da MARCIO SALDI SARAIVA*
Commento al libro di Mirta Zbrun
“Ci sono tre aspetti di quella che sarebbe diventata la formazione di uno psicoanalista stabilita da Freud: analisi personale, supervisione della pratica e studio della teoria” (p. 27). È basandosi su questi tre pilastri che la psicoanalista Mirta Zbrun, della Scuola Brasiliana di Psicoanalisi (EBP), ha scritto La formazione dell'analista, rivisitando la storia del movimento psicoanalitico e le sue divergenze intorno alla tecnica e alla formazione degli analisti.
Mirta Zbrun difende l'importanza della Scuola affermando: “Lo psicoanalista si forma, e questo è un dato di fatto e una necessità. Non esistono psicoanalisti nati; Se ci fossero, non sarebbe necessario formarli, basterebbe scoprirli» (p. 29).
Come avviene questa formazione? Esiste un corso di formazione a distanza?
Se è alla fine dell'analisi che nasce l'analista, il tema della fine dell'analisi, a partire da Freud, è profondamente connesso con la formazione dell'analista. Mirta Zbrun sviluppa un argomento freudiano-lacaniano, ispirandosi soprattutto all’“ultimo Lacan”, a partire dai testi successivi al 1973.
“A partire dagli anni Settanta, con il nodo Borromeo come sostegno, Jacques Lacan si allontana dalla clinica del senso per andare verso una psicoanalisi fuori senso, una psicoanalisi senza “punto di sufficienza”, il punto di riempimento. In questi anni si passerà dalla fine dell'analisi come attraversamento del fantasma alla fine dell'analisi come identificazione con il sinthomo” (p. 1970).
Innanzitutto è necessario comprendere che la guarigione, in psicoanalisi, secondo Jacques Lacan, implica il riconoscimento, da parte del soggetto, della sua fondamentale mancanza nel simbolico. Questo vuoto non può essere riempito dal linguaggio o da alcun significato totale. L'analisi porta il soggetto a camminare attorno ai bordi di questo vuoto, rappresentato dalla fantasia, comprendendo che si tratta di un tentativo di nominare e coprire questa mancanza. La guarigione avviene quando il soggetto accetta questa incompletezza e cessa la ricerca incessante di un significato o di una completezza irraggiungibili, liberandosi dalla sottomissione alienante alle sue fantasie.
Ci sono altri fenomeni coinvolti alla fine dell'analisi. Jacques Lacan parla di “identificazione con il sintomo”. All'inizio dell'analisi il soggetto ricerca il sollievo dal proprio sintomo, che è essenziale nell'esperienza clinica. Col tempo il sintomo, che era una “opacità soggettiva” (p. 94), smette di essere un problema da risolvere e diventa un indizio di autocomprensione, di accettazione e di sostegno psichico (nodo Borromeo).
A questo punto il sintomo si trasforma in sinthomo. L’“identificazione con il sinthomo” consente al soggetto non solo di trovare sollievo dai vecchi sintomi, ma anche di ristrutturare la propria vita psichica, affrontando la mancanza in modo più creativo, significativo e liberatorio.
“Siamo nell'ultima formalizzazione della fine dell'analisi da parte di Jacques Lacan: oltre la costruzione del fantasma e il suo attraversamento verso il riconoscimento del sintomo come sinthomo, che collocherà il soggetto alla fine del processo. L’analisi sarà terminata” (p. 99).
A pagina 116 Mirta Zbrun approfondisce la fine dell'analisi e la sua convergenza con la nascita dell'analista nella Scuola. Questo processo include il “non-essere” (dêtre, risultato della destituzione soggettiva), la castrazione (accettazione della mancanza strutturale), la soggettivazione della morte (smantellamento delle illusioni su se stessi), il decadimento della fantasia e la riconfigurazione radicale della posizione soggettiva davanti all'Altro.
Secondo Mirta Zbrun, la fine dell'analisi in Jacques L'acan non è un momento di guarigione nel senso comune, ma un processo di destituzione delle illusioni e delle fantasie che sostenevano il soggetto. Si tratta di accettare un'identità non fissa, ma divisa e segnata dalla mancanza. Integrando questa mancanza e liberandosi delle illusioni che sorreggevano la sua fantasia, il soggetto raggiunge una nuova forma di soggettività, meno soggiogata e alienata, più consapevole e, paradossalmente, vuota.
Non a caso è al termine di questo processo di analisi che nasce l'analista. Non come risultato di un diploma o di un regolamento, ma come conseguenza di una lunga decostruzione che coinvolge analisi, teoria e supervisione. “Perché diventare psicoanalista è una scelta obbligata – o la borsa di studio o la vita –, e implica un movimento che coinvolge l'essere, che comporta una trasformazione” (p. 118).
Allora cos'è un analista? “Toccherà all’analista essere un residuo, un rottame, cancellare se stesso, come dice Tommaso d’Aquino al termine del suo monumentale Summa Teologica"Sicut palea“[Tutta paglia, letame]” (p. 121).
Non ci sarebbero, in questa immagine dello psicoanalista, echi della tradizione mistica cristiana, del buddismo Zen o del taoismo?
Scrivendo della fine dell'analisi sulla base della tradizione freudiana e lacaniana, Mirta Zbrun propone che, invece di identificarsi con l'analista (e la sua posizione di presunta conoscenza), il soggetto cominci a identificarsi con la propria mancanza, il suo vuoto, o cosa Jacques Lacan chiama la “mancanza di essere”. Questo vuoto è lo spazio che permette al soggetto di trovare un nuovo modo di orientarsi nella vita, ora “guidato” dall’oggetto a – l’oggetto che provoca il desiderio, che è sempre irraggiungibile, ma che muove il soggetto. Questo oggetto è refrattario ad ogni identificazione fissa e guida il soggetto verso ciò che lo tiene intrecciato nell'esistenza.
Alla fine dell'analisi, quando nasce l'analista, il soggetto non insegue più i maestri né si lascia guidare dalle luci degli altri. Alla fine, trova una bussola interiore, disegnata dalla mancanza e dagli echi del desiderio che non cessa mai. Accettando il tuo sinthomo, abbracci il mistero di te stesso. E così comincia a camminare dolcemente, come se sentisse una leggera brezza di libertà sfiorargli il viso, consapevole che conoscere è sempre non sapere.
Chi, in fondo, osa percorrere la strada di questa leggerezza, dove il terreno è fatto di domande e l'orizzonte di silenzio?
*Marcio Sales Saraiva è sociologo e dottorando in psicosociologia presso l'UFRJ.
Riferimento

Mirta Zbrun. La formazione dell'analista. Petrópolis, KBR, 2014, 170 pagine. [https://amzn.to/3ZSjWsJ]
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