La colonizzazione della filosofia

Immagine: Richard Pan
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da ERICO ANDRADE*

La filosofia che non riconosce il terreno su cui poggia corrobora la portata coloniale dei suoi concetti

Un anno fa Habermas, Forst, Nicole Deitelhoff e il giurista Kalus Günther scrissero una lettera pubblica il 13 novembre 2023 in cui difendevano principi generali indiscutibili, come la solidarietà con il popolo ebraico in Israele e in Germania. Nella stessa lettera sostengono il diritto di Israele di contrattaccare Hamas, tenendo conto di quelli che chiamano principi guida, secondo i quali “i principi di proporzionalità, di evitare vittime civili e di fare la guerra con la prospettiva di un futuro di pace”.

Ciò che vorrei evidenziare ad un anno dalla pubblicazione del testo è qualcosa che permea parte della filosofia europea. Il mio punto è che l’attenzione su una certa dimensione proceduralista, presente nella nozione di “principi guida” mostra non solo una mancanza di percezione della materialità delle questioni geopolitiche da parte di Jürgen Habermas e soci. Ciò potrebbe essere preso solo come una sorta di deficit sociologico di alcune teorie come quella habermasiana se non ci fosse qualcosa di più grave in questo, che consiste nel fatto che le suddette teorie nella migliore delle ipotesi colludono con il colonialismo, quando non sostengono indirettamente le azioni coloniali. .

È evidente che le restrizioni che Habermas e Forst segnalano rispetto al contrattacco israeliano, da loro ritenuto legittimo, sono proprio quelle che lo Stato di Israele aggira da decenni e vengono introdotte nel testo in una sorta di strategia retorica di posizionamento in mezzo a due schieramenti (la sobrietà di chi vorrebbe occupare il posto del centro), ma in pratica appoggia uno dei schieramenti. La parte dei colonizzatori, ovviamente.

Dopotutto, se Israele ha mancato di rispetto alle risoluzioni delle Nazioni Unite e agli accordi internazionali per decenni, perché, in questo momento, lo Stato di Israele dovrebbe agire in modo giusto? Ora, senza un’analisi storica e un’analisi delle questioni materiali presenti in quella regione, la difesa di un principio astratto sembra servire come una sorta di legislazione della necropolitica dello Stato d’Israele, poiché non esiste alcun supporto storico per sostenere che Israele procederebbe diversamente dalle violenze perpetrate contro i palestinesi, sempre in modo sproporzionato. Che vantaggio epistemico o storico c’è nell’autorizzare una controffensiva da parte dello Stato di Israele contro Hamas? Ci sarebbe un vantaggio politico?

La distinzione tra crimini di guerra e terrorismo di stato può sollevare un buon dibattito accademico per quanto riguarda la precisione concettuale, ma in pratica lo Stato di Israele sta decimando la popolazione della Striscia di Gaza, i palestinesi, senza alcun rispetto delle norme e delle convenzioni internazionali. La parola sembra che oggi si possa affermare con chiarezza. Lo Stato di Israele sta promuovendo un genocidio, negato da quei filosofi.

Quindi, se la ritrattazione degli intellettuali di fronte ai crimini di guerra di Israele e alla sua costante storia di espansionismo nel territorio palestinese è motivo di perplessità, come ha avvertito Vladmir Safatle, la difesa di intellettuali come Habermas e Forst del “contrattacco” di Israele è la misura della colonizzazione all'interno della filosofia. E la colonizzazione risponde sempre alla difesa di principi generali o astratti, spesso evocati per sostenere uno stato di violenza da parte di un gruppo rispetto a un altro.

I principi generali indiscutibili difesi da Jürgen Habermas e soci sono quelli che si applicano alla solidarietà con Israele e con gli ebrei in Germania a scapito, ovviamente, del popolo palestinese. Questo perché ponendo la solidarietà con Israele in una certa misura come qualcosa dell’ordine dell’indiscutibile, metto in evidenza che i due filosofi della teoria critica, Habermas e Forst, non solo indicano il territorio su cui si basa la loro riflessione ma operano anche con le modalità appropriate posizione coloniale in cui la vita palestinese perde di dignità quando allo Stato di Israele viene permesso di contrattaccare.

Un testo che tocca questioni geopolitiche senza alcun riferimento all’imperialismo dello Stato d’Israele non è una testimonianza della fine della storia, come se l’imperialismo avesse cessato di esistere per decreto concettuale, ma del fallimento di una certa teoria critica che si riduce, almeno nella figura dei firmatari della lettera/manifesto filo-israeliana, a costruzioni teoriche che cercano principi universali per sostenere specifiche politiche di dominio.

La gravità è accentuata perché questi principi universali nascondono, come denunciò Charles Mills, un contratto razziale, poiché ogni azione coloniale è un'azione razziale in cui un gruppo prevale su un altro dominando il suo territorio, controllandone la popolazione e limitandone i movimenti attraverso il territorio. spazi che gli spettano. Questo è esattamente ciò che lo Stato di Israele promuove in Palestina.

In questo modo, l'assenza di un dibattito sulla storia e la materialità del conflitto israelo-palestinese, lungi dall'essere una china scivolosa verso l'“inclusione dell'altro” (titolo di un'opera di Habermas), mostra come il colonialismo occidentale opera. Si muove per giustificare concettualmente un tipo di politica non razzializzata o senza alcuna pretesa razziale, ma che alla fine esercita un chiaro controllo e sterminio delle popolazioni colonizzate.

Il genocidio, se seguiamo la posizione di Achille Mbembe, è una politica che mette in pratica il “divenire nero del mondo” perché ha invariabilmente una componente razziale a causa della quale le persone vengono segregate e uccise, così come i loro territori vengono usurpati.

È importante notare che la posizione di Habermas e Forst non è sul piano della contraddizione, ma di una strategia di un discorso che nobilita l'universale per collocarsi in un luogo di neutralità che ci permetta di prescindere dalla pratica storica che nel Il caso attuale risiede nel fatto che gli attacchi di Israele sono sempre sproporzionati, quindi autorizzare una controffensiva a qualsiasi livello significa accettare la potenza militare di Israele completamente sproporzionata rispetto alla Palestina.

Pertanto, il ricorso a principi universali come “principio guida” del semplice “fare la guerra con la prospettiva della pace futura” è un’astrazione compatibile solo con la collusione con i vincitori (i colonizzatori), poiché l’obiettivo storico di ogni guerra condotta dalle nazioni imperialiste non è la pace, ma il dominio di un popolo su un altro. Lo conferma infatti la storia dello Stato di Israele e, in particolare, quella del governo di Benjamin Netanyahu.

Sembra che l’esperienza della Germania nazista non ci abbia insegnato quali siano le pretese dell’imperialismo, che, lungi dall’essere un fenomeno storico datato o limitato a posizioni fasciste, viene continuamente adottato dalle nazioni europee in relazione all’Africa e da Israele in relazione all’Africa. Palestina. Forse il patto che Habermas e Forst firmano è proprio quello del candore.

Nello stesso modo in cui legittima il contrattacco di Israele, conoscendo la storia di sproporzionalità di quello Stato, Habermas e Forst sostengono indirettamente che alcune situazioni sono insopportabili, come l'aumento del tutto deplorevole dell'antisemitismo, più di altre, come il massacro dei palestinesi persone per le quali, secondo i filosofi, il termine genocidio non è applicabile anche se stiamo assistendo a uno dei più grandi omicidi di bambini della storia. 

Le teorie europee, soprattutto quelle eredi dell’Illuminismo, insistono sulla dignità umana come concetto astratto per giustificare i processi coloniali nei territori, segnati inizialmente da una situazione di disuguaglianza. Senza una lettura delle correlazioni di forza e materialità storica, i principi astratti sono dispositivi di razzialità, per riprendere qui il concetto di Sueli Carneiro, che servono a mantenere il dominio ideologico e materiale delle nazioni imperialiste nei loro rispettivi territori di attività.

La filosofia che non riconosce il terreno su cui poggia corrobora la portata coloniale dei suoi concetti; come se potessero rispecchiare l'universale pur avendo sede in un territorio specifico e con interessi particolari.

*Erico Andrade è psicoanalista e professore di filosofia presso l'Università Federale di Pernambuco (UFPE). Autore del libro Nerezza senza identità (edizioni n-1) [https://amzn.to/3SZWiYS].


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