da VINÍCIO CARRILHO MARTINEZ*
Il concetto di Lo stato di diritto democratico aspira ad una vita molto più reale
Onorevoli colleghi, oggi parleremo di un concetto che aspira a giorni migliori: è il nostro Stato di diritto democratico, e che ha sempre bisogno di cronache politiche, giuridiche e talvolta anche di cronache di polizia, perché le cronache sociali non gli rendono giustizia. Vedremo parte di questa cronaca sociale che attraversa le nostre vite.
Nel mondo reale, messo in luce anche dalla cronaca sociale, molti detrattori dicono proprio questo: “ecco lo stato di diritto democratico blahblahblah”. In effetti, che diavolo è questo, questo tipo di persone che occupano ancora il pianeta Terra nel 2023?
Come sappiamo, con questa espressione (blahbláblá) si intende “che sciocchezza”, “eccoci di nuovo, altra perdita di tempo” o, peggio ancora, come visto con l'ex occupante del Planalto, “vediamo queste quattro righe”. La gente in generale non ha idea di cosa si tratti, ma gli opportunisti di destra e di sinistra approfittano della disinformazione pianificata.
Molte persone dicono che “la teoria in pratica è diversa”. Capisco che molte persone lo dicano perché non hai un'istruzione adeguata e di qualità, quindi non sai cosa sia la teoria. Non è noto che la teoria non è staccata dalla realtà – e se è lontana dal mondo reale, non è teoria, ma ideologia: una sorta di distorsione della realtà.
Più a sinistra dicono che tutto si riduce al cosiddetto Stato borghese e che, cambiando lo Stato, mettendo fine allo Stato, la vita di tutti sarebbe molto migliore. Nel 2023 si predica una rivoluzione sociale senza misurarne le conseguenze. Qui non si discute degli enormi livelli di disuguaglianza sociale con cui ci confrontiamo nella coscienza e nella carne, questo è ovvio. Dobbiamo cambiare molto, svoltare a sinistra, come dicono in politica. Tuttavia, utilizzare la presunta rivoluzione sociale come inno o ricetta per tutti i mali sociali è molto semplificativo, irrilevante, ideologico e inoperativo, vale a dire che la realtà attuale non viene nemmeno presa in considerazione quando si propone di applicare una formula magica, elencata e guidata da salvatori della patria.
A destra si dice che lo Stato protegge gli sconfitti, i pigri, che lo Stato è pernicioso nell’impedire “a ciascuno di fare la propria storia” – o molto più a destra ci si riduce a tali narrazioni, semplicemente, il presupposto che l’assenza dello Stato porterebbe alla vittoria del più forte e alla morte del debole. È un tipo diverso di fascismo, se lo confrontiamo con il progetto politico di Mussolini in Italia, o con lo Stato nazista di Hitler. È ovvio che non si trattava di Stati minimi, bensì di Stati massimizzati dalla plutocrazia militarista e psicotica dell’epoca.
In definitiva, in ogni caso, ci imbattiamo in un problema pernicioso e ricorrente, che chiamerò qui “livellamento verso il basso”, tipicamente ideologico, semplificando o distorcendo la realtà.
In primo luogo, le critiche comuni presuppongono che lo Stato sia una carta bianca, una tabula rasa, in cui qualche persona intelligente inscrive alcune regole generiche e astratte e pone la realtà al di sotto di esse, in questa condizione informe. Questo, di per sé, è assurdo, poiché non esiste alcuna forma di potere che sia una sorta di “tabula rasa”, che convalida tutto ciò che si desidera. Il potere spetta a chi lo detiene, questo è ancora più evidente. Non ci sarà mai uno “spazio vuoto”, un tempo inabitabile in cui il primo a varcare la porta – la lotta per il potere è una lotta mortale, fatale. E lo Stato è una forma di potere, chiamata anche Potere Politico – e non è un potere politico qualsiasi, è un potere ben preciso: centralizzato, organizzato, sovrano. Oppure semplicemente non è uno Stato.
Poi, cosa altrettanto grave, Stato e legge si confondono, nello stesso pacchetto, come se la chiave e la serratura fossero la stessa cosa, avessero la stessa funzione, la stessa finalità d'uso. Chiunque abbia mai visto una chiave e una serratura sa che nulla sarebbe più assurdo se paragonati, a questo livello discendente. In effetti, qualsiasi livellamento verso il basso è schiacciante e inutile come mezzo di analisi. Non ha alcuna validità.
Un altro modo, oggi valido, di costruire una critica direbbe che il concetto non è implementato molto chiaramente in Brasile. Questo è un dato di fatto, se si considera che l'80% della popolazione ritiene di vivere in un paese razzista. L’enorme disuguaglianza sociale, la mancanza di parità, l’uguaglianza tra uomini e donne sono solo alcuni altri esempi, così come la mancanza di qualità desiderabile nella sanità e nell’istruzione pubblica. Su questo non ci sono dubbi; forse con la differenza nel sottolineare che non si tratta di un problema, di una deviazione concettuale, ma piuttosto dell’inefficacia della teoria dello Stato repubblicano e democratico, quando osserviamo l’allocazione delle risorse pubbliche – e le loro deviazioni verso l’accumulo corrotto di cose pubbliche loro stessi.
In realtà il concetto è un modello, un ideale, permeato di fondamenti, obiettivi e rimedi politico-giuridici da osservare. È un ideale, quindi, che necessita di essere attuato in termini di un'adeguata allocazione ai suoi obiettivi e principi. Ma è un ideale diverso, poiché contiene i mezzi, gli strumenti e le previsioni necessari per la sua attuazione: come le disposizioni volte alla giustizia sociale, gli attacchi alla democrazia e la lotta al razzismo – in questo caso, sotto la previsione di non- reati soggetti a cauzione e imprescrittibili.
È quindi ovvio che si tratta di un concetto pratico, pragmatico, finalizzato alla soddisfazione sociale, all’interazione, all’emancipazione e all’uguaglianza o equità. Non è, in definitiva, un ideale catatonico, meramente decorativo ed esplorativo; è una vera utopia costituzionale, nel senso migliore di qualcosa da realizzare, con le risorse e i mezzi già disponibili: è un’utopia ambiziosa e realizzabile.
In altro modo, possiamo anche dire, riaffermare, che l’espressione Stato di diritto democratico è annunciata proprio nel preambolo della Costituzione federale del 1988 – e che questo preambolo è parte attiva, definitiva, dell’ordine costituzionale, cioè è l’indirizzo stesso del diritto costituzionale. La nostra Costituzione è una carta politica e ha un destino certo e riconosciuto, anche storicamente. Il “nostro” concetto ha una storia, ha una zavorra, ha una veridicità costruita dalle lotte popolari – come si suol dire, è stata costruita a costo di molto sangue, sudore e lacrime. Non è caduto dal cielo né è stato creato dalla testa di qualche persona illuminata. È una Costituzione illuminata, non c’è dubbio, però senza persone illuminate ha la forza della verità: è una Costituzione in cui la cittadinanza è attiva e partecipativa.
Forse, in futuro, potremo leggere qualcuno che racconta questa stessa storia come se fosse una cronaca – e la cronaca, si sa, appartiene alla vita di tutti i giorni. La legittima quotidianità in cui si colloca la nostra vita e in cui poniamo noi stessi davanti agli altri. La legittima quotidianità in cui la critica potrebbe essere scossa dallo sguardo di chi si aggira senza un significato preciso, esatto, limitandosi a osservare la vita svolgersi nella forma di una realtà comune a tutti noi.
Chissà, in una cronaca immaginaria, ma di un futuro prossimo, in questa nostra cronaca non ci saranno più personaggi di fantasia, storie che passano solo davanti ai nostri occhi. Che in questa cronaca nulla è vago, vuoto, e che è inoculato di significati condivisi. O che questi personaggi siano così vicini alla nostra realtà che ci rivediamo in ognuno di loro – in modo dignitoso, onesto con ciò che vogliamo per noi stessi e per gli altri.
Non sarebbe una cronaca poliziesca e giornalistica che ti riempie gli occhi di sangue. Sarebbe una cronaca che accadrebbe qua e là, in una rete di pescatori, alla Dorival Caymmi: senza nostalgia. Al contrario, vedremmo il mare in cui la realtà politica si andava solidificando a poco a poco, solidamente, senza esplosioni folli, come realtà trasformata.
In questa cronaca non ci sarebbe stato nessun bambino per strada, indifeso, nessuna donna molestata, aggredita, nessun uomo che avesse perso il coraggio di fronte al male, al male proprio e degli altri. In questa cronaca della vita pubblica, le persone, i personaggi non avrebbero paura dell'odio, non avrebbero paura delle altre persone. I nostri personaggi verrebbero educati, nutriti, nutriti con filosofia e saggezza. I bambini sarebbero il nostro futuro e non le nostre paure.
La nostra cronaca, come vuole questo genere letterario, non si sfalderebbe dopo la lettura, non sarebbe la vecchia carta di un giornale, né uno schermo sbiadito, perché saremmo tutti lì, come in una bella passeggiata nel parco. Un giorno, come questo giorno di sole in cui ti scrivo e ti parlo, le nostre vite avranno questo significato. Il concetto sarebbe il modo migliore per comprendere la realtà, l’utopia non sarebbe credenza, ma il cammino della storia. In questa cronaca, in questo giorno – che verrà – nessun lavoratore sarebbe impotente, nessun lavoratore sarebbe accusato di essere donna. Infatti, proprio da queste due affermazioni, è facile vedere quanto siamo lontani, separati, da un mondo che ha bisogno di essere più ovvio – o per meglio dire, da una realtà in cui l’ovvio non ha più bisogno di essere difeso.
Una cronaca è ciò che vogliamo per noi stessi?
Senza dubbio, una cronaca della realtà quotidiana, ben misurata dalle nostre potenzialità, ben calibrata con i nostri bisogni, ben bilanciata dai nostri desideri che necessitano di essere realizzati, rifatti, da tutti. Sarebbe la cronaca di un “nuovo contratto sociale”. Certamente lo sarebbe, perché l’attuale contratto sociale esclude la stragrande maggioranza della popolazione brasiliana. E questo “nuovo contratto sociale” può essere creato, rifatto? Sì, è possibile, se c’è legittimità nell’azione politica, sociale e giuridica che costruisce la nostra cronaca quotidiana.
Questo è nella formula dello Stato di diritto democratico, questo è nell’ovvio che dovrebbe essere una realtà comune, dovrebbe essere gridato, senza bisogno che io sia qui, e tu là, a dire e ripetere questa stessa ovvietà . Con questo vediamo quanto dobbiamo avanzare, affinché l'ovvio sia così evidente che nessun altro debba ripeterlo a se stesso o agli altri.
È un concetto reale maturo; Come dice il nativo, ha solo bisogno di maturare.
A me non piace ripetere le cose ovvie, e nemmeno a te – ne sono sicuro –, perché è peggio che raccontare una barzelletta noiosa e noiosa ancora e ancora. Vorrei quindi concludere per oggi assicurando che si tratta di un concetto aperto al futuro, per un “fare politica” in cui le nostre realtà si intrecciano, allineandosi sul percorso comune (teleologico), e impegnando nella cronaca sociale ciò che vogliamo per noi stessi e per gli altri.
Benvenuto, benvenuto in questa futura cronaca sociale – nella quale soprattutto, d’ora in poi, tu, ovunque tu sia, continuerai queste poche righe e poche parole di buon senso interpretativo e utile ad un concetto che anela ad un concetto molto più reale. vita.
C'è una scogliera più avanti? Per chi non ha capito niente forse; In effetti sì, c'è. Mi riferisco a coloro che sono obbligati a comprendere meglio questo concetto, che richiede realtà, non veridicità (sono condizioni diverse), e che non lo fanno. E il precipizio è uguale per tutti. Voglio però credere che avremo la forza di superare il ponte che ci separa.
*Vinicio Carrilho Martínez È professore presso il Dipartimento di Educazione dell'UFSCar.
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