Il debito pubblico in una prospettiva marxista

Immagine: Sami Anas
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Di JOSÉ RAIMUNDO TRINDADE*

Il debito pubblico funziona come un modo deliberato per il sistema di produrre la distruzione del capitale di prestito.

“Il debito pubblico ha fatto prosperare le società di capitali, commerciare titoli negoziabili di ogni genere, strozzinaggio, insomma il gioco della borsa e della banca moderna” (Karl Marx).

Il numero di ricerche e studi specificamente marxisti nell'area della finanza pubblica e della teoria monetaria è piuttosto esiguo, il che non sorprende dato l'esiguo numero di ricercatori che in qualche modo si occupano di questo quadro teorico. In ogni caso, questo tema è compreso nel campo più ampio della teoria del credito, a cui i marxisti prestarono poca attenzione, pur considerandone la grande importanza.

Nel 2017 abbiamo avuto la possibilità di pubblicare l'opera dal titolo Critica dell'economia politica del debito pubblico e del sistema creditizio capitalista: un approccio marxista. Il testo che segue riassume quell'opera, che invitiamo i lettori a visitare e criticare, anche considerando l'importanza assunta dalla costruzione di visioni contrarie all'ortodossia economica in vari campi di analisi.

Il caso dell'economia statunitense è l'espressione più evidente del significato assunto dal debito pubblico nelle attuali dinamiche del capitalismo. Secondo i dati di Statistica finanziaria internazionale (FMI), il debito pubblico lordo della principale nazione capitalista è passato da circa 410 miliardi di dollari all'inizio degli anni '70 (1971) a quasi 4 trilioni di dollari alla fine degli anni '90 (1997), superando la soglia degli Stati Uniti $ 10,0 trilioni nel 2010 e rappresentano il 68,9% del PIL degli Stati Uniti. Secondo Associazione dell'industria dei titoli e dei mercati finanziari (SIFMA) nel 2010, il volume giornaliero di titoli del Tesoro USA scambiati ha raggiunto i 500 miliardi di USD, con il 75% dei titoli detenuti da investitori stranieri (3,3 trilioni di USD), la Cina detiene 1,1 trilioni di USD e il Giappone 800 miliardi di USD sono i maggiori obbligazionisti.

Lo stesso vale per le principali economie dell'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), che negli ultimi decenni hanno registrato una particolare espansione del debito e dell'utilizzo finanziario dei titoli di Stato. Nel 1999 il debito pubblico nazionale rappresentava il 117,7% del PIL italiano, il 114,1% del PIL belga, il 62,6% della Germania, il 65,2% della Francia e il 54,0% del PIL del Regno Unito. Nel 2010, già in piena crisi e instauratosi il “predominio” delle agenzie di rischio, il debito pubblico nazionale rappresentava già il 120% del PIL italiano, il 76,9% in Germania, l'87,4% in Francia e l'80,3% del PIL nel Regno Unito .

La crisi del capitalismo mondiale instauratasi a partire dal 2008 ha messo in luce con chiarezza l'interazione tra credito pubblico e modus operandi del sistema finanziario, dimostrando le particolari relazioni tra finanza statale e sistema creditizio globale. La crisi del debito sovrano instauratasi in Europa ha seguito una miccia iniziata negli anni '1980 quando l'incapacità di rifinanziare le cosiddette economie emergenti, e negli anni '1990 sono particolarmente acute le crisi localizzate: messicana, russa, brasiliana e che culmina nel crollo dell'economia argentina nel 2001 e presenta un "dejá vu" nella crisi greca del 2015, e nessun cambiamento posto nell'attuale ordine capitalista mostra l'impossibilità di imporre una nuova e più forte crisi anche nel centro capitalista.

L'inferenza empirica della partecipazione del debito pubblico al sistema creditizio è ben nota e l'evidenza di ciò è di particolare importanza per comprendere le dinamiche globali dell'accumulazione capitalista. Nel corso degli anni '1980, ad esempio, fondi pensione e fondi di investimento hanno investito almeno un terzo dei propri portafogli in titoli del debito pubblico. Negli anni '1990, anche se questa percentuale è diminuita, i titoli del debito pubblico nelle economie sviluppate sono rimasti la forma più sicura di prestito di capitale a disposizione dei capitalisti e dei vari redditieri.

La finanza pubblica non svolge solo la funzione di finanziamento della spesa pubblica, ma anche altre due funzioni: (1) quella di regolazione interna del sistema creditizio, con l'utilizzo delle riserve fiscali, quale componente importante delle riserve monetarie che determinano la dinamica il capitale di prestito, oltre all'emissione di titoli di stato come mezzo per mobilitare capitale di prestito e riciclaggio di capitale fittizio; (2) il sistema del debito pubblico in funzione di assorbimento del capitale prestato, fungendo da fattore di controllo sistemico per i capitalisti. Questo modello funzionale è limitato in primo luogo dai tipi, dalle condizioni e dall'entità dell'espansione della spesa pubblica e poi dalle condizioni di riproduzione allargata del sistema, considerando, principalmente, l'integrazione dei diversi circuiti di accumulazione regionali e nazionali.

Il sistema creditizio costituisce uno dei principali fattori condizionanti dell'accumulazione di capitale, e la teoria monetaria marxista si fonda proprio sulla forma monetaria del credito e, nello specifico, la dinamica di formazione delle riserve monetarie fa del credito una componente endogena del sistema. Il sistema del debito pubblico fa parte del sistema creditizio globale dell'economia capitalista, costituendone la componente originaria, essendo il sistema creditizio uno dei principali elementi concreti sviluppati da Marx per spiegare le dinamiche capitaliste, apparendo come un prodotto dello sforzo del capitale risolvere le contraddizioni interne al sistema economico.

L'unità del sistema creditizio si costruisce attorno alla riproduzione del capitale, essendo il ciclo del capitale produttivo la fonte irradiante del valore reale che alimenta le diverse componenti che si inseriscono nella circolazione del capitale sociale, principalmente credito commerciale e capitale bancario, come nonché porzioni di valore monetario destinate ad altre funzioni della riproduzione sociale, in particolare le entrate fiscali e il sistema del debito pubblico come forme di finanziamento dello Stato capitalista.

Lo Stato si presenta nel sistema creditizio come uno dei maggiori richiedenti di fondi di capitale di prestito, compreso il debito pubblico, la principale forma di domanda di capitale monetario a fini non riproduttivi. L'emissione di titoli pubblici consente la conversione del capitale monetario in moneta di reddito, il flusso di alimentazione per la circolazione del denaro tra capitalisti e consumatori, in questo caso specifico lo Stato considerato come il più grande consumatore sociale del capitalismo.

Vale la pena notare che lo Stato è una componente vitale della riproduzione sociale capitalista e, pertanto, ha bisogno di essere sostenuto dal capitale per sviluppare le sue specifiche funzioni di legittimazione ideologica e controllo sociale, oltre alle funzioni economiche sussidiarie integrate nel processo di accumulazione. Le dimensioni dello Stato capitalista moderno sono legate a un numero vario di fattori, dalla crescente complessità della società capitalista mercantile, che richiede vaste infrastrutture pubbliche, parte delle quali necessarie alla riproduzione del capitale privato; passando per l'apparato bellico-militare che sostiene il potere imperiale e il comando delle borghesie nazionali, alle funzioni anticicliche o di controllo parziale delle crisi cicliche e strutturali del capitalismo, finanziate principalmente dal debito pubblico.

Lo Stato necessita di una parte del plusvalore prodotto nel sistema di riproduzione capitalistico per finanziare le sue spese e, d'altra parte, le spese statali sono destinate al mero consumo, non costituiscono elementi di accumulazione, in quanto le sue spese fanno parte del patrimonio improduttivo della società consumo. In tal modo, le spese statali in generale sono esclusivamente, dal punto di vista sociale, nella sfera del consumo e non dell'accumulazione.

Con lo sviluppo dei rapporti capitalistici, l'ottenimento di entrate fiscali dallo Stato non solo inizia ad avvenire su base puramente monetaria, ma diventa principalmente tassazione sulla ricchezza liquida, cioè sul plusvalore ottenuto ad ogni nuovo ciclo riproduttivo, il cui limite è posto dalla capacità di espansione dell'accumulazione di capitale. Allo stesso modo, furono imposti nuovi limiti all'indebitamento pubblico: la capacità di indebitarsi divenne funzione dell'espansione del sistema creditizio internazionale e, d'altra parte, la capacità di pagare prestiti fu legata alla capacità di riscuotere le tasse.

Il gettito fiscale implica che la borghesia rinunci a parte del suo patrimonio patrimoniale e lo trasferisca allo Stato. Dal punto di vista del capitalista privato, ciò provoca la perdita del controllo sulla ricchezza generata, di cui lo Stato si appropria. Nella misura in cui lo Stato rappresenta gli interessi collettivi della borghesia, consente l'assegnazione di una parte del plusvalore, poiché non è nell'interesse dello specifico capitalista perdere il controllo nelle condizioni di generare nuova ricchezza o addirittura la perdita di ricchezza patrimoniale. C'è, quindi, un limite evidente alla modifica delle norme tributarie finalizzata al finanziamento di nuove spese statali e che determina un maggior trasferimento di reddito allo Stato senza contropartita per lo specifico capitalista.

Il debito pubblico, a sua volta, corrisponde a un meccanismo del tutto adattabile all'accumulazione capitalistica, per effetto sia della possibilità di finanziamento attraverso le entrate tributarie, sia degli oneri (interessi) derivanti dall'indebitamento, che fa del prestito allo Stato una forma convenzionale modo redditizio e sicuro di utilizzare il bene capitale. Funziona anche, in termini sistemici, come fattore di controtendenza al declino del saggio di profitto.

Il sistema del debito pubblico costituisce, quindi, una forma necessaria e non casuale per lo sviluppo del capitalismo. Necessario perché corrisponde, in termini generali, alla porzione del sistema creditizio deputata a finanziare lo Stato e, a seconda delle caratteristiche e delle dimensioni finanziarie dello Stato, a divenirne la componente strutturale. Non a caso, per gli aspetti storici che determinano lo sviluppo del capitalismo, costituendo una delle leve più potenti della cosiddetta accumulazione primitiva del capitale e la prima forma di titoli e carte riferiti al capitale fittizio nell'economia.

Possiamo riassumere tre punti storici importanti per l'analisi del debito pubblico: (i) il debito pubblico ha svolto un ruolo essenziale nel processo di accumulazione primitiva del capitale, concentrando la proprietà e stimolando il processo di monetizzazione dell'economia; (ii) la grande trasformazione che si può osservare dal XVIII al XIX secolo in termini di finanze pubbliche nella principale economia capitalista dell'epoca, l'Inghilterra, è meno del carattere delle spese statali, che rimangono praticamente le stesse, ad eccezione di una spesa di livello uno leggermente superiore per “mezzi di consumo socialmente necessari per il processo di accumulazione”, come le infrastrutture di trasporto e di comunicazione; e più specificamente, le condizioni di finanziamento dello Stato, che si espande sia nella capacità di riscossione delle imposte resa possibile dall'elasticità dell'accumulazione capitalistica sia nella crescente offerta di capitale di prestito che accompagna l'espansione del capitalismo britannico nel periodo; (iii) con il debito pubblico arriva un “sistema di credito internazionale”, che stimola l'accumulazione capitalista in Inghilterra, principalmente attraverso l'assunzione di prestiti di capitale olandese, cosa che si è ripetuta in relazione agli Stati Uniti.

In termini marxisti, l'accumulazione di valori prodotti dal capitalismo può, nei limiti dell'elasticità di questo processo, consentire uno sbocco al crescente consumo improduttivo e all'aumento della spesa statale, purché il tasso di accumulazione rimanga positivo e crescente. Questa comprensione è necessariamente legata sia alle caratteristiche della riproduzione macroeconomica capitalistica sia alle componenti dell'accelerazione della crescita economica, cioè il rendimento del capitale, il saggio medio di profitto del sistema e il saggio medio di accumulazione.

Lo sviluppo di un sistema creditizio integrato e centralizzato a livello internazionale rende possibile un flusso crescente di capitale di prestito, in cui il debito pubblico assorbe una parte di questi flussi, corrispondente alla regolazione, anche se limitata, delle condizioni di crisi capitalista. Pertanto, il finanziamento del debito statale delle economie centrali dipende dal sorgere di nuovi circuiti di accumulazione nazionale che sono integrati nella struttura cumulativa globale del capitalismo.

Il sistema creditizio costituisce la principale forma sviluppata dal capitalismo per ridurre i tempi di circolazione mercantile e allo stesso tempo gestire la massa di valori monetari che circolano nell'economia sotto forma di capitale di prestito. Come già detto, è responsabile dell'accentramento delle riserve monetarie disperse nel sistema ed è anche responsabile della distribuzione del capitale di prestito, sia al fine di finanziare il circuito riproduttivo, sia per applicazioni non riproduttive, incluso il finanziamento statale.

L'accumulazione cresce a tassi crescenti fino al punto in cui il capitale accumulato richiede per la sua valorizzazione una massa di plusvalore impossibile da ottenere dati i rapporti di composizione tecnica e valore del capitale, raggiunge cioè una composizione organica del capitale la cui unica via per ritornerà a valorizzare proficuamente il capitale accumulato svalutandone o distruggendone una parte, in una continua spirale di creazione e distruzione, come “tutto ciò che è solido si scioglie nell'aria”.

Lo sviluppo del sistema creditizio ha accresciuto la naturale elasticità dell'espansione del capitale e, attraverso l'accelerazione spaziale e temporale della realizzazione del valore, ha stimolato il processo riproduttivo per raggiungere con gli “stivali delle sette leghe” i limiti della sovrapproduzione di capitale. L'implicazione di questa doppia tensione sarà la periodica crisi di sovraccumulazione con il necessario processo di svalutazione di parte di questo capitale.

Il sistema capitalista impara necessariamente dalle sue crisi e, in considerazione dell'interesse di sostenere la redditività del capitale, cerca di migliorare meccanismi e modi che equiparino in modo meno brusco ciò che i processi di crisi sembrano fare caoticamente. Per Marx, il deprezzamento periodico di una parte del capitale esistente costituisce per il capitalismo un “mezzo immanente” per arrestare la discesa del saggio di profitto e rendere più redditizia l'altra porzione di capitale, accelerando il tasso di accumulazione.

Pertanto, il debito pubblico costituisce un uso non riproduttivo del capitale di prestito e, più di questo, implica la distruzione del capitale di prestito prelevato dal sistema e consumato improduttivamente dallo Stato. Allo stesso modo, il debito pubblico comincia a costituire un'importante massa nominale di valore sotto forma di capitale fittizio. Marx ha distinto due forme di distruzione del capitale in termini normali o ciclici nel capitalismo: primo, "il capitale reale viene distrutto", cioè le macchine, le materie prime a causa dell'ozio nell'uso di questi capitali; seconda distruzione del capitale per crisi, deprezzando i valori ma non distruggendo i valori d'uso.

Il debito pubblico funziona come un modo deliberato di produrre un sistema di distruzione del capitale di prestito, combinando elementi delle due forme esposte da Marx. Infatti lo Stato, quando è indebitato, assorbe capitale di prestito che fornisce i mezzi per acquisire valori d'uso. I mezzi di produzione sottratti all'economia e utilizzati dallo Stato vengono infatti distrutti come valori di scambio, ma, a seconda dell'uso che se ne fa, mantengono le loro forme materiali. Nei momenti di ripresa ciclica possono tornare a far parte del capitale sociale, come nel vasto processo di privatizzazione delle aziende pubbliche avvenuto negli ultimi due decenni in quasi tutti i Paesi.

Il capitale di prestito distrutto fa parte della massa di valori sovraaccumulati, che fornisce un effetto simile alla distruzione di capitale operata nei processi di crisi, dando valore alla massa di capitale che continua nel processo riproduttivo. Parimenti, il capitale fittizio risultante dalla “cartolarizzazione” dello Stato, quando svalutato, e nella misura in cui non genera “uno shock al credito dei capitalisti industriali che detengono quei titoli”, si traduce in un trasferimento nominale di ricchezza , che possono, in teoria, fornire condizioni migliori per la ripresa del ciclo riproduttivo, se, secondo Marx, consideriamo “che i nuovi ricchi che raccolgono tali azioni o carte in autunno, di regola, si impegnano più dei ex titolari”.

Date le condizioni di riproduzione allargata del capitale, è possibile concepire il debito statale come una componente funzionale e strutturale della riproduzione capitalistica, con lo Stato in grado di sostenere tassi crescenti di spesa pubblica e di espansione del debito pubblico. Questo però non è esente da contraddizioni e limiti, il che significa che le finanze pubbliche non hanno l'autonomia proclamata da alcune correnti keynesiane, ma nemmeno sono totalmente condizionate dal pareggio di bilancio difeso dai neoclassici.

Infine, va notato che il debito pubblico è, insieme ad altri meccanismi come ad esempio l'esportazione di capitali, una via d'uscita solo temporanea dalla crisi di sovrapproduzione, ponendo ad ogni processo strutturale di crisi nuovi limiti che impongono un grado di crescente tensione, riflesso sia nella pressione fiscale, necessaria per far fronte all'aumento del peso finanziario del debito pubblico, sia nei limiti imposti al rifinanziamento del debito lordo dal sistema creditizio internazionale.

Possiamo così ricordare, in relazione al debito pubblico statunitense, che il suo limite come grande assorbitore di eccedenze di capitale internazionale di prestito è dato dalla futura pressione fiscale sulla sua base riproduttiva, mentre le condizioni di guerra dominano la pressione per nuove richieste di capitale di prestito. D'altra parte, è ragionevole ipotizzare che il rifinanziamento del proprio debito pubblico abbia mantenuto le condizioni di crescita delle economie che finora ne sono state le principali finanziatrici, soprattutto nell'ultimo decennio le economie asiatiche che hanno avuto un ruolo centrale in questo processo, alimentando il circuito internazionale del prestito di capitale e, entro questo limite, sostenere il fragile equilibrio del capitalismo internazionale in questo secondo decennio del secolo.

*José Raimundo Trinidad È professore presso l'Institute of Applied Social Sciences dell'UFPA. Autore, tra gli altri libri, di Agenda di dibattiti e sfide teoriche: la traiettoria della dipendenza (Pacatatu).

 

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