da CLARA E. MATTEI
Nota all'edizione brasiliana, recentemente lanciata
È un vero risultato da vedere L'Ordine del Capitale pubblicato in portoghese. Dopotutto, anche se racconta qualcosa che accadde in Europa un secolo fa, seguendo una linea che rivisita e rivede i fondamenti dell’economia per mettere in relazione gli effetti delle politiche economiche di austerità dell’inizio del XX secolo con l’ascesa del Fascismo, in questo libro ci sono elementi analitici che possono contribuire a comprendere la natura e la logica dell'austerità in Brasile oggi.
Sebbene si concentri sulle relazioni di classe nei contesti europei in cui l’austerità veniva utilizzata come strumento politico per schiacciare le richieste di democrazia economica, porta questa dinamica per comprendere come le relazioni di classe furono forgiate in paesi la cui storia è caratterizzata dalla schiavitù e dal colonialismo. Comprendere le relazioni di classe nell’Europa del XIX secolo serve a calibrare il modo in cui il discorso sull’austerità è accompagnato da un’agenda argomentativa che cancella l’aspetto di classe delle politiche adottate, come se riguardassero tutti allo stesso modo.
Gli eventi accaduti tra l’Europa occidentale e il Nord del mondo all’inizio del secolo scorso si sono riverberati sull’asse centro-periferia e hanno influenzato il modo in cui i subordinati avrebbero guidato la propria politica. Gli economisti del Sud del mondo hanno cercato conferma nei filoni economici che diffondono l’austerità e assumono i contorni neoliberisti a cui assistiamo oggi.
Un’altra chiave che la storia ci insegna è l’inseparabilità dell’austerità fiscale e monetaria, attraverso l’impegno di bilancio al costante aumento dei tassi di interesse, che colpisce direttamente il mondo del lavoro. La scarsità di credito dovuta alla politica rentier di alti tassi di interesse fa sì che i lavoratori siano colpiti su due fronti: da un lato, dalla riduzione dell'occupazione e, di conseguenza, dalla sottomissione al lavoro precario; dall'altro, a causa di una politica salariale bassa che comprime il potere d'acquisto tra gli innumerevoli bisogni da soddisfare nel vuoto lasciato dall'assenza del servizio pubblico.
Non per altro motivo, una delle prime misure recenti nell’attuazione dell’austerità in Brasile è consistita nell’eliminazione delle leggi sul lavoro.
Anche le privatizzazioni per attirare investitori nei famigerati partenariati pubblico-privato, accompagnate dalla deregolamentazione del mercato, svolgono un ruolo fondamentale nella dinamica dell’austerità. Gran parte del discorso ruota attorno alla giustificazione della riduzione della spesa pubblica impegnando il bilancio al pagamento degli interessi e all’ammortamento del debito. Questa idea, per quanto errata, ha consentito, come vedremo, alla massima autorità della Banca Centrale di rendersi immune dalla politica dei tassi di interesse suggerita dal capo dell'Esecutivo.
Dopo la promulgazione della Legge complementare n. 179 del 2019, le esigenze di bilancio del Presidente della Repubblica sono del tutto irrilevanti per il Presidente della Banca Centrale, poiché il suo mandato è dotato di garanzie che richiedono un difficile processo di dimissione, dipendente dalla maggioranza assoluta del Senato. L’inasprimento dell’austerità ottenuto attraverso vari stratagemmi durante il mandato dell’ex presidente Jair Bolsonaro, con il pretesto di concedere piena autonomia alla Banca Centrale, ha sottratto al potere politico le alleanze, così importanti per la costruzione di un programma di bilancio armonioso e coerente, con le politiche sociali essenziali di un paese tardo moderno.
Dato lo scenario attuale, vale la pena sottolineare che il Brasile ha già il tasso di interesse reale più alto del mondo, superando i paesi che soffrono di inflazione, come l’Argentina. Allo stesso tempo, l’impegno del PIL brasiliano nel debito pubblico è inferiore a quello dei paesi sviluppati, rendendo irrealizzabile la tesi secondo cui il paese dovrebbe ridurre la spesa e che il paese spende in modo incontrollabile.
Mentre l'Italia, oggetto centrale di studio in questo lavoro, presenta un rapporto tra Pil e debito pubblico che supera il 150%, la quota del Brasile è inferiore all'80%. Paesi come Giappone e Grecia superano il 200%, mentre gli Stati Uniti raggiungono il 120%. Pertanto, la tesi secondo cui il Brasile non ha alternative all’attuazione delle politiche di austerità non regge. Il punto nodale del bilancio nazionale risiede nella somma destinata al pagamento degli interessi sul debito pubblico, che è ingiustificabile e propaga i mali sociali di cui soffre il Paese.
L’anno 2022 si è concluso con l’approvazione di un emendamento transitorio da parte dell’allora futuro governo Lula, l’emendamento costituzionale no. 126, che ha ampliato il bilancio pubblico per consentire di non limitare entro il tetto di spesa le spese correnti, pari a circa 145 miliardi. L’emendamento stabiliva anche un altro tetto di spesa, che sarebbe stato chiamato “nuovo quadro fiscale”. Gli obiettivi fissati dalle nuove regole si sono rivelati timidi, se non vili, soprattutto nell'abolire il dannoso tetto di spesa stabilito dall'emendamento costituzionale n.o. 95/2016, impedendo al Paese un’austerità che ignori la fazione politica che occupa il potere. Il regime di austerità, nonostante non raggiunga i risultati desiderati di stabilizzazione economica, non manca di raggiungere il suo vero obiettivo: garantire che la triade di politiche fiscali, politiche monetarie e l’erosione della capacità di reazione della classe operaia metta a tacere il dissenso.
Inoltre, poiché fa parte del Sud del mondo, il Brasile è più suscettibile alle pressioni delle élite interne e globali. Pertanto, l’imposizione di misure di austerità da parte del Fondo monetario internazionale (FMI) per concedere prestiti internazionali non è stata una coincidenza. L'ingerenza del FMI nell'influenzare direttamente questioni legate alla sovranità del paese è culminata nell'approvazione della legge sulla responsabilità fiscale nel 2000, come parte di un programma di “raccomandazioni” che avrebbero assicurato il pagamento del debito. Tuttavia, oltre a stabilire garanzie per questo pagamento, la vera intenzione era quella di dettare come dovrebbe essere guidata la politica, senza il sovrano al potere.
Prima di assumere il suo primo mandato, nel 2003, Lula consegnò una lettera di impegni per “rassicurare il mercato”, promettendo di mantenere la “stabilità” del suo predecessore Fernando Henrique Cardoso. Nel 2023, tornando alla presidenza dopo il periodo di sconvolgimenti attraversato dal Paese, Lula si è impegnato a “mettere i poveri nel bilancio”; tuttavia, finora, la continuità prevale rispetto a Michel Temer e Jair Bolsonaro. Uno sguardo più approfondito alla storia politica del paese rivela che il periodo della dittatura militare e i cambiamenti al potere hanno fatto ben poco per alterare il modo in cui il capitale viene estratto dalla classe operaia. Facendo riferimento all’ex ministro delle Finanze del “miracolo economico”, Delfim Neto, bisognerebbe “far crescere la torta e poi dividerla” – ma il momento della divisione non raggiunge mai gli svantaggiati del sistema.
L’austerità non consiste in una medicina amara somministrata per fermare la “spesa sfrenata” e “riprendere la crescita”, termini già tanto conosciuti quanto logori. L’austerità non è un errore politico volto a annullare “l’ingrandimento dello Stato” e fornire “meno Stato, più mercato”. La lente attraverso la quale l’economista vede le variabili del mercato distorce il modo in cui opera la realtà, intravedendo l’aggregato (l’unità nazionale) nonostante il benessere sociale e presentando le distinzioni di classe con marcata miopia.
Come è ben evidenziato, la definizione comune di austerità come taglio della spesa e aumento delle tasse maschera la scelta dell’allocazione delle risorse, che sono abbondanti per finanziare le guerre e pagare gli interessi sul debito pubblico, ma trascurabili per espandere la spesa sociale. In Brasile, i tagli sono stati significativi nei settori che non supportavano un ulteriore appiattimento. Il salario minimo non ha un aumento reale rispetto all’inflazione, le riforme pensionistiche hanno iniziato a stabilire criteri più severi per la concessione dei benefici e le privatizzazioni hanno reso più caro nel corso degli anni il prezzo dei servizi pubblici.
L’austerità in atto nei paesi sviluppati continua ad ammettere un impegno elevato del PIL nei confronti del debito pubblico, ma segue il precetto di eliminare le prestazioni sociali, condizionandole all’assunzione di posti di lavoro a bassa retribuzione, tagliando la spesa per sanità, istruzione e alloggio e l’eliminazione della tassazione sui più ricchi, trasferendo l’onere sui più poveri attraverso una tassazione regressiva sui consumi e sui servizi. Il capitale emerge ancora più privilegiato dalle equazioni di austerità, mercificando i benefici sociali come un affare a scapito della società.
Nel caso brasiliano, gli alti tassi di interesse fanno piacere agli speculatori internazionali, desiderosi di guadagni consistenti in un Paese che non investe e, quindi, non si libera mai dalla situazione di dipendenza. Allo stesso tempo, scegliendo di essere costituita come persona giuridica, la capitale ha il vantaggio senza precedenti – ad eccezione di Estonia e Lettonia – di non imporre alcuna imposta sul reddito su profitti e dividendi.
L’austerità fiscale, inseparabile dall’austerità monetaria, si affianca all’imposizione di un aumento artificiale dei tassi di interesse con il pretesto di contenere l’inflazione, compromettendo così il bilancio pubblico con il pagamento di interessi ingiustificabili. Il valore dello stipendio – altro fattore rilevante –, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, ha una correlazione diretta con la politica di austerità.
Esiste una relazione inversamente proporzionale tra la privatizzazione dei servizi pubblici e la stabilità delle remunerazioni di questo settore. Questo fenomeno avviene parallelamente alla revoca delle tutele lavorative, previdenziali e assistenziali e alla soppressione dei benefici pubblici, indebolendo il potere contrattuale di sindacati e lavoratori. Quanto più scarse sono le risorse disponibili per soddisfare i propri bisogni di sussistenza, tanto più il lavoratore sarà suscettibile di essere soggetto a rapporti di lavoro oppressivi. Non è una coincidenza che le politiche di austerità in Brasile siano accompagnate da rapporti di lavoro precari e da una diffusa incapacità di mobilitare i sindacati e rivendicare politicamente i diritti dei lavoratori e, più in generale, i diritti sociali.
L’attuale contesto politico è piuttosto sfavorevole alla realizzazione dei diritti sociali ed economici per i gruppi più vulnerabili della società brasiliana. Da accusa della presidente Dilma Rousseff – sotto la falsa accusa di violare le leggi di bilancio, i cosiddetti “pedali fiscali”, indispensabili per conciliare la spesa con la mancanza di entrate di fronte alla crisi economica che ha devastato il Paese, misure che non erano altro che strumenti per l’esecuzione di spese pubbliche improrogabili – lo scenario di disfacimento dello Stato sociale ha acquisito slancio con la rottura del patto sociale attraverso il falso emendamento costituzionale n. 95/2016, frutto dell'approvazione della “PEC della morte”. Questa riforma ha aumentato il status costituzionale uno stato di cose che sovverte i primati stabiliti nella Costituzione stessa.
Come se ciò non bastasse, l’“austerità espansionista” dell’allora ministro Paulo Guedes ha approfondito il processo di impoverimento sociale, accompagnato da riforme delle pensioni del lavoro e da una ricerca sfrenata di privatizzazione dei settori appartenenti alle autorità pubbliche. Questo programma si è rivelato, fin dall’inizio, un fallimento, perché, non appena la pandemia di covid-19 ha interrotto il funzionamento dell’economia, è diventato impossibile mantenere la forza lavoro, ostaggio dell’ambiente domestico, senza alcuna alternativa per mitigare il problema. crisi. La pandemia ha messo in luce la fragilità del sistema nell’affrontare l’eccezionalità e alcune misure di contenimento delle spese essenziali avrebbero dovuto essere allentate per far fronte all’approvazione degli aiuti di emergenza, che sarebbero in vigore in via provvisoria e, quindi, trasformati in un diritto allora in una facoltà di chi esercita il potere.
* Chiara E. Mattei è professore presso il Dipartimento di Economia della New School for Social Research.
Riferimento
Chiara E. Mattei. L’ordine del capitale: come gli economisti hanno inventato l’austerità e aperto la strada al fascismo. Traduzione: Heci Regina Candiani. San Paolo, Boitempo, 2023, 488 pagine. [https://amzn.to/43ojxzn]
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