da PEDRO BENEDITO MACIEL NETO*
Dobbiamo parlare fuori dalla bolla, senza timore di critiche, perché, credetemi, siamo dalla parte giusta della storia.
Conservo nel mio WhatsApp alcuni “Adolf Eichmann”. Mi spiego: io lo chiamo "Adolf Eichmann” tutte persone catturate dalla mediocrità del non pensare; prima privi di discorso, hanno finito per trovare qualcosa da dire nelle idee di OlavoBolsonarismo.
Mi servono come “fonte” di informazioni e i loro messaggi mostrano la dimensione delle bugie che circolano sui social network, le cattive maniere di chi le produce e la stupidità di chi le fa circolare.
La maggior parte di queste persone, uomini e donne di varie età, hanno un'alta stima di se stessi, hanno la migliore immagine di sé, ma in realtà sono persone cattive, che fanno e riproducono il male e che, alla fine della giornata, tornano a casa pieni di certezze e convinzioni, però, non sono altro che allevatori del male che banalizzano.
Il concetto di “banalità del male” è stato creato dalla filosofa Hannah Arendt e presentato nel libro Eichmann a Gerusalemme. In esso la Arendt discuteva la prospettiva del male causato da persone prive di capacità di pensare, incapaci di pensare con la propria testa, persone contaminate dalla logica nazista e che, per questo, normalizzavano tutto il male che vocalizzavano, praticavano o di cui parlavano silenzioso.
La “banalità del male” sarebbe la mediocrità del non pensare, e non esattamente il desiderio o la premeditazione del male, personificato e allineato con il soggetto demente o demoniaco; sarebbe una posizione politica e storica, non ontologica; la “banalità del male” si installa trovando lo spazio istituzionale, creato dal non pensare.
In Eichmann, Hannah Arendt non ha visto qualcuno malvagio o malato, nemmeno qualcuno antisemita o arrabbiato, ma solo qualcuno che eseguiva gli ordini, incapace di pensare a ciò che stava facendo realmente, concentrandosi solo sull'esecuzione degli ordini. Se non hai letto il libro, o non vuoi, puoi guardare il film. Hannah Arendt - Idee che hanno sconvolto il mondo.
Quanti “Adolf Eichmann” lo sai e non lo sapevi nemmeno? Fatto sta che la violenza fisica e verbale a cui assistiamo, quotidianamente, sui social e sui giornali, fornirebbe ampio materiale di studio per Hannah Arendt. Il male normalizza e banalizza la violenza, condividendo notizie false, facendo commenti aggressivi e sovrapponendo amicizie, credenze familiari e religiose; il male ha normalizzato il “mitragliamo il fuoco”.
Nonostante la sconfitta del principale rappresentante del male, esso continua a seminare se stesso, perché, mentre il pensiero è assente, c'è spazio per la banalizzazione del male. Come combattere il male: pensare criticamente e condividere questo pensiero, mettendolo in moto, attraverso l'educazione, non bancaria, ma liberatrice.
Ognuno di “Adolf Eichmann” che sappiamo continua ad essere vittima di manipolazione, credono che ci sia stata una frode nelle elezioni, nelle urne, che ci sia una dittatura in Brasile, che il comunismo sia una minaccia, che la Terra sia piatta, che il globalismo sia demoniaco e che “tra sei mesi” saremo un Venezuela (o saremmo? In fondo siamo al settimo mese e non è successo niente in tal senso).
Azioni acritiche, motivate da consenso istituzionale, buon senso o mancanza di senso, hanno generato e generano violenza verbale e spesso fisica. La massa incauta, incapace di pensare, agisce senza pensare, non vede il male che sta facendo, e si risente quando viene attaccata, il che la spinge a rispondere, con violenza ancora maggiore: si crea un circolo vizioso di banalità.
Non c'è dubbio che stiamo vivendo una banalizzazione della violenza, per ragioni politiche, ma “chi” o “cosa” ha causato l'amplificazione del male nella società?
A mio avviso è stata la tempestiva non punizione di Jair Bolsonaro e di chi, come lui, non si vergogna di presentarsi a favore della dittatura, del bastone dell'ara e della tortura.
Nonostante la sconfitta di Jair Bolsonaro, il suo principale rappresentante, il male rimane forte e ha perso la sua vergogna perché siamo stati accondiscendenti per troppo tempo: con il revisionismo, che afferma spudoratamente che non c'era dittatura in Brasile; con attacchi a persone di origine africana, come recentemente fatto da un criminale di nome Gustavo Gayer; con la stupida affermazione che non c'è razzismo nel Paese; con mancanza di rispetto per i popoli nativi; con attacchi alla comunità LGBTQIA+; con misoginia e maschilismo; con disprezzo per la questione ambientale e climatica; con chi insiste a criminalizzare le periferie ei loro abitanti; con i miliziani e con coloro che li hanno decorati; con incitamento all'odio; con il quale ha reso e rende omaggio a un colonnello torturatore ea un capitano di milizia omicida; con quelli che non rispettano la nostra latinità; con cui ha chiamato boliviani e haitiani feccia e “paraíba” e “pau-de-arara” il nord-est; con il quale ha negato la povertà e la fame; con cui ha negato la gravità del COVID.
Impossibile che non si riesca a spiegare che il motto “Dio, patria e famiglia” ha le sue origini nell'integralismo di Plinio Salgado e nel fascismo di Benito Mussolini, e che al motto aggiunge ancora la parola “libertà” , così come il nazismo. Potrebbe essere che il male sia così potente che non saremo in grado di raccontare ogni "Adolf Eichmann” che lo slogan “Brasile soprattutto” è ispirato alla “Germania soprattutto” di Adolf Hitler?
Ho detto che il nostro compito è tornare alla politica, non solo in vista delle prossime elezioni, ma cercando di contribuire all'infinito e necessario processo di civilizzazione; dobbiamo parlare fuori dalla bolla, senza timore di critiche, perché, credetemi, siamo dalla parte giusta della storia.
Queste sono le riflessioni.
*Pedro Benedito Maciel Neto È avvocato e ha conseguito un master in procedura civile presso il PUC SP. autore di Riflessioni sullo studio del diritto (ed. Comedi).
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