L’ora della stella – trentanove anni dopo

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da LEANDRO ANTOGNOLI CALEFFI*

Considerazioni sul film Suzana Amaral, al cinema

1.

Sul punto di compiere quarant'anni, il lungometraggio ora delle stelle (1985), diretto da Suzana Amaral, torna questo mese sugli schermi cinematografici in una copia restaurata da Sessão Vitrine Petrobras, un progetto che cerca di dare maggiore visibilità alle recenti produzioni brasiliane e di salvare opere già consolidate dalla cinematografia nazionale.

Considerato un vero classico della nostra settima arte, il film ha vinto, nell'anno della sua uscita, dieci premi al Festival di Brasilia, tra cui Miglior Film, Miglior Regia e Miglior Attrice. Nel 1986, è stato votato come miglior film al Festival dell'Avana, oltre a Marcélia Cartaxo che ha vinto l'Orso d'argento come migliore attrice al Festival internazionale del cinema di Berlino.

Oltre ai meritatissimi premi, si può dire che uno dei maggiori meriti del film è stato quello di aver presentato l'universo immaginario di Clarice Lispector a un pubblico più ampio, non necessariamente colto e in sintonia con la raffinatezza letteraria della scrittrice. La scelta di una maggiore ricettività del film da parte dello spettatore cinematografico medio presenta però una certa debolezza estetica, poiché il lungometraggio non riesce a racchiudere la complessità del testo su cui si basa.

Se una delle principali linee di forza del romanzo corrisponde alla formalizzazione delle impasse vissute dallo scrittore borghese Rodrigo SM di fronte alla rappresentazione dell'altro di classe, lo stesso non si osserva nell'opera di Suzana Amaral, la cui messa in scena fa emergere solo la storia di Macabéa, che finisce per delimitare le questioni trattate dal libro. Tuttavia, il film è interessante perché osserva più da vicino la situazione dei migranti del nord-est in un contesto storico in cui le tensioni già annunciate nell'omonimo racconto cominciavano ad aggravarsi con l'arrivo del neoliberismo nel paese all'inizio. Fine degli anni Ottanta dobbiamo chiederci in che misura e attraverso quali procedure il lungometraggio sonda tali contraddizioni, attualizzando il discorso avviato dal lavoro di Clarice a partire dalla fine degli anni Settanta.

2.

All'inizio del film, i titoli di coda vengono presentati al suono di Rádio Relógio, una stazione di Rio nota per trasmettere curiosità assurde basate sullo slogan “Lo sapevi?”. Una sorta di colonna sonora ironica, le informazioni trasmesse in apertura contrastano fortemente con la misera condizione del protagonista, alla quale lo spettatore sarà esposto durante tutta l'opera. L'affermazione secondo cui, fin dal 1.300 aC, le donne usavano cosmetici per mantenere la bellezza del proprio viso, si oppone alla situazione di Macabéa (Marcélia Cartaxo), il cui desiderio era di mangiare cucchiaiate di una crema per il viso vista in una pubblicità.

A sua volta, l’affermazione che il Colibri (tipo di colibrì) consuma quotidianamente l’equivalente del duecento per cento del suo peso in cibo è in contrasto con la dieta precaria del migrante nordorientale, limitata all’assunzione di prodotti a basso contenuto nutrizionale, come la Coca-Cola e gli hot dog.

Nella sequenza, la telecamera si concentra su un gatto, che è a terra divorando un topo morto, e, pochi secondi dopo, raggiunge il personaggio, suggerendo metaforicamente che, come l'animale, la dattilografa non era altro che un essere strisciante e sporco. Non a caso, nella prima scena in cui appare nel lungometraggio, appare asciugandosi il naso sui propri vestiti e sporcando i fogli di carta con cui lavora: motivo poi utilizzato come giustificazione del suo licenziamento.

La condizione disumanizzata della giovane, che la fa equiparare fin dall'inizio ad un animale, viene messa in luce in modo più plateale nel dialogo tra i due boss nella scena successiva, quando Pereira (Denoy de Oliveira) chiede a Raimundo (Umberto Magnani) il motivo per cui lo ha portato ad assumerla: "Dove l'hai preso, amico?" Il pronome utilizzato illustra l'oggettivazione della ragazza, tipica di un sistema economico in cui i più poveri sono sottoprodotti da scartare a tempo debito.

Di fronte al suo superiore, il subordinato spiega: "Se fosse così brillante, non accetterebbe lo stipendio che gli paghiamo", il che finisce per rivelare la precarietà del lavoro che Macabéa deve subire in nome della sua misera sopravvivenza nel mondo. grande città. Quando viene informata della sua uscita dall'azienda, la protagonista dichiara: “Mi dispiace per il disturbo”, frase da lei ripetuta in diverse scene del film, che attesta la sua posizione sottomessa in mezzo ad un contesto altamente stratificato ed ostile. corpo sociale.

Sempre in questo segmento è da menzionare l'occasione in cui si guarda in uno specchio sporco e offuscato: l'assenza di un riflesso definito corrisponde alla sua desoggettivazione. Non è un caso, quindi, che senta il proprio volto con aria incomprensibile, cercando invano una chiarezza che non si rivela. Lo stesso si può vedere in un altro punto del film, quando il personaggio, già ospite della pensione, si pettina usando come specchio il vetro della finestra, anch'esso appannato. Narciso al contrario, Macabéa appare come un essere defibrato, la cui mancanza di immagine incontra la sua nullità sociale.

In un'altra scena, la giovane donna appare vagare per le strade della metropoli: il carattere disorientato della sua camminata è indicatore del suo spostamento in questo scenario. Qualche istante dopo, il protagonista arriva in una residenza, sul cui cancello si legge: “Posto vacante per ragazze”. Si tratta di una casa precaria condivisa con altre tre donne, che, come lei, non possono permettersi condizioni abitative migliori.

Dopo aver firmato la cambiale dell'affitto senza prima analizzarla, il proprietario dell'ostello si sorprende dell'innocenza della donna del nord-est, che finisce per scusarsi, poiché la sua esistenza sembra dare fastidio a tutti. In questo ambiente, anche Macabéa appare fuori posto: a differenza delle sue coinquiline, preferisce spogliarsi sotto le lenzuola, del resto il suo aspetto fisico è motivo di vergogna. Notevole, inoltre, l'antiigiene del luogo, in quanto la mancanza di uno spazio per l'igiene personale e per il cibo fa sì che la ragazza, nel cuore della notte e al buio, sia costretta a mangiare contemporaneamente ad urinare.

Pochi minuti dopo, Macabéa appare accompagnata da Glória (Tamara Taxman), sua collega, che funge nel film come una sorta di antipode alla ritirante: la prima ha già avuto cinque aborti e ha perso la verginità a quindici anni; la seconda non comprende il significato di questa parola ed è ancora vergine. Stupita dall'inesperienza della ragazza, considerata da lei inferiore, la donna più esperta le consiglia di consumare più carne, in modo da “creare seno e culo”. A questo l’altro ha risposto: “Lo mangio perché costa poco, ma quello che mi piace davvero è la pasta di guava con formaggio”.

La differenza tra le esperienze dei due personaggi corrisponde all'asimmetria di classe: Glória è figlia di un macellaio ed è cresciuta con privilegi; Alagoas, a sua volta, è responsabile di soddisfare ciò che costa meno. Sempre a proposito di Glória, merita attenzione la scena in cui inventa una scusa per abbandonare il lavoro, dicendo che avrebbe dovuto accompagnare la madre a una visita dal medico. Seguendo le orme di quella considerata la più intelligente, Macabéa fa lo stesso e si prende un giorno libero: l'unico modo per avere tempo per sé e sfuggire alla sua estenuante routine. Solo nella pensione, situazione insolita, vista la necessità di condividerla a un prezzo più abbordabile, il protagonista vive un breve momento di fantasia. Al suono de “Il Danubio Blu”, valzer di Johann Strauss, la giovane indossa la biancheria da letto come un abito da sposa, immaginando per sé una destinazione romantica e promettente. Ma il matrimonio e la felicità gli sono possibili solo come un sogno ad occhi aperti, poiché la dura realtà gli nega il diritto al divertimento.

3.

Ironicamente correlato alla scena precedente, a testimoniare quanto la possibilità del matrimonio non fosse altro che un sogno irrealizzabile, il segmento successivo presenta allo spettatore il primo incontro della protagonista con il suo pseudo-fidanzato, un individuo che non le avrebbe mai chiesto sposarlo. Questo è l'olimpionico di Jesus Moreira Chaves (José Dumont), un ragazzo espropriato, ma con le caratteristiche di un boss. Anche se è emarginato, la sua posizione nel film contrasta con quella della donna di Alagoas, che vuole elevarsi socialmente ad ogni costo.

Non sorprende che, alla sua prima apparizione nel film, il nativo del Nord-Est stia posando per un ritratto, segno della sua esasperata vanità, la cui sproporzione gli fa credere che un giorno diventerà deputato, anche senza conoscere il funzione di questo ufficio. In quanto capro maschio, Olímpico è ostile nei confronti delle donne, trattando sempre Macabéa violentemente. Da notare anche il fatto che gli incontri tra i due amanti sono caratterizzati dall'incomunicabilità o da detti assurdi che, se in una certa misura provocano risate sardoniche per la loro assurdità, alludono anche all'estrema mancanza di istruzione di queste figure.

Una delle battute più emblematiche di Macabéa ricorre in una di queste “conversazioni”, quando confessa all’Olímpico di non sentirsi “molto una persona”. Il fatto che lei non si consideri un essere umano o non si sia ancora abituata a ciò è rivelatore della disumanizzazione del personaggio, che appare nel contesto come qualcosa in procinto di essere scartato. In una certa scena, l’Olímpico dichiara a Macabéa: “Sembri uno che ha mangiato qualcosa e non gli è piaciuto. Non sopporto una faccia triste. Prova a cambiare espressione almeno una volta nella vita.”

Come se tanta violenza non bastasse, la aggredisce fisicamente, facendola cadere a terra dopo che la ragazza balbetta pateticamente”una lacrima furtiva”, opera di Gaetano Donizetti. È evidente, quindi, la brutalità a cui è sottoposta la ritirante insieme al suo fidanzato, essendo sempre bersaglio di botte e molestie. Da qui forse il fatto che Macabéa prendeva continuamente l'aspirina, per non farsi più male, poiché la sua vita era limitata a successive umiliazioni. Nella scena successiva, l’oppressione dell’Olímpico continua: “Fai finta di essere un idiota o sei davvero un idiota?”

Alla fine, il ragazzo racconta a Macabéa di aver conosciuto un'altra ragazza, di essere “innamorato”, interessato anzi finanziariamente, e che la loro relazione è finita, ma non prima di averla umiliata per l'ultima volta: “Macabéa, sei una i capelli in testa. Non ho voglia di mangiare."

In un'altra scena, ora in ufficio, Macabéa appare taciturna, il che fa sì che Glória chieda se la donna del nord-est fosse felice. Incapace di provare un simile sentimento, dato il degrado della sua esperienza, la ragazza si chiede: "Per cosa è felice?" Per quanto riguarda i suoi progetti per il futuro, la protagonista risponde ancora una volta alle domande del collega con una domanda: “Futuro?”

Data la mancanza di prospettiva della donna Alagoas, Glória le suggerisce di consultare un'indovino. Lì, Madama Carlota (Fernanda Montenegro) la tratta con effusione, arrivando a raccomandare alla donna del Nordest di avere rapporti con donne, poiché sarebbe troppo delicata per affrontare la brutalità degli uomini. In questo senso Macabéa subisce l’ennesima molestia, questa volta di natura sessuale. Proprio mentre il veggente gli promette una vita migliore, si interrompe un'altra scena in cui appare un uomo a cavallo.

Ironicamente, questo è lo stesso individuo che la investirà pochi istanti dopo. In aggiunta a ciò, il truffatore afferma di vedere nella sfera di cristallo una stella splendente, simbolo del destino illuminato del protagonista: niente di più incoerente con il tragico finale di Macabéa, che finisce sola e morta sul marciapiede. Dopo la consultazione, il personaggio cammina con sicurezza per strada, credendo che la sua vita finalmente migliorerà. Va in un negozio e compra un vestito di pizzo blu al suono di “Il Danubio Blu”: atmosfera sublime del tutto opposta alla tragicità della sequenza successiva.

In esso, Macabéa appare mentre cammina mentre un'auto accelera. Le scene si alternano rapidamente, emulando la velocità alla quale il veicolo ti raggiungerà. La colonna sonora, a sua volta, è antitetica: denota calma, quando si mostra il protagonista, e tensione, quando si presenta l'auto. Questo contrasto si osserva anche nelle azioni dei “personaggi”: la donna del nord-est cammina lentamente; l'auto va veloce.

Il film in realtà non mostra l'incidente, lo spettatore vede solo il personaggio volare come un automa. A questa si interpone l'immagine di un cavallo che gira di trecentosessanta gradi al suono di pneumatici stridenti, come se la libertà e la potenza interiore dell'animale soccombessero alla meccanizzazione, insieme alla reificazione di Macabéa. Dopo l'incidente, la telecamera ingrandisce parti del corpo della protagonista e i suoi vestiti: mani, gambe, borsa e scarpe.

Questa frammentazione sembra corrispondere alla lacerazione del personaggio, la cui integrazione viene interrotta dall'avvento dei tempi nuovi: la scena in cui la stella Mercedes-Benz viene colta in primo piano mentre la giovane viene investita l'auto la dice lunga allo stesso modo. A differenza della narrazione, in cui la donna del nord-est muore nella fogna circondata dai passanti; Nel lungometraggio la giovane si ritrova sola. Invece, negli istanti finali del film, lo spettatore vede Macabéa correre incontro allo straniero che l'ha investita, come se l'ultimo desiderio della donna alagoana fosse stato esaudito, anche se su un aereo fuori dalla realtà.

Il film si conclude con l’immagine congelata del protagonista sorridente, un modo in qualche modo positivo di porre fine alla deplorevole traiettoria di qualcuno che non era altro che una “vite sacrificabile” (LISPECTOR, 1977, p. 36) situata “in una città completamente fatta contro lei” (LISPECTOR, 1977, p.19). Quindi forse i titoli di coda del film vengono presentati a suon di “Il Danubio Blu”, e non più da Rádio Relógio come all’inizio, ricordando al pubblico che, nonostante tutto, la ragazza appartiene “a una razza nana resistente e ostinata, che un giorno forse rivendicherà il diritto di urlare” (LISPECTOR, 1977, p. 96).

4.

Venendo al pubblico a metà degli anni '1980, il film L'ora della stella reinserisce temi presenti nel libro in un altro momento storico. Questo periodo, noto come “il decennio perduto”, è stato caratterizzato, come sappiamo, da elevati livelli di debito e dalla recrudescenza della disuguaglianza economica. A sua volta, l’“apertura politica”, cinicamente descritta dai militari dell’epoca come una “transizione lenta, graduale e sicura”, non ha in realtà cambiato la base autoritaria dello Stato, che continuava a mostrare i suoi volti.

Mettendo in gioco la sfortunata storia di Macabéa e il degrado ad essa inerente, il lungometraggio finisce per rivitalizzare il dibattito avviato dall'opera di Clarice, evidenziando la perversità del processo di modernizzazione brasiliano, la cui attuazione è sempre dipesa dalla violenza e dall'emarginazione inflitte contro i più vulnerabili. Questo scenario, vale la pena ricordarlo, sarebbe peggiorato, qualche anno dopo, con l’arrivo del neoliberismo nel Paese e il suo successivo consolidamento negli anni ’90.

Rinunciando alla storia del narratore-scrittore Rodrigo SM, per far luce sui misfatti di Macabéa, la versione cinematografica di Suzana Amaral offre allo spettatore una reinterpretazione coerente dell'opera di Clarice Lispector, poiché riesce a catturare le contraddizioni della modernizzazione nazionale, smentendo la promessa che lo sviluppo e il progresso corrisponderebbero all'integrazione di tutti nel corpo sociale.

Attraverso le brillanti performance di Marcélia Cartaxo, Fernanda Montenegro e José Dumont, si può dire questo ora delle stelle rinvigorisce la discussione avviata dalla narrativa del 1977, scommettendo su un risultato ottimistico di fronte a una realtà che non risponde ad essa, allo stesso tempo che non rinuncia allo scopo ironico insito nel testo su cui si basa.

In effetti, il fatto che il film ritorni sugli schermi cinematografici trentanove anni dopo ci ricorda l’attualità della domanda prefigurata dal racconto di Clarice, la cui risposta ci manca ancora come Paese: “Come il Nord-Est, ci sono migliaia di ragazze sparse nei bassifondi, posti letto liberi in una stanza, dietro i banconi che lavorano fino allo sfinimento. Non si accorgono nemmeno che sono facilmente sostituibili e che esistevano o non esistevano. Pochi si lamentano e, per quanto ne so, nessuno si lamenta perché non sa chi. Chi esiste?” (LISPECTOR, 1977, p. 18).

*Leandro Antognoli Caleffi sta studiando per un master in Letteratura brasiliana presso l'Università di San Paolo (USP).

Riferimento


ora delle stelle
Brasile, 1985, 96 minuti
Diretto da: Suzana Amaral
Sceneggiatura: Alfredo Oroz e Suzana Amaral
Interpreti: Marcélia Cartaxo, José Dumont, Denoy de Oliveira, Tamara Taxman, Fernanda Montenegro

Bibliografia


LISPETTORE, Clarice. ora delle stelle. Rio de Janeiro: José Olympio, 1977. [https://amzn.to/4bHztzK]


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