da ANTONINO INFRANCA*
Considerazioni sull'opera del filosofo ungherese dalla lettura critica fatta da Dussel
“Il progetto filosofico di Agnes Heller”[I] è un dialogo perduto, perché questo saggio di Enrique Dussel non ha ricevuto da Heller alcuna risposta, se non una battuta di altezzosa indifferenza: “Ricordo che ho incontrato anche Enrique Dussel a Cartagena. Afferma che sono molto eurocentrico. In effetti, Dussel lo dice a tutti i filosofi che non sono nati in una terra del Sud. Non ho mai capito cosa volesse dire, perché la formazione che ha avuto, secondo me, viene anche dall'Europa; che l'abbia mediato con il suo contesto è un'altra questione, ma non vedo perché dovrebbe fare questa distinzione. Ho molta simpatia e stima per il pensiero di Dussel, ma sicuramente abbiamo posizioni diverse rispetto a Marx e al marxismo”.[Ii]
Heller non comprende che il senso della critica all'eurocentrismo è rivolto proprio alla divergenza di interpretazione rispetto a Marx e al marxismo. Per dire l'essenziale, Dussel riprende proprio l'etica di Marx, che Heller intravide solo nella sua fase ungherese, cioè un'etica dei valori, ma per Dussel in Marx, più che un'etica dei valori, c'è un'etica che nasce dalla critica di economia politica, dunque, della riflessione economica di Marx che, secondo il filosofo latinoamericano, è assente nella riflessione del filosofo ungherese.[Iii]
In particolare, Dussel osserva che Heller ha prestato poca attenzione alla critica marxista dell'economia politica, nella quale, appunto, è contenuta l'etica di Marx. Heller non ha ben compreso cosa significasse per Marx lo sfruttamento del lavoro vivo, cioè la vita materiale dell'operaio, e afferma: “Per Marx, il 'lavoro vivo', il soggetto vivo e corporeo […] del lavoro, lavoratore, non può avere valore di scambio, in quanto è la 'fonte creatrice di valore'. Il soggetto vivente, la sua 'vita umana' è il criterio di validità del valore, il suo fondamento, ed è dalla vita umana del lavoratore che si giudica […] il capitale come causa della sua morte, miseria, derealizzazione, negazione ”.[Iv] In sostanza, Heller avrebbe confuso il bene, cioè una buona vita per il lavoratore, con il valore, motivo per cui sosteneva che Marx avrebbe sviluppato un'etica dei valori, mentre Dussel insiste che in Marx esiste un'etica della vita materiale .
Inoltre, per Dussel, in Marx c'è anche una posizione etica che è emersa in lui insieme alla sua critica dell'economia politica e che si può riassumere nell'espressione “mettersi dalla parte delle vittime del sistema”, cioè, Marx si schierò dalla parte degli operai inglesi, vittime dell'incipiente sistema capitalista industriale dell'Inghilterra del XIX secolo. Heller non si è mai schierato con nessuna vittima. Lei stessa è stata vittima del sistema del socialismo realizzato, ma in seguito ha scelto il suo “posto” nel mondo anglosassone. È una scelta di tutto rispetto, ma anche aperta. Non ha scelto di schierarsi per difendere i diritti delle minoranze, come gli indigeni australiani o gli afroamericani negli Stati Uniti. La posizione che Dussel assume, o meglio, il “luogo” in cui si radica per assumere un'altra tradizione culturale che arricchisce quella europea, il “luogo” che sceglie, cioè per stare accanto alle vittime del sistema di sfruttamento e l'esclusione rappresentata dall'attuale globalizzazione, ci fa capire che l'eurocentrismo non è una questione di formazione culturale, ma di critica emancipatrice e di riconoscimento di valori universali.
Dussel ha una conoscenza molto ampia e molto profonda delle opere di Marx, per cui il suo giudizio sul filosofo tedesco può ritenersi particolarmente convincente. Dussel non riconosce in Marx l'esistenza di un'etica dei valori, come invece sostiene Heller. A sua volta, l'etica di Dussel non si basa sui valori, perché nessun valore può essere superiore alla vita, perché senza vita nessun valore è vitale o sostenibile: senza vita non ci possono essere libertà, patria, partito, ideali, ecc. La vita è la condizione fondante dei valori, quindi l'etica di Dussel è un'etica materiale, fondata sulle categorie della vita materiale: produzione, riproduzione e sviluppo della vita.
Dussel riconosce che Heller ha utilizzato nella sua etica alcune di queste categorie materiali, ereditate da Lukács, ma spese soprattutto in senso individualistico.[V], non comunitario, come invece affermava il suo professore. Heller, infatti, nel corso della sua produzione filosofica, progressivamente abbandonò la posizione lukácsiana per avvicinarsi sempre più decisamente ad Hartmann, che era appunto uno degli obiettivi critici di Lukács. Proseguendo il proprio percorso filosofico, Heller finì per adottare concezioni che provenivano da Schopenhauer, Schelling, Kierkegaard e Nietzsche, che furono i principali obiettivi critici di Lukács, che li accusa di irrazionalismo, nel suo La distruzione della ragione, un'opera ampiamente criticata come stalinista dal suo ambiente filosofico dominante. Tuttavia, Heller, che visse con il maestro per almeno venticinque anni e proprio nel periodo in cui stava scrivendo quell'opera, avrebbe dovuto sapere che quell'opera era essenzialmente antistalinista, che le critiche di Lukács avevano più punti di validità .
In termini tecnici e generali, Heller svilupperebbe una morale più che un'etica, con la morale rivolta all'individuo e l'etica alla comunità degli individui. Questo carattere individualista di Heller appare più chiaramente nel suo libro sul Rinascimento, in cui Dussel le contesta proprio di aver trascurato le tappe storiche che sostengono questa tradizione tipicamente eurocentrica, cioè l'Egitto, che ha fortemente influenzato la cultura giudaico-cristiana e la sua. La cultura greca e poi l'influsso arabo nel medioevo cristiano e quindi nella cultura rinascimentale: “Il cosiddetto asse 'Gerusalemme-Atene-Firenze' è ellenocentrico, e l'asse 'Atene-Firenze' è eurocentrico e metropolitano […] more complesso e interessante. E, poco prima, aveva osservato che nelle sue opere sul sistema storico «non c'è autore, ma neppure esempio di fatto storico, dalla Cina, dall'India, dal sud-est asiatico, dal mondo musulmano».[Vi] Dussel critica anche Heller, perché non ha utilizzato l'ebraismo stesso a suo vantaggio, come hanno fatto altri filosofi del XX secolo, come Bloch, Benjamin, Rosenzweig o Buber. Dussel vede in questo sostanziale rifiuto un parallelo con l'altra grande filosofa del Novecento, Hannah Arendt, dalla quale Heller volle ereditare la cattedra del prestigioso Nuova scuola per la ricerca sociale, in New York.
Heller è l'autore di un eccellente etica generale, che inizia con un capitolo intitolato “La condizione umana”. Si sa qual è la condizione umana nel XXI secolo, cioè gran parte dell'umanità vive in una condizione di sfruttamento ed esclusione, non è in grado di avere valori universali come quelli che possono, sulla al contrario, si riferiscono alla parte privilegiata dell'umanità. Altri filosofi, tutti eurocentrici, hanno cercato di sviluppare un'etica basata su valori universali, e la critica di Dussel è stata rivolta proprio a loro, come sottolinea Heller sopra. Solo uno di loro, Karl-Otto Apel, ha accettato il dialogo e ha argomentato una serie di risposte con Dussel, dimostrando così che l'eurocentrismo non è una condizione permanente, ma può anche essere un'ottima posizione per confrontarsi con l'Altro per arrivare insieme alla definizione di un'etica universale.
La critica di Dussel è però profondamente corrosiva e mette in discussione l'intero sviluppo della filosofia di Heller, soprattutto nella fase anglosassone, dopo la sua partenza dall'Ungheria comunista, seguendo libro dopo libro fino al momento dell'elaborazione del “Progetto filosofico di Ágnes Heller”, cioè del 2000. Fino ad allora Dussel è solidale con Heller, mostrando anche alcuni parallelismi autobiografici con le vicende vissute da Heller durante il periodo del comunismo; solidarietà dettata dall'essere entrambi vittime dei sistemi politici in cui si trovavano, vivendo e svolgendo attività intellettuali.
Permettetemi un'osservazione personale, avendo vissuto per due anni nell'Ungheria comunista, ma nel periodo finale di quel regime (1984-1986) e in Argentina per otto anni, ma nel periodo democratico (1993 e 1998-2004), sebbene ancora fortemente segnato dal Guerra Sucia. I due regimi non erano affatto paragonabili: dagli anni '2019 in poi non c'erano più prigionieri politicamente motivati in Ungheria, e anzi Heller, fortunatamente, non passò mai un giorno in prigione; Dussel, invece, subì un attacco alla sua casa di Mendoza e sfuggì letteralmente alla cattura da parte dell'esercito argentino, rifugiandosi in Messico. Heller è tornato in Ungheria, dove è morto nel XNUMX, Dussel non è più tornato a vivere in Argentina. Negli ultimi anni, Heller ha sviluppato una critica al sistema Orbán che soffoca i diritti politici e civili in Ungheria.[Vii] che, purtroppo, Dussel non ha inserito nel suo saggio per ovvie ragioni cronologiche, ma che ha incontrato la sua approvazione, come mi ha detto personalmente.
Heller fece sempre la propria scelta intellettuale sulla base di condizioni vantaggiose: il regime ungherese di socialismo realizzato non garantiva la libertà di espressione e la mobilità personale al di fuori dei confini del paese, ma garantiva una formazione culturale ai migliori livelli della cultura europea. Inoltre, Heller divenne uno studente di Lukács, che fu senza dubbio uno dei migliori filosofi del XX secolo. In effetti, i primi lavori, come ad esempio Sociologia della vita quotidiana, sono stati scritti sotto l'influenza di Lukács, riprendendo alcuni temi da Ontologia dell'essere sociale del maestro, all'epoca ancora inedito. La ricerca di Heller rimase ancora nel campo marxista in Verso una teoria marxista del valore, in cui alcuni temi sono ripresi dagli appunti di etica che Lukács aveva preparato per un suo libro di etica, che non scrisse mai a causa della sua morte; ma, in ogni caso, sarebbe un'etica dei valori, un'etica assiologica.
Il lavoro che ha dato a Heller fama mondiale è stato La teoria dei bisogni di Marx, che richiamava l'attenzione sulla vita materiale in un momento storico in cui cominciava ad emergere la crisi del sistema di produzione capitalistico. La teoria dei bisogni di Marx può essere considerata l'ultima opera marxista di Heller. Heller, però, non capiva – la rimprovera la Dussel – che il lavoratore è sottoposto a una condizione di radicale divisione del proprio essere: la sua capacità di lavoro è dentro il sistema, i suoi bisogni, la sua vita materiale, sono fuori dal sistema. Heller in seguito si è allontanato dal suo maestro, ma questa è la sorte che gli studenti eccellenti riservano ai migliori maestri: una volta che l'allievo ha imparato a percorrere la via del pensiero, sceglie la propria strada. Heller iniziò anche a prendere le distanze dal marxismo e già nel suo filosofia radicale sosteneva di schierarsi con una filosofia radicale. Dussel non contesta questa evoluzione di Heller, contesta tutt'al più il viaggio da centro a centro, contesta inoltre che la sua filosofia non sia così radicale, sia una definizione di diritti, non sia una presa di posizione per vita, soprattutto per la vita delle vittime, dell'Altro.
Questo spostamento di prospettiva è visibile in opere già scritte in inglese, a cominciare da teoria della storia, in cui appare chiaramente la nuova posizione di Heller, che ha ormai trovato per essa il “posto” più adatto. È teoria della storia è pensato per il centro del mondo, cioè Europa e Nord America, nel libro – osserva Dussel – non c'è il minimo accenno di vicende storiche periferiche, come se la storia fosse concentrata solo nel centro, il che indica che non si comprende la dialettica storica del rapporto contrastante tra Centro e Periferia. In sintesi, secondo Dussel, si tratta di riproporre il paradigma della filosofia della storia di Hegel, già arcaico nell'Ottocento, assolutamente infondato nel Novecento; arcaica perché incapace di comprendere che lo sviluppo economico, sociale, politico e soprattutto spirituale del Centro euro-nordamericano è stato possibile perché la Periferia è stata sfruttata, nascosta, negata.
Em Teoria dei sentimenti, tornano i temi dell'individualità, seppur con importanti spunti che rivelano la capacità di Heller di dominare il pensiero dei filosofi del passato. A questo punto, però, Heller si è decisamente allontanato dai temi critici del periodo ungherese, tanto da rivedere anche le fortunate tesi di La teoria dei bisogni di Marx, per avvicinarsi alla morale kantiana[Viii].
In fondo, ciò che fa la differenza tra Heller e Dussel è il loro utilizzo del pensiero di Marx: Dussel estrae da Marx le categorie per comprendere e giudicare il mondo attuale, Heller accetta il paradigma neoliberista al quale avrebbe dovuto contrapporsi. I temi critici in Heller tornano solo quando, insieme a Ferenc Fehér o György Markus, ritorna all'analisi critica del socialismo realizzato, illustrandone la mentalità, l'economia, la quotidianità ed elaborando quella illuminante categoria di “dittatura sui bisogni” che, pur non adattata interamente all'Ungheria di Kádár, che Heller si è lasciata alle spalle, si adatta perfettamente ad altri sistemi socialisti esistenti, ma con la distinzione che Heller non fa: i bisogni nei paesi del socialismo realizzato erano oppressi ma riconosciuti - la gente non moriva di fame, anche quella vivevano miseramente –, nel sistema di produzione capitalistico si è liberi di morire di fame.
Il suo maestro Lukács ricordava sempre un detto di Anatole France: nel sistema borghese liberale non è vietato a un povero vivere sotto i ponti! Dussel aggiunge: Una cosa è vivere a New York, un'altra a Calcutta[Ix]. Ora, la differenza di classe e di vita materiale non è più solo sotto gli occhi, ma si è estesa a tutta l'umanità. I poveri lavoratori africani, o indiani, o supersfruttati latinoamericani affamati sono i nostri vicini, perché lo sfruttamento capitalistico si è globalizzato, è entrato nella vita non solo degli uomini, ma anche delle donne, dei bambini, degli anziani delle periferie, oltre ad attaccare la natura in modo sempre più potente. Occorre avere un'economia ecologica, ripensare tutta la modernità e, soprattutto, la postmodernità, che voleva ancora il capitalismo, seppur riformato.
Heller risponde a questa agenda tutt'al più con una critica tagliente alla sinistra occidentale, che Heller accusa di inseguire ancora il mito terzomondista dell'eroe rivoluzionario. Sono critici che all'interno del movimento intellettuale di sinistra hanno aperto profonde lacune, soprattutto il Partito socialdemocratico australiano ha subito le conseguenze più disastrose. Queste critiche sono cronologicamente contemporanee alla nascita del mito della “Terza Via” nella sinistra occidentale, stanca anch'essa di sostenere una politica da Terzo Mondo. Certo, Heller era a favore del movimento pacifista negli ultimi anni della Guerra Fredda, ma anche allora l'allineamento è unilaterale, come se la minaccia nucleare provenisse solo dall'Est.
Seguendo la tendenza al superamento delle differenze in La condizione politica postmoderna, Heller assume concezioni di stampo arendtiano, prescindendo cioè dalle differenze sostanziali tra nazismo e stalinismo, riunendole nella categoria più generale del totalitarismo. Il superamento della modernità non si vede nell'emancipazione degli esclusi e degli sfruttati, ma nella realizzazione razionale e moderata dei precetti neoliberisti. La condizione alla quale può avvenire questa decisione acritica a favore di una democrazia liberale è, secondo Dussel, quella di lasciare da parte la questione socioeconomica, volendo credere che la politica sia la questione centrale della società contemporanea. Questa posizione fa pensare che per l'ultima Heller la battaglia da combattere sia ancora la sua permanenza nell'Ungheria comunista.
Heller sembra non rendersi conto che, paradossalmente, la sua condizione di intellettuale, vittima del regime ungherese del socialismo realizzato, la obbliga moralmente a continuare a lottare per l'emancipazione di chi si trova in una condizione di esclusione ancora più radicale di quella che lei lei stessa vissuta fino al 1978. Rifiuto Comprendendo la grande condizione di sfruttamento della maggioranza dell'umanità e chiudendosi nella ristretta cerchia della cultura eurocentrica, Heller finisce per ribaltare le sue vecchie posizioni: dal pensiero rivoluzionario si passa lentamente al pensiero conservatore.
Il conservatore pensa che la giustizia sia una questione morale, cioè individuale, come sostiene Heller Oltre la Giustizia. Era, in fondo, la posizione dell'ultimo Lukács, che si oppose al regime stalinista con l'unico strumento a sua disposizione: la penna. Lukács era l'uomo buono, che serviva da modello per Heller, al di là delle critiche che lei stessa gli rivolgeva; critiche che si incentravano su un punto essenziale: Heller rifiutava la riformabilità del sistema del socialismo realizzato, come invece Lukács aveva auspicato. In sostanza, la Heller lo rimproverava per una “riconciliazione con la realtà” che lei stessa aveva attuato. La "riconciliazione con la realtà" è sempre una posizione conservatrice. Heller è finito nella stessa posizione del suo ex maestro: pensa che il sistema neoliberista sia riformabile, che si possa conservare con qualche piccola variazione, un'operazione di “trucco”.
Allontanandosi dalle sue posizioni critiche del periodo ungherese per abbracciare l'ideologia del neoliberismo dominante oggi, Heller vede una sorta di fine della storia: “Credo che la democrazia liberale sia il meglio che possiamo ottenere. E non credo che ci sarà un altro sistema economico dopo il capitalismo”.[X]. Si tratta ovviamente di rinunciare a qualsiasi posizione critica nei confronti del neoliberismo e di ciò che esiste. Quindi, cosa direbbe Heller a una di quelle vittime del sistema dominante sfruttatore, globalizzante ed escludente? La democrazia liberale e il capitalismo sono i migliori e imbattibili, quindi è necessario adattarsi a ciò che esiste, accettarlo senza nemmeno sperare in un futuro migliore. Proprio tutto quello che non ha fatto nell'Ungheria comunista.
Heller potrebbe sostenere che stava raggiungendo qualcosa di esistente, mentre la vittima non ha un mondo alternativo a cui fare appello. Dussel risponderebbe che la vittima ha solo la sua vita, l'unica vita che può avere e che vede diminuire ogni giorno che passa e che ha solo la speranza di lottare per vivere qualche giorno in più. Questa sarebbe la conclusione del dialogo avviato da Enrique Dussel, ma respinto da Ágnes Heller.
*Antonino Infranca Ha conseguito un dottorato in filosofia presso l'Accademia delle scienze ungherese. Autore, tra gli altri libri, di Lavoro, individuo, storia: il concetto di lavoro in Lukács (Boitempo).
note:
[I] Cfr. E. Dussel, “Il progetto filosofico di Agnes Heller. Dialogo dalla filosofia della liberazione”, in: Verso una filosofia politica critica, Bilbao, Desclée de Brouwer, 2001, pp. 243-278.
[Ii] A.Heller, Miagolavo occhi hanno visto, con F. Comina e L. Bizzarri, Trento, Il margine, 2012, p. 107.
[Iii] Cfr. E. Dussel, “Il progetto filosofico di Agnes Heller”, cit., p. 26.
[Iv] Edera, pag. 271,
[V] “Fin dalle sue prime opere storiche si afferma filosoficamente un certo individualismo” (Ivi, p. 246).
[Vi] Ivia, pp. 267 e 266.
[Vii] Cfr. il mio saggio “Dall'epidemia alla dittatura. La lettera del fenomeno Orbán secondo Agnés Heller”, su filosofiainmovimento.it
[Viii] Cfr. E. Dussel, “Il progetto filosofico di Agnes Heller”, cit., p. 261.
[Ix] Vedere Ivi, Ibid.
[X] A.Heller, Il valore del caso. La mia vita, trad. Esso. M. De Pacale, Roma, Castelvecchi, 2019, p. 137.