da ANTONINO INFRANCA*
Considerazioni sul rapporto tra István Mészáros e György Lukács.
Il rapporto tra György Lukács e István Mészáros è quello tipico tra maestro e allievo, nato, quindi, quando il primo, il maestro, ha già una certa età – 60 anni, nel caso di Lukács – e il secondo, il studente, appena uscito dall'adolescenza – 19 anni, nel caso di Mészáros – entrambi riescono a stabilire rapporti quasi simmetrici; Dico “quasi” perché è ovvio che il rapporto, inizialmente, è unilaterale, cioè da insegnante ad allievo, con il tempo può diventare completamente bidirezionale.
E così è successo tra Lukács e Mészáros: prima Mészáros ha bevuto alla fontana di Lukács, poi ha cominciato a discutere sul pensiero del maestro, e poi a discutere il pensiero del maestro. La prima fase è oggi difficile da ricostruire, in quanto il rapporto è stato del tutto personale. Sfortunatamente, non abbiamo le possibili reazioni di Lukács ai cambiamenti di Mészáros che sono probabilmente contenute nelle lettere che i due si scambiarono da quando Mészáros lasciò l'Ungheria in seguito alla repressione della Rivoluzione ungherese del 1956 fino alla morte di Lukács nel 1971. .
Ma sarebbe stato ancora più interessante conoscere le discussioni che i due instaurarono, anche dopo l'esilio di Mészáros, visto che, dopo pochi anni, poté tornare in Ungheria. Ma queste conversazioni non sono state testimoniate, registrate o addirittura riportate da nessuno dei due. Per tutto il corso della loro amicizia, vale a dire per più di vent'anni, si è mantenuto un rapporto di profonda stima, stima e affetto reciproco.
Uno dei temi su cui insiste Mészáros nella sua analisi del pensiero di Lukács è la lotta incessante, condotta lungo tutta la produzione filosofica di Lukács, contro l'irrazionalismo, il soggettivismo e la distruzione dei valori oggettivi. Proprio per trovare un confronto che alimentasse la propria tensione etica e teorica contro questi oppositori, sempre presenti lungo tutta l'esistenza di Lukács, si appoggiò ai grandi classici della filosofia e della letteratura, cioè a Marx e Hegel, alla filosofia, e in Goethe e Thomas Mann, in letteratura.
In questa lotta, Lukács si oppose alla filosofia moderna che, escludendo Hegel, si avvicinò sempre di più, fino ad allearla con le tesi del soggettivismo e dell'individualismo e con la trasvalutazione nietzschiana dei valori. Mészáros ricorda che queste tesi, in parte, interessarono il giovane Lukács, ma che poi le abbandonò, quando si avvicinò allo studio del pensiero di Marx. Il soggettivismo, però, cominciò a infiltrarsi anche nel campo del movimento operaio, quando si cercava un soggetto storico rivoluzionario, il proletariato. A causa della lotta per difendere il socialismo esistente, la concezione del proletariato è cambiata da rivoluzionaria a conservatrice. Mészáros ricorda che queste tesi, in parte, interessarono il giovane Lukács, ma che poi le abbandonò, quando si avvicinò allo studio del pensiero di Marx.
Il soggettivismo, però, cominciò a infiltrarsi anche nel campo del movimento operaio, quando si cercava un soggetto storico rivoluzionario, il proletariato. A causa della lotta per difendere il socialismo esistente, la concezione del proletariato è cambiata da rivoluzionaria a conservatrice. Mészáros non nasconde ciò che Lukács insinuava in modo falso: lo stalinismo è un fenomeno di soggettivismo e, quindi, di un dogmatismo metafisico e di un idealismo soggettivo estremo, alla maniera di Fichte. Inoltre, lo stalinismo è stato un fenomeno che ha rallentato la spinta rivoluzionaria, non solo al di fuori dell'Unione Sovietica (socialismo in un solo paese), ma ha anche facilitato lo smantellamento delle istituzioni più rivoluzionarie, come i Soviet, riducendo sempre più l'azione politica di dal basso verso l'alto della società civile.
Lukács, a questi oppositori teorici e politici, che lo attaccavano dall'esterno – la filosofia irrazionalista – e dallo stesso campo politico – lo stalinismo – contrapponevano un'arma, che ancora oggi attira critiche da filosofi conservatori: la dialettica. Mészáros – come detto sopra – spiega ciò a cui accennava Lukács: le due tendenze opposte dell'irrazionalismo e dello stalinismo finirono per convergere contro il pensiero razionale e dialettico, negando la totalità e l'integrità dell'essere umano. Lukács, quindi, occupa una posizione di tertium datur, cercando di sopravvivere, anche teoricamente, in un'epoca di “rassegnazione”, come la definisce Mészáros, cioè nell'era del totalitarismo stalinista.
La dialettica si rivela un'arma raffinata ed efficace per sopravvivere in quest'epoca di “rassegnazione”. In primo luogo, permette a Lukács di affrontare la volgarizzazione del marxismo che dai tempi della Seconda Internazionale era passata anche nella Terza Internazionale – si pensi alla difficoltà di Stalin nel comprendere la dialettica hegeliana. Naturalmente Mészáros ricorda che per Lukács dialettica e ragione andavano sempre di pari passo, dando vita a una “razionalità dialettica”, in grado di dare teorie oggettive del mondo.
Un altro aspetto sempre presente nel pensiero di Lukács è il must-be. Mészáros fa risalire questo approccio teorico alla giovinezza di Lukács e alle sue prime esperienze teoriche, ma continua fino alla vecchiaia. La prima distanza di Mészáros da Lukács si percepisce quando, a proposito dell'adesione di Lukács al movimento comunista, quindi, nell'ultimo momento della sua giovinezza, Lukács si confronta con la teoria e la pratica di Lenin. Lukács ha sempre sostenuto che, dopo la pubblicazione di Storia e coscienza di classe, sulla base delle critiche ricevute, si dedicò interamente allo studio del pensiero di Lenin e ciò rappresentò il suo effettivo ingresso teorico nel marxismo. Mészáros, però, mette in luce il fatto che l'unità di teoria e pratica di Lenin non è paragonabile a quella di Lukács, perché diverse sono le condizioni oggettive e le circostanze in cui i due agirono e pensarono. Lenin si trova ad operare in una situazione cangiante e rivoluzionaria, quella della rivoluzione russa, Lukács in una “atmosfera rarefatta”, quella ungherese, dove il cambiamento è difficile e lento, e lo sarà anche dopo il 1945.
Mészáros affronta la grande questione dello sviluppo del pensiero marxista di Lukács: il rapporto con lo stalinismo. Mészáros difende la tesi secondo cui l'associazione di Lukács allo stalinismo era l'unico modo per mettere in pratica la sua concezione generale del marxismo e della filosofia. Lukács aveva ben chiara la dimensione generale di ciò che significava lo stalinismo, cioè prima la riduzione, poi l'annientamento dell'entusiasmo e dello slancio rivoluzionario. Aggiungiamo che per Lukács restavano poche alternative, quindi la tesi di Mészáros può sostanzialmente definirsi corretta. Lukács era perseguito da una condanna a morte, emessa dal governo Horthy per la sua partecipazione alla Repubblica dei Consigli del 1919. Diciamo “perseguitato”, perché quella condanna a morte, riconosciuta dalla Repubblica austriaca, stava per diventare un'estradizione in Ungheria, dove sarebbe stata eseguita la sentenza, se Thomas Mann non fosse intervenuto con una campagna a sostegno di Lukács. Così, Lukács poté rifugiarsi in Germania, ma la presa del potere da parte di Hitler rese del tutto certa l'estradizione, se non l'eliminazione fisica nella stessa Germania.
L'unica alternativa era rifugiarsi in Unione Sovietica, uno stato che non riconosceva l'Ungheria fascista e quindi non avrebbe mai estradato Lukács. Vivere in Unione Sovietica negli anni '1930 significava adattarsi a una condizione esistenziale estremamente cauta e drammatica allo stesso tempo. Ma Lukács ha combattuto una guerra segreta di posizione, cedendo dove non poteva resistere (ad esempio, le citazioni del nome di Stalin nelle sue opere), ma mantenendo le sue idee e interpretazioni, mascherandole in una certa misura. Ovviamente abbandonò il campo della politica e si dedicò esclusivamente alla critica letteraria, non rispettando affatto i dettami del jdanovismo.
La critica filosofica era affidata al disegnatore; anzi, il suo capolavoro Il giovane Hegel fu pubblicato solo dopo la guerra, così come i saggi critici sull'irrazionalismo. Fu arrestato quando l'Ungheria invase l'Unione Sovietica e scattò una generica epurazione di tutti i “nemici” e lui, da ungherese, divenne nemico e, nonostante quanto scrive Mészáros, la sua liberazione fu dovuta alla riscoperta di un vecchio rapporto di amicizia con Dimitrov, non certo per intervento di intellettuali tedeschi, come si vede nel suo testamento politico.
Anche nell'Ungheria del dopoguerra, lo stalinismo ungherese rimase il suo nemico più pericoloso. Infatti, dopo i primi quattro anni di parziale libertà, una volta instaurata la dittatura stalinista di Rákosi, Lukács fu assalito violentemente dagli intellettuali ufficiali del Partito e costretto a lasciare l'insegnamento universitario, per tornare, come a Mosca, allo studio dell'estetica. Uscì da questo isolamento nei giorni di quella “primavera”, che fu la Rivoluzione ungherese del 1956. Dopo la sconfitta della rivoluzione, Lukács fu deportato in Romania insieme a tutto il gruppo di rivoluzionari, dove divenne, grazie alla sua fama, garante di tutto il gruppo, costringendo gli stalinisti ungheresi a rapirlo per liberarlo e avviare senza ostacoli i processi contro i rivoluzionari, ovviamente ritenuti traditori.
La sua relazione con lo stalinismo, quindi, è un altro caso di Sollensen, di must-be. Già in gioventù Lukács aveva mantenuto un rapporto di dovere con la sua famiglia, stabilendo compromessi dove non c'erano alternative possibili, ora ha lo stesso atteggiamento nei confronti della dittatura stalinista. Secondo Mészáros, Lukács con il comportamento di Sollensen fece una sintesi tra libertà di pensiero e reale necessità, come aveva già fatto con l'adesione al comunismo, rivedendo alcune tesi di Storia e coscienza di classe, lasciando valide le premesse della sua concezione generale, cioè che i fenomeni umani sono mediati in modi e misure diverse dal rapporto con la sfera economica della totalità sociale.
Un altro elemento che permette a Lukács di convivere con lo stalinismo è la sua perspicacia. Lukács, dopo la sconfitta della Repubblica dei Consigli, considerava valida la concezione stalinista del “socialismo in un solo paese”. Poi gli attacchi del marxismo naturalista contro Storia e coscienza di classe, con i tipici rivolgimenti del fronte staliniano, lo fece passare dalla parte di chi aveva ragione contro i suoi accusatori, lo stesso accadde nelle dispute per il realismo e lì Lukács poté essere dimenticato. Così la lotta antifascista costrinse Stalin a cercare alleati ovunque, anche tra gli odiati socialdemocratici, creando un'alleanza che era stata il progetto politico di Lukács del Le tesi di Blum.
Nel frattempo, Lukács inizia la sua critica radicale dell'irrazionalismo, che è parallela alla sua critica del soggettivismo, che fino a quel momento era stato sostenuto dallo stalinismo, ma che da allora era stato abbandonato. Lukács si è trovato così nella stessa posizione di chi lo aveva criticato e accusato, ma sono stati i suoi critici a cambiare posizione, lui era rimasto fermo nella sua posizione. Mészáros ricorda che la Russia stalinista in cui visse Lukács era quella dell'immediatezza e dell'irrazionalità, gli stessi aspetti che Lukács criticava nel capitalismo e la cui critica potrebbe essere estesa anche allo stalinismo. Mészáros, tuttavia, accusa Lukács di non mantenere la sua concezione della mediazione del tutto libera da questa immediatezza. Lukács è costretto a ricorrere all'astrazione per definire la propria dimensione politica e Mészáros lo sottolinea prendendo le distanze dal suo maestro.
Secondo lo studente, il professore, rendendosi conto che l'immediatezza della realtà politico-sociale non gli permetteva una riflessione meditata sulla sua teoria generale marxista, si rifugiò nell'etica, cioè in un nuovo modo di dover essere. L'ultimo Lukács, quello che conobbe il giovane Mészáros all'Università di Budapest, vive una sorta di “utopismo etico”, fatto di ragione e responsabilità. Mészáros critica fortemente il riferimento lukácsiano all'esperienza di fiducia nel cervello kennedian che Lukács fa in un'intervista. Per Mészáros tutto ciò è essenzialmente mancanza di mediazione e ricerca di soluzioni semplici e facili. Forse la tua critica è troppo radicale, ma è destino degli insegnanti essere criticati dagli studenti, come abbiamo scritto all'inizio.
Ad esempio, Mészáros ricorda un passaggio dell'intervista Testamento politico, in cui Lukács sostiene che i residenti di un quartiere devono decidere dove aprire una farmacia. Per Mészáros sembra una misura politica quasi irrilevante, ma in realtà è una lotta per i cittadini per decidere la loro vita quotidiana. A intervista sconosciuta, di cui probabilmente Mészáros non era a conoscenza, Lukács accusa il Partito ungherese di aver perso il contatto diretto con i cittadini e questa non ci sembra una critica irrilevante.
C'è un saggio di Mészáros, “Coscienza di classe contingente e necessaria”, in cui Lukács è apparentemente ben poco in discussione, che segna un primo momento di emancipazione del pensiero dello studente rispetto a quello dell'insegnante. Il saggio, oltre al tema della coscienza di classe, rappresenta un modo per sussumere le idee di Lukács a un livello superiore. Mészáros parte proprio dalla polemica con il volgare marxismo inglese, meccanicista e positivista, privo di mediazioni, e incapace, in questo senso, di comprendere il rapporto tra necessità storica e coscienza di classe.
Citando Gramsci, Mészáros sottolinea che una classe è una sintesi globale di tutti i fattori che operano in una società; sarebbe dunque un complesso di complessi, per così dire alla Lukacs da Ontologia, che sarebbe la concezione che, meglio di altre, permette di cogliere la pluridimensionalità e la storicità intrinseca delle categorie marxiste. Mészáros riprende la concezione marxista del superamento delle condizioni materiali naturali dell'essere umano, cioè di una liberazione dalle determinazioni economiche, affinché la coscienza della classe proletaria prenda coscienza del proprio compito storico di abolire tutte le classi sociali.
Questa è una sopravvalutazione del fattore politico, che è però anche uno slittamento verso una concezione soggettivista dell'agire politico, del resto Mészáros riprende consapevolmente la concezione di Lukács della coscienza di classe, ma si giustifica, sostenendo che è Lukács a riprendere , quasi terminologicamente, la concezione marxista della coscienza di classe. È vero che Lukács si riferiva a una coscienza “presunta” o “attribuita” al proletariato, un fatto, quindi, quasi oggettivo. Mészáros, riferendosi al carattere scientifico della concezione marxista della coscienza di classe, cerca di rifiutare ogni forma di soggettivismo, così come li aveva immaginati Sorel con il suo volontarismo. Con questo rifiuto, Mészáros continua la lotta già intrapresa dal suo padrone.
Mészáros si oppone anche all'universalismo delle leggi operative della “società industriale moderna”, che è fondamentalmente il modo di produzione capitalistico. Denuncia il tentativo di normalizzare lo sfruttamento capitalistico spacciandolo per l'unico modo in cui può funzionare la moderna produzione industriale, cioè confondendo la struttura del modo di produzione capitalistico con la sua funzione. Ci si potrebbe chiedere con Ricardo Antunes, sociologo brasiliano fortemente influenzato dal pensiero di Mészáros, che ha teorizzato la classe-che-vive-di-lavoro: nella moderna società industriale il lavoro tende a scomparire, ma cosa succede ai lavoratori?
Mészáros ricorda che la contrapposizione tra gruppo dominante e gruppo subordinato – si noti l'uso di termini gramsciani – può portare all'integrazione di alcune riforme o concessioni ai subalterni, ma ciò non altera l'antagonismo tra i due gruppi. In fondo, la contraddizione tra la capacità di lavorare e il lavoro come merce non può essere superata in alcun modo e, quindi, la coscienza di classe, formata all'interno di questa contraddizione, rimarrà sempre contingente, se non si proietterà a superare questa contraddizione. Per Marx, il proletariato era il necessario antagonista della borghesia, quindi, la necessaria coscienza di classe prevale sulla coscienza di classe degli strati o dei gruppi di lavoratori.
Oggi vediamo prevalere la coscienza di gruppo, ma questa, come detto, non supera la contraddizione e la conseguente strumentalizzazione. Mészáros sembra suggerire che Lukács abbia esaminato la presunta coscienza di classe, ma in realtà è rimasto al livello della coscienza dei gruppi operai. Questa impressione deriva anche dal fatto che Mészáros sostiene che la coscienza di classe è inevitabile, non più presunta, e questa inevitabilità richiede un agente umano consapevole e responsabile della necessità di trasformare la stessa azione politica. Necessità di trasformazione che ha due livelli, uno per la totalità sociale, un altro per l'esistenza dell'individuo, poiché la trasformazione deve essere sia oggettiva, della condizione oggettiva dell'esistenza stessa, sia soggettiva, cioè della consapevolezza del vivere insieme con altri.
La coscienza di gruppo ci porta a pensare come l'Altro, lo straniero, il lavoratore di un altro gruppo, così che l'alterità si radicalizzi all'interno della stessa classe. Ciò accade quando la classe diventa l'unico confine entro il quale l'individuo agisce. Ecco, la classe-che-vive-di-lavoro è già un primo passo per superare questo limite, i passi successivi sono riconoscersi nell'appartenenza al genere, per dire alla Lukács, cioè per l'umanità, per tutti gli esseri umani, per i quali i diritti di un singolo essere umano sono i diritti di tutti gli esseri umani, dai diritti di classe, ai diritti economici, ai diritti di genere, sesso, razza, età e così via. SU.
Le forme di aggregazione sociale conducono, in primo luogo, a una necessaria coscienza di classe, ma si aggiunge, seguendo la strada aperta da Mészáros, a una coscienza del genere umano, una coscienza di appartenenza di genere.
*Antonino Infranca Ha conseguito un dottorato in filosofia presso l'Accademia delle scienze ungherese. Autore, tra gli altri libri, di Lavoro, individuo, storia: il concetto di lavoro in Lukács (Boitempo).