da JUAREZ GUIMARÉS*
Nella dialettica del rapporto tra ascesa del neoliberismo e crisi del socialismo, sarebbe necessario comprendere come il primo cerchi di decostruire il valore della speranza che sta alla base dell’identità della militanza rivoluzionaria.
Nella prima metà del XX secolo, come già documentato nel libro Democrazia e marxismo. Critica della ragione liberale, nella cultura del marxismo prevaleva quello che viene chiamato “determinismo storico”, attraverso una filosofia della storia (come se la storia avesse un orientamento precedentemente definito del suo corso futuro), una scienza della storia (come se esistessero leggi ferree che definissero il direzione delle società) o una teoria della storia (come se esistesse un metodo trans-storico per pensare al cambiamento sociale).
Era tempo per generazioni di militanti marxisti di credere che il socialismo, anche con il suo avvento ritardato, sarebbe certamente arrivato. Questa certezza storica era alimentata da una visione dogmatica dell'opera di Marx, pensata come fornitrice di questa certezza storica.
Le tre ondate di espansione del determinismo furono, in ordine storico, la diffusa sistematizzazione filosofica del marxismo di Engels, il marxismo della Seconda Internazionale nel suo pluralismo e il cosiddetto Diamat, la cristallizzazione del marxismo nell’URSS stalinizzata. Certamente ci furono fin dall’inizio dei marxismi critici, parziali o proponenti una visione coerentemente alternativa al determinismo storico, ma non divennero predominanti.
In questo universo di certezze e dogmi non c’era certo posto per la speranza.. Non sarebbe esattamente necessario. Il dubbio stesso veniva spesso visto come un’oscillazione “piccolo-borghese”. Confermata, apparentemente, dalle grandi rivoluzioni russe del 1917 e da quella cinese del 1949, l’idea che il socialismo fosse una tendenza inevitabile del futuro andava addirittura oltre la cultura del marxismo, e si ritrova anche nell’opera di un grande economista liberale come Giuseppe Schumpeter. L'idea di una crescente tendenza alla socializzazione della vita è stata espressa anche in un'enciclica papale.
Con l’ascesa e il predominio della tradizione neoliberista a partire dagli anni Ottanta del XX secolo, la situazione si è invertita. Divenne dominante l’idea che la storia umana avesse completato il suo ciclo verso un’economia di mercato e una democrazia liberale e che non esistessero alternative alla società di mercato capitalista. E la nozione di socialismo veniva stigmatizzata come un errore che la storia stessa si era lasciata alle spalle.
Da non-luogo o luogo marginale, la speranza è diventata fondamentale per la ricostruzione della cultura del marxismo e della tradizione del socialismo democratico. Gli ultimi decenni hanno visto frustrate le esperienze, rivoluzionarie o riformiste, dell’eurocomunismo e del tentativo di costruire ad esso un’alternativa di sinistra, della rivoluzione centroamericana, della transizione al socialismo democratico nell’Europa dell’Est, del recupero dell’identità il movimento operaio inglese, il tentativo democratico radicale greco di uscire dall’austerità, una nuova sinistra in Germania, la crisi straziante del peronismo, l’evoluzione neoliberale dei governi post-apartheid in Sud Africa e l’impasse delle rivoluzioni in Angola e Mozambico, Bolivia e Venezuela, Podemos in Spagna, ecc.
Più della paura, è la “disperazione” oggi a costituire un ostacolo centrale alla costruzione di alternative politiche complessive al capitalismo neoliberista. È ciò che sta alla base del conformismo di massa che sostiene il neoliberismo di fronte alle sue promesse non mantenute di aprire in modo massiccio la strada alla ricchezza e al consumo. È a una massa di lavoratori impoveriti o in procinto di impoverirsi e di perdere i propri diritti, senza avere un orizzonte futuro, che i leader dell’estrema destra neoliberista e dei fondamentalismi religiosi si rivolgono per costruire la loro massiccia base elettorale.
È questa disperazione che corrode la tradizione socialista della sinistra, abbassando il suo orizzonte politico a un pragmatismo incapace di affrontare le basi del dominio neoliberista, che cerca di negoziare con esso o, al massimo, di agire nelle sue lacune.
In questo contesto in cui la disperazione gioca un ruolo centrale, la nozione stessa di critica tanto cara alla sinistra non dogmatica dovrebbe essere concepita come speranza critica, cioè come ciò che costruisce alternative, identifica potenzialità di cambiamento, ricorda e valorizza momenti esemplari di lotta, è sensibile al dialogo con sentimenti di impotenza e di angoscia, costruisce intorno a sé l'amore e, soprattutto, è capace di sognare ad occhi aperti. La critica non può essere solo negativa, scoraggiante e tanto meno nichilista.
La speranza e le sue ragioni
A differenza delle fedi, non solo di origine trascendentale, ma anche di quelle che si presentano con un linguaggio secolare, dell'ordine delle certezze, la speranza rivendica con umiltà il possibile e, nella sua prassi, si nutre del dubbio per porre le domande necessarie, correggere cammini e stabilire la necessaria condizionalità delle prospettive. La speranza ha bisogno di ragioni per andare avanti, che indichino strade possibili.
Si differenzia quindi dalle illusioni, cioè da una pratica politica che si basa su giudizi precari o presumibilmente consolatori della realtà. Fa parte di una pratica volontaristica, che va oltre il possibile, anche senza crearne le condizioni, ponendo l’accento sulle potenzialità e riducendo o sminuendo le difficoltà imposte in ogni momento dal dominio di classe.
Non si tratta nemmeno di ricorrere al binomio ottimismo/pessimismo, attraverso la formula “pessimismo della ragione, ottimismo della volontà”, come se la mera volontà, spogliata di una valutazione critica della realtà, potesse affermarsi. La speranza deve essere realistica, non nel senso positivista di semplificazione della realtà sociale dominante, ma di identificazione delle contraddizioni strutturanti e mobili tipiche della società capitalista.
Il metodo di Marx è quello dell'immanenza e cerca di stabilire un rapporto dialettico tra l'analisi dinamica del capitalismo, le sue contraddizioni di classe e le sue possibilità di rivoluzione. Questo rapporto non dovrebbe nemmeno essere separato attraverso la formula condizioni oggettive data per il socialismo rispetto a condizioni soggettive avverse, come se esistesse una struttura e una sovrastruttura della società capitalista che potrebbe essere pensata isolatamente. Le crisi del capitalismo sono anche momenti di crisi del suo dominio, della sua stabilità e della sua capacità di riproduzione.
In un momento di grande instabilità politica, come nell’era del capitalismo neoliberista, accentuata dopo la crisi finanziaria internazionale del 2008 e nel mezzo della crisi sistemica del dominio geopolitico dello Stato nordamericano, il concetto stesso di correlazione di forze deve essere storicamente contestualizzato. In situazioni di crisi di civiltà, come quella che stiamo vivendo oggi, c’è un fortissimo dinamismo di cambiamenti nella cultura politica, che stabilisce possibilità di cambiamenti improvvisi nei rapporti di forza all’interno della stessa situazione.
Si deve pensare, sulla base di questa comprensione molto dinamica della correlazione delle forze, che esiste un’importante dialettica tra la resistenza al capitalismo neoliberista e la speranza di costruire alternative ad esso. Non può esserci resistenza duratura senza il principio della speranza. E la speranza deve alimentarsi di resistenze, anche localizzate e parziali. Ad esempio: quando Lula fu incarcerato, segnando un chiaro momento di resistenza, era fondamentale lanciare la sua candidatura alla presidenza come modo per aprire l'orizzonte della disputa. Mentre Lula viene eletto presidente, la speranza deve guidare le lotte di resistenza contro il neoliberismo.
Da questa prospettiva, la speranza del socialismo democratico non dovrebbe essere pensata come qualcosa di limitato o un privilegio di cui godono le avanguardie della sinistra. Deve esserci una traduzione popolare per le classi lavoratrici del principio della speranza. Dovendo soffrire quotidianamente gli inferni del capitalismo neoliberista, dell’odio, della violenza, della disuguaglianza e dei bisogni più elementari, i cuori degli oppressi devono avere il diritto alla speranza come pane quotidiano. Se è attraverso la lotta per i loro diritti fondamentali alla libertà e a una buona vita che si riescono a mobilitare milioni di persone, l’immaginazione realistica di una vita sociale alternativa al capitalismo neoliberista è necessaria per formare le energie della trasformazione sociale.
Di seguito identifichiamo cinque percorsi attraverso i quali il neoliberismo cerca di decostituire il principio della speranza che guida l’attivismo socialista democratico.
Il socialismo democratico è un’alternativa necessaria alle crescenti dinamiche barbariche del capitalismo neoliberista
Come linea guida per la cultura politica e non intesa solo come situazione geopolitica, la cosiddetta “Guerra Fredda” non si è conclusa con la fine dell’URSS, ma ha acquisito intensità e ampiezza con l’ascesa politica del neoliberismo. In questo senso, se il liberalismo nel corso del XX secolo ha mobilitato la sua intelligenza più importante e sofisticata per criticare Marx e le tradizioni socialiste, contrapponendogli la tradizione liberale come una sorta di religione laica della libertà, il neoliberalismo, nelle sue matrici fondamentaliste, già a partire dal esecrazione del socialismo per organizzare le loro campagne di odio.
Non bisogna sottovalutare l’effetto di questa nuova “Guerra Fredda” sulle coscienze, anche delle classi lavoratrici, dopo decenni di dominio neoliberista con le sue nuove macchine di comunicazione. Sarebbe un grave errore legare la difesa del socialismo a esperienze, partiti e movimenti politici che, in nome del contrasto all’imperialismo nordamericano, commettono ogni tipo di violazione dei diritti umani, degli stessi lavoratori, delle donne, dei movimenti LGBTQI+ e contro le libertà democratiche.
Per far fronte a questa esecrazione radicale promossa dal neoliberismo, sarebbe necessario combinare tre linee di ricostruzione della speranza. Il primo riguarda l’affermazione documentata che la tradizione politica fondata da Marx ed Engels e continuata dai critici dello stalinismo nel XX secolo non ha mai separato il socialismo dalla difesa di una democrazia radicale, dalla gestione collettiva dell’economia e dei mezzi di produzione attraverso la pianificazione democratica. .con l’approfondimento e l’universalizzazione senza precedenti dei diritti umani.
Non esiste diritto umano importante, sia esso legato all'emancipazione del lavoro, delle donne, di coloro che sono oppressi dal razzismo e dalle dinamiche coloniali, dalla libertà di espressione e di organizzazione ai diritti civili, che non abbia avuto un ruolo guida o decisivo nelle tradizioni nel corso della storia del socialismo democratico.
Il secondo è la dimostrazione, ampiamente documentata nel mondo contemporaneo, delle dinamiche regressive e barbare promosse dal capitalismo neoliberista nei confronti dei diritti umani, dell’ecologia e della pace. Le dinamiche di accumulazione e mercificazione della vita sociale, secondo gli scienziati, non solo creano una crisi di civiltà ma minacciano anche la sopravvivenza stessa dell’umanità. La sinistra internazionale, e ancora di più quella brasiliana, è molto indietro nell’organizzare la denuncia pubblica e popolare del neoliberismo.
La terza linea per affrontare l’esecrazione del socialismo, nel senso di superamento di una visione meramente propagandistica e discorsiva, è quella di collegare i diritti conquistati, le esperienze di successo dei movimenti sociali, anche di carattere locale, alla speranza stessa di costruire un’alternativa società. Il socialismo democratico è una prassi di trasformazione permanente del mondo e della vita e, a differenza di qualsiasi visione riformista, parlamentare o aziendale, stabilisce sempre connessioni transitorie tra le rivendicazioni immediate e la società socialista alternativa che vogliamo costruire.
La costruzione di alternative è possibile a causa della profonda crisi di legittimazione e riproduzione del capitalismo neoliberista
Il terzo decennio del XXI secolo ha reso sempre più evidente che, al di là del consolidamento del dominio neoliberale, c’è una dinamica crescente della crisi della sua legittimazione e della sua capacità di approfondire o addirittura stabilizzare le sue condizioni di riproduzione. L’epicentro di questa crisi di dominio neoliberista sono gli Stati Uniti, il loro sistema politico, la capacità competitiva del loro capitalismo, la loro capacità di coordinare l’ordine mondiale che mantiene sotto la sua influenza. Qui gioca un ruolo decisivo l’ascesa della Cina, ma anche la crisi della NATO, testimoniata dalla guerra Russia-Ucraina, la formazione dei BRICS e la ricerca di una nuova valuta alternativa al dollaro, l’isolamento internazionale di Israele.
L’ascesa dell’estrema destra neoliberista, soprattutto con la vittoria di Trump alle elezioni presidenziali e l’ascesa dell’AFD in Germania, un paese chiave nel processo di unificazione europea, ha il potenziale per peggiorare la crisi di civiltà e aumentare la polarizzazione politica internazionale, ma non per stabilizzare il dominio neoliberista. Questa ascesa è legata ombelicalmente alle sconfitte storiche dei tentativi del Partito Democratico Nordamericano e della socialdemocrazia europea programmaticamente neoliberista di ristabilire una stabilità di dominio nel quadro di una democrazia liberale, anche se altamente minimalista.
È quindi attraverso una caratterizzazione della disputa sugli orientamenti di fronte alla crisi di civiltà creata e aggravata dall’ascesa neoliberista che dobbiamo concepire la situazione a lungo termine in cui siamo inseriti. In questa disputa sulle direzioni, la speranza gioca un ruolo decisivo: la gravità della crisi vieta soluzioni pragmatiche e adattative all’ordine neoliberista in crisi. E ricorda quella situazione politica e anche esistenziale della sinistra socialista e dei suoi militanti, di fronte alla crisi di civiltà del primo dopoguerra e al processo di ascesa del nazifascismo, senza un'alternativa di socialismo democratico realizzata a guida il significato dei combattimenti.
Invece di una visione fatalistica, sconfitta prima di combattere, bisognerebbe confidare che di fronte alle catastrofi promosse dal capitalismo neoliberista vi sia un’apertura storica per la costruzione della legittimità di massa di una società socialista democratica.
Contro l’individualismo competitivo e l’impotenza di fronte alle dinamiche del capitalismo neoliberista, ricostruire la capacità trasformativa della fraternità e della sorellanza nella tradizione socialista democratica
Una delle dimensioni centrali della società del capitalismo neoliberista è la massima concentrazione di capitale a fronte della crescente pressione per l’atomizzazione dei lavoratori. Questo rapporto trova la sua espressione organica nella stessa ragione neoliberista, che nega radicalmente la capacità di autogoverno, esalta l’individualismo metodologico, perseguita violentemente le forme organizzative di resistenza e sostiene la concorrenza individualista nelle reti commerciali di sfruttamento. Solo l’individuo è lasciato nella dura lotta competitiva per diventare parte della piccola minoranza che vince o per costituire la grande massa che fallisce.
L’identificazione della fraternità come centrale per comprendere la crisi del socialismo democratico in epoca neoliberista è già nel bellissimo libro di Antoni Domenech, L'eclissi della fraternità. Una revisione repubblicana della tradizione socialista (Barcellona: Critica, 2004). E ha come epigrafe la bella frase di Simone Beauvoir: «Nel cuore del mondo che ci è stato donato, l'uomo deve far trionfare il regno della libertà; Per ottenere questa vittoria suprema è necessario, tra le altre cose, che, al di là delle loro differenze, uomini e donne affermino inequivocabilmente la loro fraternità”. Nella tradizione del socialismo democratico, l’enfasi sulla dimensione fraterna della lotta per l’emancipazione – splendidamente rivisitata negli ultimi tempi con lo slogan “Nessuno lascia andare la mano di nessuno” – è centrale per la ripresa della speranza.
Non si tratta sicuramente di una campagna a favore del collettivismo e contro l’individualità. Se già Marx differenziava la sua visione umanista da un “comunismo rozzo”, che non dava luogo al pieno sviluppo dei poteri individuali, se Rosa Luxemburg difendeva un socialismo che dava luogo a individualità diverse, Gramsci già richiamava l’attenzione sul fatto che i socialisti dovrebbero non essere contro l’individualità stessa ma contro quella organica della società mercantile capitalista, competitiva ed egoista. Per la cultura del socialismo democratico ogni storia di vita oppressa è soprattutto una testimonianza e un romanzo in cerca di emancipazione.
Pertanto, per tutte le ragioni, c’è una crisi sociologica di speranza nelle società del capitalismo neoliberista: un’avanzata delle reti mercantili sulle forme comunitarie, collettive e associative radicate nelle tradizioni socialiste, a cominciare dai mondi del lavoro, e perfino la cattura di significato delle forme assistenziali e associative religiose. Senza una nuova cultura della fraternità e della sorellanza in nuove esperienze collettive, non è possibile ritrovare la speranza in una società alternativa al capitalismo neoliberista.
Riorganizzare la temporalità inerente alle tradizioni dell’attivismo socialista di fronte alla monetizzazione neoliberista del tempo di vita.
L’ascesa del dominio neoliberista ha approfondito la crisi delle tradizioni del socialismo democratico non solo da un punto di vista programmatico e organizzativo, ma anche nella dimensione temporale della tradizione, cioè del sentimento di appartenenza a una ricca storia che ci precede. , che è presente nella nostra vita e che continuerà al di là di noi. Lo sradicamento delle tradizioni del socialismo democratico è fatale per la speranza, che è sempre una scommessa su un tempo possibile.
Esiste, infatti, nel capitalismo neoliberale una monetizzazione del tempo di vita, sia attraverso la precarietà dei rapporti di lavoro e l'allungamento dell'orario di lavoro, sia attraverso una privatizzazione degli spazi pubblici in cui si svolge la vita, sia nell'attacco alle forme comunitarie. . e delle loro tradizioni, sia, infine, nel caso delle donne, nell'inasprimento del tempo dedicato alla cura e alla vita domestica. Il tempo monetario è sempre quello dell'utilità, della compressione del ritmo vitale, del respiro pesante, dei nervi tesi, dello stress continuo.
La temporalità della speranza è, per eccellenza, il tempo dell'aspirazione. Per l'attivista socialista democratico, reinserirsi nella storia di una tradizione di emancipazione significa, infatti, dare al tempo un significato diverso da quello della vita mercantile. Questa possibilità di ampliare la propria visione, avanti e indietro, di sentirsi allo stesso tempo più giovane come costruttore di un futuro possibile e più antico, testimonianza di un'ascendenza e di un patrimonio di lotte.
Il tempo quasi sempre drammatico del presente non deve necessariamente essere pensato come tragico. Superare l’oppressione è forse un’impresa magnifica. L'eccessivo sforzo quotidiano fa già parte della costruzione di questo possibile. A polmoni pieni è possibile respirare e incoraggiare i venti del cambiamento. Non respiriamo più aria confinata senza alternative.
Nella temporalità media, all’interno dell’orizzonte di ogni situazione, è possibile prevedere obiettivi, spostare lo spazio del possibile, iscrivere il tempo dell’attivismo collettivo in pietre miliari di realizzazione, accumulare forze per il cambiamento.
Questa temporalità media, a sua volta, fa parte del senso più ampio delle utopie, che sono più realizzabili perché costruite sul terreno della lotta di classe. Qui non ci sono tappe, ma una comunicazione tra il tempo presente, il futuro immediato e il futuro sognato: la speranza è un modo per legarli saldamente insieme.
Contro le pulsioni di angoscia, violenza e morte, restaurare la prassi della philias e dell’amore libertario del socialismo democratico
Se la dimensione patriarcale della tradizione liberale confinava i rapporti di sentimentalismo e di amore alla dimensione familiare, prescrivendo per la vita sociale l’impersonalità nei rapporti della società civile commerciale, il neoliberalismo nella sua dinamica di polarizzazione ha esacerbato le dimensioni della violenza, del risentimento e dell’odio. C’è certamente una dura disumanizzazione della vita sociale in tempi di capitalismo neoliberista.
Questa polarizzazione politica è certamente al servizio della legittimazione dell’approfondimento delle disuguaglianze sociali e della costruzione di società basate sulla separazione sociale, etnica e razziale. La città neoliberista naturalizza la scena dei diseredati che popolano le strade e, allo stesso tempo, esalta l’ostentazione e l’ostentazione del lusso e della ricchezza.
In questi tempi molto difficili di lotta sociale di classe, in cui anche la logica dell’odio incoraggia la sinistra a reagire allo stesso modo, la speranza è fondamentale per mantenere umanamente caldo il cuore democratico socialista. La prassi socialista deve prendersi cura delle amicizie, della cultura dell'incontro, dell'amore anche nelle relazioni. Avere occhi per la bellezza, commuoversi per il gesto di solidarietà, celebrare ogni riduzione dell’oppressione e del bisogno, guadagnando nell’umanità ciò che il capitalismo neoliberista toglie alla vita sociale. Altrimenti il mondo nuovo che vogliamo costruire è prefigurato nelle nostre azioni, parole e sentimenti, la speranza corre il rischio di diventare una moneta falsa o poco convincente.
Così intesa, la speranza è una moralità rivoluzionaria.
*Juarez Guimaraes È professore ordinario di scienze politiche all'UFMG. Autore, tra gli altri libri, di Democrazia e marxismo: critica della ragione liberale (Sciamano) [https://amzn.to/3PFdv78]
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