da FRANCISCO AFONSO PEREIRA TORRES*
Il realismo è stata la teoria dominante nello studio delle relazioni internazionali dalla fine della seconda guerra mondiale.
Tre eventi geopolitici di prima grandezza hanno scosso il panorama internazionale nei 75 anni trascorsi dal 1945, dopo la fine della seconda guerra mondiale e la creazione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite – ONU, fino ad oggi: (1) l'unificazione europea; (2) la disintegrazione dell'Unione Sovietica e (3) la crescita economica senza precedenti della Cina, in particolare negli ultimi tre decenni.
Si arriva così allo scenario internazionale in cui nel contesto attuale si delineano nettamente tre poli di potere consolidati: USA e Russia, successori dell'impero sovietico, ex contendenti della Guerra Fredda, più la Cina, la più grande economia del pianeta per quasi tutta la storia dell'umanità, fino all'emergere della rivoluzione industriale. A questi tre poli di potere consolidati, si potrebbe aggiungere il nuovo polo aspirante al potere mondiale: l'Unione Europea, soprattutto dopo la firma del Trattato di Lisbona, nel 2009. L'attuale Europa, guidata dalla Francia di Emmanuel Macron e dalla Germania di Angela Merkel chiaramente comprende che, in questo nuovo contesto internazionale, non c'è più spazio per gli Stati nazionali europei per agire in modo isolato.
Secondo una delle teorie classiche più rilevanti nello studio delle relazioni internazionali, detta teoria del realismo, la caratteristica principale dei sistemi internazionali, siano essi unipolari o multipolari, è il fatto che i poli del potere egemonico cercano sempre di garantire la loro egemonia. Il realismo, infatti, è stata la teoria dominante nello studio delle relazioni internazionali dalla fine della seconda guerra mondiale.
Partendo dalle premesse poste da autori classici come Tucidide, Niccolò Machiavelli, Thomas Hobbes, Jean-Jacques Rousseau e Max Weber, il realismo contempla il sistema internazionale come un sistema politico privo di un'autorità centrale di polizia, in cui non esiste il monopolio dell'uso di forza. In questo scenario essenzialmente caotico, composto da entità sovrane in perenne competizione tra loro, la massima di “Realpolitik”, secondo cui gli Stati non hanno amici, ma interessi.
Nella prospettiva teorica del realismo, la garanzia dell'egemonia da parte del polo egemonico sta allo studio delle relazioni internazionali come la sopravvivenza delle specie sta alla biologia: sembra essere il segno più netto e costante, la caratteristica più evidente , in tutti gli oggetti e tempi di studio. Le strategie possono variare. Gli obiettivi, però, sembrano essere sempre gli stessi: la specie cerca di sopravvivere, attraverso l'adattamento all'ambiente. Allo stesso modo, gli stati o imperi egemonici cercano sempre di preservare la loro egemonia ed evitare la loro "decesso", la sua scomparsa.
Se guardiamo alla storia dell'umanità, negli ultimi due millenni, vedremo che questo modello “hobesiano” delle relazioni internazionali si conferma nei secoli. Tutti i maggiori imperi cercarono di preservare la loro egemonia: i romani, i cinesi, i mongoli, i persiani, l'impero asburgico. Lo stesso vale per i grandi stati-nazione emersi più di recente: Spagna e Francia. Vale anche per l'Impero Britannico, il più grande impero territoriale della storia umana, e per l'Impero Americano, attore preponderante nell'odierno sistema internazionale. Tutti, a modo loro, hanno lottato e combattono strenuamente per conservare la loro preponderanza.
Evidentemente, così come accade per la sopravvivenza delle specie, in cui ciascuna concepisce la sua unica strategia di permanenza, Imperi e Stati si differenziano per le strategie e le tattiche che adottano per garantire la loro egemonia. C'è però una costante tra loro: così come le specie viventi sembrano essere unanimi nel cercare la sopravvivenza attraverso un migliore adattamento all'ambiente (in biologia la lezione di Darwin rimane universale), anche Imperi e Stati sembrano avere la loro legge massima. Da un lato, cercano di preservare il loro potere, impedendone la disintegrazione o lo smembramento. Dall'altro, cercano di impedire l'emergere di nuovi Stati o nuove coalizioni di Stati che potrebbero essere abbastanza forti, individualmente o collettivamente, da minacciare la status quo e quindi minacciare la sua supremazia. Sono queste le premesse strutturanti del realismo come teoria più universale delle relazioni estere.
Per impedire che tali oppositori insorgano, con forza sufficiente a sottrarre loro il potere egemonico conquistato, gli Imperi o gli Stati utilizzano due strategie: la guerra preventiva, il cui obiettivo è annientare, anche alla radice, ogni potenziale minaccia alla loro egemonia; e la tattica espressa dalla massima romana "divide e impera", dividere e conquistare.
I romani devastarono Cartagine ("delenda Cartagine); gli Asburgo tentarono (e ci riuscirono!) di evitare per secoli l'unificazione tedesca; gli inglesi tentarono senza successo, ma con grande costo e sacrificio, di impedire l'indipendenza e l'unificazione americana. Henry Kissinger, nel suo brillante libro “Diplomacy”, riferisce che la storia della politica estera del Regno Unito ha sempre avuto un unico significato più profondo: evitare l'unificazione dell'Europa continentale, con la conseguente creazione di un superstato che potrebbe minacciare la sua sovranità o la sua egemonia. Secondo Kissinger, gli inglesi resistettero a Napoleone e Hitler, principalmente perché entrambi rappresentavano la minaccia dell'unificazione europea. Applicarono rigorosamente, in questo senso, il precetto romano secondo cui un nemico unito e potente poteva rappresentare una concreta minaccia alla loro egemonia.
Nel contesto attuale, la teoria del realismo nelle relazioni internazionali sembra fornire una spiegazione plausibile delle profonde trasformazioni che il sistema internazionale ha subito da quando Donald Trump si è insediato negli USA. Se, da un lato, la politica estera statunitense ha sempre oscillato tra realismo e idealismo (l'Onu era un progetto americano, ispirato all'idealismo), le politiche estere di Russia e Cina in epoca moderna, dall'altro, hanno sempre avuto enorme costanza, nonostante sfumature e approcci molto diversi: sono profondamente realistici nelle loro essenze.
Il deciso ed euforico sostegno di Donald Trump, Presidente degli Stati Uniti, all'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea (Brexit); il simbolismo dei suoi attacchi diretti alla Germania; la scelta strategica della Polonia per la sua prima visita bilaterale nel continente europeo; i ripetuti attacchi alle istituzioni multilaterali come l'ONU, il WTO e l'OMS rivelano che la politica estera statunitense sembra aver subito negli ultimi anni un profondo spostamento verso il realismo.
Infatti, se in passato due poli mondiali (Cina e Russia) hanno assunto un atteggiamento realistico, il terzo e più rilevante per il sistema internazionale (USA) ha oscillato tra realismo e idealismo. La tensione tra realismo e idealismo è rimasta quindi presente. Il multilateralismo non aveva ancora subito i suoi colpi più letali. Il recente cambiamento nella politica estera degli Stati Uniti ha, tuttavia, cambiato questo quadro e generato l'allineamento dei tre poli del potere mondiale attorno a presupposti realistici. L'ovvia conclusione di questo allineamento dei poteri, dal punto di vista dell'adozione di tali presupposti, è che, come si può già chiaramente osservare, nel mondo odierno si accentuano le tendenze all'intensificarsi delle controversie e all'indebolimento dei meccanismi di cooperazione multilaterale .
In un recente articolo sull'esito del primo incontro del G-20 a cui ha partecipato Trump, la prestigiosa rivista “The Economist” afferma che “nel recente passato i tedeschi hanno sviluppato l'idea di un'Europa coesa, governata da Bruxelles, controllata dai tedeschi, ma sottoscritta e garantita dalla potenza americana”. La rivista aggiunge: “I tedeschi ora temono un futuro in cui i potenti di Washington, Mosca e Pechino dividono l'Europa e la fanno a pezzi”. A quanto pare, infatti, attualmente due dei tre poli di potere consolidati (USA e Russia) sembrano avere, come prevede la teoria del realismo nelle relazioni internazionali, un interesse comune: evitare l'emergere di un quarto polo di potere: il polo aspirante, Europa.
Il caso concreto degli USA non corrispondeva alle previsioni della teoria del realismo. Forse a causa delle oscillazioni tra realismo e idealismo, gli Stati Uniti, che si erano opposti visceralmente all'emergere di Unione Sovietica e Cina come poli di potere (la politica di “contenimento” dell'Unione Sovietica e l'opposizione alla riunificazione della Cina con Taiwan ne sono i migliori esempi), non solo avevano acconsentito all'unificazione europea, ma le avevano anche fornito sostegno geopolitico e militare, attraverso la cooperazione transatlantica e l'Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico - NATO.
Questo consenso e questo sostegno all'unità europea, apparentemente paradossali, sembravano contraddire la previsione realistica, che avrebbe previsto una vigorosa opposizione da parte del potere egemonico a ogni possibilità dell'emergere di un aspirante polo di potere che potesse minacciare la sua egemonia o competere con essa . Tale sostegno è comprensibile, tuttavia, nel contesto della guerra fredda e dell'imperativo di contenere il comunismo, secondo la teoria americana prevalente nelle relazioni internazionali del dopoguerra.
L'oscillazione statunitense tra realismo e idealismo sembra aver lasciato il posto, oggi, a un'opzione determinata dal realismo come tentativo di arrestare il lungo processo di declino americano, in termini di relativo potere economico e politico. Donald Trump, più che un presidente eccentrico, come suppongono alcuni animi disinformati, sembra voler rappresentare questa opzione per il realismo, deliberatamente e consapevolmente.
Durante la Conferenza sulla sicurezza di Monaco nel 2016, il primo ministro russo Dmitry Medvedev ha definito l'attuale situazione politica come una "nuova guerra fredda". Ci sono controversie nel mondo accademico riguardo alla valutazione che stiamo attualmente assistendo a una seconda Guerra Fredda. È certo però che, nello scenario attuale, si intensificano e si approfondiscono le dispute e le contraddizioni tra gli eredi delle ex potenze della Guerra Fredda, ora con la presenza della Cina come nuovo polo di potenza mondiale e l'affermarsi di un'Europa unificato, nuovo polo aspirante del potere.
Non c'è dubbio, quindi, che ci troviamo di fronte a un nuovo scenario internazionale, senza precedenti in termini di configurazione di potenza, negli ultimi tempi. La “nuova Guerra Fredda”, a differenza della prima, emerge in una situazione più complessa di distribuzione del potere, con l'egemonia mondiale contesa da tre o quattro poli diversi. È un mondo più frammentato e imprevedibile, a differenza del mondo bipolare che ha caratterizzato la prima guerra fredda.
Questa situazione senza precedenti, a prescindere dalla terminologia utilizzata per caratterizzarla, richiederà abilità e astuzia alla nostra diplomazia nel realizzare i migliori interessi nazionali. L'obiettivo principale della nostra azione diplomatica dovrebbe essere, in questo contesto, la garanzia della sovranità e dell'indipendenza nazionale, oltre alla crescita economica, al mantenimento della pace e al miglioramento dell'inserimento del Brasile nello scenario internazionale.
La politica estera del Brasile
Più che mai, in questa fase di profonde trasformazioni strutturali in atto nel sistema internazionale, sembra che sia giunto il momento, in Brasile, di una nuova politica estera che non sia automaticamente legata a blocchi o poli di potere e sia intransigente nella difesa dell'interesse nazionalità, sovranità e Patria. Una politica estera che, parafrasando le famose e sagge parole del Cancelliere San Tiago Dantas, “si basa sull'esclusiva considerazione dell'interesse del Brasile, visto come un Paese che aspira allo sviluppo, alla pace nel mondo, all'emancipazione economica e sociale della nostra persone".
Questa nuova politica estera dovrebbe basarsi sull'indipendenza del Brasile, sulla sovranità della Patria e sulla prevalenza degli interessi nazionali. Dovrebbe, insomma, ispirarsi agli esempi e agli insegnamenti del Barone di Rio Branco, patrono della Diplomazia; del maresciallo e duca di Caxias, patrono dell'esercito; l'Ammiraglio e Marchese di Tamandaré, patrono della Marina; e Alberto Santos-Dumont, patron dell'Aeronautica Militare. Come diceva il Pacifier Caxias: “quelli che sono brasiliani dovrebbero seguirci”!
In un articolo recentemente pubblicato sui principali quotidiani del Paese, gli ex ministri degli Esteri Fernando Henrique Cardoso, Aloysio Nunes Ferreira, Celso Amorim, Celso Lafer, Francisco Rezek e José Serra (accompagnati da Rubens Ricupero e Hussein Kalout) affermano che "la ricostruzione di La politica estera brasiliana è urgente e indispensabile. Lasciata alle spalle questa vergognosa pagina di servilismo e irrazionalità, rimettiamo al centro dell'azione diplomatica la difesa dell'indipendenza, della sovranità, della dignità e degli interessi nazionali, di tutti quei valori, come la solidarietà e il perseguimento del dialogo, che la diplomazia contribuito a costruire come patrimonio e motivo di orgoglio per il popolo brasiliano”. Infatti, come affermano gli ex cancellieri, l'amata Nazione, di fronte al nemico, è in pericolo!
La ricostruzione della politica estera brasiliana è il punto di partenza. Il punto di arrivo, senza dubbio, dovrà essere la difesa senza compromessi del territorio nazionale e degli interessi della nostra amata patria, il Brasile.
L'obiettivo primario della nuova politica estera, che d'ora innanzi chiamerò la nuova politica estera del pragmatismo e dell'interesse nazionale, deve essere la ripresa dell'interesse nazionale, perché risplenda la gloria del nostro virile Brasile. Lo dedichiamo, quindi, interamente al “servizio della Patria, di cui dovremo difendere l'onore, l'integrità e le istituzioni con il sacrificio della nostra stessa vita”.
I pilastri essenziali della nuova politica estera del Pragmatismo e dell'Interesse Nazionale dovrebbero essere: 1) la difesa della sovranità nazionale e la protezione dell'integrità e dell'unità territoriale del Brasile; 2) l'esclusiva considerazione dell'interesse del Brasile, visto come Paese che aspira allo sviluppo dello spazio nazionale e all'emancipazione economica; 3) il rifiuto di “allineamenti incondizionati o opposizioni automatiche”, liberandosi da impegni ideologici a favore di un maggiore pragmatismo; 4) autonomia rispetto ai poli di potere sulla scena mondiale, al fine di correggere le asimmetrie nelle ragioni di scambio che ancora caratterizzano il sistema internazionale; 5) la difesa dei principi costituzionali del non intervento, la salvaguardia della pace internazionale, l'autodeterminazione dei popoli e la risoluzione pacifica dei conflitti, quali pilastri che caratterizzano l'azione internazionale del Brasile fin dall'inizio; 6) l'integrazione economica, politica, sociale e culturale dei popoli della regione; 7) il desiderio di una maggiore partecipazione del Brasile ai processi decisionali internazionali; 8) la promozione e difesa degli interessi commerciali brasiliani e l'apertura di nuovi mercati, oltre all'incessante ricerca del mantenimento dei mercati attuali e, infine; 9) l'aspirazione al pieno sviluppo della Nazione, condizione fondamentale per la salvaguardia dell'Ordine e del mantenimento delle libere istituzioni, che i membri delle Forze Armate ei diplomatici giurano di difendere.
Sono proprio questi valori, che la diplomazia ha contribuito a costruire come patrimonio e orgoglio della Nazione, che dovrebbero guidare, d'ora in poi, la nuova alta e sovrana politica estera del Brasile.
I pilastri della nuova politica estera del Pragmatismo e dell'Interesse Nazionale qui delineati derivano dalla Costituzione della Repubblica e dalla migliore tradizione diplomatica brasiliana. Esse costituiscono, in sintesi, un insieme completo di linee guida formulate da Carriere dello Stato, diplomatici e militari, nel corso di diversi decenni e in diversi momenti della Repubblica. Traggono il loro vigore, soprattutto, dai principi sanciti nella Politica Estera Indipendente, da Afonso Arinos e San Tiago Dantas; nella diplomazia della prosperità, di Costa e Silva; e in Pragmatismo ecumenico e responsabile, di Geisel e Figueiredo.
Migliaia di diplomatici e fedeli membri delle tre Forze Armate hanno lavorato all'elaborazione dei principi di questa tradizione diplomatica brasiliana, riconosciuta e ammirata in tutto il mondo. Nonostante le loro differenze e sfumature, alcuni principi fondamentali li uniscono: la sovranità del Brasile, l'interesse nazionale e la consapevolezza che tali interessi sono e saranno meglio serviti, nel caso specifico della Nazione, dalla neutralità in termini di grandi conflitti e controversie. nostra epoca.
L'esperienza storica ha mostrato che, dal punto di vista di paesi come il Brasile, il pericolo principale di un sistema internazionale fortemente antagonizzato, dominato da potenti blocchi rivali, è il rischio di innescare conflitti su larga scala nelle zone periferiche, attraverso avversari locali, manipolati dai blocchi egemonici (i cosiddetti “guerre per procura”). Durante la prima Guerra Fredda, guerre violente di questo tipo distrussero Vietnam, Corea, Angola, Mozambico, Nicaragua ed El Salvador. Ora, durante la "nuova Guerra Fredda", nuovi conflitti stanno già lacerando Siria, Libia, Afghanistan, Yemen e parti dell'Ucraina (regioni di Donetzk e Lugansk). Dati i recenti schemi storici, non si può attualmente escludere la possibilità che conflitti di questa natura raggiungano il nostro continente, durante la “nuova Guerra Fredda”, forse minacciando la sovranità nazionale e l'integrità territoriale del Brasile.
Un altro rischio di cui bisogna tener conto è quello che nazioni sovrane diventino satelliti di uno dei poli del potere. Dalle “sfere di influenza” di USA e URSS durante la Guerra Fredda, al Patto Molotov-Ribbentrop, durante la Seconda Guerra Mondiale, la storia è ricca di esempi infami di Stati che hanno ceduto alle potenze egemoniche e alla logica della satellitizzazione delle relazioni estere.
Infine, non si può escludere il rischio di indebite interferenze politiche negli affari sovrani di nazioni indipendenti. Regimi fantoccio, manipolati da poteri in competizione, spesso pieni di corruzione, erano diffusi durante la Guerra Fredda. Al diavolo gli scrupoli: la logica della concorrenza esasperata costringeva i poteri a sostenere tutti i governi che gli erano sottomessi a livello internazionale. Non ci sono garanzie, al momento, che tali schemi storici non possano ripetersi, a scapito degli interessi nazionali di paesi sovrani come il Brasile.
In questo contesto incerto in cui ci troviamo sulla scena internazionale, è imperativo adottare, con la dovuta urgenza, i principi della nuova politica estera del Pragmatismo e dell'Interesse Nazionale. Nella costruzione della Nazione, diplomatici e membri delle Forze Armate sono stati sempre insieme, uniti nella difesa della Patria e dei migliori interessi nazionali. Possano continuare così, con la benedizione del Brasile, della Costituzione e del popolo brasiliano!
*Francisco Alfonso Pereira Torres è un politologo.
Originariamente pubblicato nella rivista elettronica Bonifacio [https://bonifacio.net.br/em-defesa-da-patria-por-uma-nova-politica-externa-do-pragmatismo-e-do-interesse-nacional/]