da VLADIMIRO SAFATLE*
L’estrema destra è già stata normalizzata da politici e opinion maker
Il 16 luglio Wilson Gomes pubblicò sul giornale Folha de S. Paul, un articolo in cui ci esortava ad accettare la presunta inevitabile normalizzazione dell'estrema destra.
Chiamando “dogmi” le reazioni a tale processo animato da una qualche forma di crociata morale contro settori spesso egemonici delle popolazioni mondiali, l'autore ha ritenuto opportuno ricordare che, “se il voto è il mezzo consacrato dalle democrazie per legittimare le pretese politiche”, non esiste non ci sarebbe alcun motivo per agire come se l’estrema destra non fosse democraticamente legittimata.
Infine, non sono mancate le stigmatizzazioni verso coloro che parlano di “fascismo” riferendosi attualmente a tali correnti.
Questo articolo non è un pezzo isolato, ma rappresenta una tendenza forte tra gli analisti liberali e conservatori di tutto il mondo. Questa tendenza consiste nel respingere la tesi dell’ascesa globale dell’estrema destra come un catastrofico movimento globale di consolidamento autoritario e di esaurimento terminale delle illusioni della democrazia liberale.
Abbiamo visto qualcosa di simile poco fa, quando i commentatori politici hanno cercato di spiegare che un partito come il Raggruppamento Nazionale francese, con il suo razzismo e la xenofobia organici, i suoi legami con il passato collaborazionista e coloniale della Francia, il suo apparato di polizia pronto a sparare su tutto ciò che somiglia essendo arabo, non era poi un grosso problema e il partito non avrebbe nemmeno dovuto chiamarsi “estrema destra”.
Posizioni come queste non sono solo sbagliate. Non c’è catastrofe politica che non sia stata minimizzata da chi, in tempi di crisi strutturali, si presenta come “antidogmatico”, “equilibrato” e “avverso agli slogan”. Direi, infatti, che questo cosiddetto “equilibrio” è una parte fondamentale del problema e della sua estensione.
Ebbene, a chi predica la normalizzazione dell'estrema destra, direi che essa non avrebbe mai avuto così grande forza oggi se non fosse stata normalizzata molto tempo fa. Non dagli elettori, ma dai politici liberali e dagli opinion maker. Esiste un’alleanza oggettiva tra i due gruppi.
Affinché l’estrema destra possa crescere, le politiche anti-immigrazione devono essere inizialmente attuate dal “centro democratico”.
La paranoia sulla sicurezza deve essere quotidianamente sulle labbra degli analisti politici “liberali” affinché l’estrema destra conquisti i suoi elettori.
Idem per l’equalizzazione tra attivisti dei movimenti sociali e truppe di bolsonaristi, trumpisti e simili. In altre parole, quando l’estrema destra arriva finalmente al potere, di solito ha solo bisogno di sfondare una porta marcia. La vera normalizzazione aveva già fissato l’agenda del dibattito politico.
Contro questa tendenza, direi che ci si aspetta che la classe intellettuale sia almeno in grado di chiamare gatto un gatto. Sostenere, ad esempio, che un discorso segnato dal culto della violenza, dall'indifferenza verso i gruppi più vulnerabili, dalla concezione paranoica dei confini e dell'identità, dall'anticomunismo congenito, dal trasferimento del potere a una figura allo stesso tempo autoritaria e caricaturale, ha un nome analitico preciso, cioè “fascismo”. È un modo per sensibilizzare la società sui rischi reali e sulle tendenze che attualmente si trova ad affrontare.
Ricordatelo in un paese come il Brasile, che negli anni ’1930 aveva uno dei più grandi partiti fascisti fuori dall’Europa, che aveva due soldati integralisti nella giunta militare del 1969, che aveva un presidente che qualche anno fa firmava lettere alla nazione con il motto “Dio, patria, famiglia”, è segno di un minimo di onestà intellettuale.
L’università brasiliana ha già un’enorme responsabilità per aver trattato con scherno il fascismo strutturale nella nostra società fino a quando un governo segnato da genocidi indigeni, spettacolari massacri nelle favelas e 700 morti nella pandemia non è arrivato in nome della preservazione della dinamica dell’accumulazione capitalista.
Rifiutare la normalizzazione dell’estrema destra non significa ignorare la reale sofferenza dei suoi elettori e la cronica precarietà della situazione sociale di chi la sostiene. Tanto meno significa imporre discorsi morali al posto delle decisioni politiche.
Vuol dire non scendere a compromessi in alcun modo con le soluzioni dell'estrema destra e avere la capacità di rifiutare assolutamente il loro modo di definire il dibattito.
Significa anche mettere in tensione la società con una visione alternativa di trasformazione e rottura. Ma forse è proprio questo che alcuni temono di più.
*Vladimir Safatle È professore di filosofia all'USP. autore, tra gli altri libri, di Modi di trasformare i mondi: Lacan, politica ed emancipazione (Autentico) [https://amzn.to/3r7nhlo]
Originariamente pubblicato sul giornale Folha de S. Paul.
la terra è rotonda c'è grazie ai nostri lettori e sostenitori.
Aiutaci a portare avanti questa idea.
CONTRIBUIRE