da ATILIO A. BORO*
Una proposta con vizi procedurali è stata respinta, a causa del carattere antidemocratico della sua gestazione e del suo funzionamento; e la riduzione dei diritti e delle garanzie ancora contenuti nella Costituzione del 1980
Il referendum di domenica in Cile non è stato solo una questione se approvare o meno un'aberrazione costituzionale retrograda, ma anche un primo test dell'assetto delle forze politiche in vista delle elezioni presidenziali del novembre 2025. Per fortuna, il verdetto delle urne ha messo fine alla nuova proposta costituzionale e ha segnato un duro colpo alle speranze di affermarsi della destra neofascista pole della futura corsa presidenziale. Questo perché, se avesse trionfato il “Un favore”, il Partito repubblicano di estrema destra e il suo leader, José Antonio Kast, avrebbero già avviato la campagna presidenziale cercando di capitalizzare la decisione presa dal popolo cileno, approfondendo la disorganizzazione e disorientamento dei settori democratici e progressisti.
Poco dopo la conoscenza del risultato sono emerse voci, in molti casi con cattive intenzioni: hanno affermato che con il loro voto la popolazione aveva ratificato la Costituzione di Pinochet. Questa conclusione non è solo dannosa, ma anche errata, perché non era questa la posta in gioco. Non si può dimenticare che, nel 2020, il 78% del popolo cileno ha votato contro questo organo costituzionale. Domenica si deciderà se la nuova proposta, elaborata nelle fogne del potere oligarchico cileno, sarà accettata dalla popolazione. Il risultato è stato categorico: “Contra” ha vinto con il 56% dei voti, nonostante le intense campagne di disinformazione, rassegnazione e incoraggiamento all’astensionismo, lanciate disperatamente dalla destra.
Il voto è ora obbligatorio in Cile, ma il tasso di partecipazione dell’88% la dice lunga sul fallimento di questa campagna e sulla sana volontà di partecipare evidente questa domenica. In poche parole, hanno respinto una Costituzione che violava i diritti sociali e lavorativi fondamentali, benediceva la totale mercificazione dell’ambiente, indeboliva ulteriormente la sovranità nazionale sui beni comuni, sanciva l’impunità in materia di diritti umani e limitava significativamente i diritti delle donne e delle persone di genere diverso. identità.
Insomma, è stata respinta una proposta con vizi procedurali, per il carattere antidemocratico della sua gestazione e del suo funzionamento; e, sostanzialmente, la riduzione dei diritti e delle garanzie ancora contenuti nella Costituzione del 1980, soprattutto se si considera che – secondo uno studio dell’UNDP sui cambiamenti costituzionali a livello internazionale – nel periodo post-dittatoriale, tale diploma era stato oggetto di 69 leggi di riforma. Ciò la rese la Costituzione più riformata nella storia del Cile.
In seguito a questi cambiamenti – che in ogni caso rispettavano la filosofia di fondo del suo redattore reazionario, Jaime Guzmán Errázuriz –, fu soppresso l’articolo 8, che “vietava gruppi o partiti a carattere totalitario o basati sulla lotta di classe”, o cioè i comunisti; Furono inoltre eliminati il potere presidenziale di esilio e l'obbligo che le riforme costituzionali fossero approvate da due Congressi consecutivi. Inoltre, venne annullata l'esistenza di senatori nominati a vita (9), che si aggiungerono ai 38 eletti per volontà popolare. E il mandato presidenziale è stato ridotto da sei a quattro anni.
Tenendo conto di questi antecedenti, la proposta avanzata dai libertari costituì un notevole passo indietro che, fortunatamente, fu interrotto dalla sconfitta di “A favor”. Nei prossimi anni, il Cile dovrà affrontare il compito di approvare una Costituzione genuinamente democratica, epurata dall’eredità di Pinochet e dalle aspirazioni riparatrici e autoritarie della sua rapace classe dirigente e della partitocrazia che governa in suo nome, nessuna delle quali accetta l’istituzione di un una democrazia degna di questo nome.
Ciò non accadrà durante la restante durata del mandato di Gabriel Boric, ma è una questione irrisolta che dovrà essere risolta senza ulteriori indugi nel prossimo mandato presidenziale e che richiederà enormi sforzi di sensibilizzazione e di organizzazione delle forze democratiche e popolari. Intanto è tempo di festeggiare. Non perché si sia scelto qualcosa di buono, ma perché il popolo cileno ha saggiamente impedito che al male seguisse qualcosa di molto peggio. E, in effetti, guardando le cose da questa parte delle Ande, una vittoria dell’estrema destra in Cile ha impedito di rafforzare la “ferocia del mercato” dell’anarco-capitalismo argentino.
*Atilio A. Boro è professore di scienze politiche all'Università di Buenos Aires. Autore, tra gli altri libri, di Gufo di Minerva (Voci).
Traduzione: Fernando Lima das Neves.
Originariamente pubblicato sul giornale pagina 12.
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