da SERGIO SILVA*
Commento al classico libro di Charles Bettelheim.
Il primo volume di Lotta di classe in Unione Sovietica segna l'intervento di Charles Bettelheim nell'ampia discussione di una rivoluzione socialista.
La posizione dell'autore sulle vie seguite dal regime instaurato dalla rivoluzione dell'ottobre 1917 è stata implicitamente definita fin La transizione verso l'economia socialista (1968). Nel lavoro sono stati sviluppati nuovi elementi sullo stesso tema Calcolo economico e forme di proprietà (1970). In questi due libri, Bettelheim mantiene al centro della sua attenzione i problemi più strettamente economici, in particolare quelli legati alla pianificazione, limitandosi così al campo in cui è conosciuto negli ambienti accademici e nel quale ha operato sin da prima della Seconda Guerra mondiale.
Alla fine degli anni Sessanta, nelle lettere scambiate con Paul Sweezy in occasione dell'invasione della Cecoslovacchia, Bettelheim esplicitò la sua posizione e intervenne apertamente sulla questione fondamentale riguardante la natura dell'Unione Sovietica. Ora Bettelheim si propone direttamente di contribuire a rispondere all'esigenza di determinare i rapporti economici attualmente dominanti nell'Unione Sovietica e le condizioni per la formazione di questi rapporti.
La tua posizione è visualizzata in tutte le lettere da Prefazione, quando chiarisce gli obiettivi del suo lavoro: “L'analisi delle trasformazioni attuate in Unione Sovietica è importante almeno quanto l'analisi della sua situazione attuale: può essere una fonte insostituibile di insegnamento e aiutare a prevenire altre rivoluzioni proletarie dal seguire lo stesso percorso e arrivare, non al socialismo, ma a una specifica forma di capitalismo oppressivo e aggressivo come le sue forme classiche” (p. 15 dell'edizione francese). Il suo obiettivo è capire come “una rivoluzione proletaria possa trasformarsi nel suo contrario: una controrivoluzione borghese” (idem).
costruzione del socialismo
Il libro di Bettelheim non è quello di uno storico nel senso stretto del termine. Tuttavia, il libro rappresenta certamente anche un contributo alla storia di quel paese, sia per l'originale presentazione degli avvenimenti notevoli della fase studiata, sia per la proposta di periodizzazione, sia per l'analisi della vasta bibliografia, che va dai classici sull'argomento (tra cui spiccano i vari libri di EHCarr), ai lavori recenti, tra i quali si segnalano quelli di M. Grumbach (Contributo a l'étude du développement du capitalisme en Russie) e Sigrid Grosskopf (Le problem des cercales en Russie et la NEP), preparato presso l'ex École Pratique des Hautes Études.
Per il lettore brasiliano il libro ha un valore particolare, data la quasi inesistenza di opere interessanti sulla storia dell'Unione Sovietica, più precisamente di riesaminare ogni storia in termini di insegnamenti della storia stessa, insegnamenti che si incarnano nelle questioni poste dal presente, dalle attuali lotte politiche. Ora, infatti, questo è il compito principale dello storico. Secondo buona parte dei migliori storici “ufficiali”, la storia ha senso solo in funzione del presente.
Bettelheim è perfettamente esplicito. Sostiene di partire dalle questioni poste dalle rivolte operaie nei paesi dell'Europa dell'Est, dalla politica interna ed estera attualmente seguita dall'Unione Sovietica (con particolare attenzione all'invasione della Cecoslovacchia), dalle questioni sulla “strada al socialismo” assunto dal movimento socialista mondiale, dall'evoluzione del Terzo Mondo e, infine, dall'evoluzione della Rivoluzione cinese, in particolare dopo la rivoluzione culturale.
Partiamo da uno degli aspetti più controversi. È giusto analizzare la rivoluzione bolscevica alla luce della rivoluzione cinese? Ora, che ci piaccia o no, la seconda rappresenta, storicamente, una “continuazione” della prima. Come analizzare la “costruzione del socialismo” nel primo senza considerare ciò che è stato fatto nel secondo? Dopotutto, i contorni specifici del socialismo possono essere delineati solo dalla stessa pratica sociale di costruire quella società. Per questo, per lungo tempo, l'idea di socialismo, per svilupparsi, ha avuto come punto di riferimento obbligato quanto si faceva in Unione Sovietica.
La rivoluzione cinese, l'evoluzione della costruzione del socialismo in Cina, ha cambiato questa realtà. E, oggi, quando si cerca di analizzare la stessa rivoluzione bolscevica; quando si cerca di comprendere il processo di trasformazione dell'Unione Sovietica, è indispensabile considerare la rivoluzione cinese. Se il socialismo non si riduce a una semplice utopia, se lo consideriamo come un risultato concreto della storia, questo procedimento è indispensabile per sapere, diciamo, di cosa stiamo parlando, cioè per sapere cosa, concretamente, possiamo considerare come il socialismo. Non si tratta di confrontare il “modello” cinese con il “modello” sovietico, che è praticamente inutile. Si tratta di sapere cos'è il socialismo, a partire dallo stesso sviluppo storico, senza il quale la parola non ha senso.
Ad esempio, l'idea che la gente aveva sul ruolo dell'industrializzazione nella costruzione del socialismo, sul ruolo dei contadini e dei lavoratori rurali in generale, le idee sulla cosiddetta “accumulazione socialista” furono profondamente trasformate. È evidente che le “soluzioni” cinesi sono il risultato di alcune condizioni storiche che alcuni indicano come “favorevoli”. Sarebbe sciocco pensare che i conflitti con i contadini e la piccola borghesia rurale siano stati voluti dai capi bolscevichi o che questi conflitti siano avvenuti a causa della mancanza di intelligenza di questi capi. Non è un caso che il Partito Comunista Cinese si sia sviluppato nelle campagne, mentre i bolscevichi praticamente non sono riusciti a stabilirsi nelle zone rurali.
in attesa della rivoluzione
Tutte le esperienze storiche sono relative. Ma non si può, quindi, cadere in un relativismo totale che consiste, in ultima analisi, nella negazione dell'apporto di qualsiasi esperienza in quanto necessariamente sviluppata in condizioni particolari. Questa posizione porta a un “oggettivismo” storico perfettamente sterile, dove ogni esperienza è “interessante” e, allo stesso tempo, non ci insegna nulla di concreto.
Non si deve negare che molti tendono a utilizzare l'esperienza altrui in modo semplicistico, analizzando ad esempio lo sviluppo dell'Unione Sovietica o altre realtà in termini di “modello” cinese. Non è però questo il caso di Bettelheim che, quindi, va letto con la dovuta attenzione da chi non è disposto, come si suol dire, a “buttare via il bambino con l'acqua sporca”.
La critica dell'"economicismo" occupa un posto centrale in Lotta di classe in Unione Sovietica. Economicismo che Bettelheim definisce attraverso il “problema delle forze produttive” e la sottovalutazione dei rapporti sociali di produzione. Sarebbe ingenuo pensare che la critica lo sia affrontato ai dirigenti bolscevichi e cercate di rispondere elencando le mille e una condizioni storiche “avverse” che spiegherebbero questa “deviazione”. Il destinatario non è altro che il cosiddetto pensiero marxista moderno. Ancora una volta, l'Autore si pone in relazione al presente.
Nel presentare questa critica, l'Autore ha in mente - e di ciò avverte il lettore fin dall'inizio - Avant-propos la situazione dell'attuale movimento socialista, in particolare nei paesi a capitalismo avanzato. Ha in mente le conseguenze precise del “problema delle forze produttive”: il fatto che nei paesi a capitalismo avanzato i leader politici e gli intellettuali socialisti, salvo rarissime eccezioni, si limitino a “segnare il passo”, auspicando che “la crisi generale capitalismo” produce i suoi effetti. Mettendo in primo piano lo sviluppo delle forze produttive, si ritiene che ci siano già le “condizioni oggettive” per la rivoluzione e manchi solo una situazione favorevole. Si noti l'effetto devastante di questa idea a livello di analisi, che diventa superflua o puramente illustrativa a priori.
La pianificazione e le relazioni sociali della produzione
Mettere in primo piano lo sviluppo delle forze produttive, senza subordinarle allo sviluppo del nuovo tipo di rapporti sociali di produzione, porta a un'idea errata del ruolo della pianificazione (e, più in generale, dell'intervento economico del Stato e, in ultima analisi, dello Stato stesso). A tal punto che le relazioni sociali di nuovo tipo vengono semplicemente confuse con la pianificazione. Bettelheim ne parla con l'autorità di chi opera, così, una revisione importante del proprio pensiero.
Ma quanti non sono riusciti a ridurre e quanti ancora non si sentono in diritto di ridurre le differenze economiche tra socialismo e capitalismo alle differenze tra pianificazione centralizzata e pianificazione indicativa? All'inizio degli anni 'XNUMX Bettelheim fu portato a combattere l'illusione dei leader cubani circa la possibilità di centralizzare la fissazione di tutti i prezzi e quindi “eliminare l'economia di mercato”. L'illusione della pianificazione suggerisce che le relazioni sociali possono essere abolite per decreto.
Quanti si sono imbarcati, anche per periodi di tempo limitati, sulla canoa del socialismo arabo, del socialismo africano o addirittura del socialismo indiano? Quanti non confondono, a destra ea sinistra, il socialismo con l'intervento diretto dello Stato nell'economia? Il libro di Bettelheim, quando parla dell'Unione Sovietica dal 1917 al 1928, presenta tutte queste domande. E l'Autore, che si pone queste domande, anche se principalmente come accademico, le ha vissute come consulente o ricercatore operando in vari paesi del Terzo Mondo, da Cuba alla Cina e all'Algeria, fino all'India.
Analizzare la storia alla luce del presente mi sembra il giusto punto di vista. Possiamo solo rammaricarci che questo metodo non sia andato oltre, in modo che il riesame della storia della rivoluzione russa potesse essere effettuato in termini di questioni più direttamente legate alla situazione dei paesi capitalisti avanzati. Ciò aiuterebbe certamente ad evitare interpretazioni semplicistiche. Il fatto che l'analisi non sia giunta a questo punto non va, tuttavia, attribuito unicamente all'Autore. Le sue radici affondano senza dubbio nelle debolezze stesse del movimento socialista europeo.
Nessuna delle questioni fondamentali che il libro pone potrebbe essere sollevata se l'Autore non trattasse la storia con l'obiettività di chi analizza un processo di lotte sociali, escludendo spiegazioni semplicistiche come quelle che vedono la storia come la realizzazione di un'idea per un pugno dei leader. In questo modo, contribuisce a seppellire i miti dello stalinismo, le spiegazioni illusorie sul dominio della burocrazia, così come le idee vecchie e stropicciate che cercano di spiegare l'evoluzione dei paesi socialisti dagli effetti congeniti trovati in Marx, Lenin o il partito bolscevico, considerato demiurgo autoritario. Nel libro di Betteilheim i conflitti sociali prendono il primo piano e gli uomini, anche i più illustri, appaiono al loro posto: come attori della storia.
*Sergio Salome Silva (1946-2021) è stato professore nel dipartimento di sociologia di Unicamp. Autore, tra gli altri, del libro Espansione del caffè e origini del settore (Alfa Omega).
Originariamente pubblicato sul giornale Movimento, no. 90, 1977.
Riferimento
Carlo Bettelheim. La lotta di classe in URSS. Rio de Janeiro: Paz e Terra, 1976.