L'era del genocidio II

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Di LUIZ RENATO MARTINS*

Seconda parte di un articolo sulla situazione e gli impatti del golpe che ha rovesciato il presidente cileno Salvador Allende

[Per leggere la prima parte di questo articolo clicca qui]

Crisi e dipendenza: un regime esemplare

Cominciamo, allora, dal contesto della trama proposta da Pasolini: quello della crisi e della transizione. La trama si svolge proprio dopo lo sbarco delle truppe alleate e il successivo scioglimento politico (24.07.1943, Roma) del governo nazionale del regime fascista (1922-43). Seguirono il salvataggio, ad opera dei comandi nazisti, di Mussolini (1883-1945), il cui arresto era stato decretato dal nuovo governo, e la consecutiva costituzione, subito dopo (23.09.1943) del protettorato di Salò, omonimo Repubblica Sociale Italiana e sotto scorta delle truppe tedesche.

Quindi di cosa tratta la trama Salò… porta alla luce è il processo stesso di formazione di un nuovo regime fantoccio. Vale a dire, generati in una posizione di dipendenza intrinseca, le cui dinamiche favoriranno la costituzione di un consorzio politico dedito, tuttavia, alla realizzazione di un programma di sperimentazioni pedagogiche ardite e innovative – allegoria, vedremo come, della processo di “rivoluzione passiva”.

Per stabilire subito i collegamenti con il discorso precedente, diciamo che la scena della crisi,[I] in cui avvenne il passaggio dei ventuno anni del regime monarchico-fascista, in Italia, al protettorato nazista della Repubblica di Salò, insediatosi come secessione fittizia nella regione settentrionale del regno (con Roma sotto il controllo delle truppe alleate), allude o equivale – come drammatica allegoria concepita da Pasolini – ai mutamenti conseguenti all’esaurimento terminale, nelle economie centrali,[Ii] il ciclo di espansione economica; ciclo, questo, che sarebbe stato soprannominato postumo dai media come il "Glorioso Trenta" (una designazione su cui tornerò).

Diciamo anche, per precisare la transizione in questione, che le crisi politico-istituzionali (ma a sfondo economico) che segnarono – in modo disomogeneo, ma combinato – la fine del ciclo richiamato (ad esempio, quella del 68 in Francia,[Iii] in Messico, negli Stati Uniti, ecc., e, analogamente, quello in Cile nel 1973, che diede luogo al golpe), segnalò anche, in termini di paradigmi dell'ordine sociale strutturale, il superamento di un quadro politico normativo.

In altre parole, Salò… Evoca allegoricamente il passaggio da un regime politico all'altro e la successiva immersione in un ciclo politico-economico totalitario, o, forse, in “una nuova ragione del mondo”, come preferiscono dire Dardot e Laval.

Tuttavia, contrariamente alla minimizzazione da parte di quest'ultima del ruolo fondativo e funzionale della violenza nel nuovo ordine, la prospettiva critica, radicalmente pessimista, inquietante e distopica sviluppata da Pasolini nel film Salò…, condivide alcune caratteristiche strutturali con quella dell'editore di Bilbao. Si può tradurre sinteticamente con l'ipotesi che gli apparati statali capitalisti siano penetrati dal 1968 in poi (e soprattutto dal 1973, con il golpe in Cile) in una fase apertamente criminale, in cui nessun patto democratico o valore di civiltà è bastato a fermare i loro programmi. di rinnovamento produttivo e di redditività degli asset finanziari e patrimoniali.

Nuova ragione, nuovi metodi, nuova pedagogia

Questa è la transizione storica che Salò… prospettiva, e che deve essere discussa in controtendenza con la visione corrente, secondo la quale i casi Santiago e Moncloa costituiscono alternative antitetiche. Per farlo, cominciamo tornando al contesto storico.

L'economista francese Jean Fourastié (1907-1990) chiamò “I gloriosi trenta [Le Trentes Glorieus]” alla costruzione del mercato dei consumi di massa nelle economie occidentali, in un libro il cui sottotitolo era “La rivoluzione invisibile dal 1946 al 1975 [La rivoluzione invisibile dal 1945 al 1975] ”.[Iv] Tuttavia, contemporaneamente in altri Paesi – e lo sappiamo benissimo nel Terzo Mondo –, il processo di espansione si è limitato a una fugace beffa di modernizzazione, fittizia e monca, anche se i falsari di turno, al servizio delle dittature, hanno insistito on si riferiscono a “miracoli”, con diversi epiteti nazionali. In un modo o nell'altro e qua e là, tale espansione, che strombazzava il mito della “piena occupazione”, è già finita per le economie dell'Occidente.

Stiamo infatti entrando in un'altra era, quella dell'irriducibilità della disoccupazione strutturale e permanente, se non crescente, che si traduce in genocidi o in guerre di classe totali – in cui pratiche di segregazione e sterminio prendono i fori della razionalità e colonizzano tutte le sfere della vita quotidiana. Così, anche se i processi di modernizzazione rimangono inerenti all'espansione automatica e globale dei mercati finanziarizzati, oggi – invece di rivendicare l'integrazione sociale – gli atti di modernizzazione (basati su ragionamenti attuariali) sono formulati come processi “purificatori” che proclamano di ripulire ed eliminare pratiche , categorie e gruppi sociali ritenuti arcaici e inefficienti.

Assimilazione come genocidio

Di fronte alla nuova immagine data dalla violenza sistematica, cominciamo col rivisitare la nozione di genocidio, invocato da Pasolini per designare lo sterminio sistematico delle forme sociali e antropologiche.

In un primo momento, nel suo saggio “Il genocidio”, Pasolini pretendeva di fare riferimento al Manifesto comunista – il che, di fatto e per certi versi, riguardo in particolare al termine “genocidio”, forse non è letteralmente esatto. Se però il termine è inteso nel senso che Pasolini gli ha dato esplicitamente, nel senso di “assimilazione al modo e alla qualità della vita della borghesia” di “strati larghi” (sottoproletari e popolazioni di origine coloniale) “che era rimasto, per così dire, fuori dalla storia”,[V] è possibile riconoscere che buona parte della sezione I, “Borghesi e proletari”, dell' Manifesto… affrontare questo processo di trasformazioni su vasta scala.[Vi] Può anche darsi che, oltre a tali fenomeni storici, Pasolini avesse in mente i testi di Marx sulla guerra civile in Francia, che sono praticamente coevi con la Manifesto e che portano diverse menzioni al genocidio degli insorti del giugno 1848…

Non importa. La precisione filologica qui è fuori luogo e può essere messa da parte. Infatti, più che il problema di stabilire l'origine del termine, si tratta di situare il significato e il significato della figura o dell'allegoria chiave di genocidio – su cui Pasolini è tornato più volte, come vedremo.[Vii]

modernizzazione tardiva

Comunque da Manifesto… Pasolini ha estratto l'idea che la borghesia e il capitale si riproducono attraverso incessanti rivoluzioni. Incorporiamo il significato nella discussione. È probabile che Pasolini volesse, attraverso l'argomentazione, sfuggire alla dualità delle nozioni polari di “reazionario” e “progressista”, così come al mito del progresso e della storicità lineare – adottata non solo dai liberali, ma anche dai socialdemocratici. democratici e stalinisti, con grave danno per la classe operaia.

È noto che l'Italia era, a sua volta, per Pasolini, una nazione, per molti aspetti, del Terzo Mondo, inghiottita da una modernizzazione accelerata e tardiva. Tale percezione era legata ad altre, raccolte soprattutto sotto forma di appunti e frammenti cinematografici elaborati dai viaggi di Pasolini in India (1969) e in Africa (1970).[Viii]

Raccogliendo diligentemente osservazioni su questo processo, Pasolini sviluppò un approccio frammentario ma sistematico al processo accelerato e ritardato attraverso il quale le economie periferiche e le formazioni sociali vengono schiacciate e inghiottite dal sistema globale di produzione di merci.

rivoluzioni borghesi

Cosa implicava l'avvertimento di Pasolini sulla “rivoluzione di destra in corso”? In parole povere, non era altro che questo, salvo grosso errore, la “rivoluzione della destra” in atto a cui si riferiva Pasolini: l'accelerata e disuguale unificazione del mercato mondiale, e le molteplici conseguenze che ne derivano, fino a raggiungere strati anche estesi della popolazione italiana, il sottoproletariato urbano (incentrato su Accatone [1961] e Mamma Roma [1962]) alla popolazione delle regioni rurali. L'affermazione implicava certamente uno dei significati di “rivoluzione” presenti nel Manifesto, ovvero: la rivoluzione dei modi di produzione, come processo inerente alla dinamica capitalistica.

Tale proposta differiva in modo cruciale dall'attuale visione celebrativa delle rivoluzioni borghesi come fase di progresso politico per formazioni sociali ed economiche considerate arretrate. Secondo Pasolini, prese sostanzialmente come modernizzazioni economiche accelerate, le rivoluzioni borghesi non raggiungono alcuna forma o modalità democratizzante. Piuttosto, portano proprio a ibridazioni fasciste, sotto forma di bonapartismo o cesarismo, che Pasolini cerca proprio di esaminare, nel caso in questione, attraverso la sinistra parabola o allegoria di Salò… e la vostra rivoluzione passiva, verticalizzato e incentrato principalmente su cultura e costume.

Pertanto, ogni effettiva approssimazione della prospettiva in questione, quella di Pasolini, deve passare, in un modo o nell'altro, attraverso il tema della rivoluzione passiva, posta da Gramsci, come prisma decisivo o costrutto critico chiave per l'analisi della modernizzazione dipendente o tarda. In altre parole, la critica di Pasolini a quello che lui chiamava genocidio, determinata dall'espansione economica propugnata dal PCI, era inscindibile da tale nozione. È tempo, dunque, di specificarne i termini e di scrutinare l'uso che Pasolini fa di tale costrutto.

dietro porte chiuse

Il concetto di “rivoluzione passiva” nasce da uno studio critico di Vincenzo Cuoco (1770-1823) sulle ragioni del fallimento della rivoluzione napoletana del 1799. Ideato schematicamente dagli intellettuali giacobini napoletani incapaci di ottenere l'appoggio contadino al loro progetto, la rivoluzione a Napoli finì schiacciata quando i contadini, istigati dal vescovo, invasero la città.

Al contrario, in Francia sei anni prima, i contadini in rivolta della Vandea, sostenitori del trono e della Chiesa, non erano riusciti a sconfiggere la Repubblica rivoluzionaria. Nell'esame comparativo dei due casi da parte del Cuoco, è emersa l'idea di rivoluzione passiva per designare una rivoluzione frustrata per la situazione di dipendenza intrinseca (nel caso napoletano, dalle truppe napoleoniche e dall'appoggio della Repubblica francese), e, più più che altro, sulla scarsa congenialità delle loro basi sociali.

Più tardi, però, negli ambienti intellettuali della borghesia italiana, tale formula, sebbene originariamente critica, finì per assumere la connotazione opposta. rivoluzione passiva venne poi a designare, in questa nuova chiave, qualcosa di auspicabile, certo, per una certa élite sociale dominante: una “rivoluzione senza rivoluzione”, come una rivoluzione senza contenuto popolare, o limitata (in termini di portata dei cambiamenti e tempo ), insomma, congelato. Vale a dire, sostanzialmente sulla falsariga di quella rivoluzione che i Girondini cercarono di instaurare prima dell'acclamazione della Repubblica da parte della Convenzione (21.09.1792), quando vollero coniugare lo Stato di diritto con il regime monarchico, alla luce della la soluzione inglese dopo le due rivoluzioni del XVII secolo.

Infatti, l'idea di una rivoluzione a porte chiuse e gestita da pianificatori – o di una “rivoluzione invisibile”, per usare l'espressione più o meno analoga, forgiata cent'anni dopo da Fourastié –, costituì infatti il ​​modello adottato da i capi dell'Unità d'Italia, nel cosiddetto Risorgimento, sotto il comando della borghesia piemontese alleata con la casa monarchica dei Savoia. Analogamente, questo fu anche il canone valorizzato dalla filosofia storicista di Benedetto Croce (1866-1952), cruciale riferimento intellettuale, ma oppositore politico e bersaglio delle polemiche filosofiche di Gramsci.

Mmodernizzazione dipendente

Gramsci, invece, riprende, rielabora e approfondisce l'idea originaria di Cuoco, contrapponendola all'idealismo storicista e conservatore di Croce. Così, dapprima rielaborata criticamente per rivelare il carattere conservatore del Risorgimento, la nozione dialettica di rivoluzione passiva venne poi a servire l'istituzione da parte di Gramsci di un parallelo strutturale tra il liberalismo del Risorgimento e il fascismo del Novecento - il cui carattere non solo reazionario, ma anche innovativo, venuto alla luce mediato dalla nozione.[Ix]

Infine, staccata da Gramsci da un contesto storico specifico – e quindi affinata criticamente e concettualmente, la nozione di rivoluzione passiva è venuta a servire, nella nuova chiave critica, a decodificare la specificità della modernizzazione dipendente, cioè condotta dall'alto verso il basso e senza alcun cambiamento nelle relazioni di classe, potere e proprietà.[X]

Insomma, alla fine della rielaborazione grammisciana, questo concetto diventa principalmente un prisma per la valutazione critica delle riforme conservatrici che colpiscono le economie e le società periferiche, ciclicamente scosse e travolte dagli impulsi economici che provengono dalle economie centrali.[Xi]

rivoluzione di destra

In quanto concetto e parametro riferito ai processi di modernizzazione dipendente, in che modo la nozione di rivoluzione passiva servirebbe a specificare specificamente una "rivoluzione di destra"? Torniamo allora all'inizio di tale discorso, proposto da Pasolini. Nell'articolo del giugno 1973 sulla rivoluzione di destra in corso, Pasolini esordisce con l'affermazione: “Nel 1971-72 iniziò uno dei periodi di reazione più violenti e forse più definitivi della storia”.[Xii]

Pasolini descriveva così tale rivoluzione come il dispiegarsi di un processo di genocidio,[Xiii] in marcia dal 1961, cioè dal cosiddetto “miracolo economico (italiano)”, che a sua volta Pasolini equiparava a un processo coloniale interno.

Di conseguenza, i due terzi della popolazione italiana, che era stata “fuori dalla storia”, erano in questo corso trascinati nell'orbita del consumo. Questo brutale assorbimento presupponeva “la distruzione e la sostituzione dei valori”, sosteneva Pasolini nel suo testo, già citato, “O genocidio”.[Xiv]

Per concludere le sue argomentazioni, Pasolini esprimeva in tutte le lettere ciò che stava alla base del suo giudizio: “Quando vedo intorno a me che i giovani stanno perdendo i vecchi valori popolari e stanno assorbendo i nuovi modelli imposti dal capitalismo, correndo così il rischio di una forma di disumanizzazione, una forma di afasia atroce, una brutale mancanza di capacità critica, una passività faziosa, ricordo che erano proprio queste le caratteristiche tipiche delle SS”.[Xv]

Fascismi: il vecchio e il nuovo

Questo tipo di intersezione nel discorso di Pasolini, accostando aspetti contemporanei (il consumo di massa) con immagini del nazismo “classico” (la cieca obbedienza delle SS), rivela, va subito notato, una difficoltà reale: quella di definire il nuovo fascismo .

Pasolini ha risposto a questa sfida negando inizialmente ogni somiglianza tra il vecchio e il nuovo fascismo. Così, ha spesso individuato i primi come “nazionalisti e clericali” – sottolineando, d'altra parte, l'assenza di tali aspetti nel nuovo fascismo.

Allo stesso tempo, davanti a un pubblico incredulo di fronte alle scoperte di Pasolini, l'attraversamento, come un corto circuito a cavallo, rivelava una strategia dialettica per chiarire il nuovo pericolo. In Salò…, anche questo problema di determinazione appare e viene massimizzato, per giungere ad una formulazione.

Il film del 1975, infatti, contiene un palinsesto in cui interagiscono segni narrativi e riferimenti, provenienti da fonti e date diverse. Dove ci porta, ci si chiede, l'accostamento – o cortocircuito – di un testo settecentesco (quello di Sade) con il fascismo mussoliniano – entrambi ugualmente permeati di allusioni post-sessantottesche?

Al tempo stesso sintesi e apice di un sistema critico che mette al centro il nuovo fascismo, il cinema Salò… assegna un posto centrale alle allusioni alla tv e ai giovani consumatori di immagini. come i vecchi Freikorps una volta (nella Germania post-1918),[Xvi] oggi la televisione, come osserva Pasolini, prepara, in un modo o nell'altro, il fascismo. Da qui una sequenza nel film, che funge da corollario, in cui sia i personaggi che il pubblico contemporaneo di Salò… (film) “tele-vedere” le torture (se posso usare il neologismo).

Pertanto, il film richiede – come ogni sintesi – un approccio dialettico, oltre alle precauzioni dovute alle sue molteplici stratificazioni e temporalità.

Il concetto di rivoluzione passiva funge da pietra angolare di tale sistema. È solo in base ai suoi segni e alla sua logica che si può comprendere la cruda e impietosa precisione della narrazione, capace di disgustare (con la gelida descrizione di situazioni e dettagli orribili) e di sconcertare.

Ultimi sviluppi, la sua legge generale

La trama, come nella dimostrazione di un teorema, si sviluppa secondo nessi logici e passaggi necessari. In tal modo il capitolo fascista appare non come una singolarità italiana, ma come parte di un processo che si svolge secondo una legge generale. Quale però?

Alla luce dell'accumularsi di tracce ed evidenze, si conclude che l'oggetto di tale teorema difficilmente potrebbe essere più generale: è la legge storica dei processi di sviluppo tardo, condotti sotto rivoluzioni passive nelle economie dipendenti – in cui, prima, in Infatti, altre rivoluzioni non ebbero luogo o fallirono. In questo senso Pasolini conclude con un giudizio storico dialettico e totalizzante, di portata nazionale (ma non solo) e che presuppone una diagnosi a base eziologica:

“Tutti gli italiani, infatti, possono chiamarsi 'fascisti', poiché in tutti gli italiani sono presenti alcuni elementi di fascismo (che, come vedremo, si spiegano con una rivoluzione borghese (…) precedentemente frustrata)”.[Xvii]

signori della guerra e pianificatori

(Si tratta, quindi, dell'arretratezza dell'Italia rispetto ad altre nazioni più industrializzate, più volte implicite o evocate di sfuggita: Francia, Germania, Stati Uniti.) Dobbiamo notare che, nelle lezioni e nelle scene che propongono, i leader di tali rivoluzioni (cioè, in Salò i quattro alti pianificatori) non fanno altro che incarnare gli esempi e i punti del Manifesto… – e in particolare quel passaggio sulle rivoluzioni delle forze produttive e le loro profane conseguenze.

Sebbene siano molto noti, chiedo il permesso di ricordare alcune loro frasi: “La borghesia non può esistere senza rivoluzionare costantemente gli strumenti di produzione e, in questo modo, i rapporti di produzione e, con essi, tutti i rapporti della società. La conservazione dei vecchi modi di produzione in forma inalterata era, al contrario, la prima condizione di esistenza per tutte le vecchie classi industriali. La continua rivoluzione della produzione, i perturbamenti ininterrotti di tutte le condizioni sociali, le incertezze e le agitazioni permanenti distinguevano l'epoca borghese da tutte le precedenti. Tutti i rapporti saldi, solidi, con la loro serie di pregiudizi e opinioni antichi e venerabili, sono stati spazzati via, tutti i nuovi sono diventati antiquati prima che potessero ossificarsi. Tutto ciò che è solido si scioglie nell'aria, tutto ciò che è santo viene profanato (…)”.[Xviii]

Anatomia e compiti della modernizzazione

Del resto, da tali dinamiche – quella del regime capitalista – derivano il colonialismo, la schiavitù, insomma lo sfruttamento del lavoro in varie forme e, nel caso evidenziato da Pasolini, la società dei consumi. In sintesi e in altri termini, la modernizzazione del sistema produttivo è finalmente generata. Da questo processo e per il suo sviluppo derivano anche i temi degli sforzi pedagogici sviluppati dalle signore istruttrici. Questi praticano sotto la supervisione e il tutoraggio dei quattro pianificatori, tutti supportati dalle truppe naziste che sorvegliano fuori le mura affinché l'esperimento abbia luogo. La rivoluzione passiva sulla tela si compie dunque all'ombra di tale apparato e da esso condizionata.

All'interno, dovremmo notare subito due cose: un, che i quattro membri della giunta esprimono allegoricamente le forze dominanti del Risorgimento – cioè la borghesia piemontese, sostenuta dal latifondo, e la sua associata, la casa reale dei Savoia –, entrambe alla guida di un blocco che comprende anche, in Salò…, rappresentanti associati dell'intellighenzia, della burocrazia e dell'alto clero.

Queste furono le forze, espressive dei gruppi sociali dominanti, che si imposero nei settori popolari, urbani e rurali, guidati da Giuseppe Garibaldi (1807-1882) e Giuseppe Mazzini (1805-1872), stabilendo, nel processo e nella forma di unificazione (d'Italia), gli stampi paradigmatici di quella che poi Gramsci chiamerà rivoluzione passiva.

E due, il secondo aspetto da notare è che i quattro caudillos o maestri pianificatori attuano verticalmente e rigorosamente i compiti di modernizzazione imposti alle economie dipendenti; attività che includono, ad esempio, in un esempio illustrativo, in villa-Laboratorio di Salò, il riutilizzo degli escrementi, sotto stretto controllo contabile da parte del cosiddetto “presidente”, assolvendo alla funzione di esperto ragazzo di Chicago.

Per chi imparerà a consumare le sofferenze degli altri, la ricompensa suprema sarà accompagnare i maestri pianificatori nella capitale del regime (la città di Salò), cioè, secondo Pasolini, nella società dei consumi.[Xix] E così, in una scena in cui viene invocata la normale visione televisiva, il Duca brancola e brancola - come un Testa scrutare il punto della sua delicatezza –, il grado di eccitazione sessuale di una giovane guardia (Umberto) e conclude: – “eri pronto (Siete pronti)!" [Xx]

La pedagogia del libero mercato

L'orrore, sia politico che etico, culmina nella sequenza in cui scoppiano le accuse, una per una. Iniziano con una proposta di libero scambio, presentata da un giovane dalle sembianze angeliche, che si avvicina al Monsignore (uno dei grandi pianificatori), tenendolo per un braccio. Il guri suona come un venditore ambulante in una metropoli dove la precarietà e la disoccupazione modellano i rapporti di lavoro. L'orrore – aggravato dai modi infantili e dalla carnagione angelica dei ragazzi e delle ragazze che propongono uno dopo l'altro scambi infami – viene dall'ovvia dimostrazione che gli sforzi della pedagogia formativa della modernizzazione hanno avuto successo.

Nel processo di modernizzazione messo in scena Salò…, il progetto dei master-planners presuppone un accordo in cui le figlie di ciascuno dei quattro grandi sono offerte in garanzia o fideiussione. Sono anche scambiati tra i membri della giunta come schiavi e merci.

Potlatch o capitale iniziale, patriarcato e dispotismo di genere, accumulazione originaria e proprietà sono dunque evocati per descrivere le basi del regime contrattuale dei quattro. Il commercio guiderà il consorzio dei pianificatori.

Nel passaggio dall'economia del dono a quella del mercato si allegorizza una fase della rivoluzione passiva. Giocando al gioco mondiale dell'espropriazione, del commercio e della pianificazione – ormai senza precetti sacri –, gli infami legislatori, protagonisti del programma educativo vigente nella repubblica di Saló, tracciano le vie del libero mercato.

Il sacrificio mortale di Ifigenia - offerto da suo padre alle divinità del vento, del tempo e del mare, secondo la trama della tragedia ateniese, Ifigenia (ca. 414 aC), da Euripide (ca. 480 aC – 406 aC) – fu data in cambio di condizioni favorevoli alla navigazione della flotta di Agamennone, che doveva imbarcarsi per Troia. A turno, dentro villa situata in Salò…, la conversione delle proprie figlie in oggetti di spesa, di investimento o di scambio, di relazioni economiche, insomma, porta i pianificatori nell'orbita del commercio e del libero mercato. Una tale farsa non è solo didattica, quindi, ma attualissima.

La rivoluzione passiva vista dal basso

Secondo la prospettiva dialettica della narrazione, istituita da Pasolini, esaminiamo ora, dalla prospettiva opposta (cioè dal basso), la dimostrazione del cammino pedagogico verso il libero mercato e il consumo. In "Giovanni infelice [Giovani infelici]”, testo postumo, scritto in contemporanea alla preparazione di Salò...,[Xxi] Pasolini ha spiegato la sofferenza della giovinezza – come vittima o oggetto di sacrificio, tale è il suo ruolo nel progresso scenico di Salò – come fardello implicito in una rivoluzione passiva: “Uno dei temi più misteriosi del teatro tragico greco è quello della predestinazione dei figli a pagare per gli errori dei genitori (…) È il coro, un coro democratico, che pretende essere depositaria di questa verità”.[Xxii]

Circolo vizioso

Pasolini poneva così la questione di un vincolo storico collettivo. La storia pesa, non si è immuni da essa. Al contrario, qualcuno può essere condannato in anticipo se (inconsapevolmente e involontariamente) ripete gli errori della generazione precedente e segue – senza spezzarla – una catena causale della storia…[Xxiii]

Torno alla spiegazione di Pasolini con le sue stesse parole: “(…) I figli che non si liberano degli errori dei genitori sono infelici: nessun altro segno di colpa è così decisivo e imperdonabile come l'infelicità. Sarebbe molto facile e, in senso politico e storico, sarebbe immorale che i figli fossero giustificati dagli errori commessi dai genitori, in ciò che ritengono malvagio, ripugnante, disumano. L'eredità paterna negativa potrebbe in parte scusarli, ma loro stessi sono responsabili di ciò che rimane. Non ci sono bambini innocenti. Tieste è colpevole. Ma lo sono anche i tuoi figli. Ed è giusto che vengano puniti anche loro, per quella frazione di delitti che non hanno commesso – perché di quei delitti non hanno saputo liberarsi”.[Xxiv]

La grande condanna alla modernizzazione accelerata e tardiva

Di nuovo, chiediamoci: qual è quella catena di errori, la cui origine storica appare con il Risorgimento – e di cui la pedagogia fascista del consumo forma un anello?

Alla fine, l'errore precedente, di non aver fatto una rivoluzione effettiva,[Xxv] sarà ora espiato dalla condanna della tarda modernizzazione, cioè dalla condanna del rispetto delle tappe della modernizzazione. Quale? Questi appaiono passo dopo passo nella narrazione di Salò…, attraverso i vari gironi infernali, che scandiscono le tappe dell'apprendimento, ugualmente evocative del percorso pedagogico ed espiatorio delle anime in La Divina Commedia (1320/1420), di Dante Alighieri (1265-1321).

Tale è il teorema che Salò… dimostra: la preparazione per il mercato. Questo passa attraverso la volontà di consumare e ha come corollario dipendenza e soggezione permanente. Tappe che costituiscono la cristallizzazione del processo formativo del nuovo fascismo, in cui la distinzione è premiata dalla possibilità di accompagnare e sostenere i grandi maestri nella città di Salò, capitale del regime di rivoluzione passiva.

Di qui, durante la manifestazione, l'esibizione di emblemi della modernità – a cominciare dall'afasia dei giovani di fronte al colossale monopolio del discorso, appannaggio esclusivo dei maestri pianificatori – per analogia con il potere imperiale dei conglomerati mediatici odierni (1975) . La sfilata porta altri emblemi moderni, in particolare l'arte e l'architettura modernista.

L'arte modernista, usata come alibi, costituisce il segno proprio di un'estetizzazione estesa, praticata nel laboratorio pedagogico allestito dai progettisti di Salò... Tale arte appare sui muri di villa, nella poesia recitata da Ezra Pound (1885-1972) che arriva alla radio, nell'arredo modernista degli ambienti, insomma dentro ogni ambiente proprio della rivoluzione passiva. Da qui l'enfasi del film nel mostrare il piano superiore del villa le stanze private dei grandi progettisti, cariche di segni modernisti (si lascia da parte fin dall'inizio, nella prospettiva messa da Salò..., ogni generica ammirazione o culto dell'arte moderna o del modernismo. Non senza motivo, perché – a differenza di quanto avveniva nel nazismo, che definiva l'arte moderna, nel suo insieme, “arte degenerata” – in Italia ampi settori dell'arte e dell'architettura moderna si lasciarono abbracciare o abbracciare, come i futuristi, il regime ).

Dalla tragedia alla farsa

Pasolini ha cercato una costruzione dialettica. Pertanto, termini opposti, come i grandi pianificatori e le loro giovani vittime, o la pianificazione intervenuta e la passività dell'alto consumo, o anche il liberalismo e il totalitarismo (tutti, a prima vista antitetici), diventano tutti esplicitamente - man mano che la trama si sviluppa dialetticamente – in uno stato di mutua determinazione di fronte al suo opposto.

Allo stesso tempo, trentadue anni dopo il film Salò, il libro di Naomi Klein, La Dottrina…, ha portato alla luce una cospirazione neoliberista globale, attraverso una narrazione non più posta, come Salò…, come un'allegoria o una parabola, dalla trama intricata e non immediata, ma, in questo caso, espressa in termini chiari e oggettivi, come di solito accade nell'attuale giornalismo d'inchiesta.

In questo senso, gli schemi delle élite finanziarie, svelati da Naomi Klein, si dispongono secondo le tesi e le scene richiamate nel testo di Sade, come la farsa dopo la tragedia nella celebre formula di Marx, che apre il 18 Brumaio.

In effetti, il testo di Sade, all'epoca, costituiva già una farsa didattica.[Xxvi] prima della tragedia della colonizzazione, della schiavitù e dell'espropriazione, che potrebbe essere individuata come il rovescio parodico dell'Illuminismo, già allora (1785), in piena espansione globalizzata del processo mercantile-coloniale.

Pertanto, Sade ha effettivamente anticipato alcuni dei passi di Marx, compiendo progressi che lo stesso Marx avrebbe in qualche modo attestato (per così dire) attraverso il frequente ricorso, come scrittore, ai termini del vampirismo e simili, per rappresentazioni metaforiche del capitalismo.[Xxvii]

Concludiamo, evocando Benjamin: giungere a una concezione della storia che corrisponde allo “stato di eccezione” in cui viviamo, che, come sappiamo, non è eccezionale – bensì “la stessa cosa di sempre, [ma] ( ...) sempre peggio” [Foucault dixit], parafrasando il premiato di questo colloquio –, questa è, in un modo o nell'altro, la condizione necessaria, anche se insufficiente, per rafforzare la nostra posizione contro il fascismo – sia esso il vecchio o il nuovo, resta da aggiungere.[Xxviii]

un'altra giovinezza

Mi permetto un'ultima considerazione, ora rivolta soprattutto agli studenti cileni: quando Pasolini si occupò del fenomeno, oggi chiamato da Dardot e Laval di “soggettivazione capitalista”, affermò, come abbiamo visto, a proposito della gioventù italiana del suo tempo, che erano “giovani infelici” – perché non sapevano “liberarsi dagli errori dei genitori”.[Xxix]

Da parte mia, penso che una simile affermazione non si adatterebbe in relazione alle legioni combattive della gioventù cilena di oggi, che, attraverso la loro lotta, hanno imposto, oltre alla richiesta di un'istruzione pubblica, gratuita e universale, anche l'obiettivo di la rifondazione pubblica e democratica dello Stato cileno, affrontando così gli impegni del Concertazione – concepito, tanto quanto il programma negoziato della nefasta e conciliatoria transizione brasiliana (1984-85), sulla base della fallacia dei patti di Moncloa, presi a modello.

In omaggio alla volontà intransigente e inflessibile di combattere di gran parte della gioventù cilena, voglio lasciarvi con qualcosa che fa parte del mio lavoro di storico, ovvero: sintetizzare il materiale di ieri con le lotte attuali.

Si tratta di ricordare le parole di un combattente sociale, il cui ricordo e le cui parole sono molto onorato di poter evocare qui:

“I processi sociali non possono essere fermati

né con delitto né con la forza (…)

Molto presto, piuttosto che tardi, si apriranno di nuovo le grandi strade, attraverso le quali passerà l'uomo libero”.[Xxx]

*Luiz Renato Martins è professore-consulente di PPG in Storia economica (FFLCH-USP) e Arti visive (ECA-USP); e autore, tra gli altri libri, di Le lunghe radici del formalismo in Brasile (Haymamercato/ HMBS).

Per leggere la prima parte dell'articolo clicca su https://dpp.cce.myftpupload.com/a-era-dos-genocidios/

 

Riferimenti


Pierpaolo PASOLINI, Salò, 120 Giornate di Sodoma, 35 mm, 117 minuti, colore, vo, in italiano, Italia e Francia, 1975; Versione DVD consultata: idem, copia del British Film Institute, ;

________________, Sceneggiatura Corsari, Milano, Garzanti, 1975; ed. Brasiliano: Scritti corsari, trad. Maria Betânia Amoroso, San Paolo, Ed. 34, 2020;

________________, Lettres Luthériennes/Petit Traité Pédagogique (Lettera luterana, Torino, Einaudi, 1976), trad. Anne Rocchi Pullberg, Parigi, Seuil, 2000;

AF de SADE, Les 120 Journées de Sodome o l'École du Libertinage, prefazione di Annie Le Brun, Le Tripode/ Méteores, 2014.

Ringrazio la deferenza di tutti gli organizzatori dell'evento, nelle persone del prof. Esteban Radiszcz (Dip. di Psicologia/ Facoltà di Scienze Sociali) e Margarita Iglesias Saldaña (Cattedra Michel Foucault). Grazie anche al prof. Gabriela Pinilla (Univ. District Francisco Caldas, Bogotá) per la traduzione del testo in spagnolo, e per aver collaborato alla raccolta di immagini e documenti storici di: Natalie Roth, Rafael Padial e Gustavo Motta (che ringrazio anche per la revisione e l'aggiornamento della bibliografia)

 

note:


[I] Per quanto riguarda le conseguenze della crisi economica in corso al momento del Salò…, Gunder Frank presentò al già citato convegno del 1975 un'analisi contemporanea a quella di Pasolini, in cui anticipava i cambiamenti che la crisi avrebbe portato, provocando il passaggio a un modello di capitalismo distopico: “Sospetto che la prossima parola d'ordine sarà la governi di 'unità nazionale', nel tentativo di dominare politicamente la crisi economica. E penso che questi governi di unità nazionale saranno destinati a preparare il terreno per un '1984'. In alcuni luoghi, forse, sarà impossibile istituire un governo di unità nazionale e potrebbe esserci semplicemente un colpo di stato militare che imporrà direttamente un "1984", senza passare attraverso un lungo e lungo processo. In Inghilterra, questa prospettiva è già in discussione, anche sulla stampa. Vale a dire, avremo una lotta di classe sempre più acuta, intorno alla questione della riorganizzazione dell'economia e della società, di fronte alla crisi economica. Come ho detto prima, uno dei modi principali per cercare di superare questa crisi è attraverso l'introduzione di nuove tecnologie, ma solo quando arriva il momento giusto, quando l'economia è stata riorganizzata e il tasso di profitto torna a salire, è che si può fare. Poi verrà introdotta questa nuova tecnologia…” Vale la pena notare che Gundar Frank ha utilizzato, in assenza dell'attuale designazione di “neoliberismo”, la metafora orwelliana del “1984”, per allegorizzare le caratteristiche del nuovo ciclo capitalista, a quella volta ancora in via di impianto nello sfortunato laboratorio vivente di Santiago e su cui AGF scriverà, nei mesi successivi, le due lettere aperte sopra citate (vedi nota 21 sopra). Cfr. AG FRANK, “Crisi economica…”, op. cit., pag. 55.

[Ii] Nel 1975 la crisi del capitalismo era diventata un argomento esplicito nei titoli dei giornali di tutto il mondo. Per discutere direttamente della crisi, i rappresentanti nazionali delle principali economie industrializzate si sono incontrati tra il 15 e il 17.11.1975 novembre XNUMX a Rambouillet, vicino a Parigi, su invito del Presidente della Francia. A seguito del successo dell'incontro, gli incontri sono diventati annuali.

[Iii] L'espansione economica (già permeata dalla crisi) dei cosiddetti “anni Pompidou” (1969-74), che seguirono il decennio De Gaulle (1958-69), corrispondeva in Francia all'ultima smorfia del precedente modello espansivo. Ma anche così, il 1968 smise di essere foriero e segno dei limiti politici ed economici del modello incruento.

[Iv] Vedi J. FOURASTIE, Les Trente Glorieuses o la Révolution Invisible dal 1946 al 1975, Parigi, Fayard/Pluriel, 1979.

[V] Cfr. PP PASOLINI, «Il genocidio», on. cit., pp. 281-2; idem, "Il genocidio", op. cit., p. 263-4.

[Vi] Pasolini alludeva di sfuggita e genericamente al Manifesto... La menzione è avvenuta durante un intervento orale, alla festa del quotidiano l'Unità, ed è stato trascritto dalla rivista piccolo strass, dal PCI. La rivista pubblica il testo, con il titolo “Il genocidio”, nell'edizione del 27.09.1974. È possibile che la trascrizione fosse approssimativa, imprecisa e imprecisa, tralasciando specifiche e altre spiegazioni. Il libro degli interventi giornalistici, Sceneggiatura Corsari, in cui il testo è stato ripubblicato, è uscito poche settimane dopo l'assassinio di Pasolini (02.11.1975), quindi probabilmente senza la revisione dell'autore. Cfr. PP PASOLINI, «Il genocidio», on. cit., pp. 281-7; idem, "Il genocidio", op. cit., p. 263-8.

[Vii] Un altro intervento rilevante in proposito è stato l'articolo “Il mio Accattone in TV dopo il genocidio”, Corriere della Sera, 8.10.1975. Cfr. PP PASOLINI, “lun Accatone à la télévision après le genocide [My Accatone in tv dopo il genocidio]”, en idem, lettere …, operazione. cit., pp. 179-87.

[Viii] Vedi PP PASOLINI, Appunti per un film sull'India [Appunti per un film sull'India], Italia, Radiotelevisione Italiana (RAI), 1968, 25”; idem, Appunti per un'Orestiade Africana [Appunti per un'Orestiade africana], Italia, IDI Cinematografia/ I Film Dell'Orso/ RAI Radiotelevisione Italiana, 1970, 65'; idem, Carnet de notes pour une Orestie Africaine (in complemento: Notes pour un film sur l'Inde), DVD et livre (nouveau master restauré, vo/ sous-titres français), Parigi/ Bologna, Carlotta-Films/ Cineteca Bologna, aprile 2009, 71'.

[Ix] “Il fascismo non sarebbe proprio la forma di 'rivoluzione passiva' propria del Novecento, come lo fu il liberalismo nell'Ottocento?” Cfr. Antonio GRAMSCI, §<236>, “Points pour un essei sur Croce [Punti per un saggio su Gramsci]”, in Antonio GRAMSCI, Casse del carcere. Cahier 6, 7, 8 e 9, av.-propos, notices et notes de Robert Paris, trad. Monique Aymard e Paolo Fulchignoni, Paris, Éditions Gallimard, 1983, p. 397. Per altre note di Gramsci sul concetto di Cuoco, vedi anche §<25>, “Risorgimento”, e §<240>, “Points pour un essei sur Croce. Histoire éthico-politique o histoire speculative? [Punti per un saggio su Gramsci. Storia etico-politica o storia speculativa?]”, in idem, rispettivamente, p. 273 e pag. 399. Per una trattazione ampliata e aggiornata della nozione, si veda anche Alvaro BIANCHI, “Passive revolution: past tense of the future”, in Critica marxista, NO. 23, Campinas, 2006, pp. 34-57; e si veda anche Neil DAVIDSON, “Scotland: Birthplace of Passive Revolution?”, in idem, Non possiamo sfuggire alla storia: stati e rivoluzioni, Chicago, Haymarket Books, 2015, pp. 85-102.

[X] Peter Thomas riassumeva così il risultato della trasformazione critica operata da Gramsci: “…la rivoluzione passiva, come concetto, non rimanda più primariamente a un evento riconoscibile e particolare. Piuttosto, in quest'uso finale, la rivoluzione passiva ha assunto un significato più generale, come logica di un certo tipo di modernizzazione. In un certo senso, il concetto è diventato quasi sinonimo di modernità, vista ormai come una malinconica finzione in cui la massa dell'umanità è ridotta a meri spettatori della storia…” Cfr. Peter THOMAS, "La modernità come 'rivoluzione passiva': Gramsci e i concetti fondamentali del materialismo storico", Giornale della Canadian Historical Association/Revue de la Société historique du Canada, vol 17, nº 2, 2006, pp. 61-78; la versione on line può essere trovato a Studioso, URL:http://id.erudit.org/iderudit/016590ar>, consultato il 22.01.2019, DOI: 10.7202/016590ar.

[Xi] Quanto all'interrelazione, nei quaderni di Gramsci, tra i concetti di "egemonia" e "rivoluzione passiva" - quest'ultima operante, per Gramsci, come l'opposto della costruzione dell'apparato di "egemonia proletaria", e questo, a sua volta, come un concetto in convergenza con quello di “rivoluzione permanente” – vedi idem, “Egemonia, rivoluzione passiva e il Principe moderno”, Tesi undici, URL:http://the.sagepub.com/content/117/1/20>, consultato il 22.01.2019, DOI: 10.1177/0725513613493991. Sul protagonismo proletario come principale vettore della teoria della “rivoluzione permanente”, si veda León TROTSKY, La rivoluzione permanente, Messico, Thomas Guinta/Trotsky Memorial Trust e Fundación Federico Engels Messico, 2006; vedi anche Michael LÖWY, La politica dello sviluppo combinato e irregolare: la teoria della rivoluzione permanente, Chicago, Haymarket Books, 2010. Infine, nel nuovo registro critico, il concetto di rivoluzione passiva può essere visto in parallelo con le nozioni di “bonapartismo” (Marx e Trotsky) e di “cesarismo” (Gramsci). In questo modo la nozione di rivoluzione passiva può essere accostato, come correlato negativo della nozione di “rivoluzione permanente”, di Trotsky (1879-1940), come strumento di senso al tempo stesso opposto e complementare a quest'ultimo. Del resto, è proprio questo il nocciolo della proposta interpretativa del libro di Peter Thomas, Rivoluzioni, passive e permanenti, in corso di traduzione, che sarà lanciato nel 2022 dalla collezione Ideias Baratas, di Sundermann (San Paolo).

[Xii] Cfr. PP PASOLINI, “La prima…”, on. cit., P. 24; idem, “Il primo…”, on. cit., P. 47.

[Xiii] Vedi idem, “Il genocidio”, on. cit., pp. 281-2; idem, "Il genocidio", op. cit., p. 263-4.

[Xiv] “…Ritengo che la distruzione e la sostituzione dei valori nella società italiana di oggi porti, anche senza omicidi di massa e sparatorie, alla soppressione di ampie fasce della società”. Cfr. idem, “Il genocidio”, on. cit., P. 281; idem, "Il genocidio", op. cit., pagg. 263.

[Xv] Cfr. idem, “Il genocidio”, on. cit., P. 287; idem, "Il genocidio", op. cit., pag. 268.

[Xvi] Sulla storia, dal 1919, del Freikorps in Germania e la sua fattiva collaborazione con la gioventù studentesca, per la nascita di un movimento (di natura razzista e nazionalista) denominato volkisch, vedi Arthur ROSENBERG, “Fascism as a mass movement”, tradotto da Jairus Banaji, in Materialismo storico/ricerca nella teoria marxista critica, 20.1, pp.144-89,www.historicalmaterialism.org>, consultato il 22.01.2019, Leiden (Paesi Bassi), Brill, 2012, pp. 175-9. Rosenberg situa l'aspetto dei comandi (Freikorps) come primo segno di “una completa disgregazione del potere normale dello Stato” (p. 153). In parte basato sulle vivide descrizioni di Trotsky (nello stile di 18 B...), l'analisi di Rosemberg mira a stabilire le forme storiche proprie dell'espansione del fascismo. Così, osserva il processo dal germe, prendendo l'esempio del pogrom, montata dai Secoli Neri nella Russia zarista (1905), fino alla sua piena esplosione come fenomeno di massa ed elettorale, nei casi di Italia e Germania, cfr. idem, pp. 153-6 e 164.

[Xvii] Cfr. PP PASOLINI, «Chapitre deux: Comment tu dois m'imaginer [Capitolo secondo: Come devi immaginarmi]», in idem, Lettere…, operazione. cit., pag. 26.

[Xviii] Cfr. Karl MARX e Friedrich ENGELS, Il Manifesto del Partito Comunista, trad. Maria Lucia Como, recensione di André Carone, Rio de Janeiro, Paz e Terra, 1998, pp. 13-4; Karl Marx e Federico ENGELS, Il Manifesto comunista, a cura di Phil Gasper, Chicago, Haymarket, 2005, p. 44.

[Xix] Per chi resiste, la soluzione data è lo sterminio programmato – come anticipava Pasolini poche ore prima di essere assassinato – quando suggeriva come titolo della sua intervista finale: “Siamo tutti in pericolo”. Cfr. Furio COLOMBO, “Nous sommes tous en danger” (L'ultima intervista di Pasolini), in F. COLOMBO & Gian Carlo FERRETTI, L'ultima intervista di Pasolini, trad. Hélène Frappat, Parigi, Allia, 2010, p. 23.

[Xx] Non a caso la giovane guardia porta il nome dell'ultimo re d'Italia (maggio-giugno 1946), Umberto II (1904-1983), di Savoia, educato sotto il fascismo e che, sotto Mussolini, salì al generalato.

[Xxi] Cfr. PP PASOLINI, «La jeunesse malheureuse», in idem, Lettere…, on. cit. pp. 7-17.

[Xxii] Vedere idem, P. 9

[Xxiii] Visualizza idem, P. 15.

[Xxiv] Vedere Stesso, ib..

[Xxv] La diagnosi di Pasolini, che si fonda sulla nozione gramsciana di rivoluzione passiva, ha un parallelo con il giudizio di Trotsky sulla situazione in Francia nel 1935: “Una situazione rivoluzionaria è formata dall'azione reciproca di fattori oggettivi e soggettivi. Se il partito del proletariato si dimostrerà incapace di analizzare nel tempo le tendenze della situazione prerivoluzionaria e di intervenire attivamente nel suo sviluppo, al posto di una situazione rivoluzionaria sorgerà inevitabilmente una situazione controrivoluzionaria». Cfr. Léon TROTSKY, “Encore une fois, où va la France? (mars 1935)», in idem scritti, volume II, pag. 51, apud H. WEBER, op. cit., pag. 15; testo “Encore une fois…” disponibile a:https://www.marxists.org/francais/trotsky/livres/ouvalafrance/ovlf31.htm>, consultato il 22.01.2019.

[Xxvi] Inizia così il testo di Sade: "Le notevoli guerre che Luigi XIV dovette condurre nel corso del suo regno, esaurendo le finanze dello Stato e le facoltà del popolo, permisero tuttavia l'arricchimento di un numero enorme di queste sanguisughe, sempre in agguato calamità pubbliche, che provocano invece di alleviare, e che per avere la possibilità di trarne profitto, con più vantaggi.» Cfr. DAF di SADE, Le 120 giornate…, operazione. cit., pag. 13. Ovvero, come notava puntualmente Pasolini, ogni somiglianza con il presente non semplice coincidenza, ma piuttosto il risultato della perspicacia di Sade.

[Xxvii] A proposito, David McNALLY, I mostri del mercato. Zombi, vampiri e capitalismo globale, Chicago (IL), Haymarket Books, 2012.

[Xxviii] Vedi Walter BENJAMIN, “Thesis VIII”, in Michael Löwy, Walter Benjamin: Allarme incendio, trad. Wanda NC Brandt, trad. dalle tesi Jeanne Marie Gagnebin e Marcos Lutz Müller, São Paulo, Boitempo, 2005, p. 83.

[Xxix] Cfr. PP PASOLINI, “La jeunesse…”, on. cit., P. 15.

[Xxx] Cfr. Salvador ALLENDE, “Alocuciones radiales del 11 de Septiembre de 1973” [Discorsi radiofonici dell'11 settembre 1973]. I primi emessi da Radio Corporación; l'ultimo, di Radio Magallanes/ 9:10, in idem, Apri i Grandi Alamedas / Discorsi, Santiago del Cile, Libros del Ciudadano, 2013, pp. 73-5.

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