in attesa dei barbari

LEDA CATUNDA, Flaky, 2021, acrilico e smalto su tela, tessuto e plastica, 400 x 70 cm
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da WALNICE NOGUEIRA GALVÃO*

Commento al film diretto da Ciro Guerra

Lo spettro di Kafka, e l'intera coorte del teatro dell'assurdo, insiste a vagare per il cinema.

Questo è quello che succede dentro in attesa dei barbari, diretto da Ciro Guerra, prodotto sotto gli auspici di Konstantinos Caváfis, il bardo di Alessandria e della decadenza degli imperi, da cui prende il titolo. In un insignificante e remoto avamposto coloniale in mezzo al deserto, il Magistrato legifera e tiene svogliatamente a bada i barbari. Ma questi sono poveri diavoli, e non minacciano nessuno. Finché non compare un colonnello intervenuto, che istituisce torture e brutali interrogatori, con il pretesto di sradicare una sedizione. Il conflitto è armato e il suo svolgimento è il fulcro del film. La trama ricorda ancora il deserto dei tartari, romanzo di Dino Buzzatti.

JL Coetzee, autore del romanzo da cui è tratto il film, è il sudafricano che, poco dopo Nadine Gordimer, ha vinto il Premio Nobel. Entrambi erano militanti devoti che nei loro romanzi denunciavano i crimini dell'apartheid, che era genocida e tremendamente crudele. Per fortuna se n'è andato, e non senza combattere, visti i 27 anni che Nelson Mandela ha trascorso in carcere. O apartheid trovò in questi e in altri scrittori e artisti, come la cantante Miriam Makeba, oppositori di peso e rispetto, per la maggior gloria della nazione. Una bella messe di film sarebbe arrivata più tardi, perpetuando le gloriose gesta della resistenza, ma il teatro, la canzone e la letteratura ebbero l'onore di affrontare in diretta la repressione.

Il regista del film è colombiano e ha già attirato l'attenzione con un altro lavoro, L'abbraccio del serpente, in cui un indiano, l'ultimo residuo della sua nazione, e un esploratore bianco partirono per una ricerca alquanto vaga. Come si vede, il regista insiste per risolvere la dolorosa ferita dell'attrito etnico e le catastrofi che comporta. Richiede la registrazione per scegliere un trio di attori che non potrebbe essere migliore: Mark Rylance è il protagonista, il Magistrato, affiancato da Johnny Depp nei panni del sadico colonnello e da Robert Pattinson nei panni del suo luogotenente.

Dei tre, il meno conosciuto tra noi è Mark Rylance, infatti non solo tra noi, anche a Hollywood: un artista con il suo straordinario curriculum vinse solo tardivamente un Oscar, e anche allora come attore non protagonista. Questo è successo nel film Il ponte delle spie, di Steven Spielberg, in cui interpreta il colonnello Abel, la spia russa che, processato e condannato a 30 anni di carcere negli Stati Uniti, non ha mai aperto bocca, non ha confessato né si è dato alla denuncia.

L'attore non era esattamente sconosciuto, visto che ne aveva già vinte ben tre Tonys, il più alto riconoscimento teatrale d'America, sui palcoscenici di Broadway. Grande attore shakespeariano, viene da Royal Shakespeare Company. Quando hanno ricostruito il Globe Theatre consumato da un incendio, di cui il bardo inglese era comproprietario e attore, Mark Rylance ne fu il primo regista, e per dieci anni, dal 1995 al 2005.

Il teatro ricostruito si trova in bella vista nel Argine, sulla riva del Tamigi e ricalca il modello delle sale da concerto dell'epoca. Il pubblico non ha posti a sedere: tutti in piedi, con il palco all'altezza degli occhi. Là la plebe starebbe, in gran tumulto, applaudendo secondo le mosse della trama. Di pianta arrotondata, lungo le pareti c'erano tre o quattro piani di locali più costosi con panchine, tutti coperti da un tetto di paglia, mentre il centro del cerchio era aperto al cielo, per ragioni di illuminazione e di ossigeno.

Durante l'intero decennio in cui Mark Rylance ha gestito la casa, non ha mai smesso di recitare come attore, ed è possibile vederlo nei documentari del Globe Theatre. Quindi lo vediamo dentro dodicesima notte, ccon un cast maschile (obbligatorio nel teatro elisabettiano), nel ruolo di un'inestimabile contessa Olivia, che scivola sotto i riflettori a piccoli passi nascosti da gonne voluminose. Devi esserti divertito molto.

Questo film, girato ora, è certamente un'allegoria della fine del mondo, o dell'Apocalisse, uno dei generi cinematografici oggi più numerosi. La pandemia e l'ascesa della destra, decretando la chiusura degli orizzonti che aprivano il futuro, hanno reso comune e banale questo tipo di film – ma questo in attesa dei barbari niente di comune o banale. Al contrario, invita alla meditazione.

*Walnice Nogueira Galvao è professore emerito presso FFLCH presso USP. Autore, tra gli altri libri, di Leggere e rileggere (Sesc\Ouro su Blu).

Riferimento


in attesa dei barbari (in attesa dei barbari)
Italia, USA, 2020, 114 minuti.
Regia: Cirò Guerra.
Interpreti: Mark Rylance, Johnny Depp, Robert Pattinson.


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