da RENATO ORTIZ*
Una narrazione non si definisce in termini di realtà, è il resoconto, basta da sola
Tutto è narrativo: i racconti dei fratelli Grimm, un romanzo, Terra piatta, articoli di giornale, l'annunciatore di una partita di calcio, un discorso politico, un pezzo pubblicitario. Nella sua discrepanza e onnipresenza l’idea di narrazione gode dell’insostenibile leggerezza dell’essere. Da non confondere con la nozione di discorso, esplorata da linguisti e semiologi, è imprecisa e insoddisfacente; tuttavia, il suo uso diffuso gli conferisce un'apparente apparenza di verità.
A rigor di termini, la vaghezza concettuale garantisce un indiscutibile successo nel vocabolario quotidiano; soprattutto con l’avvento dei social network, in cui si alimenta un’illusione collettiva, tutto ciò che viene detto con convinzione e stridore diventa convincente. Una narrazione è una serie di eventi che costituiscono una storia, si dice in inglese: narrativa.
Il suo intento è quello di raccontare “tutto quello che è successo”, cioè la sequenza di quanto viene narrato in un resoconto. La sua verità sta nell'essere coerente, la ragione della sua esistenza non risiede in ciò che gli è estraneo. Si differenzia quindi dal concetto di ideologia, richiede un necessario contrappunto con la realtà, la questione della menzogna è sempre presente. È in questo senso che si diceva che l’ideologia o religione borghese era una “falsa coscienza” del mondo.
Certamente mobilitavano le persone, davano senso alla loro vita, ma erano parziali (la conoscenza ideologica è contrassegnata dalla parzialità). Alla base della nozione di ideologia c'è il tratto di “distorsione” o di incompletezza, i punti del suo resoconto possono essere contrastati da qualcosa che è al di fuori della sua enunciazione.
Una narrazione non si definisce in termini di realtà, è il resoconto, è sufficiente in sé. Ciò che accade intorno a te è impertinente, la sua essenza, ciò che viene narrato, conta. Due esempi “estremi” (se di estremi si può parlare nell'universo dei resoconti) sono suggestivi. Il primo si riferisce al terrerismo piatto, afferma: i nostri sensi indicano che la Terra è piatta; non vediamo la curvatura dell'orizzonte nemmeno quando siamo in aereo; fiumi e laghi sono piani, dovrebbero avere una curvatura se la Terra fosse sferica. Il pianeta è un disco rotondo e piatto in cui il Polo Nord si trova al centro e il bordo è formato dal ghiaccio, l'Antartide.
La seconda implica la negazione della corsa allo spazio verso la Luna. Lo sostiene una prova specifica: la fotografia della bandiera americana sulla superficie lunare. In esso si vede una piccola parte piegata, che viene percepita come qualcosa di “tremante”; Ora sulla Luna non c'è vento, quindi la foto è stata scattata da qualche parte sulla Terra. Nessuna di queste considerazioni può essere contraddetta dal principio di realtà, cioè rispetto al discorso scientifico.
Ci assicura che la Terra è rotonda, ci sono foto e filmati ripresi nello spazio sul pianeta blu, e che esistono prove concrete che dimostrano la presenza dell'uomo sulla Luna. Tuttavia tali evidenze sono esterne alla coerenza interna di quanto affermato, non disturbano in alcun modo. Si può anche dire che anche la scienza stessa è una narrazione; si collocherebbe così accanto alle altre, senza però contraddirle.
Ma la coerenza strutturale delle “storie” non sembra sufficiente perché queste si confermino come tali. Ci sono dei rumori. Anche le narrazioni cospirative sono coerenti, come si suol dire, sono “teorie” organizzate attraverso una spiegazione razionale delle forze nascoste che perpetuano un determinato atto. In questo senso gli esempi che ho utilizzato non prescindono del tutto dall'utilizzo di alcuni elementi della realtà. Affermare che “non possiamo vedere la curvatura della Terra” o “non c’è vento sulla luna” implica ricercare una materialità della realtà che possa giustificare tali affermazioni.
Ciò non sarebbe in contraddizione con la nozione stessa di narrativa? Credo che la contraddizione venga risolta quando si analizza l'uso di queste storie, in particolare considerando il carattere accusatorio che contengono. Come dimostrano gli antropologi in relazione alla stregoneria, si tratta di una credenza condivisa da tutti i membri di una comunità. Tuttavia, nessuno si identifica come uno stregone. Il “male” esiste, ma è praticato da altri.
Le narrazioni si nutrono dell'accusa di falsità altrui. Come nella stregoneria, ponendo la menzogna fuori di sé, la fede espelle i rumori della sua contraddizione; accusando gli oppositori di distorcere la realtà, la sua dimensione interna resta indenne, immutata. La virtù di esistere è così ancorata alla sua immacolata leggerezza.
* Renato Ortiz È professore presso il Dipartimento di Sociologia di Unicamp. Autore, tra gli altri libri, di L'universo del lusso (Alameda). [https://amzn.to/3XopStv]
Originariamente pubblicato su da blog BVP
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