da JOÃO MARCOS DUARTE*
Commento al libro recentemente pubblicato di André Castro
«La tradizione critica di Candido e Schwarz trovava nella letteratura uno spazio privilegiato per interpretare la formazione e la deformazione nazionale, dato che la nazione stessa era anche una comunità di lettori dove l'identità si forgiava attraverso la lettura. I tempi della decostruzione sembrano presentare un’esperienza delineata come immaginazione religiosa, sicché è nella sua formulazione teorica (teologica) che troviamo uno spazio privilegiato per mappare le forme della fine” (André Castro).
Nonostante sia distorta, l’affermazione del nostro scienziato religioso non è priva di scopo. Nel suo libro più recente, cerca di mappare esattamente ciò che chiama “immaginazione religiosa”. Più precisamente, l'ultima delle sue figure, l'apocalittico bolsonarista.
Prima le cose. Il brano che stiamo commentando inizia con ben due dei principali distici di quella che convenzionalmente viene chiamata la tradizione critica brasiliana. C'è chi dice che questa tradizione è una frangia radicale dell'ala scapolo.[I] che mirava sempre a compiere il passaggio da colonia a nazione. La frangia critica cerca, in un certo modo, di rinunciare ai manierismi e all’autoritarismo applicati alla saga della costruzione nazionale, oltre a percepire l’impasse come un problema – un po’ diversamente dai loro antenati, che vedevano proprio in questo processo il segno della l’identità nazionale che dovrebbero mappare per allora eseguire (o viceversa).
Andando dritti al punto: senza scusarsi, i due critici letterari citati vedono nella letteratura nazionale un'importante fonte di indagine su questo problema chiamato Brasile, con le sue idiosincrasie e i possibili contributi per cercare, da un lato, di scoprire il falso fondo di un sistema-mondo basato sull’accumulazione infinita e, dall’altro, contando sulla buona volontà di alcuni e sull’assenza di altri, un certo contributo possibile alla società futura. In un modo o nell'altro, il rifiuto della situazione attuale e l'indagine sulle possibilità di avere un posto e una voce nella costruzione del Nuovo.
Il punto nodale è che la letteratura ha formato per la prima volta in Brasile quella che potremmo chiamare una “comunità di lettori”, le parole sono tratte dal brano sopra. L'origine dell'espressione, che, pur non essendo usata da Antonio Candido, è il risultato del suo percorso in altri modi, si deve a Benedict Anderson[Ii], mappando come i giornali, con notizie e puntate, provocassero qua e là, in Portogallo o nelle colonie, nelle Indie e in Gran Bretagna, entrando in contatto con lo stesso documento e risentendo della stessa aria, notizie di borsa e avventure della ragazza in questione, i lettori si sentivano come se appartenessero a una comunità che in seguito sarebbe stata chiamata nazione.
Nonostante il saccheggio coloniale, ciò che accomunava i comandanti delle navi che abitavano nei palazzi, i pirati e i colonizzatori, oltre ai padri di famiglia che commerciavano per mezzo delle barche, era proprio l'aria comune di condividere le stesse pagine e , questa è la grande scoperta dello storico irlandese, immaginare che i suoi pari dall'altra parte dell'Oceano facessero lo stesso.
Per ragioni interne alla famiglia della nostra tradizione, che aveva come ideale l’unione di ciò che era più illuminato con ciò che era più concreto dei rituali indigeni e afrodiasporici, che culmina a Brasilia, ignorarono un altro documento pieno di fatti e storie che si è costruito per più di due millenni e che ha formato, fin dalle sue prime dieci leggi, un'altra comunità immaginata, questa volta senza limiti territoriali fissi, almeno a priori, e che invita l'umanità all'unità attraverso la diversità.
Con due aggravanti, una comunità di pellegrini periodicamente ridotti in schiavitù, la cui cittadinanza non è di questo mondo, ma che ha già tutto il percorso tracciato e la fine certa: la formula dell'insurrezione permanente.
Andando avanti con la retrospettiva, abbiamo tre momenti principali di formazione di quest’altra comunità immaginata composta da pellegrini ribelli. Il primo di essi, il decalogo scritto dalla voce stessa del Creatore e consegnato al suo primo messaggero, colui che libera il popolo di Dio dal più grande impero del tempo. Questo Creatore, che, vedendosi rifiutato da coloro che ha scelto di chiamare suoi, lo condanna a vagare per quarant'anni in un deserto, girando e rigirando per ritrovare se stesso, senza potersi fermare un solo istante, avendo solo i propri sacrifici e il proprio esercito per sopravvivere e non rinunciare mai alla terra promessa, un luogo che era stato loro a lungo, ma che, a causa del pellegrinaggio, finisce per popolarsi di stranieri e che, per essere riconquistato, dipende molto da sacrificio e addestramento militare, dopo tutto, quando il primo uomo faceva il primo confine, fu decretato il momento del massacro militarizzato.
Dopo le leggi, la professione di fede che arriva qualche migliaio di anni dopo: «Venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra» pronunciata da Gesù di Nazaret, il Cristo, che alcuni considerano uno Zelote, un'altra tribù di insorti che non si arresero nemmeno all'Impero Romano, ancora una volta, il più grande dell'epoca. La volontà: salvare il mondo che giace nel Maligno attraverso le persone che si fanno chiamare con il loro nome, impresa resa possibile dalla missione vicaria dello stesso figlio di falegname che abbiamo appena citato, centro delle Scritture.
Infine, la realizzazione finale della Terra Promessa, il Regno dei Cieli che rende fisica la presenza del creatore sulla Terra, compimento immediato del decalogo, assicurando che la volontà dell'Altissimo si compia sia sulla Terra che nel Cielo a venire Questo – quello del Regno – è possibile solo dopo che il Messaggio di redenzione sarà predicato su tutta la faccia della terra e il Popolo di Dio sarà perseguitato per non rinnegare la sua fede e la sua Missione. Dall'inizio alla fine, ancora una volta, un popolo di pellegrini insorti nella loro guerra per l'eternità. Fin qui niente di nuovo, in un solo paragrafo, la saga dalla Genesi all'Apocalisse.
Ciò che scopre il nostro teologo è un semplice dettaglio che fa la differenza. L’immaginazione religiosa in sé conta poco. Ciò che conta è proprio come la storia di coloro che si definiscono popolo di Dio viene vissuta come esperienza religiosa.
Prova e controprova si svolgono in tre momenti, nel libretto citato: Teologia della Liberazione,[Iii] nel momento in cui l'orizzonte dell'attesa e lo spazio dell'esperienza erano una distanza incommensurabile e la rivoluzione stava arrivando; progressismo evangelico[Iv] e l’apocalittico bolsonarista[V], ora che i tempi sono diversi e la dimensione del mondo è quella della catastrofe imminente – vissuta dai primi come l'opposto del Piano del Creatore, e dai secondi, come parte necessaria dell'inesorabile negazione dell'attuale stato di cose dato che la loro cittadinanza “non è di questo mondo”, e che, quindi, non disdegna e anzi si rallegra della distruzione di tutto, così che poi, quando verrà la Fine, potrà dire: “Le cose vecchie sono passate, ecco, tutte le cose sono diventate nuove” (2 Corinzi 5:17).
Le componenti di una cittadinanza ultraterrena, il pellegrinaggio incessante, il Regno che si instaura dopo infinite battaglie e tante persecuzioni con sicura vittoria finale, l'immaginazione religiosa che anima gli appassionati e chi vuole rinviare la fine del mondo.
Avvicinandosi, qualche parola sul centro di ciò che individua André Castro. A differenza dell’ebraismo, che è messianico, il cristianesimo, un tempo progressista (con il protestantesimo), ora nel suo volto evangelico, ha al centro l’escatologia. In entrambi i sensi della parola: rivelazione e tempo della fine.
Quanto alla prima, la certezza (“di ciò che speriamo e l’evidenza di cose che non vediamo” [ebrei 11]) che in ogni momento l'Altissimo vuole dire qualcosa dietro ciò che accade: il motore di ciò che comunemente viene visto, per miopia, ovviamente, come una tendenza al complottismo. Quanto alla questione del tempo, carburante di una certa teologia che lascia alcuni con i capelli ritti (qui inteso come dottrina e pratica comunitaria ben oltre la richiesta di benedizioni materiali).
Quando sei sicuro di vivere sempre all’ultimo momento, devi contrattare per guadagnare tempo – come i banchieri, con i soldi. La presunta adesione al mondo che l'evangelizzazione rappresenta non è altro che una mutazione della manifestazione della stessa coscienza, che mancano solo pochi secondi perché tutto finisca – qualunque cosa significhi questa unità di tempo per queste persone, poiché per loro, “Un giorno è come mille anni e mille anni sono come un giorno” (2 Pedro 3: 8).
Si avvicina ancora l'ora della fine, motore e carburante di ogni sforzo contro chi si oppone alla vostra fede: l'ultima battaglia che è già in corso, Armageddon. Da qui l'uso ripetuto di Vecchio Testamento. Avvertimento per chi ha fretta, però: il pentecostalismo, la più grande denominazione evangelica del Brasile, non è dell’Antico Testamento – qualsiasi prete cattolico o pastore protestante può predicare per anni solo il Vecchio Testamento, e molti lo fanno –, questo fa parte del Bibbia che prepara la guerra di conquista annunciata nel libro dell'Apocalisse di Giovanni (per questo torniamo più volte alle prime pagine del Libro Sacro).
Il pentecostalismo, quello vero, non quello immaginato dal progressismo evangelico come qualcosa di importato dagli Stati Uniti d’America e che, a causa della bianchezza, sarebbe un’altra manifestazione delle pelli nere e delle teologie bianche, è apocalittico.[Vi]
Lo sfondo materiale di ciascuna delle mutazioni di questa immaginazione religiosa altera l'intera equazione di questa esperienza nelle sue dimensioni, aggiungendovi la materia brasiliana, formando un Brasile rinato, un progetto di potere ormai vantato in tutti gli angoli del territorio nazionale. e oltre – altrimenti, la nostra soglia giornaliera? La prossima sciocchezza.
*Joao Marcos Duarte È dottorando in Linguistica presso l'UFPB.
Riferimento
André Castro. La lotta tra gli dei: dalla Teologia della Liberazione all'estrema destra evangelica. San Paolo, Editora Machado, 2024
[I] Luiz Felipe de Alencastro. Il peso degli scapoli. Nuovi studi Cebrap. N. 19.
[Ii] Benedetto Anderson. comunità immaginate: riflessioni sull'origine e diffusione del nazionalismo. San Paolo: Companhia das Letras, 2008.
[Iii] Mi riferisco ai saggi “Ipotesi, se non sbaglio, della teologia della liberazione”, “Cosa resta della teologia della liberazione?”, “Dalla teologia della liberazione all'ecoteologia”.
[Iv] Il passaggio attraverso questo gruppo si trova nei saggi “Chi ha paura del progressismo evangelico?”, “Destra e sinistra nello specchio degli evangelici” e “Il risentimento degli integrati”.
[V] Svelato, l'apocalittico in questione, oltre al già citato “Sinistra e destra…”, nei due luminosi “È il re che governa questa nazione” e “Sulla lotta tra gli dei”. Il lettore deve essersi interrogato sull’assenza del primo saggio, “A apocalíptica conselheirista”, e del breve “Gli altri dell’ecumenismo” in questa descrizione. C'è il germe della discussione che muove l'intero libro e porta con sé la grande novità dell'insieme.
[Vi] Sempre per quanto riguarda il pentecostalismo, la sua somiglianza con un certo cattolicesimo popolare deriva cioè, ancora e sempre, dalla sua aria apocalittica familiare. Dal punto di vista della Rivelazione, come il pentecostalismo, il cattolicesimo era una religione nella quale erano presenti mediatori tra l'umano e il divino. Quanto alla fine di tutte le cose, al suo costante bisogno di cercare di indirizzare in qualche modo la divinità e alla sua guerra per Gerusalemme – una città fantasma che anima diversi sforzi che vanno dalla conquista dell’America, al Destino Manifesto, alla controriforma, a una certa contro-riforma rivoluzione e attualmente in una tecnologia militare all’avanguardia che rende il Medio Oriente un inferno punti di contatto per coloro che sono abbastanza sfortunati da non essere purosangue. Oltre a quelle già citate, resta da citare la somiglianza con gli ordini monastici del cattolicesimo, che spazia dall'ascetismo antimondano dei primi pentecostalismi alla già citata teologia della prosperità. Lo sfondo, una dimensione che prende contatto con il Magnum Mysterium. È vero che in Brasile, si può sostenere, c’è una grande distanza tra i poli sopra menzionati, poiché il pentecostalismo ha molte somiglianze con le religioni di origine africana, che metterebbero in scena il corpo, cosa che non sarebbe la soluzione caso nel cattolicesimo. Si tratta proprio di questo, con stupore di alcuni, soprattutto riguardo al fatto che molte religioni dei popoli della diaspora avevano divinità incontrollabili con le quali era necessario dialogare attraverso riti. A questo proposito, però, due considerazioni. Il primo riguarda il fatto che alcuni sostengono che sia il pentecostalismo che il candomblé affondino le loro radici nello stesso cattolicesimo popolare rurale (Vagner Gonçalves da Silva. Religione e identità culturale nera: afrobrasiliani, cattolici ed evangelici. Afro-Asia. 2017, numero 56, pp. 83-126). La seconda riguarda il carattere sinestetico del pentecostalismo, soprattutto perché l'Ordine che fu presente in modo più lungo e profondo tra gli schiavi, i neri e gli indiani, fu quello dei Gesuiti, che ha nella contemplazione sinestetica, che in molti momenti sconfina nella trance. , l'opposizione e la negazione dell'ordine vigente e l'affermazione del contatto con il mistero, pratica costante. Ogni chiesa non pentecostale che afferma di essere grande attraversa il processo di pentecostalizzazione in termini di modo di funzionare per cercare di avere voce nel mondo evangelico e oltre. Coloro che non attraversano questo processo, ma vogliono rivendicare per sé una certa brasilianietà che dia loro il ruolo di veri portatori di ciò che dovrebbe essere il cristianesimo in Brasile, con le cosiddette agende avanzate e l’inserimento nel terzo settore, trasformando questo amalgama esposto sopra in feticcio, sono lasciati al progressismo evangelico. La spiegazione generale del fenomeno di quello che chiamo “progressismo evangelico” qui è nella suddetta: “Chi ha paura del progressismo evangelico?” (in: André Castro., on. cit., pagg. 157-187).
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