La danza della gru trampoliera

Henri Matisse, La ballerina, 1949
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da REMY J. FONTANA*

Commento al libro di Pedro Porto

“la libertà maestra è figlia del vento\tuttavia è l’anima della democrazia” (Pedro Port)

A danza della gru con i gambali di Pedro Port (Pedrinho) anche per coloro che hanno già letto alcune delle sue poesie e poesie e che conoscono il suo stile preciso ed elaborato, che attinge all'erudizione classica, di fronte a quest'opera della sua tarda maturità, la cui realizzazione ha richiesto due decenni , ti imbatti in una pletora di immagini vertiginose, ti trovi di fronte a una densità di parole strane e riferimenti enigmatici che sfidano la comprensione anche di una persona con una ragionevole formazione letteraria, conoscenza accademica e illustrazione culturale.

Se si trattasse dello scritto di un giovane poeta, di uno scrittore alle prime armi, potremmo vedere in questa raffinatezza un'ostentata pedanteria, ma non è così, perché qui siamo di fronte a qualcuno che ha già elaborato queste futili ambizioni, ha ha già digerito i suoi classici, li ha già metabolizzati nella tua lingua; sa di cosa parla, ha affinato il proprio stile, ora vuole esprimersi con la naturalezza di chi ha padroneggiato il suo mestiere e lo svolge con passione applicata e costante.

Pedrinho appartiene a una stirpe di poeti come suggerisce il vecchio luogo comune, vive solo e interamente di e per poetico; è qualcosa di inadeguato alle esigenze prosaiche della vita quotidiana nuda, cruda, crudele. Non respira altro che versi, mangia poco se non parole, beve allegorie, sogna ad occhi aperti immagini e metafore. La sua conversazione è intervallata da versi già scritti o in preparazione. La sua fede estetica è luckacsiana, ha debuttato come poeta in un'antologia a metà degli anni '1960 a Porto Alegre, con la prefazione di Mário Quintana, ha viaggiato attraverso i mondi latinoamericani, ha vissuto per un periodo in Portogallo e, infine, è sbarcato a Florianópolis negli anni '1970. , tra le spiagge di Bom Abrigo, Sambaqui, Lagoa da Conceição e Campeche.

I suoi temi, figure retoriche, concetti e termini rari o oscuri esplorano dolori e gioie, avventure e disgrazie, potere, tirannia, democrazia, conquiste, desolazione e impotenza delle miserie umane, attraverso l'uso di allegorie e mitologie.

Anche per un lettore come il sottoscritto, poco appassionato, non proprio assiduo o pratico del linguaggio poetico, in questa danza della gru rischiosa c'è il rischio di emozionarsi per le ispirate costruzioni testuali, con i suoi risultati sorprendenti, con le sue immagini potenti, con le sue virtuosismo semantico, anche se deve ballare con un piede solo.

Le sue frasi in rima e ritmate, spezzate o troncate e spezzate, concatenate o interrotte, seguono talvolta l'automatismo della penna dell'autore, sgorgando rivoli di una coscienza inquieta, talvolta tormentata, ma sempre tagliente in ciò che indica, istigante in ciò che suggerisce. , e provocatorio in ciò che afferma o mette in discussione.

È un tentativo di parole, una guerriglia semantica, un caos di filigrane, un inno all'abbondanza di termini, sì, inverosimili, che ruotano, rigurgitano, avanzano, spezzano, aprono o chiudono sentieri e passaggi, schiariscono ombre, si mescolano figure o personaggi nelle loro danze e volteggi, veloci o saltellanti, saltanti o brulicanti in una frenesia di movimenti entro labirinti, sull'orlo degli abissi e “i mari che ruminano e poi si calmano nella calma bovina”.

Un lettore ignaro o una lettura superficiale, però, ignara delle inflessioni del linguaggio, delle curvature dell'argomento, dell'instabilità dei significati e di tanti altri requisiti per una buona interpretazione, può, alla fine, vivere qui un'esperienza tormentosa.

Chi invece guarda qui con attenzione, ma non con tensione, bensì con animo disteso, lasciandosi avvolgere dal torrente di parole ed espressioni, lasciandosi penetrare dal diluvio di significanti, di sottolineature e di intonazioni poetiche e immaginifiche avranno il loro momento felice, saranno ricompensati e compensati per l'immersione profonda da cui emergeranno ansanti.

Un lettore così attento e possibilmente un appassionato di scrittura poetica non deve preoccuparsi perché qui non leggerà demagogia, non c'è “falso discorso e finta lode”, è pura poesia, belle parole, belle frasi, un verbo ballare, un corso da seguire, discorso da pronunciare. Per questo lettore il rischio è quello di farsi sfiorare da una leggera brezza ammaliante.

La danza della gru trampoliera è un poema epico, dalle inflessioni drammatiche e liriche, che scorre con slancio instancabile attraverso le pagine del libro. Non c'è una storia lineare in esso raccontata, né il suo linguaggio è semplice. Nella stirpe delle lunghe poesie in prosa, non ci sono parti o capitoli, solo un torrente espressivo di parole dette/scritte e lette d'un fiato, che saltano e danzano attorno a eventi, leggende, miti, allegorie, personaggi e situazioni.

È un invito a immergersi nell'oceanica mitologia greca, dove ci sono scontri titanici, tragedie omeriche, tirannie crudeli, dolore di madri dal cuore lacerato, fatiche erculee, punizioni esemplari, divinità olimpiche, oracoli che rivelano il futuro, muse ispiratrici. , la democrazia nell’agorà delle città-stato.

Questo contesto è certamente difficile da comprendere per un lettore medio non esperto di mitologia.[I] o nell'arte poetica, ma è allo stesso tempo occasione per accostarsi ad un'opera di qualità letteraria, ispirata, elaborata, con trovate stilistiche e narrative di grande finezza ed espressività.

Ma non tutto è complessità e difficoltà; il testo alterna passaggi impegnativi, che richiedono sforzo interpretativo e una mente ariosa, ricettiva, disarmata, lontana da luoghi comuni e azioni prevedibili dei personaggi e dalle loro attese sensazioni ed emozioni, con passaggi chiari e comprensibili che si riferiscono alle diverse dimensioni della vita quotidiana, sia essa livello individuale, ovvero quelle che si verificano attorno al potere, con le sue trame, intrighi, soprusi e prepotenze.

Questa continua alternanza di riferimenti allegorici con quelli della vita così com'è nella sfera reale ed esistenziale, è evidente quando dal piano delle danze della gru trampoliera, nelle loro molteplici rappresentazioni, sembianze e incarnazioni, siamo trasposti in ambiti prettamente umani, in attraverso i quali possiamo, attraverso rispecchiamenti e somiglianze, riconoscere eventi e personaggi della nostra contemporaneità.

Ci sono, quindi, in questo testo poetico brani che possono insospettirci, se non esasperare, che sono però compensati da un'espressività inventiva, da costruzioni verbali altamente suggestive sia degli stati d'animo che dello stato delle cose nel mondo. Una delizia, un'apertura a comprendere le sottigliezze della vita, le sue inflessioni, i suoi drammi, i suoi rischi, le sue gioie e pienezza.

Si tratta dunque di un testo squisito, a tour de force letterario, di travolgente erudizione nell'universo di riferimenti classici in cui si muove. Dobbiamo attraversarlo con una certa disposizione, ma c'è un filo conduttore a guidarci, una sequenza testuale danzante, di una danza che conduce e scandisce i movimenti del trampoliere e di tanti altri personaggi. Tutto e tutti si uniscono alla danza, una danza folle, in cui movimenti aggraziati di sottile leggerezza ne seguono altri di equilibrio instabile e precario. Leggende, miti e figure allegoriche danzano nei loro eterei spazi fantastici; altri danzano sul duro terreno della realtà, calpestando la materialità delle loro esistenze prosaiche.

In questo modo, se non ci lasciamo contenere, intimidire o rinchiudere nei labirinti mitologici che permeano il testo, la comprensione si realizza attraverso l'interezza della scrittura, attraverso l'interezza del testo che tesse la trama della vita, collegando gli eventi, le le azioni, gli inganni, gli inganni di cui sono fatti la vita, la società e il potere.

Vedi il brano in cui l'autore denuncia l'atto di coloro che pretendono di agire in nome del popolo, la farsa grottesca dei loro eccessi, del loro arrivismo demagogico a voce alta, di gente che garantisce il proprio potere gridando, che si nutre delle credenze e l'ingenuità di coloro che dovrebbero essere dei salvatori, ma nei rapporti umani sono solo coloro che opprimono il popolo. Risonanze e remissioni di un periodo orribile recentemente superato nel nostro Paese, governato rudemente da un cialtrone idiota, “il cui debole rendimento ha garrotato la tirannia a sua volta screditato e pervertito la democrazia”.

Un Paese, va detto, in cui l’equivalenza civile non ha ancora prosperato tra i suoi individui reali, dove i diritti e le libertà sono stati limitati fin dalla sua nascita, quando, e tuttora, prevaleva e continua a prevalere la furia sanguinaria e di saccheggio del predatore. , che continua ad alimentare la loro usurpazione con il “bottino dei loro mali”.

Oppure prestate attenzione ad un passaggio che suggerisce l’origine e la condizione di tanti:

eravamo la signora delle ombre
Non avevamo soldi né diritti
 Noi infatti non avevamo né un'aia né una sponda del fiume
 Eravamo ombre di una storia brulicante, oh signora
 di ombre erranti, orde senza nome
di origini incerte
 siamo stati portati dai venti
 aria calda che spira dalle isole
 più remoto orientale
 consegnare la terra ionica
morire in esso come ombre platoniche
ma noi ombre continuiamo a copulare
con tutto il rispetto, signora
di ombre popolose che popoliamo
il pavimento che veniva dalla storia
gli etti che non ci appartenevano
secondo il sacro diritto
quelle grandi generazioni di proprietari terrieri
sempre e solo per se stessi, affermavano
sempre a scapito
del movimento oscuro
della massa oscura
che videro radunarsi, che videro ballare
nella gigantesca fica della femmina
quali ombre non hanno mai smesso di partorire.[Ii]

Così spesso invocato o ispirato dai Cantos de Maldoror, forse Pedrinho potrebbe aprire il suo testo con un'epigrafe tratta dall'opera dell'autore francese Comte de Lautréamont (Isidore Lucien Ducasse): “Non è giusto che tutti leggano le pagine che seguono ; solo pochi potranno godere impunemente di questo frutto amaro. Di conseguenza, restringendo la tua anima, voltati e torna indietro prima di addentrarti ulteriormente in terre così sconosciute e pericolose”.

Contro spiriti già spenti e cervelli senza memoria, nelle immagini di Pedro Port, troviamo un'agenda di intervento per questi tempi così superficiali, così violenti e privi di dignità e umanità.

Come Palamede, principe della mitologia greca associato all'invenzione dell'alfabeto, che faceva danzare le parole e cantare le lettere, Pedrinho ci mette nella danza delle lettere con cui scrive i suoi versi, ci fa volteggiare nei corridoi della sua semantica, avvolti nella musicalità della sua eloquenza poetica.

Ci richiama alla sovranità dell’uomo, non permettendo mai “alla natura di brutalizzare semplicemente l’immensa e instancabile forza che lo ha assistito nei favolosi e vitali vagabondaggi delle sue avventure…, collegandolo alla causa indistruttibile della democrazia, anche oggi, ancora non compresa”. …”.

Dall’intricato percorso che abbiamo percorso, tra le molte eredità di questa poesia, ci resta un riferimento all’eredità della democrazia e alla sua pedagogia, poiché è intrigante come e perché abbiamo permesso a un politico, “un minaccioso ciarlatano, di getta un presagio morboso sulla nostra giovane democrazia, non è questo l’argomento che stiamo cercando di affrontare adesso? Allora veniamo al dunque, ma senza metafisica…”.

Questa è la danza della gru dalle lunghe gambe, “la danza delle danze, è la danza più pazza, è la danza più loquace, danza pazza, danza pazza,… una sequenza sfrenata di baldorie di danze senza fine”.

*Remy J.Fontana, sociologo, professore in pensione all'UFSC. Autore, tra gli altri libri, di Dalla splendida amarezza alla speranza militante – saggi politici, culturali e occasionali (Ed. insulare.). [https://amzn.to/3O42FaK]

Riferimento


Pedro Porto. La danza della gru trampoliera. Florianópolis, Editora Insular, 2023, 196 pagine. [https://amzn.to/48WFVkY]

note:


[I] Non sarebbe irragionevole, oserei suggerire, includere un glossario di riferimenti mitologici alla fine di questa poesia.

[Ii] p.124, 125.


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