La crisi dell'IBGE

Immagine: Tomaz Silva/ Agência Brasil
WhatsApp
Facebook
Twitter
Instagram
Telegram

da JORGE LUIZ SOUTO MAIOR*

La posizione della direzione dell'IBGE supera ogni limite di legalità

1.

La storia del capitalismo è segnata da varie forme di violenza contro la classe operaia. Non è una cosa del momento attuale, né una caratteristica di specifici partiti politici. Le differenze che occasionalmente compaiono sono solo di intensità. Non approfondirò ulteriormente questo argomento, poiché i fatti storici parlano da soli.

Di fronte alla forza di mobilitazione della classe operaia e, soprattutto, di fronte alla necessità di ristabilire una certa stabilità al sistema economico basato sulla produzione capitalistica, c’è stato, però, un momento in cui la classe dominante si è trovata costretta a cedere un po’ nei suoi interessi.

Tuttavia, come avverte Bernard Edelman, quello che abbiamo visto è stato l’emergere di un “diritto borghese per il lavoratore”, perché, anche se conquistati dalla classe operaia e pur servendo alla sua effettiva protezione, i diritti del lavoro non rompono la fase dello sfruttamento capitalista. , che dipende da molte forme di violenza affinché le relazioni su cui si basa siano mantenute.,

In condizioni di funzionamento idealizzato del capitalismo, lo scopo della classe dominante capitalista non sarebbe quello di annientare semplicemente la classe operaia, poiché, per raggiungere i suoi obiettivi di profitto, dipende dall’esistenza della forza lavoro, merce da sfruttare. Si scopre che, nel suo funzionamento reale, il capitalismo non è virtuoso ma piuttosto autodistruttivo della vita sulla Terra.

Pertanto, considerando l’insistente abbassamento dei tassi di profitto e gli effetti individualizzati determinati dalla concorrenza sfrenata, il limite del valore della forza lavoro, determinato dalle condizioni della sua riproduzione, viene ripetutamente superato, soprattutto alla periferia del capitale.

Il fatto è che, per seguire la via della riproduzione del capitale e senza esporre la lotta di classe, la classe dominante, anche facendo alcune concessioni, ha utilizzato forme giuridiche, affinché, in apparenza di libertà contrattuale, la violenza storica non intravvedere in cui i rapporti sociali si costituirono concretamente e, quindi, astrattamente, si trasformarono in meri rapporti giuridici.

E, attualmente, il movimento dei capitali internazionali, per contenere l’ennesima delle sue crisi, comporta il ricorso alla violenza di un crescente sfruttamento del lavoro, in particolare nei paesi periferici, con l’ordine giuridico al suo servizio, ancora una volta.

Questo è ciò che spiega, nella storia recente del Brasile, la “riforma” del lavoro del 2017, la “riforma” della previdenza sociale del 2019 e, più attualmente, la riforma fiscale.

Nonostante questa storia di violenza, almeno nei cosiddetti “paesi democratici”, il diritto della classe operaia di organizzare sindacati è rimasto, in misura maggiore o minore, stabilito.

Nella Costituzione Federale brasiliana questo diritto, il cui fondamento è il non intervento dello Stato, è espressamente garantito:

"Arte. 8 Le associazioni professionali o sindacali sono libere, fatte salve le seguenti condizioni:

I – La legge non può richiedere l'autorizzazione dello Stato per la costituzione di un sindacato, salvo l'iscrizione presso l'organo competente, ed è fatto divieto al Potere Pubblico di intromettersi e di intervenire nell'organizzazione sindacale”.

2.

Perciò è davvero spaventoso, poiché va oltre tutti i limiti dello stesso ordine borghese per l’operaio, che flirta con la minaccia fascista ancora presente, leggere la notizia che la direzione di un ente pubblico, legato al governo di un popolo operaio ', ha ordinato al sindacato dei dipendenti di questo stesso ente di cambiare denominazione, dandogli un termine di 15 (quindici) giorni per farlo.

L’“ordinanza” si “baserebbe” su un “parere legale”, in cui il suo prolatore “scopriva” che la “denominazione commerciale” del sindacato non corrisponde agli obiettivi contenuti nello statuto del sindacato. In breve, le attività del sindacato non si limitano agli interessi dei dipendenti dell'IBGE e, pertanto, non potrebbe avere l'acronimo IBGE nella sua nomenclatura.

È come se l'autore del parere avesse scoperto che “Casas Bahia” non limita la sua attività a Bahia e che la società non è rappresentativa dello Stato di Bahia.

La scoperta fatta, nel caso dell'ASSIBGE, infatti, è piuttosto tardiva, in quanto le associazioni dei lavoratori di enti che operano nello stesso territorio dell'IBGE utilizzano l'acronimo IBGE dal 1947.

E vale la pena sottolineare che si tratta di un limite che il potere economico non ha mai inteso oltrepassare, soprattutto perché si tratta di una forma minima di riconoscimento dell’interrelazione tra capitale e lavoro.

La posizione della direzione dell'IBGE va oltre ogni limite di legalità che, come detto, costituirebbe già elemento di affermazione del potere di sottomissione dei lavoratori.

Si tratta, quindi, di un movimento che cerca di negare l'esistenza stessa storica dell'organizzazione sindacale e perfino il rapporto stesso dell'Istituto con i dipendenti.

E questo movimento, tragicamente, si spiega con il contenuto dello stesso parere, la cui origine è una risposta all'azione della deputata Sâmia Bonfim, che, in una manifestazione promossa dal sindacato dei dipendenti pubblici, ha messo in dubbio l'uso dell'acronimo IBGE+, come nome della fondazione privata creata per fornire servizi nello stesso ambito dell'IBGE, ma entro i parametri del diritto privato.

Nel parere, il prolatore nega qualsiasi irregolarità nell'uso del nome IBGE+ e, dal nulla, senza alcuna interpellanza, coglie l'occasione per “scoprire” che il nome sbagliato sarebbe quello commerciale del sindacato, pur avendone esisteva da decenni. E quel che è peggio, in base a ciò, la direzione dell'Istituto invia una “notifica” al sindacato, ordinandogli di cambiare denominazione entro un massimo di 15 (quindici) giorni.

Si tratta, quindi, di un atto amministrativo motivato dal meschino sentimento di rivalsa, in totale disaccordo, anche con l'art. 37 della Costituzione federale e che, inoltre, invade la sfera della magistratura.

Se fosse in un altro contesto politico, si direbbe certamente che saremmo arrivati ​​allo stadio esplicito dell’autoritarismo fascista.

In ogni caso, si tratta pur sempre di un grave affronto all’ordine democratico che non può essere semplicemente trascurato, soprattutto di questi tempi.
È necessario quindi da parte mia esprimere il più veemente ripudio di questa esplicita violenza contro l'ASSIBGE, che colpisce direttamente l'insieme della classe operaia.

*Jorge Luiz Souto Maior è docente di diritto del lavoro presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'USP. Autore, tra gli altri libri, di Danni morali nei rapporti di lavoro (Redattori dello Studio) [https://amzn.to/3LLdUnz]

Nota


[1] Bernard Edelmann La legalizzazione della classe operaia. Coord. tradotto da Marco Orione. San Paolo: Boitempo, 2016, p. 14.


la terra è rotonda c'è grazie ai nostri lettori e sostenitori.
Aiutaci a portare avanti questa idea.
CONTRIBUIRE

Vedi tutti gli articoli di

I 10 PIÙ LETTI NEGLI ULTIMI 7 GIORNI

Vedi tutti gli articoli di

CERCARE

Ricerca

TEMI

NUOVE PUBBLICAZIONI