da MARCO V. MAZZARI*
Leo Naphta e Lodovico Settembrini: voci ideologiche nella formazione di Hans Castorp
Nell'ultimo capitolo del suo libro postumo Sei proposte per il prossimo millennio Ítalo Calvino (1923-1985) osserva, in mezzo a considerazioni sull'andamento enciclopedico del romanzo, che la montagna magica può essere considerata “l'introduzione più completa alla cultura del nostro secolo”, poiché dal “mondo recluso” del sanatorio alpino ritratto da Thomas Mann partirebbero “tutti i fili che verranno svolti dal maître à penser del secolo: vi vengono prefigurati e rivisti tutti i temi che ancora oggi continuano ad alimentare discussioni”.[I]
Con questo apprezzamento, Calvino si pone accanto a innumerevoli altri critici che vedono in questo romanzo monumentale – “il frutto di molti anni di lotta con la forma e l'idea”, nelle parole di Anatol Rosenfeld, “una delle più meravigliose creazioni della letteratura mondiale di il Novecento, inesauribile nella sua molteplicità e impenetrabile nella sua profondità.[Ii] – il capolavoro del romanziere di Lubecca. Lo stesso Thomas Mann espresse nel 1930, nell'ambito di un bilancio provvisorio della sua opera, un'opinione simile davanti a Sérgio Buarque de Holanda, anche se aveva avvertito che si trattava di una “lettura difficile”, contraria al Buddenbrook.[Iii]
Mosso dal desiderio di scrivere un contrappunto satirico alla telenovela Morte a Venezia, pubblicato nel 1912, Mann iniziò lo stesso anno a lavorare a un racconto che allora portava il titolo “La montagna incantata” (Der Verzauberte Berg), ma lo scoppio della guerra nel 1914 determinò un'interruzione di quattro anni, dopodiché il progetto fu ripreso e cominciò ad ampliarsi prodigiosamente, fino a raggiungere le diverse centinaia di pagine distribuite nei due volumi (capitoli I – V nel 1°; VI e VII nel 2°) venuti alla luce nel novembre 1924. Nel segmento “Passeio pela praia”, che apre l'ultimo capitolo, lo stesso narratore caratterizza la montagna magica come un zeitroman, sia nel senso di tematizzare il fenomeno che all'inizio dell'era cristiana suscitò in sant'Agostino così profonde perplessità (Quid est ergo “tempus”?, chiede nell'undicesimo libro di Confessioni) e per aver dispiegato un vasto pannello sul tempo storico che portò alla guerra in cui la traiettoria del semplice “viaggiatore in formazione” (Bildungsreisender) Hans Castorp.
Sarebbe legittimo affermare che le parole di Calvino sulla dimensione anticipatoria di montagna magica sono principalmente dovuti al secondo significato di zeitroman, perché come già preannunciato nello “Scopo” prima dei sette capitoli, il lettore si trova di fronte a una storia ambientata in “tempi antichi, in quel mondo prima della Grande Guerra, il cui scoppio segnò l'inizio di tante cose che avevano appena smesso di cominciare . ”.[Iv]
Per costruire questo quadro storico che prefigurasse i temi più fondamentali dell'“era degli estremi”, nella caratterizzazione che Eric Hobsbawn ha dato al Novecento, Thomas Mann utilizza, come sua principale risorsa, lunghi e aspri dibattiti tra due intellettuali tubercolari che abitano il “mondo solitario” di Davos: l'italiano Lodovico Settembrini e l'ebreo Leo Naphta, “nato in un villaggio situato vicino al confine tra Galizia e Volinia”, come si legge all'inizio del sottocapitolo “operazioni spirituali".
Il narratore, che nel citato “Scopo” si presenta come un “mago che evoca il passato”,[V] si avvale così di un procedimento frequente nelle opere letterarie, più tipico di quelle che si distinguono per un carattere “polifonico” (nel concetto di Mikhail Bakhtin), e con sottilissimo umorismo Goethe lo utilizza nella lunga scena “Classic Valpúrgis Night” dal Faust II, mettendo di fronte all'Homunculus due filosofi presocratici, il "nettunista" Talete di Mileto e il "vulcanista" Anassagora, che nella sua brama di guida occuperà una posizione pedagogica simile a quella di Hans Castorp, a causa di aspre dispute sulla argomenti scientifici, come la formazione del pianeta Terra e della luna, l'origine e la composizione delle meteore, l'emergere della vita organica, ecc.[Vi] In Goethe, invece, prevale una prospettiva ludica – si tratta, in fondo, di “scherzi molto seri”, come il vecchio poeta chiamava il Faust II nella lettera all'amico Wilhelm von Humboldt scritta cinque giorni prima della sua morte – mentre nel romanzo di Mann le interminabili discussioni tra Settembrini e Naphta assumono la più rigorosa serietà, finendo con la morte.
È vero che, se da un lato alcune di queste lunghe polemiche, scatenate dai più svariati argomenti, richiedono molto fiato ai lettori, dall'altro sono anche capaci di esercitare un fascino di cui il messicano Octavio Paz offre noi testimonianza durante la ricostituzione, nella sua politica biografia Itinerario, il periodo della sua formazione universitaria segnato da intensi dibattiti letterari e politici, che alla fine non sarebbero altro che “ingenue parodie dei dialoghi tra il liberale e idealista Settembrini e Naphta, il gesuita comunista”.[Vii]
Fervente rappresentante dell'Illuminismo e del progresso, l'italiano ci viene presentato nelle prime pagine di la montagna magica, nel segmento il cui titolo “Satana” è tratto dal poema inno a satana di Giosuè Carducci (1835 – 1907), in cui Satana stesso appare come paladino del lavoro, della ragione e dei lumi: “O saluto, il satana, il Ribellione, la forza vindice della Ragione...”, nel verso che presto Settembrini recita al giovane Castorp, stupito da questo significato attribuito al demonio. Nella dimensione temporale del romanzo, siamo qui solo nel secondo dei 21 giorni che dovrebbe durare la visita del protagonista al cugino Joachim Ziemssen al sanatorio del Berghof, che però diventeranno sette anni. Assumendo subito il ruolo di mentore intellettuale del giovane esordiente, Settembrini non perde occasione per pronunciare lunghi discorsi a favore della democrazia, della cultura e della scienza, della comprensione tra i popoli, del progresso dell'intera umanità. Quando lo vede per la prima volta, Hans Castorp pensa istantaneamente e intuitivamente al tipo di “organista” ed è così che l'eloquente italiano, con i suoi vestiti modesti e logori, gli apparirà nei sogni di quella stessa notte, la cui vivida descrizione lascia mostrare l'influenza di interpretazione dei sogni, opera che sarà surrettiziamente onorata in un passo successivo.[Viii]
Nonostante, però, le pennellate di sottile ironia che gli vengono dispensate lungo tutto il racconto, Settembrini non manca mai di irradiare una calda simpatia, che raggiunge il suo momento più espressivo nella scena in cui, con le lacrime agli occhi, saluta il di Davos dell'allievo che, più che mai “bambino malato della vita”, va in guerra: “Hans Castorp ha infilato la testa tra dieci altre che riempivano l'apertura del finestrino. Fece un cenno su di loro. Anche il sig. Settembrini agitava con la mano destra, mentre, con la punta dell'anulare sinistro, si toccava delicatamente l'angolo di un occhio” (p. 824).
Dal romanzo d'esordio del giovane Thomas Mann, che dietro la storia della decadenza di Buddenbrook Nel corso di quattro generazioni si delinea la sua stessa costellazione familiare, una tendenza molto forte nel processo creativo di questo romanziere è sempre stata quella di elaborare i suoi personaggi anche con tratti presi da persone della vita reale, sia dalla sua cerchia di convivenza, sia dal sfera culturale della sua vita passato (come gli elementi della biografia di Nietzsche presi in prestito dall'eroe di Dottor Faust). Nel caso dell'illuminista e massone Settembrini, un primo modello per la sua concezione fu, come rilevato nella bibliografia secondaria, lo scrittore italiano Paolo Zendrini (cognome che ancora riecheggia Settembrini), che lo scrittore conobbe nel 1909 in un sanatorio di Zurigo .
Quanto alle idee e alle posizioni politiche veicolate dal mentore italiano del giovane Castorp, gran parte proviene, secondo lo stesso Mann, dagli scritti politici di Giuseppe Mazzini (1805-1872), eroe dell'Unità d'Italia e compagno di lotte, nella dimensione fittizia, dell'anche carbonari e massone Giuseppe Settembrini, nonno di Lodovico. Un'altra possibile fonte per l'ideazione di questo personaggio fu suggerita da Benedetto Croce che, dopo aver letto il romanzo, chiese alla traduttrice Lavinia Mazzucchetti di chiedere a Thomas Mann se questo personaggio italiano non fosse stato ispirato dal politico e scrittore Luigi Settembrini (1813– 1877). Il romanziere rispose in modo evasivo, spingendo Croce a inviargli le “Memorie” dello storico Settembrini (Ricordanze della mia vita), avviando uno scambio epistolare tra i due futuri antifascisti.
Nessun mondo de la montagna magica, la posizione agli antipodi di quello come scrivere tocca all'ebreo Leo Naphta, che fugge dalla sua patria in Germania dopo che la sua famiglia è rimasta vittima di uno degli innumerevoli pogrom che imperversava nella regione – suo padre, versato nell'Antico Testamento e nei riti religiosi, fu “sgozzato in modo orribile: lo trovarono crocifisso, inchiodato alla porta della sua casa bruciata” (p. 508). Nel nuovo paese, il giovane Naphta dispiega le sue eccezionali doti intellettuali in ampie letture (non solo di testi sacri, ma anche di Hegel, Marx, ecc.) e finisce per entrare a far parte dell'ordine fondato da Ignazio di Loyola.
Tuttavia, la figura imponente di questo personaggio che allo stesso tempo abbraccia l'idea comunista della più feroce dittatura del proletariato iniziò a essere concepita nelle fasi successive dell'opera in la montagna magica, perché nelle prime stesure del romanzo l'antagonista di Settembrini era un pastore di nome Bunge. Nel gennaio 1922, tuttavia, Thomas Mann incontrò personalmente Georg Lukács a Vienna, rimanendo impressionato dalle risorse intellettuali dell'intellettuale ungherese, dalla sua vasta erudizione e dalla sua argomentazione incisiva.
Il romanziere utilizza poi vari tratti, anche fisici, per rimodellare quel personaggio di Bunge, ribattezzato con lo strano nome che evoca non solo la figura biblica di Nephtali (Genesi, 30:8) - "lotta", "disputa", in ebraico - ma forse anche l'odore pungente (intensamente "pervasivo" sono tutte le manifestazioni di Naphta) della naftalina e del petrolio greggio (nafta, in ceco)[Ix]. Nella nuova configurazione del romanzo, il personaggio viene introdotto in un momento avanzato della storia, cioè all'inizio del penultimo capitolo (“Qualcun altro”), che segue la partenza di Clawdia Chauchat dopo l'avventura erotica con Hans Castorp in i festeggiamenti carnevaleschi della “Notte di Valpurga”. È chiaro, quindi, che la comparsa di Naphta svolge anche, nell'economia estetica del romanzo, una sorta di compensazione per la perdita di un personaggio così importante, anche se si tratta di una perdita temporanea, poiché un anno e nove mesi dopo (e subito dopo la morte di Joachim Ziemssen) tornerà, ma in compagnia dell'esuberante olandese Mynheer Peeperkorn, una figura modellata sul drammaturgo tedesco Gerhart Hauptmann (1862 – 1946).[X]
Ampio e variegato è lo spettro dei temi che alimentano le discussioni tra Naphta e Settembrini, che sono certamente alla base della citata visione calviniana. A volte le polemiche nascono da questioni astratte, come la dicotomia tra azione e inazione, Natura e Spirito, progresso rinascimentale e dogmatismo medievale. Ma l'occasione per feroci dispute può nascere anche da questioni più concrete, come la pena di morte, la tortura, la professione militare o la struttura della Massoneria e la Società Gesù, e in una di queste polemiche sull'ordine cui appartiene la Nafta, Thomas Mann rende omaggio a Freud alludendo all'epigrafe della interpretazione dei sogni.[Xi] Molto spesso le discussioni si accendono quando ricadono sui rapporti di forza contemporanei, ovvero la geopolitica nell'Europa di inizio Novecento, governata dalle potenze occidentali Francia e Inghilterra oltre che dai quattro grandi imperi che sarebbero crollati con l'avvento della Grande Guerra: russo-zarista, austro-ungarica, tedesco-guglielmina e ottomana.
La prima di queste grandi discussioni ebbe luogo nell'agosto del 1908, quando il ritorno delle aquilegie sulle alture alpine fece capire a Hans Castorp con una certa vertigine che il suo arrivo al sanatorio aveva appena compiuto un anno. Durante una passeggiata per Davos con il cugino, il giovane si imbatte in Settembrini, assorto in una conversazione con uno sconosciuto: appunto il “qualcun altro” presentato di seguito come Naphta. Secondo il calendario astronomico l'estate è al culmine, ma in montagna non c'è la minima traccia dell'ondata di caldo della pianura, prevale piuttosto una freschezza primaverile, che il narratore fa lodare con entusiasmo l'italiano, citando versi dell'Aretino in un passaggio in discorso indiretto libero: “Nessuna effervescenza nel profondo! Niente nebbie cariche di elettricità! Solo chiarezza, secchezza, piacere e grazia austera. Era in armonia con i suoi gusti, lo era superbo"(Pagina 432).
I cugini – e con loro il lettore – assistono poi al primo pungiglione sferrato dal gesuita: “Basta ascoltare il volteriano, il razionalista. Loda la natura, perché anche nelle condizioni più fertili non ci turba con mistiche nebbie, ma conserva una classica aridità”. Il castigo, evidentemente, non si fa attendere: “L'umorismo, nella concezione che il nostro Professore ha della natura, consiste nel seguente: alla maniera di Santa Caterina da Siena, pensa alle piaghe di Cristo quando vede le primule rosse” .
Abbiamo qui, dipanando il tema della “natura”, lo spunto per un confronto ideologico che nelle prossime 400 pagine si estenderà ai più svariati argomenti. E anche se in questo segmento "Qualcun altro" il fronti sono già disposti a crassa opposizione, la lite sembra avvolta in un clima cordiale, che viene spiegato da Settembrini per rassicurare i cugini: “Non stupitevi. Questo signore ed io abbiamo frequenti litigi, ma tutto è amichevole e basato su molte idee comuni” (p. 438). Avanzando di qualche pagina, però, il lettore si renderà conto che le dispute tra i due intellettuali non si basano in alcun modo su “idee comuni” e che, inoltre, perderanno sempre più la loro parvenza amichevole.
In tutte le sue manifestazioni, Settembrini si dimostra sostenitore incondizionato dell'illuminismo, della ragione, del principio occidentale di civiltà. La sua “canna d'organo”, però, lascia spesso concezioni ingenue e un po' superficiali, che di norma ricevono anche commenti ironici dal narratore, ad esempio nei passaggi riferiti alla sua partecipazione all'enciclopedia Sociologia dei mali, concepito da una Lega Internazionale per l'Organizzazione del Progresso con lo scopo di sradicare ogni sofferenza umana.
La posizione ideologica di Nafta, invece, è molto più complessa e si distingue per un'insolita commistione di feroce misticismo medievale – ispirata soprattutto da Papa Gregorio VII (XI secolo) con il suo motto “Maledetto l'uomo che impedisce alla sua spada di spargere sangue!” – e l'aspirazione comunista alla più implacabile “dittatura del proletariato”, che il gesuita auspica diffonda “il terrore per la salvezza del mondo e per la conquista dell'obiettivo della redenzione, che è il rapporto filiale con Dio, senza Stato e senza senza classi ” (p. 465).
La miscela è infatti estremamente insolita, ma è necessario ricordare che il giovane Naphta aveva studiato a fondo l'opera di Marx, soprattutto La capitaledopo essere scappato da pogrom che ha massacrato suo padre. In ogni caso, le posizioni derivate da queste letture diedero luogo a un radicalismo molto eclettico, che nella fortuna critica di la montagna magica è anche vicino alla cosiddetta “rivoluzione conservatrice”, una delle tendenze che hanno favorito l'avvento del nazionalsocialismo. Questa approssimazione, però, è già fatta dallo stesso Hans Castorp, perché mentre segue una polemica sulla tortura e la pena di morte, gli viene in mente che Naphta è sì un vero rivoluzionario, ma “un rivoluzionario della conservazione” (p. 529). Così, la complessa figura introdotta nel segmento “Qualcun altro” – ebreo, gesuita, comunista – acquista un ulteriore strato ideologico, rivestito di tratti prefascisti, che non fa che contribuire all'intensificarsi degli scontri con le posizioni liberal-progressiste di Settembrini.
Nella vasta pletora di argomenti esaminati, segnaliamo solo brevemente due confronti nel campo dell'estetica, il primo dei quali ruota attorno all'autore di Eneide, lodato dall'italiano fin dai primi giorni di Hans Castorp in sanatorio: “Ah, Virgil, Virgil! Non c'è nessuno che lo superi, signori! Credo nel progresso, di sicuro. Ma Virgílio ha aggettivi che nessuna persona moderna troverebbe…” (p. 78) Quando queste parole vengono pronunciate, c'è ancora molta strada da fare prima che l'apolide Naphta entri in scena; tuttavia, non appena emergerà nell'intreccio, sul poeta latino verrà un giudizio sconvolgente: “Osservava che da parte del sommo Dante era un atteggiamento parziale, molto gentile e radicato all'epoca, quello di circondare un mediocre versificatore con tanta solennità e concedendogli nel suo poema un ruolo così importante, anche se il sig. Lodovico attribuì a questo ruolo un carattere eccessivamente massonico. Che valore aveva, in fondo, questo cortigiano laureato, adulatore della casa giuliana, con la sua retorica pomposa ma priva della minima scintilla di spirito creativo, questo letterato di grande città, la cui anima, se ne aveva una, era indiscutibilmente di seconda mano e chi non era affatto un poeta, ma solo un francese con una parrucca incipriata all'altezza di Augusto? (pag. 597)
Un'altra straordinaria polemica di carattere estetico avviene nel cubicolo che Naphta affitta a Davos dal sarto dal suggestivo nome Lukacěk – infatti, per ragioni economiche, Settembrini, fino ad allora ospite al Berghof, diventa il subaffittuario del sarto dal segmento “Trasformazioni”. In visita al gesuita in compagnia del cugino, Castorp si imbatte in una scultura lignea che lo affascina per la sua estrema bruttezza e, al tempo stesso, bellezza espressiva. È un vero capolavoro per gli standard artistici di Naphta, il che spiega al giovane che si tratta di un pezzo anonimo del XIV secolo.
È noto che Thomas Mann prese a modello, per la descrizione della scultura, la cosiddetta “Pietà de Roettgen” (nome del suo ultimo proprietario), attualmente esposta in un museo di Bonn: “La Vergine era rappresentata con un berretto, con un cipiglio, torcendo la bocca semiaperta con tanto dolore; sulle sue ginocchia c'era il Salvatore, una figura dai primi errori nelle proporzioni, e la cui anatomia grossolanamente esagerata documentava l'ignoranza dell'artista [...]” (p. 453). È inevitabile che l'arrivo di Settembrini nel cubicolo del gesuita scateni un nuovo alterco, perché per il suo gusto classico il grottesco Pietà non può che provocare orrore e profonda ripugnanza.
Tuttavia, come nel precedente “Qualcun altro”, anche qui il discorso inizia in modo blando, poiché Settembrini è inizialmente troppo “cortese per dire tutto quello che pensava”, limitandosi a “criticare gli errori nelle proporzioni e nell'anatomia del gruppo , infedeltà alla verità naturale”. La questione estetica, in ogni caso, funge da innesco per uno scontro che si amplierà, come suggerisce il titolo (“Dalla città di Dio e la redenzione attraverso il male”) che Thomas Mann ha dato a questo segmento, e diventerà come genera diverse altre divergenze, fino a finire finalmente in politica, la consueta chiusura delle discussioni che tanto affascinavano il giovane Octavio Paz.
Sotto il prisma di una lettura aggiornata del complesso epico attorno a Settembrini e Naphta, può essere opportuno riprendere l'osservazione di Calvino in apertura di questo testo e mettere in relazione uno degli argomenti trattati con tendenze ideologiche fortemente virulente, in pieno XXI secolo , nei Paesi più vulnerabili alla propaganda populista, come la retorica antiscientifica e – per quanto riguarda non solo l'epidemia di Covid ma anche, su scala più ampia, il cambiamento climatico – “negazionista”. La figura di Naphta è evidentemente troppo complessa e profonda, ricca di contraddizioni e anche, a suo modo, troppo integrale e consequenziale per essere confrontata con maître à penser come Steve Bannon o Olavo de Carvalho.
In alcuni dei suoi tratti fondamentali, tuttavia, il gesuita potrebbe effettivamente essere associato a forze ideologiche impegnate a favorire l'ascesa di politici in tutto il mondo come quelli eletti negli Stati Uniti (2016) e in Brasile (2018). Il movimento anti-vaccino, ad esempio, troverebbe un correligionario in questo Naphta, strenuo nemico della scienza e che vede nell'impegno umano per la salvezza solo “un simbolo della codardia e della volgare effeminatezza che la civiltà ha prodotto” (p. 798). Lo stesso varrebbe per i terrapiattisti sparsi in tutto il globo, in quanto non poche manifestazioni del Gesuita ne garantirebbero l'affiliazione alla Flat Earth Society, fondata nel 1956 dall'inglese Samuel Shenton e altri cospirazionisti, con il supporto di brani biblici posti soprattutto risultati e prove scientifiche.
Il primo grande attacco di Naphta alla scienza arriva sulla scia della controversia che circonda la scultura del Pietà, quando si schiera dalla parte della Chiesa nel conflitto con Galileo e insiste sulla superiorità del sistema tolemaico sul postulato eliocentrico di Copernico, che a suo avviso avrebbe portato a un degrado dell'essere umano e del pianeta Terra: “Il Rinascimento , l'Illuminismo, le scienze naturali e l'economia politica dell'Ottocento non dimenticarono di insegnare nulla, assolutamente nulla, che favorisse questo degrado, a cominciare dalla nuova astronomia: in virtù di essa il centro dell'universo, il magnifico scenario in cui Dio e il diavolo si disputavano il possesso della creatura desiderata da entrambi, si trasformò in un insignificante pianetino, e mise provvisoriamente fine alla grande posizione dell'uomo nel cosmo, che servì di base all'astrologia” ( pagina 457).
Il significato dell'aggettivo “provvisorio” si chiarisce subito dopo, quando l'incisiva argomentazione del gesuita ribadisce la fiducia nel trionfante ritorno del geocentrismo minato dalla scienza post-rinascimentale. Questo “ritorno” avverrebbe sotto gli auspici della Bibbia, nella retorica gesuita che sembra articolarsi sullo stesso piano su cui si muovevano le argomentazioni di Lutero contro la scienza, per esempio, quando definì Copernico “pazzo”, “stupido” (Narr), per aver contraddetto la sapienza dei testi sacri con la sua astronomia, poiché Giosuè ordinò al sole, e non alla Terra, di fermarsi per prolungare il giorno (Joshua: 10, 12 – 16).[Xii]
Direttamente o associandola a una visione negativa delle facoltà conoscitive dell'essere umano, Naphta ripropone il tema della scienza in diversi altri momenti di successive dispute, finché infine l'aspro duello combattuto con Settembrini per centinaia di pagine estrapola la sfera delle parole e guadagna la concretezza delle pistole e, di conseguenza, lo spargimento di sangue e la morte. Accade così nel penultimo sottocapitolo del romanzo, in cui possiamo ammirare la maestria di Thomas Mann nel mostrare le irradiazioni del grande scenario politico europeo sul microcosmo del sanatorio del Berghof, che appare così come il fulcro concentrato di un mondo pronto ad esplodere con i colpi sparati, che il 28 giugno 1914 sarebbero fatti esplodere a Sarajevo – “un segnale di tempesta, un monito agli iniziati, tra i quali abbiamo tutte le ragioni per annoverare il sig. Settembrini” (p. 823).
“La grande irritazione” è il titolo di questo penultimo segmento del romanzo che racconta la continuazione delle “interminabili discussioni” in cui si combattono i mentori di Hans Castorp, fino a quando il narratore, per dirigere l'esito di questa linea narrativa, sceglie “a caso [ …] un esempio per dimostrare il modo in cui Naphta operava perturbando la ragione”. Subito dopo queste parole riappare il pomo della discordia apparso per la prima volta 350 pagine fa: “Ma il modo in cui parlava della scienza, in cui non credeva, era anche peggio. Non aveva fede nella scienza, diceva, poiché l'uomo è libero di crederci o di non crederci. Questa era una credenza come le altre, solo più sciocca e dannosa” (p. 799).
Da un lato, quindi, il pianeta Terra, magari piatto, al centro dell'universo; dall'altro, una diversa “credenza”, “solo più stolta e più dannosa”, basata sugli sforzi scientifici dei “folli” Copernico, Galileo, Newton o anche Einstein, che allora operarono – in concomitanza con le dispute accompagnate da Castorp – nell'espansione della sua Teoria della Relatività.[Xiii] Da un lato, la fede nell'efficacia della clorochina e dei suoi omologhi; d'altra parte, la credenza nei vaccini si è sviluppata nel bel mezzo di sforzi scientifici in varie parti del mondo... È chiaro che il narratore del montagna magica non ci presenta un'immagine inequivocabile e superficialmente positiva della scienza, poiché le distruzioni, senza precedenti nella storia umana, in cui finisce la trama, saranno smascherate come un "prodotto di una scienza selvaggia", come formulato in "O trovão", un titolo che annuncia la dimensione immaginaria nella narrazione dei primi passi di Hans Castorp su un campo di battaglia nelle Fiandre.
Le immagini dell'inferno e della violenza in natura metaforizzano l'impatto disumanizzante della guerra di trincea e del materiale bellico sui giovani soldati - una procedura narrativa espressa nel famoso libro di Ernst Jünger (1895-1998) Nelle tempeste d'acciaio, sulla base di impressioni ed esperienze nel anteriore annotato nel suo diario di guerra e la cui terza versione fu pubblicata nello stesso anno del romanzo di Thomas Mann.[Xiv]
Nell'universo polifonico di la montagna magica la visione della scienza che si può sbrogliare dal suo ultimo segmento si rivela sufficientemente sfumata da non essere confusa con certi più ingenui postulati di Settembrini. Ma Thomas Mann poteva immaginare che le vedute del suo gesuita Naphta, sempre ostile allo spirito scientifico celebrato da Goethe nel Faust II con le figure di Talete e Anassagora e convertendo i fatti oggettivi in una questione di mera credenza soggettiva, rimarrebbero attuali cento anni dopo la pubblicazione del romanzo?
Sempre nell'ambito dell'esempio scelto “a caso” dal narratore (“The Great Irritation”), Hans Castorp assiste a violenti attacchi contro Ernst Haeckel (1834 – 1919), allora nome di spicco delle scienze e principale promotore della teoria darwiniana in Germania: ancora una volta sarebbe questione di semplice fede aderire ciecamente al racconto del Genesi sulla creazione del mondo o l'inclinazione a posizioni scientifiche, come l'evoluzionismo, “dogma centrale della pseudo-religione liberista e atea, attraverso la quale si intendeva abolire il primo Libro di Mosè e opporre la sapienza illuminante a una stupefacente favola, come se Haeckel fosse stato presente al momento della nascita della Terra” (p. 800).
Settembrini avrebbe potuto chiedergli in quel momento, ripagandolo in natura, se per caso il suo avversario era presente quando Dio creò la luce e il firmamento nei primi due giorni, o i pesci, gli uccelli e gli altri animali nel quinto, infine l'uomo a sua immagine e somiglianza, prima di riposare il settimo giorno... Avrei potuto chiedergli se i giorni e, quindi, il "tempo" esistessero già prima della creazione divina...
Accade però che con l'avanzare della tubercolosi, Naphta – contrariamente a Settembrini, il cui spirito non muta col deteriorarsi della sua salute nel lasso di tempo tra il terzultimo e il penultimo sottocapitolo – diventi “più loquace, più penetrante e più caustico”, lasciando a malapena la parola all'avversario. Nel clima di profonda irritabilità che alla fine travolge Davos, i dialoghi diventano un discorso ininterrotto del gesuita, apparentemente diretto solo a Castorp, ma in fondo sempre teso a colpire l'italiano con la massima violenza.
A Settembrini non resta che interrompere definitivamente il flusso monologico dell'avversario con la divagazione che conduce immediatamente al duello e, in maniera altrettanto sorprendente come nel caso di Mynheer Peeperkorn, alla morte del complesso personaggio votato alla causa della distruzione - della società, del mondo e, di conseguenza, di se stesso: “Posso chiederti: hai intenzione di farla finita presto con queste tue cose? indecenza?” (pag. 805).[Xv]
Gli avvenimenti che seguirono la morte del gesuita, cioè la Grande Guerra indicata nello “Scopo” come “l'inizio di tante cose che erano appena cominciate”, sembrano avvalorare le sue successive predizioni su un mondo “destinato a un fine ”, espresso dal sottocapitolo che lo ha introdotto nel racconto: “La catastrofe verrà e deve venire; avanza in tutti i modi e in tutti i modi» (p. 440). O anche, poco prima del duello, in questo passaggio in libero discorso indiretto: “Non mancherebbe di venire questa guerra, e quella fu buona, benché comportasse effetti ben diversi da quelli che attendevano i suoi autori” (p. 798) .
Ma questo significa che alla fine Naphta riporterà la vittoria definitiva sull'umanista italiano? L'ultima parola rimane nel grandioso romanzo di formazione di Thomas Mann con questo apologeta della tortura, della distruzione e del terrore? La risposta dovrebbe tener conto che dietro le immagini di barbarie che chiudono il romanzo – “festa mondiale della morte” e “febbre perniciosa che infiamma il piovoso cielo notturno” – brilla ancora un riflesso del sottocapitolo “Neve”, che lo stesso autore Thomas Mann ha considerato il culmine del racconto: traspare il “sogno d'amore” nato dalla resistenza di Hans Castorp, in punto di morte, alla forza annientatrice della natura, che ha generato nel suo intimo il percezione che rappresenta forse la quintessenza dei suoi anni di apprendistato in sanatorio, espressa nelle uniche parole segnate in corsivo nel voluminoso romanzo: «In virtù della bontà e dell'amore, l'uomo non deve concedere alla morte alcun potere sui suoi pensieri» (p. 571).[Xvi]
Da questo “sogno d'amore” che ritorna nella domanda che conclude la storia del “bambino malato della vita”, l'italiano Settembrini, nonostante la colorazione ironica che il narratore dà a molte sue concezioni, è molto più vicino di Leo Naphta, su questa maggiore vicinanza, il gesto che il narratore compie salutando Hans Castorp, ovvero lo stesso gesto compiuto da Settembrini alla stazione ferroviaria di Davos: asciugandosi una lacrima con la punta del dito mentre con l'altra mano saluta il discepolo che va in guerra. In modo deciso e definitivo, la simpatia del narratore è inclinata verso la figura dell'italiano e questo passaggio lo pone in compagnia dell'eroe stesso, come emerge nei brani che narrano le sue visite al mentore costretto a letto, nella fase terminale di tubercolosi, ma ancora capace di dire al giovane “tante cose belle, che vengono dal cuore, sull'automiglioramento dell'umanità attraverso i mezzi sociali” (p. 820).
Se è vero, però, che questo affetto si dispiega nella sua pienezza solo nelle scene di commiato narrate in “O trovão”, si manifesterà in maniera più tenue in momenti precedenti, come nell'avventura in mezzo alla neve, quando il giovane, in In una lotta disperata per evitare il congelamento, si rende conto dei suoi legami affettivi con Settembrini, pur riconoscendo che nelle interminabili liti con Naphta, la ragione lo assiste quasi sempre: “A proposito, mi piaci. Sebbene tu sia un pazzo e un suonatore di organetto, le tue intenzioni sono buone, migliori e più comprensive, per me, di quelle del meschino, penetrante gesuita e terrorista, quel tormentatore spagnolo e flagellante con i suoi occhiali sfavillanti, sebbene sia quasi sempre giusto, quando tu discuti... quando combatti pedagogicamente per la mia povera anima, come Dio e il diavolo, per l'uomo nel medioevo...” (p. 549).
Questa stessa inclinazione verso Settembrini non potrebbe forse essere estesa al romanziere Thomas Mann? È vero che molte delle opinioni espresse nel Considerazioni di un apolitico (1918) – concezioni nazionaliste, apologetiche della guerra e persino antidemocratiche – furono delegate all'avversario di Settembrini, che nelle fasi iniziali della lunga e intricata genesi del Montagna Magica, sempre sotto il nome di Bunge, fungeva da portavoce dell'autore. Successivamente, soprattutto nella fase iniziata dopo la prima guerra mondiale, la figura del “suonatore d'organo”, fino ad allora un tipo caricaturale di “letterato di civiltà”, acquisì autonomia e conquistò sempre più le simpatie del romanziere, nella stessa misura che ha rafforzato le loro posizioni democratiche e repubblicane.
Chi intuì questo processo con mirabile precisione fu Walter Benjamin, che fino ad allora nutriva una profonda antipatia per Thomas Mann proprio per le posizioni espresse nel Considerazioni di un apolitico. In una lettera del 1925 aprile XNUMX, Benjamin racconta all'amico Gershom Scholem l'impatto sorprendente della lettura di la montagna magica, esprimendo allo stesso tempo la convinzione che durante il lavoro di scrittura deve essere avvenuta con il romanziere una trasformazione del genere più straordinario: “Non so proprio come dirti che questo Mann, che odiavo come pochi se avvicinato dal mio cuore con il suo ultimo grande libro, la montagna magica […] Per quanto poco eleganti possano essere tali costruzioni, però, non mi è possibile concepire altrimenti, sì, sono praticamente sicuro che un'intima trasformazione deve essere avvenuta nell'autore durante il processo di scrittura”.[Xvii]
L'intuizione di Walter Benjamin si sarebbe rivelata corretta, perché da la montagna magica Le posizioni di Thomas Mann iniziarono ad essere guidate con forza crescente dai valori – democrazia, progresso, scienza, pacifismo – che Lodovico Settembrini, durante le interminabili dispute con Naphta, cercò di instillare nel giovane “viaggiatore in formazione” Hans Castorp, seppur attraverso discorsi che il narratore coinvolge sistematicamente con ironia. Dalla pubblicazione di La Montagna Magica – un vero e proprio “spartiacque” nel percorso di Thomas Mann e, per Calvino, la “più completa introduzione” alla cultura e alla storia del Novecento – intensifica fortemente la trasformazione del suo autore nell'ammirevole antifascista che aggiungerà ancora lavora alla sua eredità cruda come la piccola soap opera Mario e il mago o la tetralogia Giuseppe e i suoi fratelli come Dottor Faust, monumentale confronto epico con il periodo nazionalsocialista.
*Marco V.Mazzari Docente di Letterature Comparate all'USP. Autore de La doppia notte dei tigli. storia e natura nel Faust di Goethe (Editore 34).
Originariamente pubblicato su Giornale brasiliano di psicoanalisi, vol. 56, nr. 1.
note:
[I] Sei proposte per il prossimo millennio (trad. Ivo Barroso). San Paolo: Companhia das Letras, 1988, pp. 130-131. Il libro raccoglie i testi di cinque conferenze tenute da Calvino ad Harvard nel 1985.
[Ii] "Un esteta spietato". In Thomas Mann. San Paolo: Perspectiva, 1994, pp. 31-69, pag. 48.
[Iii] “Thomas Mann e il Brasile”. In Lo Spirito e la Lettera I. San Paolo: Companhia das Letras, 2005, pp. 251-256. Nell'intervista, lo scrittore, che aveva appena vinto il premio Nobel, spiega la deferenza che ha mostrato al giovane intervistatore brasiliano per essere della stessa terra di sua madre Julia da Silva Bruhns.
In una lettera a Herbert Caro datata 5 maggio 1942, Thomas Mann sostenne l'idea di iniziare la traduzione delle sue opere in Brasile non da montagna magica, ma per il suo romanzo d'esordio, presumibilmente più accessibile al “pubblico sudamericano”: “Ho trovato la scelta di privilegiare Buddenbrook prima montagna magica Completamente felice". Apud Karl-Josef Kuschel et al.: Terra Mátria: la famiglia di Thomas Mann e il Brasile (trad. Sibele Paulino). Rio de Janeiro: Civilização Brasileira, 2013, pag. 282.
[Iv] la montagna magica (traduzione di Herbert Caro; revisione e postfazione di Paulo Soethe). San Paolo: Companhia das Letras 2016 – p. 12. Le indicazioni della pagina seguente si basano su questa edizione, la cui decima ristampa, ampiamente riveduta da MV Mazzari, è uscita nel 10.
[V] Nell'originale l'espressione usata è raunender Beschwörer des Imperfekts, “sussurrante evocatore dell'imperfetto”, nel senso del tempo verbale “imperfetto”, che indica un'azione passata, ma ancora in corso al momento dell'enunciazione, che infittisce il riferimento a quelle “tante cose che hanno appena ha smesso di partire”.
[Vi] Sui concetti di “Nettunismo” e “Vulcanismo” in Goethe si veda il testo introduttivo alla scena “Classica notte di Valpurga” (pp. 345 – 349) nonché le note alle discussioni tra Talete e Anassagora: Faust. Una tragedia. Seconda parte (Traduzione di Jenny Klabin Segall, presentazione, note e commenti di MV Mazzari). San Paolo: Editora 34, 2022 (6a edizione).
[Vii] Itinerario. Messico: Fondo di cultura economica, 1994, p. 19.
[Viii] Sono questi, significativamente, i sogni che chiudono il 1° e il 3° capitolo del romanzo, dedicati alla notte dell'arrivo di Hans Castorp in sanatorio (primi di agosto 1907) e al primo giorno intero della sua permanenza (il 2° capitolo ci accompagna in un flashback all'infanzia dell'eroe). Vale la pena evidenziare, nell'intensa elaborazione onirica narrata in chiusura di quei capitoli, il sogno premonitore con il cugino Joachim Ziemssen che scende dalla montagna su una slitta (durante il trasporto dei cadaveri) e, nell'alba successiva, i disperati sforzi di Castorp per fuga dalla "dissezione psichica" (Seelenzergliederung, traduzione diretta della parola psicoanalisi) praticata dal dr. Krokowski, le cui lezioni intitolate “L'amore come fattore patogeno” (sottocapitolo “Analisi”) dialogano con il Tre saggi sulla teoria della sessualità (1905) di Freud. Molto suggestivo anche il sogno, alla seconda alba, che il nuovo arrivato fa con Clawdia Chauchat, dopo aver scacciato l'“organista”: dopo aver baciato il palmo della mano della ragazza russa, Castorp è invaso dalla più intensa sensazione di “ godimento dissoluto”, in un brano i cui strati profondi rivelano il fascino del giovane per la morte, associato qui (e in altri passaggi del romanzo) alla dissoluzione erotica.
[Ix] L'aggettivo "penetrante" (acutamente: “tagliente”, “tagliente”, “tagliente” “incisivo”) è usato numerose volte in associazione con Nafta, comparendo già nel brano che lo introduce al racconto: “Tutto in lui pareva tagliente” (p. 431). 78 pagine dopo, nella conversazione che il giovane ebreo, vagando senza meta in una cittadina renana, intrattiene con il gesuita Unterpertinger su una panchina del parco, l'aggettivo acutamente si traduce con “acuto”: “Il gesuita, uomo esperto, affabile, appassionato educatore, bravo psicologo e abile pescatore di anime, aguzzò l'orecchio, fin dalle prime frasi, articolate con sarcastica lucidità, che il miserabile piccolo ebreo pronunciò in risposta alle tue domande. Sentiva in loro il respiro di una spiritualità acuta e tormentata [...] Parlavano di Marx, il cui Capitale Leo Naphta aveva studiato un'edizione popolare, e da lì si era passati a Hegel, del quale o sul quale il giovane aveva letto anche abbastanza per formulare alcune osservazioni incisive» (p. 509).
[X] In questo caso, la procedura di costruzione di personaggi immaginari basati su persone della sua cerchia di conoscenze ha avuto conseguenze per il romanziere, poiché subito dopo aver letto il romanzo, Hauptmann si è lamentato amaramente in una lettera alla casa editrice Fischer: “Thomas Mann ha prestato i miei vestiti a un ubriacone, mescolatore di veleni, suicida, naufrago intellettuale, distrutto da una vita di prostitute. Il Golem lascia le frasi incomplete, come ho anche io la cattiva abitudine di fare”. Grazie, però, al tatto diplomatico del romanziere, si poté conservare il rapporto di amicizia, cosa non possibile in altri casi.
[Xi] Questo è il verso di Virgilio (EneideVII, 312) Flectere se nequeo superos, Acheronta movebo " ("Se non posso spostare gli dei dall'alto, sposterò Acheronte"). Considerando che Settembrini ha una profonda conoscenza di Virgilio, questo omaggio si inserisce organicamente nel contesto del discorso: giacché gli dèi, per ragioni comprensibilissime, non vollero avere niente a che fare con nessun popolo […]” (p. 679).
[Xii] Nella ricostituzione di uno dei suoi “Discorsi a tavola” (Tischreden), appunti presi da diversi ospiti di Martin Lutero, il riformatore una volta avrebbe attaccato Copernico con le seguenti parole: “Questo sciocco vuole invertire tutta l'arte astronomica. Ma Giosuè ordinò che si fermasse il sole e non il regno della terra”.
[Xiii] Una chiara traccia della Teoria della Relatività in montagna magica si intravede nel passaggio del sottocapitolo “Passeggiare lungo la spiaggia” che fa riferimento alla percezione differenziata del tempo e dello spazio da parte di ipotetici abitanti di pianeti lontani, molto più grandi o molto più piccoli della Terra (p. 628).
[Xiv] L'immagine del “tuono” come metafora bellica non è esattamente originale e Nietzsche, che ha una forte presenza nel romanzo, la utilizza in una lettera del luglio 1870 all'amico Erwin Rohde: “Ecco un terribile fulmine: la guerra franco-tedesca è dichiarato”.
Nella parte finale di "O trovão" l'attenzione è attirata dalle metafore infernali mobilitate dal narratore: Hans Castorp si getta a terra quando sente l'ululato di un "segugio dell'inferno" [Hollenhund], cioè “un enorme obice [Brisanzgeschoß], un disgustoso pan di zucchero [ekelhafter Zuckerhut] fuori dall'abisso. Poi: “Il prodotto di una scienza selvaggia, armato del peggio che c'è, cade come il diavolo in persona a trenta passi da lui, penetra obliquamente nel terreno, esplode laggiù con una violenza sorprendente e getta in alto una casa, zampillando terra, fuoco , ferro, piombo e materia umana frantumata” (pp. 826 – 27).
[Xv] Nell'originale la parola con cui Settembrini interrompe bruscamente la verbosità di Naphta è Schlupfrigkeiten, che Herbert Caro traduce propriamente con “indecenze”. Questo significato si è imposto, però, solo nel Settecento, perché nella sua origine il sostantivo è imparentato con l'aggettivo schlupfrig, con il significato di “liscio”, “sdrucciolevole”, come più volte Martin Lutero si riferì al suo scomodo interlocutore Erasmo da Rotterdam, a suo avviso “sdrucciolevole come un'anguilla”.
[Xvi] Ho fatto alcune considerazioni sul significato di questa percezione che si presenta ad Hans Castorp, nella sua lotta contro la gelida e indifferente ostilità della natura, nell'ambito di uno studio che situa Grande Sertão: Veredas al confine tra “romanzo di formazione” (come la montagna magica) e il romanzo “faustiano” (as Dottor Faust, sempre di Thomas Mann). In labirinti didattici. San Paolo: Editora 34, 2022², pp. 79–80.
[Xvii] Già il 19 febbraio Walter Benjamin comunicava a Scholem l'impatto sorprendente che la lettura del romanzo ebbe su di lui: „incredibile detto: il nuovo libro di Thomas Mann, La Montagna Magica, mi affascina per la sua composizione interamente sovrana”.