L'integrazione dei neri nella società di classe

Robert Rauschenberg, L'uomo dell'augurio
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da MARIO AUGUSTO MEDEIROS DA SILVA & ANTONIO BRASILE JR.*

Estratto dalla Prefazione alla nuova edizione del libro di Florestan Fernandes

L'integrazione dei neri nella società di classe – tesi difesa da Florestan Fernandes nel 1964 e pubblicata in volume l'anno successivo, in volumi di oltre 700 pagine dalla casa editrice Dominus in collaborazione con USP – esprime con acutezza le promesse e le frustrazioni che segnarono il breve interregno democratico durato dal 1945, con la fine dell'Estado Novo, al 1964, anno del golpe civile-militare. Il libro, scritto alla fine di questo periodo – la difesa è avvenuta pochi giorni dopo il golpe – coglie e amplifica i grandi interrogativi sollevati in merito alla democratizzazione della società brasiliana a metà del secolo scorso, con i quali dialoga in un teso modo, fornendo loro rigore sociologico e densità.

In questo senso, il testo fungeva da cassa di risonanza di un momento storico che presentava contemporaneamente un inedito orizzonte di trasformazione sociale e la presenza latente – divenuta presto manifesta – di tentativi di ridefinire quell'orizzonte in senso autoritario, conservatore ed esclusivista. Non a caso, Fernandes tratta, nel libro, la questione razziale come un dilemma da affrontare attivamente per la società brasiliana, e non semplicemente lasciata al capriccio delle circostanze. Un dilemma che, a suo avviso, aveva un rapporto necessario con la realizzazione stessa della democrazia nel Paese.

In altre parole: c'è una discussione coerente in L'integrazione del nero sui limiti strutturali della nostra realizzazione democratica, che non è solo il tema del libro, ma accompagna il processo stesso di costruzione delle sue argomentazioni. Si può dire che, tra “l'eredità della razza bianca” e “la soglia di una nuova era” – rispettivamente sottotitoli dei due volumi del libro –, l'autore propone la trattazione del passaggio da una società rurale, crivellato di distinzioni di status e di caste, per una società urbana, competitiva, ma svuotata di contenuti democratici. Un tale processo storico-sociale modellerebbe soggetti e istituzioni, impedendo la piena realizzazione dei diritti nel nuovo scenario. Sfide contestuali in Brasile, a metà del XX secolo, osservate dall'anello più debole e danneggiato della sua catena: la persona di colore.

C'è un bilancio teorico e metodologico da fare sul potenziale euristico di questo lavoro, ma anche un'analisi contestuale sulle condizioni sociali della sua produzione e le sue conseguenze, sia per la storia delle scienze sociali che per la società brasiliana. Meno cercare una determinazione – che implicherebbe un rapporto meccanico tra effetti di varia origine –, ma riflettere sui modi attivi con cui il libro si rapportava ai vocabolari conoscitivi e normativi a suo tempo disponibili, anche perché fosse possibile valutare se il lavoro ha innovato o ha semplicemente seguito procedure intellettuali di routine. Con ciò diventano visibili i detti e i divieti, gli effetti dei contatti, i vincoli del possibile, le connessioni dei significati.

Questi due modi di accostarsi al libro – uno analitico e l'altro contestuale – non devono necessariamente essere visti come antitetici, ma come reciprocamente fecondi. Sebbene si possa, con vantaggio, ritornare analiticamente su alcune ipotesi e costruzioni del libro e discernerne la capacità di interpellanza contemporanea, questo movimento acquisterà maggiore profondità se si conservano alcuni aspetti contestuali che organizzano, internamente, all'interno dell'opera stessa, le argomentazioni sviluppate In L'integrazione del nero. Soprattutto se si tiene conto che, nel libro, c'è una scommessa permanente sulle potenzialità di un'effettiva democratizzazione della società brasiliana, attuata dal basso, attraverso il protagonismo dei neri.

Il che dà addirittura un senso anticonformista alla stessa nozione di “integrazione sociale” che anima il titolo del libro e il corso delle argomentazioni – “integrazione” non si riferirebbe alla stabilizzazione dell'ordine sociale, ma alla piena realizzazione del potenzialità democratiche di un ordine sociale aperto – nonostante le numerose prove contrarie che anche Fernandes individua e analizza in modo esaustivo nei due volumi. Si tratta quindi di una scommessa, non di un pronostico. Una scommessa legata, certo, alle aspirazioni diffuse negli anni Cinquanta e Sessanta che la società brasiliana si muovesse verso la democratizzazione delle sue strutture sociali, ma opportunamente calibrata dal rigore della ricerca empirica di orientamento sociologico, che ha evidenziato la connessione rapporto strutturale e profondo tra la modernizzazione in atto e le forme di disuguaglianza e di comportamento ereditate dal passato.

La scommessa espressa in L'integrazione del nero, secondo la nostra ipotesi, è portatore ed espressivo di un radicalismo politico e teorico, che nemmeno a suo tempo riuscì ad avere portatori sociali per la sua esecuzione, siano essi neri o non neri, o la più ampia società brasiliana. Non si trattava di acquisire alcuni diritti, soprattutto quelli legalmente formali; o alcuni aspetti della democrazia e della cittadinanza, come si vede oggi. Ci sarebbe sempre – come c'è ancora oggi – una situazione incompleta, sia nella scena storica che nella realizzazione dei soggetti, quasi sempre aspetting (“neri”, “bianchi”, “democrazia”, ecc.). Si può accusare l'autore e la sua opera, quindi, di un certo idealismo – quando e in quali circostanze tali condizioni si sono verificate pienamente e senza restrizioni, nell'esperienza sociale delle società capitaliste? Ma una tale accusa non diminuisce l'orizzonte dei problemi; piuttosto, sostituiscili.

Vale la pena ricordare che questa scommessa doveva essere rapidamente riclassificata da Fernandes, in termini teorici e politici, alla fine degli anni '1960, data la reazione autoritaria iniziata nel 1964. Gli ostacoli strutturali alla democratizzazione della società brasiliana, già ampiamente rilevati e analizzato in Un'integrazione, sarebbe addirittura tipico di una rivoluzione borghese nelle condizioni di un “capitalismo periferico”, argomento presentato dieci anni dopo in La rivoluzione borghese in Brasile (1975). O, in altre parole, i vari meccanismi, ampiamente discussi in Un'integrazione, che spiegherebbe la riproduzione e la naturalizzazione delle disuguaglianze razziali e sociali, verrebbe ora inteso dall'autore come uno dei pilastri della forza e della persistenza di ciò che chiamerà in la rivoluzione borghese di “autocrazia borghese”.

Tuttavia, pur sottolineando con la massima chiarezza possibile i limiti alla democratizzazione operata da quelli “dal basso”, cioè al protagonismo popolare, Fernandes non smetterà mai di scommettere che l'unica possibile via d'uscita è data proprio dall'emergere del Popolo in storia, per chiosa la suggestiva frase che si trova nella "Nota esplicativa" che si apre L'integrazione. Una sorta di azzardo impossibile, visto che la sua diagnosi è quella di una società che, scusate l'esagerazione, sembra socialmente, culturalmente, politicamente ed economicamente orientata contro la democratizzazione. Ma quale altra via d'uscita ci sarebbe se non quella di puntare sul potere popolare, anche se le condizioni della sua concrezione storica si rivelassero quasi implausibili?

Nel nostro contesto attuale, di profonda crisi dell'assetto democratico istituito dalla Costituzione del 1988 – denso di limiti e problemi, come lo stesso Fernandes non ha mancato di rilevare nella foga del momento nella sua azione parlamentare –, nonché di regressioni democratiche in diverse parti del mondo, le domande poste dalla sociologia di Fernandes sulla democrazia in Brasile sembrano assumere nuovo significato e urgenza. Vero è che il breve intervallo democratico (ora lo sappiamo) ha permesso progressi indiscutibili, come l'inclusione sociale ed economica di vaste porzioni di settori subalterni e l'affermazione e l'istituzionalizzazione dei diritti sociali e del diritto alla differenza razziale e di genere.

Per quanto riguarda il dibattito razziale, termini come “razzismo strutturale” cominciarono a contestare, nel dibattito pubblico e nella percezione quotidiana, i limiti imposti per decenni dal patto di “democrazia razziale”, consentendo anche l'avanzamento (seppur sempre contestato) della legittimazione ad azioni positive nell'istruzione superiore, selezioni per appalti pubblici, tra le altre iniziative. D'altra parte, l'attuale dispiegarsi dell'“autocrazia borghese” in un nuovo ordine che inizia ad incorporare attivamente la fascistizzazione nelle diverse dimensioni della vita sociale, mettendo in tensione e corrodendo dall'interno i progressi dei decenni precedenti, diventa una controprova eloquente della stretta limiti che la società brasiliana impone a ogni più sostanziale processo di democratizzazione – anche se, per farlo, è necessario rimuovere ogni maschera o facciata di un ordine minimamente civilizzato orientato all'universalizzazione dei diritti e delle garanzie sociali. Se la crisi democratica che stiamo vivendo ha colto di sorpresa molti di noi scienziati sociali, forse Florestan Fernandes non è stato del tutto sorpreso dall'attuale corso degli eventi nel Paese.

 

Revisione della ricezione del libro

Riprendendo il filo del filo, la rilettura teorica di L'integrazione del nero non può lasciare passare inosservata questa dimensione di scommessa che sta organizzando il libro – sia in senso teorico e metodologico che normativo. Fernandes traduce le aspirazioni presenti nella sua generazione intellettuale, nel senso di “fare scienza, fare storia”, orientando le sue argomentazioni verso la società, la possibilità di autodeterminazione del “Popolo” – termine ricorrente nei suoi scritti –, oppure, più specificamente, alla possibilità che il subalterno, il nero, sia padrone di sé e del proprio destino – e non mero strumento delle classi dominanti.

Ma questo non ha mai sostenuto una visione ottimistica del processo di democratizzazione delle relazioni razziali o, in un senso più ampio, della democratizzazione della società brasiliana nel suo insieme. Nei termini di Fernandes: “[…] non possiamo sostenere opinioni 'ottimistiche'. Il percorso intrapreso è stato pressoché insignificante, non rispondendo né agli imperativi della normalizzazione dell'ordine sociale competitivo, né alle aspirazioni collettive della 'popolazione di colore'”. Questa peculiare combinazione di ottimismo – la scommessa sul protagonismo popolare – e scetticismo – la sua sfiducia nei confronti dell'effettivo superamento degli ostacoli alla democratizzazione – fu il modo in cui l'autore rispose alle sfide poste alla scena storica in quel periodo di tensione della società brasiliana. Di qui la sua nota divergente rispetto alle aspirazioni evolutive del periodo, che immaginavano che la semplice accelerazione dell'urbanizzazione e dell'industrializzazione avrebbe risolto automaticamente i problemi dell'integrazione sociale.

Queste osservazioni preliminari sono necessarie perché c'è un tipo di lettura – a nostro avviso errata – che suggerisce che, in L'integrazione del nero, con l'avanzare del capitalismo, la questione razziale si sarebbe risolta più o meno automaticamente. Sembra improbabile trovare supporto testuale per questo. Ancora una volta: non si può confondere la scommessa normativa dell'autore con l'effettiva ricostruzione dell'universo empirico dei rapporti razziali intrapresa lungo tutto il libro.

Ciò non significa, ovviamente, che sia possibile separare del tutto la dimensione normativa dall'analisi sociologica sviluppata nel libro. Altrimenti, la sociologia di Fernandes non potrebbe essere vista come una sociologia critica. Del resto, è alla luce delle potenzialità individuate nell'“ordine sociale competitivo” – supporto organizzativo della società di classe –, cioè l'orizzonte emancipatorio inscritto in una società aperta e democratica, che Fernandes individua e valuta i blocchi strutturali – diseguaglianze secolari, comportamenti regolati da valori “tradizionalisti”, processi di cambiamento sociale eterogenei e frammentati – che frustrano permanentemente la realizzazione di quelle potenzialità.

C'è, quindi, un giudizio controfattuale carico di significato normativo: se l'avanzata della società urbano-industriale se coerentemente con l'universalizzazione dell'ordine competitivo, il parallelismo tra colore e posizione sociale precaria potrebbe dissolversi, ponendo le relazioni tra bianchi e neri su un altro piano, più democratico. Per Fernandes, contrariamente a quanto suggerisce una rapida lettura del libro, l'urbanizzazione non opererebbe come una variabile analiticamente indipendente, producendo sempre gli stessi effetti, indipendentemente dalle specificità storiche coinvolte. Prima, l'espansione della società di classe in Brasile, osservata empiricamente dalla città di San Paolo, camminava pari passu a una profonda indifferenza per la situazione del negro. Ecco perché il tema della democrazia è una dimensione sostanziale della riflessione sociologica dell'autore, e non una dimensione residuale deducibile da altre variabili, quali l'urbanizzazione, l'industrializzazione, la secolarizzazione, ecc.

Tutto indica, soprattutto nel campo della ricerca sui rapporti razziali in Brasile, è la lettura di Carlos Hasenbalg, nel suo seminale Discriminazione e disuguaglianze razziali in Brasile (1979), che ha plasmato gran parte della ricezione critica di L'integrazione del nero. Nel suo prezioso bilancio bibliografico della questione razziale negli Stati Uniti e in Brasile, Hasenbalg fa una bella lettura del libro di Fernandes; finisce però proprio per minimizzare la distinzione tra la dimensione normativa e controfattuale – la scommessa, come sopra rilevato – e la dimensione fattuale dell'analisi empirica delle tendenze sociali osservate dall'autore. Inoltre, Hasenbalg attribuisce al libro una visione dualistica del cambiamento sociale, come se tradizione e modernità – o, nei termini di Fernandes, società di proprietà e di casta e società di classe – fossero composte da variabili sistemiche interconnesse e mutuamente incompatibili.

A nostro avviso, d'accordo con Elide Rugai Bastos, c'è, in l'integrazione, il rifiuto di “una spiegazione lineare”, poiché è il ripetuto incontro di elementi arcaici e moderni – e non il superamento dei primi da parte dei secondi – a generare, “contemporaneamente, l'obiettivo, l'unità di ricerca, la sfida alla comprensione, la ricerca di un supporto teorico e il metodo di indagine”. Vediamo, a titolo esemplificativo, un estratto da “Race, class and mobility”, uno dei capitoli scritti da Hasenbalg in luogo del nero (1982), un libro scritto in collaborazione con Lélia González, in cui l'autore dialoga esplicitamente con le tesi di Fernandes: “il pregiudizio razziale e la discriminazione [per Fernandes] sono visti come requisiti per il funzionamento di un regime schiavista, ma come incompatibili con i fondamentali aspetti giuridici, economici e sociali di una società di classe. L'adozione di un modello normativo di rivoluzione borghese e di un sistema sociale competitivo porta a sopravvalutare il potenziale democratico ed egualitario della società di classe in formazione. Questo, insieme alla visione del pregiudizio e della discriminazione razziale come sopravvivenze anacronistiche del passato della schiavitù – quindi destinate a scomparire con la maturazione del capitalismo – portano implicitamente a una diagnosi ottimistica sull'integrazione dei neri nella società di classe”.

Questa riserva sull'interpretazione di Hasenbalg del libro di Fernandes non vuole essere controversa, anzi. Si dovrebbe notare che Discriminazione e disuguaglianze razziali in Brasile è stato un elemento decisivo nella riorganizzazione degli studi sui rapporti razziali nel Paese dagli anni Ottanta in poi, avendo un forte impatto anche sull'attivismo nero. Si tratta solo di riaprire Un'integrazione per nuove possibili letture, e, chissà, rimetterlo nei dibattiti contemporanei facendo riferimento non solo alla questione razziale, ma alla condizione stessa della democrazia in Brasile. Dopotutto, la versione di Hasenbalg di Un'integrazione sembra essere presente in molte opere sull'argomento, come possiamo vedere in contributi diversi come Angela Figueiredo (2015) (2015), Edward Telles (2014), João Feres Jr. (2006) e Roberto Motta (2000). E anche un autore che recepisce positivamente l'eredità teorica del libro, come Jessé Souza (2006), finisce per soffermarsi indirettamente sullo stesso problema.

Per non lasciare dubbi, vale la pena ricordare che, per Fernandes, nessuna società classista esistente, nemmeno quelle che avrebbero vissuto le classiche rivoluzioni borghesi, aveva effettivamente raggiunto l'universalizzazione dell'ordine sociale competitivo, anche se, in questi casi, la lotta perché i diritti erano avanzati molto più che in Brasile. Come egli stesso afferma, “la storia moderna è ricca di esempi che dimostrano che l'ordine sociale competitivo può essere adattato, economicamente, razzialmente e politicamente, al monopolio del potere da parte di un certo ceppo 'razziale' (negli esempi in questione: il ' razza bianca ')”.

Non c'è, in Fernandes, una “idealizzazione” del capitalismo moderno, poiché presentava un'affinità necessaria con la realizzazione di un ordine sociale democratico. Quello che fa notare è che le forme di stratificazione sociale che organizzano la società di classe si articolano, almeno potenzialmente, con l'apertura alla competizione e al conflitto per le posizioni sociali più vantaggiose nel sistema sociale, in contrapposizione alla monopolizzazione del reddito sociale. , prestigio e potere che caratterizzerebbero una società di tipo immobiliare. Se, e solo se, il processo di universalizzazione fosse portato al suo limite estremo, potremmo dire che la società di classe sarebbe pienamente realizzata.

in nessun tempo L'integrazione dei neri nella società di classe, un libro che analizza la formazione, l'espansione e la differenziazione di questo tipo di società nella città di San Paolo, epicentro della rivoluzione borghese in Brasile, Fernandes afferma che ci sarebbero tendenze sociali coerenti nel senso di invertire la concentrazione razziale di reddito, di superare gli stereotipi negativi dei neri e, associata a questi due punti, di mettere in crisi la monopolizzazione dei diritti e delle garanzie sociali dell'ordine sociale competitivo da parte dei bianchi. Al contrario, e senza minimizzare, ovviamente, i numerosi cambiamenti avvenuti tra l'Abolizione e gli anni Sessanta – l'arco temporale coperto dal libro –, l'autore dimostra come, in ogni momento storico, la disuguaglianza razziale ereditata dal passato venga ripristinata , limitando la lotta per i diritti e l'affermazione autonoma dei neri nella scena storica.

Questa revisione proposta di L'integrazione del nero beneficia di una recente ricerca che ha gettato nuova luce sul contesto di produzione e ricezione dell'opera, in particolare in relazione ai movimenti neri a San Paolo. Negli ultimi anni si è approfondito il dibattito sul ruolo svolto nella ricerca dagli informatori neri, i cui nomi sono citati nei ringraziamenti del libro: al segretario della Commissione per lo studio delle relazioni razziali tra neri e bianchi a San Paolo, Jorge Prado Teixeira; agli “informatori di colore” (sic), i dottori Raul Joviano do Amaral, Edgar Santana, Arlindo Veiga dos Santos, Francisco Lucrécio, Geraldo de Paulo e Ângelo Abaitaguara, e a José Correia Leite, Geraldo Campos de Oliveira, Francisco Morais, Luis Lobato, professor Antonio Dias, José Pelegrini, Vicente de Paula Custódio, Paulo Luz, Vitalino B. Silva, Mário Vaz Costa, Carlos Assumpção, Romeu Oliveira Pinho, Joaquim Valentim, Nestor Borges, Cirineu Góis, José de Assis Barbosa, Adélio Silveira, Anibal de Oliveira, Luis Aguiar, Benedito Custódio de Almeida, Gil de Carvalho, José Inácio do Rosário, Sofia de Campos, Aparecida Camargo, Nair Pinheiro, e le signore Benedita Vaz Costa, Maria de Lourdes Rosário, Maria Helena Barbosa, Ruth de Souza e Nilza de Vasconcelos sono soggetti ricercati e attivi. Questo ci permette di affermare che una chiave esplicativa del lavoro è questa costruzione di un orizzonte di interessi condivisi, comune a sociologi e intellettuali neri nel dibattere un complicato stato di cose negli anni Cinquanta.

In questo senso, uno dei punti controversi del libro, la denuncia della “democrazia razziale come mito” è anche una conseguenza del pensiero all'interno delle associazioni di attivisti neri, impegnati nelle lotte sociali dagli anni '1920, ascoltate nel sondaggio dell'Unesco e fornitori, a Fernandes e agli assistenti, con storie di vita, saggi sociali manoscritti, narrazioni stenografiche e accesi dibattiti presso l'ex Facoltà di Filosofia o presso la Biblioteca Comunale. Quei soggetti sarebbero indici viventi del popolo organizzato, confrontandosi quotidianamente con le possibilità aperte (e chiuse) nel processo storico-sociale. Gli attivisti erano partecipanti a giornali della stampa nera di San Paolo (Bastide, 1973; Ferrara, 1986), come Clarim d'Alvorada, Voce della corsa; di associazioni come Fronte nero brasiliano (1931-1937) Club di cultura sociale nero (1928-1932) Associazione José do Patrocinio (anni '1940), Nostra Signora del Rosario Confraternita degli Uomini Neri (1711-), Associazione dei neri brasiliani (1948) e il Associazione culturale nera (1954). Questa relazione tra sociologia e attivismo nell'ambiente nero è una delle mediazioni contestuali decisive per comprendere più precisamente il significato di scommessa di Fernandes.

Per dimostrare la validità della nostra reinterpretazione di L'integrazione del nero, il resto del testo è diviso in quattro parti. La prima parte ricostruisce le argomentazioni dell'autore sul passaggio dal rurale all'urbano, visto in Un'integrazione dalla situazione dei neri e dei rapporti razziali nella città di San Paolo. Nonostante le specificità storiche di San Paolo e del gruppo nero della città, Fernandes capisce che questo angolo di osservazione permetterebbe di illuminare, con notevole chiarezza, i limiti più generali della democratizzazione della società brasiliana. Dall'anello più debole della catena sarebbe possibile analizzare la struttura sociale; dalla periferia del sistema si misura meglio il centro.

La seconda parte evidenzia, in modo più dettagliato, come l'autore analizzi le modalità di socializzazione vissute dai neri a San Paolo, sia in condizioni di estremo pauperismo che in situazioni di mobilità sociale ascendente, conservando gli effetti della disuguaglianza e del pregiudizio razziale. nelle loro forme di interazione, associazione e rivendicazione collettiva. Sebbene in modi diversi, Fernandes mostra i limiti imposti all'autonomia nera in entrambi i casi, limitandosi all'elaborazione di soluzioni individuali ai drammi collettivi di questo gruppo sociale di San Paolo.

Nelle ultime due discuteremo con maggiore attenzione la ricostruzione, fatta dall'autore, dei movimenti neri a San Paolo, la cui spiegazione non può essere dissociata dall'intenso rapporto che ebbe con intellettuali e altri segmenti della popolazione nera e dal innovazioni teoriche, metodologiche ed empiriche che questa relazione ha portato alla discussione sociologica delle relazioni razziali in Brasile.

[...]

* Mario Augusto Medeiros da Silva Professore presso il Dipartimento di Sociologia di Unicamp.

*Antonio Brasile jr. Professore presso il Dipartimento di Sociologia dell'UFRJ.

 

Riferimento


Florestano Fernandes. L'integrazione dei neri nella società di classe. San Paolo, Controcorrente, 2021, 888 pagine.

 

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