L'infinita opera di Fernando Pessoa

Paulo Pasta, Senza titolo, 2012, olio su tela retro, 50 x 70 cm
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da GUILHERME RODRIGUES*

forse rivisitare il Spettacolo sfarzoso di Fernando Pessoa può indicare che la realtà è questa miseria statica che solo la morte dà

Ah che la verità mai definita
Uccidi l'anima, che vive non raccontandola!

Forse mai, o bel nero germoglio!
L'anima incontra l'ultimo orrore
Della verità assoluta, dove finisce
Cosa essere, cosa avere, cosa cercare.

Ogni Dio sia falso e, dov'è, supremo;
Centro solare di un sistema di verità

E l'illusione dei sistemi solari
Nello spazio della verità illimitata
E senza definizione – inesistente
Quanto costa il soggetto[I]

Questo frammento di Spettacolo sfarzoso è uno fra tanti in cui il protagonista di questa tragedia infinita di Fernando Pessoa si lamenta della realtà, come se, alla coscienza di qualcosa che si direbbe vero, l'orrore della banalità, della superficialità e, nel peggiore dei casi, della fine stessa di una spinta verso qualcosa di significativo.

Il Faust di Pessoa è, dunque, questo instancabile cercatore del mistero (come l'autore ha formulato la parola, con la y che tira verso l'abisso, ma guarda sempre in alto – grafia sempre consapevolmente poetica, come egli stesso ha sottolineato in alcuni dei suoi innumerevoli frammenti), senza in realtà credere che da essa si possa svelare qualcosa, perché “l'unico mysterio, tutto in tutto / Sta avendo un mistero dell'universo, / Sta avendo l'universo, qualsiasi cosa, / Sta avendo.[Ii] L'orrore che il protagonista ha della morte è di trovarsi con questo mistero, e che lì qualcosa si sveli; è meglio per lui socializzare di notte, perché ha "forma informe / Dall'ombra";[Iii] la morte è, in questo senso, il terribile risveglio da un sogno di vita:

Sì, questo mondo con il suo cielo e la sua terra
Con i suoi mari e fiumi e monti,
Con i suoi cespugli, uccelli, animali, uomini,
Con quale uomo, con quale arte traduce
Di qualsiasi costruzione divina, fa -
Case, città, automobili, mode –
Questo mondo, che sogno riconosco,
Per un sogno che amo e per essere un sogno oppure no
Vorrei non lasciare mai (...)[Iv]

Fernando Pessoa produce un capovolgimento di un luogo comune: la morte è la vera vita, e, statica e terribile, è meglio fuggirne per sognare questa vita, migliore e più bella, più umana, in cui ogni uomo è un Dio che dà forma al mondo immaginato. Niente di molto diverso dall'unico dramma completo pubblicato dallo scrittore in vita – Il marinaio. Lì i tre candelabri raccontano un passato falso, che non è mai esistito, ma proprio per questo è più bello; e da lui nasce il sogno di un sogno: un marinaio che, impossibilitato a tornare in patria, sogna un falso paese, e costruisce case, amici, famiglia, strade: “Ogni giorno metto una pietra di sogno in questo impossibile edificio”[V]. Quando però vuole ricordare la sua vera patria, «ha visto che non ricordava niente, che non esisteva per lui… La bambina che ricordava, era la patria dei suoi sogni; qualunque adolescenza ricordasse, era quella che aveva creato… Tutta la sua vita era stata la vita che aveva sognato”.[Vi]

L'orrore che questo provoca immediatamente nelle sorelle che parlano quella notte viene da una liberazione della parola poetica, come se potesse creare qualcosa di più reale della realtà, sovrapponendola.

Diciamo che questa comprensione dell'immaginazione e del sogno – della parola poetica – che plasmano il mondo è qualcosa che attraversa l'opera di Fernando Pessoa e, come è prevedibile da questo poeta, ha la sua impronta sull'eteronimia. Gli scrittori ei critici che sono stati creati da lui sono spesso autori più reali che veri, e se non lo sono, almeno si comportano come se lo fossero. Non solo hanno opere proprie, con stili unici, ma sono noti per avere biografie e descrizioni fisiche, mappe stellari, commenti critici sull'opera dell'uno e dell'altro (oltre a dibattiti più o meno accesi sulla poesia di maestro Caeiro, della politica fascista di Mussolini e dello stesso Fernando Pessoa – ad Alvaro de Campos non piacciono, ad esempio, d'il marinaio) e, per chi non fosse ancora convinto, anche la propria firma.

L'invenzione è, in Fernando Pessoa, la grande creazione del mondo, e proprio per questo la letteratura avrebbe un ruolo preminente in questa conoscenza faustiana di Pessoa: il patto è per la creazione del Mondo, affinché l'inferno di ciò che è solo possibile per la morte. Si legge in giro il difficile dibattito interno di Alvaro de Campos in “Tabacaria”: avere in me tutti i sogni del mondo, ma essere un uomo che non è niente, nonostante gli studi, l'amore e le convinzioni; “perché è possibile realizzare tutto questo senza fare nulla di tutto ciò”.[Vii] L'amore di Ricardo Reis per le rose nel giardino di Adone, “Qual è il giorno in cui nascono, / In quel giorno muoiono”, si comprende anche in queste righe: la vita che è coscientemente inconscia “Che c'è la notte prima e dopo / Il poco che siamo durati”.

In un tempo di guerra e di collasso, la poesia di Fernando Pessoa ha saputo vedere come i sogni e l'immaginazione siano capaci di creare qualcosa di più reale della miseria della realtà; “Raddrizza, come una buona maestra della Realtà, / Le tende alle finestre della Sensazione / (…) E rispolvera le idee semplici”,[Viii] questa è la vita del poeta Alberto Caeiro, verso per verso. Quando pubblichi il tuo libro messaggio, già durante il regime fascista di Salazar, lo scrittore si avvale di questo mito nazionale portoghese: un nulla che è tutto, una leggenda che sfocia nella realtà, che, finalmente, affronta la nebbia; con ciò che ancora non ha nome, non ha forma e si intreccia con la notte e l'ombra – un tuffo, insomma, faustiano. Tutto questo, ovviamente, senza perdere di vista la creazione del paese dei sogni del marinaio. Il momento del sogno e dell'incertezza è il momento dell'emergenza, del nuovo, gestato durante la notte e la preghiera; invenzione – portare dall'impossibile ciò che ora esiste, perché regna e muove gli affetti della parola poetica.

Se già durante l'architettura delle rovine del neoliberismo, fu Mark Fisher a compiere una delle più brillanti analisi del tardo capitalismo degli ultimi decenni, sottolineando la capacità di amputare i sogni rivoluzionari (che catturarono ampiamente anche le correnti più critiche del pensiero di sinistra) , forse rivisitare il Spettacolo sfarzoso di Fernando Pessoa può indicare che la realtà è questa miseria statica che solo la morte dà. O Spettacolo sfarzoso è sempre stata un'opera di cui l'autore non si è mai accontentato, un set incompiuto più che incompiuto – infinito per le sue varie suggestioni di montaggi e possibilità, lacune e frammenti, bozze e osservazioni; come il libro dell'angoscia, come il Intervalli di Álvaro de Campos.

I suoi primi frammenti risalgono all'anno del regicidio dell'ultimo monarca portoghese, alla vigilia della proclamazione della Prima Repubblica del 1910, e attraversano l'intera vita dell'autore, con le sue diverse carte e inchiostri di varia natura; come se, come il suo Fausto, Fernando Pessoa esitasse a mettere insieme un'opera finale, ma suggerisse in ogni momento che, attraverso la sospensione, emerga da lì la poesia i cui simboli e linguaggio creano qualcosa di diverso, informe come la notte.

Sarebbe il caso di ricordare, per oggi, allora, che, perché ci sia qualcosa di diverso, un mondo che non sia questa miseria, bisogna prima sognarlo. Sognare un mondo egualitario, senza fame, con l'ambiente che vive con noi senza che noi lo deprediamo in modo distruttivo è, quindi, un compito poetico, ma profondamente reale, per la sua capacità di superare la miseria della realtà: è , insomma, un modo per scongiurare la morte è far temere chi già vuole semplicemente seppellire questo mondo adesso.

*Guilherme Rodrigues Ha conseguito un dottorato di ricerca in Teoria letteraria presso l'IEL di Unicamp.

note:


[I] F. Persona, Spettacolo sfarzoso, Fr. 95, c. 1915 (Seguiamo l'edizione dei frammenti curata da Carlos Pitella (PESSOA, Fernando. Spettacolo sfarzoso. ed. di Carlo Pittella. Lisbona: Tinta da China, 2018).

[Ii] id. fr. 90.

[Iii] Se. fr. 85.

[Iv] id. fr. 116.

[V] id. In: Orfeo, NO. 1, 1915, pag. 34.

[Vi] id. ibid. P. 35.

[Vii] “Tabaccaio”, v. 108.

[Viii] CAEIRO, Alberto. Poesie non unite.


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