretto anche alle linee tedesche. Durante il giorno che ha preceduto l'evento, l'artiglieria e l'aviazione sovietiche hanno sganciato 3 bombe sulle posizioni dei volontari tedeschi, finlandesi e spagnoli della falange per impedire loro di interrompere il concerto con i loro bombardamenti.
Infine, il concerto ha avuto luogo. La sinfonia ha un tempo decisamente eclettico, molto nello stile caratteristico di Shostakovich. La critica specializzata vede in esso risonanze di Gustav Mahler, Franz Lehar, l'autore di "The Cheerful Widow", e certamente di Eroica, il 3°. Sinfonia di Beethoven. Il tempo predominante oscilla tra il lirico, evocativo della pace perduta, dominato dagli strumenti a fiato, e il drammatico, che annuncia l'avvento della guerra e l'arrivo delle truppe invasori, incentrato su archi e percussioni. Ha quattro movimenti caratterizzati, nell'ordine, da “allegretto”, “moderato”, “adagio” e “allegro”. Per me il più solenne di tutti è il primo, in cui i tempi di pace sono sconvolti dalle percussioni che annunciano la presenza del nemico.
L'accoglienza è stata entusiastica. Secondo le testimonianze, la folla presente ha fatto una standing ovation ai musicisti per un'ora, e ci sono state lacrime di commozione in tutta la città. Si dice addirittura che, nelle file dall'altra parte, un soldato tedesco avrebbe fatto il commento che “non conquisteremo mai questa città”. Alla fine, una ragazza è salita sul palco e ha consegnato a Eliasberg un mazzo di fiori, che è stato un vero lusso vista la povertà generale degli abitanti.
L'impresa ebbe ripercussioni in tutto il mondo. Ma dopo il primo momento di entusiasmo e dopo la fine della guerra, arrivarono vicende contraddittorie. Mravinsky è tornato dall '"esilio" e, a quanto pare, è riuscito a sabotare l'immagine e la carriera di Eliasberg. Questo non è caduto in disgrazia, ma è rimasto in uno “sfondo ossequioso”. In Occidente, alcune voci si sono alzate con disprezzo, dicendo che si trattava di un pezzo rivolto a persone con gusti musicali poco sofisticati, ecc. Per me, l'invidia e le cose della Guerra Fredda.
Niente di tutto ciò ha minato il prestigio della Settima Sinfonia. Continua ad essere presentata come un simbolo di tenace resistenza contro la brutalità del nazismo. Ci furono concerti simbolici, con i musicisti sopravvissuti a quella performance a Leningrado, diretti da Eliasberg, che lo fece l'ultima volta nel 1975, tre anni prima della sua morte.
Una delle esibizioni più famose ha avuto luogo nel 2003. Il suo direttore, Semyon Bychkov, ha tenuto un'esibizione memorabile, registrata in video. Come se fosse un discepolo di Konstantin Stanislavskij, incarnò catarticamente tutto il dramma della sinfonia, divenendo celebre la sua ultima espressione, nel silenzio che segue gli ultimi accordi, in cui critici e testimoni leggono tanto il sollievo di vedere una promessa di vittoria contro la barbarie e perplessità di fronte a questa stessa barbarie.
Anch'io: l'orchestra era l'orchestra radiofonica e televisiva della città tedesca di Colonia; il direttore d'orchestra, Semyon Bychkov, era nato nel 1953, in quella che ancora si chiamava Leningrado, da una famiglia ebrea sopravvissuta all'assedio e alla guerra. A riprova che la sinfonia di Shostakovich continua ad ispirare l'incontro con lo spirito di resistenza all'intolleranza che, tra le contraddizioni della storia, ispirò la sua composizione e la storica esecuzione del 9 agosto 1942.
Diari di Berlino, 1940-1945
“Il silenzio degli ultimi accordi”: unendosi al silenzio a cui è stata sottoposta “Enteléquia Bauhaus”, sebbene sia la sinfonia che si è conclusa quando la Scuola ha taciuto sia sopravvissuta alle sue circostanze estreme, questa espressione ci collega al terzo movimento – andate così a chiamare le tappe di questa mostra – del nostro viaggio.
diari di Berlino, della principessa russa Marie Vassiltchikov, ricorda la sua visita nella capitale tedesca durante gli anni frenetici e cupi della seconda guerra mondiale. E conclude raccontando, dopo la fine della guerra, un giro in bicicletta che fece attraverso la regione del Taunus, una catena di verdi colline e montagne (era estate, inizio settembre 1945) a nord-ovest di Francoforte sul Meno.
Evoca il silenzio riposante che il paesaggio gli offre, dopo tutto il rumore assordante dei bombardamenti di Berlino e anche, infine, di Vienna, oltre all'ululato delle fiamme provocato dalle bombe incendiarie, le sirene d'allarme, le il rumore maligno dei discorsi nazisti che lei detestava, il rumore minaccioso del rantolo di morte dei suoi amici che cospirarono per liberare la Germania e il mondo da Hitler, ma furono catturati da lui e dai suoi tirapiedi e giustiziati con le raffinatezze della crudeltà. Riposante, il silenzio ricorda anche un epitaffio. Il Taunus era una regione preferita dai membri della sua classe, l'aristocrazia europea che sta definitivamente soccombendo, come classe, in mezzo alle macerie della guerra, secondo la precisa annotazione di John Le Carré – il romanziere – che scrive una breve nota di presentazione della prima edizione del libro.
Marie Vassiltchikov arrivò a Berlino all'età di 23 anni, provenendo da una famiglia di aristocratici russi andati in esilio dopo la Rivoluzione del 1917. Poliglotta, finì per lavorare al Ministero degli Affari Esteri del governo tedesco, già durante la guerra, affrontando le primi clamorosi successi dell'offensiva nazista. Si è visto, paradossalmente, in a luogo privilegiato. Il governo tedesco aveva bisogno di sapere cosa stesse effettivamente accadendo nel mondo: quindi, non c'era censura su ciò che entrava nella griglia informativa del ministero. Da lì in poi tutto fu censurato dai cani da guardia nazisti, che progressivamente circondarono e invasero il Ministero, uno più falso e mediocre dell'altro.
Fu però lì – roccaforte dei resti di un'alta aristocrazia tedesca che occupava posizioni importanti nella diplomazia e anche nelle forze armate del Paese – che conobbe un gruppo di persone perplesse e scandalizzate dalla distruzione del Paese che i nazisti e le loro milizie finirono per produrre... Decisero, dopo molte esitazioni, di effettuare l'attacco che, il 20 luglio 1944, fu effettuato. Il suo fallimento mise un freno a questo gruppo e alla stessa aristocrazia tedesca.
È interessante notare che, attraverso questi tortuosi percorsi della storia, è stato Hitler a finire con i resti di ciò che doveva venire. Vecchio regime in Germania. Non erano rivoluzionari, nel senso che si presta alla parola. Erano patrioti, e alcuni odiavano i nazisti non perché fossero reazionari o autoritari, ma perché erano volgari. raggiunto – appena arrivati, e maleducati invasori – nelle sale del potere della nazione germanica.
Marie Vassitchikov registra tutto questo dramma – o tragedia – della storia in un diario che scrive freneticamente e compulsivamente. Per forza di cose scrive spesso in stenografia, o anche a macchina da scrivere, ma in un codice che solo lei capisce. E nasconde le pagine in posti diversi che solo lei conosce. Grazie a ciò sviluppò uno stile di scrittura insieme veemente e sobrio, ardente e secco, registrando in parole di terribile bellezza la denuncia di atrocità e speranze anche estreme che hanno luogo nel cuore stesso della civiltà, dove la barbarie dei crimini contro l'umanità bugie, l'umanità.
Le sue descrizioni della Berlino bombardata sono strazianti, con i suoi edifici in fiamme, le folle di persone abbandonate per le strade e le centinaia sepolte sotto edifici che crollano. Il suo resoconto della speranza e della delusione di vedere e poi non vedere l'odiato Leader commovente è la morte, così come l'accenno ai tormenti dei perseguitati per mano di un giudice fazioso e truculento come Roland Freisler, il favorito di Hitler, con la successiva esecuzione, impiccandone molti con corde di pianoforte per aumentarne le sofferenze. In poche occasioni lo scritto è stato così esiguo e allo stesso tempo così eloquente, sulla capacità inesauribile della crudeltà umana, e allo stesso tempo sull'inesauribile devozione di denunciarla.
poscritto
Il silenzio della scuola in sordina; il silenzio del commosso maestro; il silenzio delle montagne che rasserena l'animo esasperato: oserei chiedere a Theodor Adorno, che diceva che “scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto barbaro”, se ci fosse allora una poesia di protesta più radicale della percezione del silenzio imposto dallo schiacciamento della coscienza umana, come viene promosso oggi in Brasile? Non sto lodando la passività e apprezzo molto l'ondata di proteste intelligenti che si sono scontrate con la stupidità in trono come forma di governo. Attiro anche l'attenzione su ciò che questo levarsi di voci di protesta porta dietro di sé, come zavorra e forza della loro indignazione: il silenzio di ciò che è perduto una volta per tutte grazie all'impero dell'ignoranza compiaciuta.
Dicevo ai miei studenti che, per cominciare a comprendere il dramma delle nostre Americhe, la prima cosa da fare era dotarsi di un radiotelescopio immaginario e rivolgerlo al passato, per ascoltare il silenzio delle lingue, di culture, di sogni che si sono spenti perché noi potessimo nascere.
Tra questi silenzi, nessuno fu ed è più eloquente di quello di Anacaona, regina di una parte dell'isola che sarà poi divisa tra Haiti e la Repubblica Dominicana. Di lei tutto è certo e insieme incerto. C'era una regina del popolo Taíno, di nome Anacaona, che successe a suo fratello, morto nel 1502. Appare in alcuni rapporti fatti dai conquistatori, tra cui Frate Bartolomé de las Casas.
Secondo questi rapporti, il suo nome significava "Il fiore d'oro" e cantava poesie chiamate "areitos"; è possibile che avessero qualche funzione rituale o religiosa. Anche secondo queste notizie, e qui cominciamo ad entrare nel territorio della leggenda, erano molto belle. Quel che è certo è che Anacaona fu accusata di sedizione dal governatore spagnolo Nicolás de Ovando. Dopo alcuni tradimenti, come di consueto, gli spagnoli riuscirono a sterminare praticamente il popolo Taíno e ad arrestare Anacaona, che fu impiccata nel 1503. A quanto pare tutto ciò che resta fisicamente di lei è una sedia – una specie di trono – su cui sedeva e al Musée de l'Homme a Parigi.
Esiste una metafora più eloquente della tragedia americana, provocata dalla barbarie che giace non alla periferia, ma al cuore della civiltà, di questa sedia vuota da cui emana una poesia silenziosa, che non sarà mai decifrata? Accompagna, come il silenzio della scuola muta, il silenzio patetico che segue gli accordi della Settima di Shostakovich, e il silenzio che la principessa trova nel Taunus, dopo il rumore assordante della guerra, e ci anima, in mezzo alla barbarie che oggi ci circonda così da vicino, per continuare a costruire la sua eredità umanista. Che può avere anche immagini, come abbiamo visto, suoni e parole eloquenti nella confusione del nostro vecchio mondo senza porta.
*Flavio Aguiar è un professore in pensione di letteratura brasiliana all'USP.
Testo creato dalla conferenza tenuta presso l'Istituto delle Arti dell'Università Federale del Rio Grande do Sul
Riferimenti
Immagini della scuola Bauhaus di Dessau:
Sinfonia Leningrado di Shostakovich con l'Orchestra di Colonia, diretta da Semyon Bychkov:
Cheo Feliciano canta Anacaona:https://www.youtube.com/watch?v=klLdQxBtCTA