da MARCO SCHNEIDER*
Introduzione dell'autore al libro appena uscito
"La consapevolezza che apparenza ed essenza non coincidono è l'inizio della verità. Il segno distintivo del pensiero dialettico è la capacità di distinguere l'essenziale dal processo apparente della realtà e di coglierne la relazione(Herbert Marcuse, Ragione e rivoluzione: Hegel e l'ascesa della teoria sociale).
Dice il proverbio che le apparenze possono ingannare. Ma non sempre. Come sapere? Ogni giorno affrontiamo questo dilemma, dalle situazioni più innocue a quelle più pericolose, e può anche essere una questione di vita o di morte.
Non ci vuole uno scienziato per sospettare che qualcosa stia bruciando quando vedi del fumo. Ma spetta alla scienza spiegare non solo le cause e gli effetti, ma anche perché le cose accadono in un modo e non in un altro. Secondo Karl Marx, se l'apparenza e l'essenza delle cose coincidessero direttamente, la scienza non sarebbe necessaria. Per lui scienza significa conoscenza effettiva della realtà, al di là delle apparenze, senza però ignorarle. Quindi, più che dare per scontato che le apparenze siano (sempre) ingannevoli e cercare la verità in un'essenza non apparente, si tratta di rivelare la ragione e il movimento per cui le cose appaiono come appaiono, a volte ingannando, a volte no, a volte entrambe le cose a lo stesso tempo. Di proposito o involontariamente.
L'essenza delle cose, in questo approccio, non ha nulla di un altro mondo. Riguarda semplicemente ciò che la cosa è effettivamente, e ciò include ciò che sembra essere, ciò che appare a noi che la osserviamo. L'essenza della cosa può apparire ingannevole o meno, ma in entrambi i casi fa parte della sua essenza, che appaia ingannevolmente o no.
Ciarlatani e bugiardi hanno successo apparendo degni di fiducia. Ma una persona può sembrare onesta e in effetti essere essenzialmente onesta. E una persona può sembrare libera, può persino considerarsi libera e non essere libera. Come distinguere? E cosa significa, dopotutto, essere onesti? Cosa significa essere liberi?
Molto prima dell'emergere del linguaggio umano, comprese le sue mille forme di menzogna - inganno, bufala, cane, frode, ciarlataneria, 171, mezze verità e altre forme di disinformazione – la natura stessa disponeva già di un ricchissimo arsenale di trucchi che confondevano essenza ed apparenza, almeno dal regno vegetale: si pensi alle piante carnivore e ai loro stratagemmi per attirare gli insetti, per cui sono essenzialmente mortali, sebbene (a)appaiano così attraenti e innocui, a prima vista – se l'insetto si lascia trasportare dal fascino dell'apparenza, ne sarà divorato, dall'essenza divorante che poi appare , la stessa che si nascondeva nella prima impressione.
Le ragnatele sono reti finissime, ma in proporzione molto resistenti, praticamente invisibili, così come gli insetti stecco ei camaleonti sanno essere maestri nel mimetizzarsi, per difesa o per attacco. E ci sono tartarughe di fiume che rimangono immobili sott'acqua, con la bocca aperta, da cui sporge un'appendice simile a un verme per attirare ignari pesci. L'aspetto dell'appetitoso verme nasconde la vorace tartaruga, che li divorerà. Sul fondo degli oceani, alcuni pesci abissali ricorrono a un dispositivo simile, con un'appendice luminescente sulla fronte che attira i pesci più piccoli nelle loro imboscate e nelle loro bocche.
Nei mari ci sono anche delicati cavallucci marini che sembrano le alghe in cui si nascondono e si proteggono. Ma nessuno batte molluschi, calamari, seppie, polpi, che cambiano colore, forma e consistenza mentre cercano di nascondersi dai predatori o ingannare le loro vittime. Nessuno, prima degli umani.
La disinformazione è così antica che precede la stessa specie umana. Ma è la disinformazione umana, anch'essa antica, probabilmente antica quanto l'umanità stessa, che qui ci interessa. Implica anche un gioco di apparenza ed essenza, dalla sua forma più grossolana, bugie pure e semplici, a quelle più sottili, fatte di mezze verità, decontestualizzazione e altre risorse di cui parleremo più avanti. Tuttavia, pur essendo così antico, non è sempre lo stesso, in quanto presenta sfumature e modulazioni storiche, geografiche, retoriche, sociotecniche che ci impediscono di affermare che nulla è cambiato.
Hannah Arendt (1967) e Alexandre Koyré (2019) hanno denunciato il controllo dell'opinione pubblica nei regimi totalitari attraverso la sistematica distorsione delle informazioni fattuali. Senza arrivare a tanto, basta verificare che il costo pubblicitario di alcuni, se non di tutti, i prodotti tende a superare il proprio costo di produzione. Non tutta la pubblicità è pura disinformazione, certo, ma contiene sempre elementi di disinformazione, sopravvaluta le qualità, nasconde problemi e limiti o attribuisce qualità inesistenti a ciò che viene venduto. Lo stesso vale per la propaganda politica, sia essa elettorale o le gesta di questo o quel governo.
Tuttavia, negli ultimi anni, si sono verificati nuovi movimenti. Il raggio di portata dei social network digitali, da quando sono diventati popolari, la loro capillarità e la velocità delle loro operazioni sono senza precedenti. I costi dei potenziamenti dei messaggi sono relativamente modesti rispetto alla stampa e alla trasmissione. E la precisione comunicativa è maggiore, per la citata capillarità e la conoscenza dei gusti del pubblico da parte di mittenti e mediatori, grazie alla sorveglianza della navigazione di tutti, onnipresente nelle reti. Questo insieme di fattori sta sostanzialmente alterando il noto ecosistema comunicativo, con conseguenze ancora imprevedibili, data la relativa novità del fenomeno.
Rifletterò sul problema della disinformazione in questa prospettiva storica, partendo dal presupposto che gran parte di ciò che vediamo potrebbe non sembrare nulla di nuovo, ma lo è, anche per il fatto che il suo sviluppo è sincronico con un momento di grave crisi del capitalismo. Tuttavia, può essere utile dialogare con gli studi classici sulla menzogna.
All'insieme delle più allarmanti modalità contemporanee di disinformazione che nascono, scorrono, straripano, irrigano, alimentano lo scenario attuale (con toni grotteschi) e da esso si alimentano, chiamo “disinformazione digitale in rete” (DDR). La nozione di disinformazione digitale in rete riguarda l'insieme delle azioni di disinformazione veicolate nei diversi network digitali esistenti, quali Facebook, Twitter, Instagram, WhatsApp, Telegram, TikTok e simili. Non si riferisce, quindi, ai colloqui faccia a faccia, alla vecchia stampa o alle trasmissioni radiofoniche, anche se certamente li nutre e se ne nutre.
È importante sottolineare questa specificità del fenomeno. Perché il costo relativamente basso delle sue operazioni rispetto ai media tradizionali (1), la sua portata immensa e personalizzata (2), sommata alla scarsa e difficile regolamentazione di queste azioni in termini tecnici e legali (3) ha favorito che la disinformazione digitale in rete diventasse , quasi ovunque, un elemento molto influente della sovrastruttura ideologica emergente all'interno dell'infrastruttura delle reti digitali e, allo stesso tempo, un (marginale?) investimento in essa. Questa infrastruttura, a sua volta, è un prodotto prezioso e di proprietà della frazione principale del grande capitale odierno (insieme a finanza, armi, farmaceutica ed energia).
I confini tra legalità e illegalità si fanno sfumati in questo ambiente, al punto che il parlamento britannico – che strettamente non può essere qualificato come espressione di un pensiero critico radicale – ha accusato la società di Mark Zuckerberg di agire come un gangster digitale (HOUSE OF COMMONS , 2019; PEG, 2019), circa un anno prima che Steve Bannon, artefice dell'elezione di Donald Trump, venisse arrestato per frode commerciale che aveva, allo stesso tempo, un'aura xenofoba e razzista, coinvolgendo il muro che separa USA e Messico .
La pubblicità intorno alle azioni di disinformazione digitale in rete che coinvolgono il Cambridge Analytica, Non così tanto Brexit come nell'elezione di Donald Trump (GUIMÓN, 2018), ha sicuramente contribuito alla divulgazione dei termini notizie false e post-verità – e per ragioni comprensibili. Infatti, nell'universo della disinformazione digitale in rete, una delle questioni più delicate è l'impatto della notizie false nella formazione della post-verità, in un circolo vizioso, o meglio, in una sorta di circolo vizioso di retroazione, apparentemente centrifugo.
Più di recente, si parla di superdiffusori di disinformazione, qualcosa come diffusori di superdisinformazione. Nell'articolo "Identificazione e caratterizzazione dei superdiffusori di disinformazione sui social media”, di Matthew R. De Verna, Rachith Aiyappa, Diogo Pacheco, John Bryden e Filippo Menczer, da Osservatorio sui social media dell'Università dell'Indiana, leggiamo che circa lo 0,1% degli utenti di Twitter era responsabile dell'80% della disinformazione circolata nelle elezioni americane del 2016.
Questo fatto e altri simili dimostrano che si tratta di un fenomeno inedito nella sua specifica configurazione, ma che rappresenta, al tempo stesso, un aggiornamento di vecchie pratiche di infocomunicazione che rimandano al problema filosofico della verità – nella sua dimensione etica, politica ed epistemologica , così come nelle contraddizioni, composizioni e sovrapposizioni dei tre.
Ora, per quanto abbiamo potuto seguire, la voluminosa produzione accademica o paraaccademica contemporanea intorno al tema della disinformazione, nelle scienze sociali, è stata dedicata principalmente a svelare il nuovo elemento della trama, con enfasi sul suo carattere tecnologico , vincoli economici, politici, psicologici e culturali, a volte in isolamento, a volte insieme. Ma trattandosi anche, nonostante l'elemento nuovo, dell'attualizzazione di pratiche e motivazioni antichissime, si esplora qui l'ipotesi metodologica di ricercare negli studi classici sulla verità e sulla menzogna conoscenze che possano eventualmente, in maniera composita con gli studi contemporanei sulla disinformazione, per aiutarci a capire meglio con cosa abbiamo a che fare. Terreno fertile per questa esplorazione è ovviamente la filosofia, che da più di duemila anni dibatte sistematicamente sull'argomento e produce un ricco accumulo bibliografico sull'argomento.
Pertanto, considerando che, nonostante le sue configurazioni inedite come DDR, in senso più generale, la disinformazione è antica quanto l'umanità – anche più antica –, la nostra proposta metodologica è quella di articolare lo studio di alcuni testi classici sulla menzogna e la verità con il quadro teorico contemporaneo sul tema della disinformazione.
Come un famoso spot televisivo per Folha de Sao Paulo, “è possibile dire molte bugie dicendo solo la verità” (W/Brasil, 1987, 0:43'-0:48'). Per chi non l'avesse visto o non ricordasse, lo spot inizia con un'immagine indefinita, composta da punti neri sparsi su fondo bianco, che via via si organizzano e acquistano definizione, mentre una voce in MENO descrive le apparenti grandi gesta di uno statista, senza nominarlo. Finché a un certo punto si forma un'immagine di Hitler e lo spot si conclude con l'idea che è possibile dire una bugia solo dicendo la verità e che bisogna stare attenti.
La conclusione ricorda la famosa frase hegeliana che la verità è nel tutto. Cioè, nel caso dello spot, finalmente appare l'immagine di Hitler e le famigerate calamità associate a questa immagine, che sono di dominio pubblico (o dovrebbero esserlo), vengono forzatamente confrontate con le impressioni positive che le verità parziali delle sue azioni hanno indotto . , senza che noi sapessimo chi fosse. Il confronto annulla l'immagine positiva che si era inizialmente creata prima della chiusura (o almeno così si spera). Alla fine, la verità è stabilita dal punto di vista della totalità.
Nello stesso ragionamento, nell'ambito degli studi disinformativi, si può parafrasare Hegel e dire che la menzogna è nel tutto, ma nel tutto parziale, incompleto e farsesco che si presenta come il reale, poiché anche una narrazione composta solo di verità, ma che tralascia altre verità necessarie alla corretta comprensione di una data situazione, o che frammenta, decontestualizza e mescola verità, può essere una narrazione bugiarda. Oltre, ovviamente, alla menzogna pura e semplice, che tanto ha prosperato.
Il problema della disinformazione attuale, nell'articolato ambito dei corporate media e della disinformazione digitale in rete, in mezzo al quale la menzogna stessa – come produzione intenzionale ed eventualmente ingenua circolazione di informazioni maliziose, che mescolano maliziosamente verità e falsità – diventa se in un nuova forma di mistificazione di massa, generando gravissimi problemi etici, come la perpetuazione o l'evitabile recrudescenza dell'oppressione, della reificazione, dell'alienazione, della miseria, della brutalità, della codardia, della sofferenza atroce e della morte di milioni di persone.
Comprendere e combattere la disinformazione contemporanea richiede un aggiornamento del dibattito attorno alle dimensioni etiche, politiche ed epistemologiche – interconnesse – della dialettica verità-menzogna. Il punto di partenza di questo aggiornamento è l'esplorazione della ricchezza concettuale di questo campo semantico, pieno di sottigliezze e ambiguità, ma non così sfocato da poter semplicemente scambiare i poli senza grosse conseguenze.
In altre parole, anche se riconosciamo, ad esempio, le distinzioni tra la menzogna come falsità deliberata o come errore non intenzionale; tra verità fattuale, scientifica o filosofica; o anche tra metafore, metonimie, finzione, opinione, evidenza, ecc., gli estremi della malafede o malinteso, da un lato, e della buona fede o corrispondenza tra intelletto e cose, dall'altro, non possono essere ignorati nella loro struttura formale opposizione – nemmeno in una prospettiva storica e interculturale –, a rischio di perdere ogni parametro condiviso della realtà.
Apparentemente, la maggior parte della disinformazione contemporanea è contrassegnata da elementi reazionari, misogini, razzisti, omofobi e, in ultima analisi, neofascisti.[I] La mobilitazione delle paure e dei pregiudizi funge da cavallo di Troia che porta nel ventre il neoliberismo, che non osa più esporsi con franchezza dopo decenni di promozione di guerre, distruzione ambientale e crescente disuguaglianza sociale.
Il corollario di tutto ciò è l'incitamento all'odio, il flat-terism, il risorgere di movimenti anti-vaccino e innumerevoli teorie complottiste, più o meno pericolose, che convertono la sana diffidenza delle autorità, caratteristica del pensiero moderno, in un miscuglio indigeribile di scetticismo nei confronti alle moderne autorità cognitive – stato di diritto, scienza, stampa – e dogmatismo in relazione a quelle di tipo postmoderno – spavaldi politici mediatici, pseudo-intellettuali di internet, mille sette.
Le teorie del complotto hanno sempre uno sfondo di realtà mescolato a strati di fantasia. Partendo dalla verifica che le cospirazioni, di fatto, esistono, i loro formulatori e propagatori fantasticano spiegazioni e soluzioni semplicistiche per i problemi reali del mondo. Forse la più grande prova che esistano veri complotti sta nel fatto che le teorie del complotto sono fantasiose teorie prodotte da veri cospiratori e diffuse dagli sprovveduti, dai più innocenti ai più pericolosi.
Dato questo scenario, è necessario porsi altre domande: chi ne trae vantaggio? Chi perde? In quali modi? Qual è il gradiente tra sociopatico e utile innocente, in questo gioco a volte mortale di perdere e vincere?
Viviamo in una grave crisi del capitalismo, perché le sue contraddizioni stanno esplodendo in nuovi livelli, sempre più brutali e senza orizzonti realistici di superamento, nei suoi stessi termini. È uno scenario segnato da un degrado ambientale senza precedenti e dalla più intensa concentrazione di ricchezza della storia, associata alla più ampia povertà e miseria. Ad aggravare la situazione, i confini tra scienza e opinione, privacy e sorveglianza, sicurezza e violenza, libertà e oppressione si confondono, si confondono, si mescolano e si scambiano, in un allucinato brodo culturale dove la violenza è sicurezza e l'oppressione è libertà.
Per quanto riguarda l'ultimo binomio, libertà e sopraffazione, la libertà di espressione è diventata il salvacondotto di bugiardi dichiaratamente di destra e dei loro finanziatori, che hanno il coraggio di condannare i loro critici di centro e di sinistra, e anche quelli di destra, come comunista e “ideologica”. Infatti, tutte le posizioni coinvolte nel dibattito politico sono necessariamente ideologiche, se intendiamo l'ideologia come una visione del mondo.
In questo senso, è in gioco una disputa ideologica, in quanto disputa tra visioni del mondo. Una disputa ideologica che, a sua volta, fa riferimento alla lotta di classe con tutte le sue sfumature. Ma se intendiamo l'ideologia nel senso negativo di mistificazione, insieme di idee fantasiose, contrarie alla ragione e ad un realistico apprezzamento del mondo, dei suoi problemi e delle possibili soluzioni, il quadro attuale non suggerisce esattamente una disputa tra ideologie, ma tra un complesso ideologico allucinato e le varie forme di senso comune che vi si oppongono, molte delle quali divergenti tra loro, ma entro parametri condivisi di razionalità.
La mistificazione è mentire in modo tale da produrre percezioni e apprezzamenti distorti della realtà. Come demistificare i mistificatori? Smascherando le loro bugie, dimostrando che ci guadagnano e dimostrando che le loro argomentazioni sono peggiori di quelle di chi le critica. A volte le bugie sono più sottili, ma spesso sono vere e proprie bugie. E ci sono gli utili innocenti, gli sprovveduti, nei gradi più diversi, moltitudini di loro, che replicano le bugie perché ci credono, o perché credono che combattere i nemici di ciò che intendono come buona morale giustifichi il ricorso a assurdità, calunnie , diffamazione e omicidio.
Oggi la reazione neofascista difende la libertà neoliberista, mentre le forze progressiste non cercano, in un primo momento, altro che una concezione superiore della libertà - secondo la quale la libertà di ciascuno cessa di essere un ostacolo a quella del prossimo, convertendola se nella tua condizione – almeno la conservazione di ciò che resta della libertà liberale. Cosa significa questo per quanto riguarda la libertà di espressione? La difesa di parametri minimi di razionalità comune, e regolamenti pubblici sui privilegi privati, che frenano e penalizzano la propagazione egoistica della disinformazione su larga scala.
Il fatto è che, invece dell'intelligenza collettiva che Internet promuoverebbe, nel sogno di Pierre Lévy (2007), assistiamo alla crescita della stupidità collettiva nei social network digitali. Stupidità intesa nel senso combinato di concezioni molto errate, frutto di ipocrisia o ignoranza, associate alla brutalità.
Cosa fare per invertire questa tendenza?
Questo libro, purtroppo o per fortuna, porta più domande che risposte, perché parte dalla convinzione che, nonostante i rimpianti, tante teste sono meglio di una, quando rischiano di pensare per davvero.
*Marco Schneider È professore presso il Dipartimento di Comunicazione dell'Università Federale Fluminense (UFF). Autore, tra gli altri libri, di La dialettica del gusto: informazione, musica e politica (Circuito).
Rilasci: n Rio de Janeiro, 06.12.22/18/21, dalle 180:XNUMX alle XNUMX:XNUMX presso il Bar Mané (Praia do Flamengo, XNUMX, angolo Rua Machado de Assis.); In Brasilia, 08.12.2022, Hotel San Marco, SHS Q. 05, BL C – Asa Sul, Brasilia – DF, 70322-914. Dalle 16:30 alle 18:XNUMX
Riferimento
Marco Schneider. L'era della disinformazione: post-verità, fake news e altre insidie. Rio de Janeiro, Garamond, 2022, 159 pagine.
Nota
[I] Sono consapevole delle controversie che circondano l'opportunità di usare l'espressione per caratterizzare i movimenti politici attuali. In tutto il testo presenterò alcuni argomenti a sua difesa.
Il sito la terra è rotonda esiste grazie ai nostri lettori e sostenitori. Aiutaci a portare avanti questa idea.
Clicca qui e scopri come