La passione per l'uguaglianza

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da ALESSANDRO DE OLIVEIRA TORRES CARRASCO*

Considerazioni sul libro di Vinicius de Figueiredo

Per Marilena e Maria das Graças.

Questione di tatto

In occasione del lancio del libro, di cui faccio questo modesto commento, nell'aprile 2022, l'autore, in una veloce conversazione, mi chiede un commento. Ovviamente (per tatto?) ho annuito. L'ho letto subito, ma ho esitato su cosa scrivere: ancora una volta, una questione di tatto. Mi spiego: non sono un esperto in materia, che paradossalmente richiede ancora più tatto. Da qui la contraddizione: per mancanza di tatto, e per il suo eccesso, ho rimandato questo commento, l'ho dilagato nel tempo, l'ho prolungato: attorno a questo commento si è creata tutta una scuola di diversivi che ora viene alla luce, molto discretamente.

Per opera e grazia del destino: anche questo è il tema. Tatto, divertimenti, grazia, siamo vicini. È l'ambiente morale che serve lateralmente a situarci rispetto al tema e al problema del libro. Ribadiamo quindi che occorre affrontarlo con un certo tatto, scusate l'insistenza, per evitare e soprattutto evitare l'apparente maleducazione che il commento non fatto suggerisce, che il commento del non specialista potrebbe suggerire.

Em moralità minima (Adorno, 1993) c'è un altro commento che mi serve per completare questo prologo: per una dialettica del tatto (sezione numero 16) Theodor Adorno individua un problema, molto vicino (e non identico, che si adatta alla via dialettica) di genealogia del individuo morale interpretato da Vinicius de Figueiredo. Nel caso di Theodor Adorno: lo spazio informale (in modo instabile e fluttuante, ma storicamente collocato) che si forma tra l’emergere dell’individuo moderno – diremmo il soggetto borghese – e le forme arcaiche dell’autorità – e reso arcaici attraverso lo stesso processo che essi generano generando il soggetto borghese – l’assolutismo.

In una certa misura, quelle forme arcaiche di autorità e di ordine creerebbero le condizioni per il loro superamento. Esiste uno spazio sociale e critico attraverso il quale è possibile individuare uno specifico disallineamento tra i codici di socievolezza del vecchio ordine e le possibilità (ancora emancipatorie) del soggetto moderno. In questo spazio, il tatto si adatta. In questo luogo, per così dire, “nuovo” del tatto – lo spazio oggettivo di questo disadattamento che apre a una nuova esperienza della soggettività – insomma, le condizioni oggettive di una nuova forma di vita soggettiva – diventa possibile una certa inflessione che inaspettatamente avvicina gli individui anziché allontanarli gli uni dagli altri. È un luogo impreciso e temporaneo attraverso il quale l'individuo moderno si rivolge agli altri con modestia grazie a questa flessione soggettiva che si apre tra le forme arcaiche di dominio e le promesse di emancipazione, quando tutto questo era ancora possibile, come fosse una promessa.

Oggi sappiamo che il tatto manca in ogni modo possibile, non esiste “educazione” che possa porre rimedio a questa fatale circostanza. Il tatto annuncia questo e il suo rovescio, questa è la dialettica del tatto: la possibilità di contatto con l'altro quando forme arcaiche di autorità si ritirano a causa del processo storico che hanno mobilitato, e l'imminente impossibilità di ogni relazione umana all'interno di ciò che sarebbe diventato (e è diventato) ) la nascente società industriale (parole di Adorno, come si può supporre). Nell'imminenza di questa imminenza, tatto sarebbe questo appello all'uguaglianza soggettiva, non ancora sussunta nel vuoto della forma universale dell'equivalenza (che non ha più nulla a che vedere con alcun ordinamento sostanziale dell'uguaglianza, la quale non è propriamente un equivalenza). Da questa esperienza quasi epidermica di uguaglianza, localizzata socialmente e storicamente, soggettiva, precaria e parziale, tatto.

Da lì Theodor Adorno traccia una dialettica. Una figurazione speculativa di ciò appare in Kant e la citazione di Adorno ci suona così precisa – adattata alle delicate esigenze del testo, compreso quello di Kant – che rispondiamo: “[Le ripetizioni regolari di Beethoven dopo gli sviluppi dinamici, la deduzione kantiana delle categorie scolastica dall’unità della coscienza sono, in senso eminente, “discreti” [taktvoll]” (Adorno, p. 29, 1993).

Ribadiamo: pensando a Kant, risalta la precisione: una forma arcaizzante, con marcati tratti scolastici, tutto l'armamentario della cosiddetta architettura della ragione e delle sue istanze, che non hanno nulla di minimalista o di plastico, con attenzione, però, – con tatto – inscrive in sé un contenuto moderno, nuovo, l'unità formale e negativa di tutte le rappresentazioni che sostiene, per così dire, l'atto rappresentativo alla sua sovrastruttura. Questa dualità, che in Adorno viene da se stesso nella sua raffinata dialettica del tatto, è ciò che più ci interessa nel nostro commento, che, come potete vedere, vuole essere pieno di tatto. Continuiamo.

Dalla frangia di questa frangia arriva un giudizio critico di ampio respiro, che si rimette al centro del problema, in maniera dialettica (ancora?): se ci fosse solo scambio di equivalenti, come potrebbe esserci ricchezza? ? Mi fermo e approfitto dell'occasione. Il problema del bel libro di Vinicius de Figueiredo non è proprio questo, ma passa per questo quartiere. Da qui il tatto, e proseguiamo ancora un po', con tatto.

François Truffaut

Nel 1968 viene lanciata François Truffaut Baiser Volés (Baci rubati), un film senza pretese nella forma – piuttosto classico nella concezione – girato in due settimane, e soprattutto girato all'ombra del fallimento finanziario del film precedente (La Mariée è stata in noir, 1967). Sotto la pressione del fallimento della sua società di produzione para-artigianale, I film della carrozza, Truffaut sperava in un successo finanziario che gli avrebbe dato la sopravvivenza. Il film non è stato un successo, è stato un successo clamoroso. Da qui l'enigma: cosa c'entrava quel giovane sentimentale e goffo, Antoine Doinel, con i suoi coetanei, furiosi, che nel maggio di quell'anno, 1968, giocavano a sampietrini nella società dei consumi, La capitale (il libro) e Coca-Cola (la bevanda) in mano? Non è semplice trovare questa misura e bisogna usare tatto.

Ma vedi, non si tratta solo di quello, che è un commento per un altro commento. La domanda è: come riappare il problema del tatto in questo ricchissimo e popolare manuale truffautiano di educazione sentimentale, il ciclo di Antoine Doinel? Antoine Doinel, alias Jean Pierre Léaud, incantato da Madame Tabard, alias Delphine Seyrig, sperimenta un improvviso movimento di passioni per il quale gli manca fatalmente... tatto. Il giovane è un coglione, diciamocelo. E diciamocelo: tutta l'educazione sentimentale popolare mira a questo ideale: mediare informalmente – attraverso la volontà – le passioni, mediarle attraverso una riflessione la cui comprensione è inscritta in una volontà, e, così, reiscrivere l'anima nel corpo.

Riassunto male: il “come” è un trattato sulle passioni dell'anima. Di fronte a un episodio del film in cui i sentimenti traboccano, chi deve dirigere le passioni del giovane innamorato è l'esperienza di Madame Tabard, che Trauffaut filma in modo eccellente. Madamme Tabard, a culmine della situazione amorosa, ha poi inviato ad Antoine Doinel il seguente biglietto, con un regalo: “Quando ero a scuola, la mia insegnante ci ha spiegato la differenza tra tatto e cortesia: un signore in visita mi spinge ad aprire il bagno porta e scopri una donna assolutamente nuda. Fa subito un passo indietro, chiude la porta e dice: Oh, scusi signora. È cortesia. Lo stesso signore, spingendo la stessa porta, scoprendo la stessa signora assolutamente nuda, se ne va dicendogli: Oh, perdonami signore. Questo è tatto.»

Lei risponde, a quanto pare, alla mancanza di tatto del giovane innamorato con il tatto, diciamo, di una cortigiana esperta. Esagero un po'; però, formalmente, si tratta di questo: è un episodio galante, ricco e sofisticato, alla portata di un misero biglietto del cinema. Con nota: Delphine Seyrig, nel 1980, ha diretto un documentario sulla condizione delle donne nel cinema, femminista nella concezione e nell'esecuzione: Sei belle et tais-toi!

Marcel Proust

Torniamo a questo. Non è solo questo. Completiamo finalmente la costellazione che poco a poco si sta formando. Dopo queste intermittenze del cuore, nel momento in cui Madamme Tabard propone ad Antoine Doinel un contratto, un rapporto ormai formalmente mediato, ma che non rinuncia al tatto, discutono di Balzac, I mughetti. Chi pratica Balzac di tanto in tanto, sa quanto questo romanzo non corrisponda al Balzac al suo meglio, nei suoi momenti migliori. Tuttavia, c'è una passione in esso che ogni lettore riconosce, la passione della lettura sotto forma di un testo che dispone appassionatamente alla lettura. Attraverso una lettura appassionata, lo statuto del testo cambia. Vediamo perché, questo è il nostro prossimo indizio.

Quando gli venne chiesto quale sarebbe stato il suo libro preferito, il libro che gli sarebbe piaciuto di più leggere, Marcel Proust non esitò a rispondere: I mughetti. Alla risposta di Marcel Proust segue una riflessione sull'atto della lettura: meno il mero contenuto di ciò che si legge, più la forma che informa l'atto. Aggiunse: nessun altro libro gli aveva dato come lettore l'emozione di quello sfortunato Gigli di valle. Sappiamo quanto Marcel Proust fosse un lettore di Balzac, e c'è, in una delle sue corrispondenze con Gallimard, allora suo editore, l'osservazione, un po' come una prostrazione, che nessuno potrebbe scrivere un romanzo dopo Balzac, così come il parentela che Proust coltivò e su cui rifletté la commedia umana e Tempo perso, due pesanti strutture romanzesche che scandiscono il tempo del romanzo come una lunga durata.

In effetti, la frase proustiana è più vicina a quella balzaciana che alla letteratura francese della fine del XIX secolo, il che non è esattamente una novità. Ma questo non basta come indizio per tanto diversismo pascaliano, che qui pratico in modo esaustivo – e il lettore si chiede: che dire della Genealogia dell’individuo morale in Francia? Ripercorro il percorso e chiarisco: è in (o) Tempo perso la stessa ambivalenza, resa prosaica nel film di Truffaut, e da cui il cineasta prende a prestito: ambivalenza tra tatto e cortesia (educazione).

E questa ambivalenza è data (ho seguito qui, in linee molto generali e approssimative, le argomentazioni di Antoine Compagnon, in un corso da lui tenuto al Collège de France, nell’anno accademico 2018/2019, Saggio su Proust)per la differenza riscontrata tra la figura dell'artista (educato o semplicemente educato, al massimo) e quella del politico (che deve avere tatto, per il quale, professionalmente, senza tatto l'educazione è insufficiente). La politica è un mestiere di tatto, ma ciò che accade è che questa esigenza non è solo un'esigenza soggettiva, esiste un correlato oggettivo a questa esigenza soggettiva. Questo è anche in Marcel Proust. Queste figure ambivalenti, l'artista e il politico, che si scontrano nelle sale del romanticismo proustiano, rappresentano, a loro volta, i limiti di un progetto che abbraccia tutto l'Ottocento francese. Tra l'uno e l'altro vettore morale e spirituale di comportamento c'è tutta una scuola delle passioni dell'anima e anche tutta una filosofia politica.

Repubblica, rivoluzione

La mia prima ipotesi, preparandomi finalmente ad entrare nel commento al libro di Vinicius de Figueiredo, è questa: sarebbe possibile mobilitare questa chiave di tatto-educazione per comprendere l'impasse politica e spirituale francese per tutto il XIX secolo, vale a dire la repubblica? e rivoluzione, repubblica o rivoluzione, la nostra repubblica o la loro? Notiamo il fondo dell’impasse: la passione per l’uguaglianza, sia da parte di coloro che soffrono di questa passione, sia da parte di coloro che la praticano, il cui effetto politico del dibattito sull’uguaglianza si presenta in modo invertito: la passione per l'uguaglianza esige per coloro che detengono l'anzianità di comando, l'aristocrazia, la moderazione; per il popolino, che guidò la Prima Repubblica, la superbia.

Guardiamo alla fine di questa storia, quando già appare come un dibattito proustiano in un salotto. Il tatto può essere inteso come il correlato morale di una politica di “centro” il cui scopo è, da un lato, placare l’ardore rivoluzionario attraverso gli espedienti della tecnica politica, dall’altro, contenere ciò che il marchio di disuguaglianza autorizzerebbe nei rapporti repubblicani. . . Questo movimento ambivalente, che noi guidiamo, ma sotto l’egida dell’uguaglianza, è la migliore versione non repubblicana della repubblica francese, la repubblica in chiave moderata.

L'eleganza di Tocqueville, nel riconoscere l'inevitabile avvento della repubblica e dell'uguaglianza - la nuova passione francese moderna, la passione per l'uguaglianza - contrasta con le cattive maniere e la maleducazione di Blanqui, avanguardia rivoluzionaria della rivoluzione francese che, alla fine A detta di tutti, non arrivò, nonostante la memoria eroica della Prima Repubblica giacobina. Tra l'una e l'altra, due filosofie politiche. Nel 1948, Blanqui e Tocqueville si incontrano nell'emiciclo, in piena rivoluzione, come Tocqueville ama sottolineare, e il giudizio di Tocqueville, estetico perché morale e politico, è inequivocabile: “pallore sporco” e “apparenza di un aspetto ammuffito”. corpo ”, i termini che descrivono e definiscono Blanqui (Tocqueville, p. 168, 2011) –, maleducazione e tatto quasi discutono, ed entrambi perdono contro suo nipote, Luis Napoleão Bonaparte.

A vincere la scommessa è un'altra maleducazione, quella del nipote, come sappiamo. Sarà però attraverso lui, in prospettiva, che spetterà alla Terza Repubblica reinstallare il tatto come grammatica politica, in un momento in cui la politica rivoluzionaria, suprema maleducazione, risente dei suoi fallimenti, soprattutto di quello Comune del 1870. Cos’è il tatto come grammatica politica: è l’egemonia politica dei vincitori che, riconoscendo l’uguaglianza come passione politica moderna, riconoscono che l’unica possibilità di una repubblica dopo il 1789 comporta la modulazione di questa uguaglianza, fondata e figurato nella seconda metà del XVIII secolo. La centralizzazione statale, forma inevitabile dello Stato francese, è accettabile solo sotto il presupposto dell’uguaglianza: lo Stato può anche servire alcuni, non che ciò sia esattamente auspicabile, ma deve assoggettare tutti allo stesso modo. Il tatto è la maestria soggettiva di questa operazione il cui imperativo è oggettivo.

Si verifica quindi un passaggio dalle condizioni soggettive della questione alle sue condizioni oggettive. La dialettica di questo riappare nei salotti proustiani, sui quali torniamo. Gli artisti non mirano all’uguaglianza: vivono della differenza – soggettiva – come forma di resistenza estetica alla sottomissione, con la differenza che la loro libertà estetica è innocua, anche se sembra che non lo sia. I politici, formati con l’obiettivo retrospettivo di realizzare la Terza Repubblica, formati nella strumentalizzazione politica del degrado morale dell’uguaglianza, agiscono con tatto. Ciò significa che accettano le variazioni delle situazioni attraverso un ripiegamento politico capace di sgonfiare e mitigare le passioni politiche, soprattutto l’arroganza del popolo, per il quale l’uguaglianza è un guadagno e non una perdita.

Questa dimensione spirituale dell'uguaglianza oscilla come oscilla il movimento tra le classi: la sua dimensione soggettiva si inscrive come un atteggiamento morale, spirituale, estetico e politico attraverso il quale il punto di vista dell'agente politico assoggettato al potere può significare mera assoggettamento o emancipazione, questo variazione è anche il contenuto in discussione, dopo il 1789: tutti devono sottomettersi al sovrano, che in fondo è tutti, ma le differenze di classe danno a questa sudditanza differenze di contenuto politico. Qui l'enigma della volontà generale, non solo, ma anche l'enigma del rigorosome della morale kantiana, di cui Rousseau si è nutrito.

La rivoluzione attualizza i contenuti arcaici in una forma moderna, moderna prima ancora che borghese. La critica illuminata, effetto anche dei cambiamenti intervenuti nella società francese nella seconda metà del Settecento, funzionerebbe come un radicalismo che non sovverte esattamente la forma, ma la riprende, entro certi limiti, per darle nuova – e “vero”, come contenuto critico. L’impasse, tema e problema della repubblica in Francia, nel XIX secolo, quando si affronta questo processo che ne deriva, l’aggiornamento borghese di una forma moderna, è il problema, tipicamente francese, dei significati dell’uguaglianza: il modo in cui l’uguaglianza può assumere il significato politico di una delle tiranni popolari dell’uguaglianza, oppure essere neutralizzata dalle mediazioni e dagli apparati burocratici e politici della tecnica borghese, senza cessare di essere questa passione moderna per eccellenza, dal punto di vista francese, ovvia.

È in questi termini che si può intendere una dialettica del tatto; modalità di indagine, attraverso un correlato antropologico, del programma centrista e repubblicano che contesta l'Ottocento con l'esperienza radicale e plebiscitaria della Prima Repubblica. Sappiamo che ciò che resta – quasi per esclusione – alle élite politiche – sopravvissute – per svolgere la vita politica quotidiana dopo la rivoluzione e dopo un secolo di instabilità istituzionale, dopo il massacro della Comune del 1870: molta tatto.

Genealogia dell'uguaglianza

Questo tema, vasto e più complesso di quanto esposto finora, costituisce la conclusione di un racconto, dal punto di vista dello scrittore, la cui genealogia morale, realizzata da Vinicius de Figueiredo, segue e misura diligentemente, e può essere inteso come il suo inizio. Questa genealogia dell'uguaglianza nelle sue dimensioni morali e politiche, inizio o addirittura origine di questi vicoli ciechi del XIX francese, gli conferisce certamente la grammatica morale e politica, che nel XIX serve in modo molto critico a Tocqueville, da cui prendiamo le misure , il cui ideale repubblicanesimo descritto a metà del secolo sarà realizzato solo dalla Terza Repubblica, alla fine del secolo. Se il tatto politico del XIX secolo è il nuovo trattato sulle passioni dell’anima che le élite politiche francesi devono fare dopo la Rivoluzione e dopo la Rivoluzione devono diventare un regime, la Prima Repubblica, la restaurazione, la monarchia costituzionale, il bonapartismo, Provata e fallita, la Comune di Parigi è perché riattualizza, neutralizza, in un certo senso, e media politicamente la passione per l’uguaglianza che segna indelebilmente la svolta francese dal XVIII al XIX secolo.

Tocqueville, nel pieno della Rivoluzione del 1848, è colui che dice: “In quell’occasione, feci una riflessione che fino ad oggi si è presentata spesso alla mia mente: in Francia, un governo sbaglia ogni volta che deve come punto di appoggio le passioni egoistiche e gli interessi esclusivi di una sola classe. Ciò può funzionare solo in nazioni più interessate e meno vanitose della nostra; Da noi, quando il governo così fondato diventa impopolare, accade che i membri stessi della classe a favore della quale è diventato impopolare preferiscono il piacere di criticarlo come tutti gli altri, ai privilegi che il governo garantisce loro”. (Tocqueville, p. 80, 2011).

Criticando la propria classe, e comprendendo come la passione per l'uguaglianza abbia preso completamente il sopravvento sul dibattito politico nella decisiva seconda metà del XVIII secolo, Tocqueville sa che è impossibile riprendere questo stesso dibattito in termini diversi da quelli consacrati dall'uguaglianza, ma non esiste Sono modi per farlo, mitigarli, per non cadere in quella che considera la demagogia di Blanqui. Ecco il tatto.

Blaise Pascal

Torniamo agli antecedenti: da questo contesto di fondo, da cui siamo partiti, è abbastanza comprensibile il movimento che il libro descrive, che va dalla morale importante, che Vinicius de Figueredo individua in Cartesio e Corneille, alla declassazione aulica tipica di il passaggio dal Seicento al Settecento, segnato dalla frugalità anonima e prosaica, con i suoi correlati morali, presenti, ad esempio, nella pittura di Watteau e nella relegazione tematica della composizione, effetti tipici del manierismo. Questo movimento, che segue l'emancipazione assoluta dello Stato francese sotto Louis, morale e metafisica di coloro (tutti noi) che, immediatamente e inizialmente, sono uguali nella miseria – che può anche essere inteso come una variazione specifica della ricezione di Machiavelli in Francia.

Questo doppio aggiustamento è ciò che completa il quadro. L’uguaglianza, che in un primo momento è relegata al prosaico, nel modo manierista di rappresentare la frugalità e il divertimento, incorpora, in un secondo momento, una dimensione speculativa e metafisica, l’uguaglianza nella povertà, effetto, come sappiamo, di incommensurabilità dei beni. infinito con il finito glossato fino all'esaurimento in Pascal, superando ogni misura metafisica diversa da quella dell'impossibilità di misurazione. Pascal, a suo modo, sostituisce alla volontà cartesiana, eroica in effetti, sufficientemente sostanziale da sottoporre le passioni alla riflessione, con una pastorale della grazia, in una lettura agostiniana. L'uomo interiormente diviso, matrice agostiniana da cui parte, è riunito solo dall'opera della grazia, per la quale non esiste misura umana.

Sullo sfondo di questo arco morale e del suo brusco cambiamento di significato, il contesto è presente anche nel libro di Vinicius de Figueiredo: lo schiacciamento della Fronda, l'inedita centralizzazione del potere sovrano nella figura luminosa di Luigi XIV, la nuova condizione di l'aristocrazia come dipendente statale. Questa è la figura moderna, lo Stato assolutista, che precede la borghesia come classe moderna. Il periodo di massimo splendore dell’assolutismo (forma politica moderna, senza contenuto moderno), e del più assolutista di tutti gli assolutismi, quello francese, produce il suo rovescio spirituale, se si ammette l’eresia, e il giansenismo diventa la filosofia popolare dell’uguaglianza. Siamo tutti miseramente uguali e soggetti al più centralizzato degli stati europei.

Una teodicea laica

Sono queste condizioni che permettono di trarre l'ultima figura del nostro album: l'illustrazione e lo spostamento dell'uguaglianza (e della disuguaglianza) nel mondo degli uomini, attraverso qualcosa come una teodicea secolare in cui la coppia uguaglianza e disuguaglianza diventa mediata dalla storia. come elemento necessario e critico che informa la riflessione sul presente.

È attraverso l’uso critico della storia che l’uguaglianza viene pensata come un presupposto politico per l’azione sulla disuguaglianza, e l’uguaglianza morale, il cui fondamento era teologico, viene compresa attraverso una disuguaglianza politica il cui fondamento è storico. In questo nuovo riassetto, il radicalismo, con le pinze, dell’illustrazione francese, in cui l’uguaglianza è pensata senza mediazione concreta, soppressa dalla centralizzazione tipica dello Stato assoluto francese, e l’effetto formale di questa agenzia di elementi, l'oscillazione formale che meglio lo caratterizza, l'oscillazione descrittiva sempre tra il concetto e l'immagine.

Rousseau, in questo senso, possiede un’acutezza spirituale unica: è lui che meglio dà il disegno veramente spirituale del dibattito: la volontà generale, come abbiamo anticipato, è il contenuto più moderno possibile se si pensa alla forma moderna che la precede: lo Stato francese.

La domanda finale sarebbe: come pensare quello Stato, acquisizione moderna, attraverso la necessaria pietra di paragone dell’uguaglianza, l’elemento che permette di criticare la società nel suo rapporto con il potere sovrano, nel contesto della seconda metà del XVIII secolo? secolo? Sarebbe il caso di supporre che questa stessa forma, lo Stato francese, abbia anticipato il problema dell’uguaglianza in modo localizzato quando le pretese eroiche, le virtù e i privilegi dell’aristocrazia, e il loro correlato spirituale, la relativa moralità, furono fatalmente abbassati sconfitto nella Fronda? Rafforziamo: se questa è la domanda migliore, Rousseau sarà quello che darà la risposta migliore al significato strettamente politico del problema.

Attraverso questo disegno leggero che realizziamo, puoi vedere quanto il libro avanza, con tatto ed eleganza, il suo tema. Ma devi notare un'altra cosa.

Cartesio e Foucault

Giunto al tema del libro e alla sua concezione, arrivo senza fare altre soste o deviazioni preliminari, già all'interno del problema, per così dire: Cartesio e Foucault. Uno stop che si ripercuote sul problema politico dell'Ottocento, di cui ho fatto un rapido e sommario disegno.

In effetti, il libro inizia aprendo una divergenza rispetto al modo in cui Foucault legge l'opera problema della follia in Cartesio (il famoso brano di 1a. Meditazione) dalla sua Storia della Follia (ma con derivazioni importanti in Parole e cose per la definizione dell'età classica, e dello statuto della rappresentazione, di cui è correlata). La prima impressione sull'argomento, durante la lettura La passione per l’uguaglianza, era che non solo ero d'accordo con il disaccordo aperto da Vinicius de Figueiredo, ma c'erano ulteriori ragioni per il mio accordo. Pertanto, per rispetto del tatto, ho dovuto organizzare quest'ordine di ragioni in modo da non confondere le mie ragioni con quelle dell'autore, il che sarebbe chiaramente scortese.

Cominciamo osservando quanto sia notevole che il classico problema del rapporto tra anima e corpo, che definisce praticamente il modo in cui vengono letti i posteri cartesiani, e quasi il modo in cui il cartesianesimo stesso si afferma come tradizione di lettura, nasca da una Un angolo di lettura molto specifico, che rischiamo di dire, è l'effetto di uno spostamento, magari inaspettato, del testo cartesiano. Diciamo, partendo dall'ipotesi di Vinicius de Figueiredo, ma le cui conclusioni sono nostre e non sue, che possiamo supporre che il tema cartesiano dei rapporti tra anima e corpo diventi più astratto e, al limite, sia attraversato da qualcosa come un'arbitrarietà di interpretazione, quanto più ci allontaniamo dall'ambiente morale da cui emerge, quello della moralità rilevante.

Mi spiego meglio: è solo nell'ambito, diciamo, “culturale” di una morale rilevante, che preservi l'intelligibilità di certi elementi eroici, che una volontà può essere intesa in modo sufficientemente sostanziale da funzionare come rimedio alle passioni. , purché informato dalla riflessione. Esiste, in questo quadro, e parlando della filosofia di Cartesio, una misura metafisica della volontà e nella volontà, capace addirittura di rendere il dibattito con Spinoza molto più vivace di quanto si potrebbe supporre dalla ricezione di Cartesio da parte di Spinoza, in I principi della filosofia di Cartesio, un libro in cui il cambiamento della modalità espositiva, una notevole inversione metodologica – dal metodo analitico al metodo geometrico – cambia la natura dell'oggetto e il problema metafisico. Lì va troppo oltre.

Riformulo: la specificità del problema morale in Cartesio (da cui Vinicius de Figueiredo riprende molto diligentemente l'accento morale) passa attraverso una comprensione morale del problema dei rapporti tra anima e corpo, e, conseguentemente, attraverso una lettura morale del problema dal contesto morale della moralità rilevante, il che implica assumere un carattere sostantivo (in modo non kantiano) della volontà e del suo consorzio con la riflessione, e non ridurre questo problema a un problema meramente gnoseologico, riduzione nella quale Foucault fai il tuo giro.

Spieghiamo: perché, nella prima meditazione, non sarebbe al tempo stesso questione della ragione e della sua altra, la follia? Se questa non è una questione esatta, non lo è, poiché è in gioco molto di più della dimensione morale della volontà, che una volta assunta implica un impegno nella lettura morale per un'adeguata leggibilità del testo. Che cosa significherebbe, in questo contesto, la “meditazione” stessa: non solo uno spostamento rispetto alla vita attuale, ai fini della ricerca metafisica, ma, soprattutto, un’intensificazione morale della volontà di compensare, per così dire, questo spostamento? dell’adesione alla vita attraverso lo spostamento dell’adesione al senso comune. È necessario che uno non consideri l'altro semplicemente pazzo, anche se il suo discorso è folle.

Meglio: prima del problema gnoseologico della ragione e della follia, c'è il problema morale di una volontà capace di informarsi attraverso la riflessione – anche se si pensa male, come avviene nella Prima Meditazione. Da un buon punto di vista, è più facile vedere che Cartesio è molto più vicino a Spinoza che a Kant, il che sembra ovvio, ma questa vicinanza significa una qualificazione morale della vicinanza stessa, in senso lato, che non è così intuitiva.

Il carattere infinito della volontà ha più elementi metafisici che la costituiscono che elementi meramente arbitrari o negativi, i rapporti tra anima e corpo mediati da una riflessione sostanziale e informata dalla volontà indicano un operatore non ancora svuotato da un qualche significato trascendentale. Sono queste le condizioni metafisiche, anche dal punto di vista dell'unione sostanziale, capaci di offrire condizioni positive per l'esercizio delle virtù e della conoscenza.

In questo senso, con le pinze, Sartre (con la sua libertà cartesiana, chiave di lettura di Cartesio, in un testo noto) è più vicino a Cartesio di Foucault che legge il problema morale cartesiano riducendolo al mero problema di una ragione che quasi obbligatoriamente deve svuotarlo di significato metafisico, leggendolo quasi, se non praticamente, alla stregua di un problema critico. E questo mi porta alle ragioni del problema, che nei miei resoconti si sommano alle ragioni di Vinicius de Figueiredo. Dalla celebre presentazione all'edizione americana di Il normale e il patologico, di Georges Canguilhen (e la sua variazione come articolo in Revue de metafisica et morale – vedi Foucault, 1985) Foucault rese popolare in Francia la sua versione della dualità della vita organizzata dello spirito basata sulla scissione filosofia del soggetto (o del significato)/filosofia del concetto. Ciò che resta da chiarire è che questa scissione presuppone un'unità alla quale viene data sempre pochissima luce.

Il fatto è che Foucault è un effetto divergente dello stesso processo o episteme, che a sua volta pone questa scollatura, trasmutandola in soggetto di rose il dibattito tecnico-metodologico sul genere che il cuginismo (Victor Cousin) inaugura in Francia attraverso il problema di una storia filosofica della filosofia. Sarà attraverso questa questione costitutiva che si affermerà quella figura moderna (post-critica) e recessiva che è il professore di filosofia. Una volta costituita materialmente e immaterialmente la figura, i termini in cui si svolge il dibattito all'interno di questo genere (discorsivo) che pone tali figure verranno aggiornati nel corso di quasi due secoli, anche se normalmente sono analiticamente separati, talvolta operanti in unità, ma producendo una differenza discorsiva nelle stesse condizioni di enunciazione, fino all'esaurimento praticamente del soggetto, il che sembra essere il punto in cui siamo arrivati.

In questo modo le questioni sono organizzate tra il sé e le sue categorie, da un lato, e le categorie e il sé, dall'altro. Ciò che voglio suggerire è che le strutture discorsive attraverso le quali Foucault pensa sono, in limina, le stesse (seppure attraverso una differenza intradiscorsiva) di quelle che pensa Sartre, la differenza che avviene all'interno del genere che fonda queste stesse condizioni discorsive. Questi stessi parametri di enunciazione hanno un limite di utilizzo – tradotto come il massimo che riesco a leggere con questo discorso. C’è un limite alla leggibilità che l’eccessiva fiducia nei suoi usi – l’eccesso di volontà, appunto – può oscurare.

Per altri motivi (come direbbe Montaigne) Vinicius de Figueiredo raggiunge lo stesso risultato: l'intelligibilità di Cartesio implica limitare la leggibilità che noi, i suoi lettori post-critici, prendiamo come abitudine mentale di leggerlo attraverso il contesto in cui lo ha reso leggibile. , sia moralmente che metafisicamente parlando. Il testo dipende anche dal luogo in cui viene letto e dal luogo di chi legge. Cartesio naturalmente non è illeggibile, anzi, il suo eccesso di leggibilità può ingannare anche il buon lettore, e anche l'ottimo lettore.

“Non che Cartesio ignori l’esistenza di discorsi diversi e, quindi, di modi diversi di ordinare il mondo. Ma, molto probabilmente, il vaglio di queste differenziazioni non passa attraverso la partizione originaria tra ragione e irragionevolezza, come suppone Foucault all’inizio di Storia della follia in età classica (1961). Il semplice fatto che il pazzo sia un produttore di credenze non meno dell'uomo comune – la cui evidenza, appunto, sarà esaminata nella “Prima Meditazione” – fa sì che la tesi di Foucault secondo cui l'esclusione della follia attuata in meditazioni scredita completamente il linguaggio dei pazzi” (FIGUEIREDO, P. 43, 2021).

Detto questo, vale la pena notare quanto il modo di leggere sia inscritto nel libro La passione di uguaglianza esemplare – mobilitando Guenacia e Beyssade quasi a mostrare – che non è la fine del libro – quanto, ad esempio, l’idea della rigida separazione tra anima e corpo possa essere mera sottomissione a una lettura anche post-critica e un po' meno cartesiano di quanto potrebbe supporre un lettore informato del XVII secolo, un lettore che non esiste, ma che con qualche considerazione possiamo immaginare che legga, poiché ha letto Cartesio e, infine, è esistito. Riflessione e volontà che mediano sostanzialmente la famosa separazione, e questa mediazione sostanziale, in Descartes, inaugura, per così dire, il problema morale di cui Vinicius de Figueiredo fa la genealogia.

epilogo

Concludiamo. Saggismo francese del XVIII secolo – concetto e immagine come nuova forma speculativa di dibattito pubblico, effetto e presupposto del modo in cui la riflessione storica informava i generi di discorso, ma li informava attraverso un impegno per il presente, e non per il passato come tali – e questi elementi costitutivi cominciano a servire il presente, dando un’origine e un destino laico all’uguaglianza ereditata dalla retrocessione di una morale importante, già intrisa della densità speculativa del giansenismo e di Pascal.

Anche in altro modo, l'illustrazione francese viene aggiornata, aiutata, che diventerà una consuetudine, dal saggismo inglese, ricorrenza che percorre almeno la seconda metà del XVIII e arriva alla fine del XIX, insieme, naturalmente, con Il teatro elisabettiano, forma propria della scorrettezza inglese, che lasciò sempre perplesso Voltaire, ma che naturalmente sarebbe servito, in quello specifico e ricco contesto, della seconda metà del Settecento, ai migliori scopi francesi. Questo modello critico – la storia del presente, un saggio inglese che rompe la monumentalità della prosa francese, la composizione del concetto con un’immagine che gli sfugge come concetto (che persiste e riappare nel XIX secolo, in un altro contesto) – è servito a portare i fondamenti dell'uguaglianza per il dibattito politico, conferendogli lo status di passione politica, passione dell'uguaglianza.

Ciò che il libro di Vinicius de Figueiredo mostra con eleganza, con una prosa quasi modesta, che funziona in modo eccellente, poiché trae il suo miglior effetto dal suo stesso tema, e non da un mabalaismo formale. Partendo, in parte, dagli antecedenti dell’uguaglianza politica e dal modo in cui essi erano profondamente radicati nel dibattito morale (e anche metafisico) francese del lungo XVII secolo, e dal modo in cui quel dibattito non solo plasmò il dibattito tipicamente politico che ne seguì esso, ma servì anche come ottimo materiale per le avventure del XVIII secolo.

Questa uguaglianza ha prodotto uno dei più grandi effetti della storia europea, compresa la Rivoluzione francese, che ha avuto ripercussioni, in senso diverso rispetto alla Rivoluzione americana, sulla Rivoluzione haitiana, un’altra rivoluzione americana. Il momento successivo alla Rivoluzione del 1789 è uno dei più complessi: come sfuggire alla Rivoluzione senza sfuggire a questa passione decisiva, che per un momento è stata globale – globale alla maniera europea – la passione per l’uguaglianza?

Ecco perché serve e torna tanto utile la memoria aristocratica dei liberali del XIX secolo, loro che furono i primi storici della Rivoluzione francese: è la memoria della brutale retrocessione subita nella Fronda e, da allora, rimuginando spiritualmente sulla soluzioni e vie d’uscita da quel capolinea”. eroico”, si arriva alla formulazione di Tocqueville: “L’antica aristocrazia francese, che era più illuminata della nostra classe media e dotata di un spirito di gruppo molto più potente, aveva già dato lo stesso esempio [difendere l’uguaglianza invece di difendere i propri interessi, AOTC]: ha finito per pensare che fosse di buon gusto censurare le proprie prerogative e gridare contro gli abusi che stava subendo”. (TOCQUEVILLE, p. 80, 2011).

L’acutezza critica dell’osservazione, conosciuta e socialmente collocata, deriva dal fatto che il discorso politico si costituisce come discorso di uguaglianza, attraverso un processo così profondo e con effetti così “spettacolari”, cioè visibili e retorici, che anche il L'aristocrazia, quando si opponeva al Re, contro il quale avrebbe potuto avere innumerevoli insoddisfazioni, ma che gli doveva enormi privilegi, non riuscì a generare altro discorso se non questo, che, inaspettatamente, mise in luce, attraverso l'uguaglianza, non solo la borghesia e la sua avanguardia , anche al popolo, per quanto paradossale possa essere.

Tocqueville lo corregge e lo corregge criticamente, ma non senza prima accettare la condizione della passione politica francese, la passione dell'uguaglianza. Certo, in questo bilancio, resta da dire come l’uguaglianza, idea, valore e fondamento morale, trasversali la borghesia francese che fece una Rivoluzione, e poi si adeguò ad ogni forma di ripiegamento e di impegno di governo insieme all’aristocrazia, nella migliore delle ipotesi burocratiche. e il senso regressivo del termine. Si scopre che anche in questo caso o da questo punto di vista, il che è notevole, prevale la passione per l'uguaglianza.

In un altro commento al libro di Vinicius de Figueiredo, Hernandez Vivan Eichenberger suggerisce un paragone non privo di interesse, e qui il gioco di parole è davvero involontario: “Ritorno, non a caso, al sottotitolo di Passioni e interessi: argomenti politici a favore del capitalismo prima del suo trionfo di Albert Hirschman (Pace e Terra, 2000). Principalmente perché in un certo senso mi sembra legittimo pensarlo La passione per l'uguaglianza come qualcosa di vicino a un “doppio” del libro di Hirschman. Se Hirschman era impegnato nella lunga concatenazione di idee che finiranno per sottendere la nozione di “interesse” come precondizione dell’idea stessa dei benefici sociali del commercio e dell’accumulazione, Figueiredo è attento, invece, alla nozione di uguaglianza come se si sviluppasse dalla sua genesi nell’abbazia di Port-Royal attraverso i profondi spostamenti che confluiranno in Rousseau. Qual è allora la somiglianza? In entrambi i casi, si tratta di raccontare una storia di idee arrivate alla conquista del mondo prima della loro effettiva realizzazione nelle principali strutture sociali, politiche e giuridiche. La differenza essenziale sta nel fatto che, secondo l'espressione di Figueiredo, egli stesso organizza la sua indagine nella “mano francese” di questo processo, mentre Hirschman nella “mano inglese”. (Eichenberger, 2022)

Prendendo il libro di Hirschman, nel commento di Hernandez Eichenberger che abbiamo anche segnalato, il significato francese di passione per l'uguaglianza diventa ancora più enfatico: la grammatica politica, in Francia, non permetteva di pensare all'interesse, nella sua accezione inglese, come un elemento moderno del problema politico e dei suoi compiti.

Tutto questo ci viene offerto nel libro di Vinicius de Figueiredo, dal quale mi sono preso la libertà di riflettere un po' di più. Non una libertà qualsiasi.

L'ultimo finalmente. Tra le tante scoperte contenute in questo libro, le analisi di Watteau di Vinicius de Figueiredo servono come conclusione: “È importante notare che il Pellegrinaggio a Citera Non si tratta di un'indagine isolata dell'universo di intermittenze che circondano l'agire umano. Al contrario, il dipinto rivela un'inclinazione che anima una parte significativa dell'opera di Watteau. Non ci imbattiamo quasi mai in quella che, in mancanza di un nome migliore, potrebbe essere definita “l’azione principale”. Invece di inseguire la selvaggina, ciò che vediamo sono i cacciatori che riposano; invece della battaglia sanguinosa o epica, i soldati si fermano; invece dello spettacolo, l'intervallo in cui gli attori, nei loro costumi caratteristici, differiscono per un istante dai tipi che rappresentano. (FIGUEIREDO, pag. 138, 2021)

Anche in questo commento di chiusura, il nostro commento, rimaniamo tra le azioni, tra le quinte, tra gli atti della commedia, quasi nell'intervallo minimo delle cesure silenziose, dei versi raciniani, oscillando tra i temi del libro, divagando in allo stesso modo di Watteau, ricordando, inoltre, che ci sono dubbi sul significato del pellegrinaggio, sia che i pellegrini, anonimi e disperati, arrivino all'Isola o ritornino nel Continente. Questo luogo di assenza di “azione principale” ci è servito per inquadrare meglio la domanda profonda con cui si conclude il libro. Cos’altro non sappiamo sull’uguaglianza? Come i pellegrini di Citera, non sappiamo più esattamente se l’uguaglianza verrà o se ne andrà.

*Alexandre de Oliveira Torres Carrasco è professore di filosofia all'Università Federale di São Paulo (UNIFESP).

Riferimento


Vinicius de Figueiredo. La passione per l'uguaglianza, una genealogia dell'individuo morale in Francia. Belo Horizonte, Relicário, 2021, 276 pagine. [https://amzn.to/46mKZhO]

Bibliografia


FIGUEIREDO, V. La passione per l'uguaglianza. Belo Horizonte: Reliquiario, 2021.

TOCQUEVILLE, A. Ricordi del 1948. San Paolo: Penguin&Companhia, 2011.

FOUCAULT, M. La vie: l'experience et la science. Revue de Méthapysique et de Morale. Parigi, no. 1, gennaio-marzo 1985.

ADORNO, T. Minima Moralia. San Paolo: Ática, 1993.

EICHENBERGER, HV Strade vie verso l'uguaglianza. Ascoltando. Rivista di Politica e Cultura.


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