da WANDERSON CHAVES*
Reintrodurre il meticciato come argomento della lotta antirazzista non aiuta nella disputa sui significati dell’essere nero
Eberval Gadelha Figueiredo Jr., nell'articolo “La questione marrone”, pubblicato sul sito web la terra è rotonda, solleva – sull'esempio di quanto ha fatto anche l'attivista e ricercatrice Beatriz Bueno, entrambe esponenti di una tendenza emergente – alcuni temi del movimento della “parditudine”.
Esiste un’indagine sulle questioni rilevanti e in sospeso: potere e diritti per i non bianchi sottorappresentati, in particolare, i discendenti delle popolazioni indigene non “indianizzate”; e le condizioni per lo svolgimento – in termini di merito e criteri di giudizio – delle commissioni di eteroidentificazione delle commissioni di valutazione delle quote razziali. Le basi delle argomentazioni, a prima vista interessanti, sono però problematiche – ed è ciò che cerco di suggerire – per lo sviluppo della stessa lotta antirazzista.
È un programma politico. L'opera Il popolo brasiliano, di Darcy Ribeiro, nelle sue bellissime formulazioni utopistiche su una civiltà meticcia brasiliana che è il faro del mondo, è un'esplicita fonte di ispirazione. In quest'opera si riscontra anche – nella parte che interessa questo argomento – una debolezza argomentativa: le premesse analitiche sono quelle di una famosa visione della storia comparata, in cui il Brasile campeggia sempre come l'antagonista (negativo o positivo) dell'America.
Un lontano e suggestivo antecedente a questa tendenza risale alla schiavitù in entrambi i paesi (e alla disputa sulle sue eredità). Il dibattito bilaterale su questo tema attualizza in genere una tradizione ben nota: Brasile e USA si costruiscono come opposti, per stabilire, in questa operazione, – o, soprattutto, proporre e naturalizzare – i principi della propria identità, e la formazione della cittadinanza nei loro paesi.[I] L’argomento in gioco è quello della superiorità morale, ma Brasile e USA non sono sempre (purtroppo) così diversi in materia razziale come si presume o come si vorrebbe. Ci sono più prove di differenze di grado che di modelli che separano le nazioni.[Ii]
Beatriz Bueno, nel suo articolo “Impedito di entrare in Wakanda”[Iii], sembra, a prima vista, proporre un alterco, mettendo in discussione l'egemonia nordamericana nel campo delle idee; tuttavia, la sua argomentazione contro la sussunzione e la cancellazione del “marrone” è un’applicazione del “colorismo”, proprio una tendenza americana degli ultimi decenni. Quello che viene chiamato “colorismo”, è vero, è un vecchio tema in Brasile, custodito nella nostra secolare nozione classificatoria di “gradiente di colore”, in cui un’infinità di termini razziali venivano catalogati e, ovviamente, gerarchizzati. e origine.
Questo gradiente conteneva, fino a tempi molto recenti, tutto il repertorio brasiliano dei termini razziali, ricco di forme che mettevano in risalto la nostra varietà di “meticci” bianchi, che, in questa griglia di stratificazione umana, formavano una distanza dal polo in cui i “meticci” si trovavano più scuri. Di fatto, il movimento nero contemporaneo ha compiuto una trasformazione: di fronte a questo gradiente, ha inglobato il “popolo bruno” e lo ha avvicinato al polo politico nero.[Iv]
Pertanto, sembra esserci poca innovazione nell’applicazione della prospettiva colorista al Brasile. In effetti, un dato di fatto: va dritto al cuore delle profonde tradizioni nazionali. Pone il meticciato al centro etico-morale delle nostre nozioni di vita comune e delle nostre ambizioni culturali, trasportando sulla scena della vita privata, della sessualità e della formazione familiare, il terreno di discussione di problemi di natura pubblica, in attesa di soluzione.
La promessa del meticciato sarebbe quella di armonizzare, nella vita privata, ciò che nella vita pubblica e sociale sarebbe caos e conflitto. In effetti, non c’è niente che il meticciato possa fare contro il conflitto che costituisce la sfera pubblica se non pacificarlo; postulazione che non è nemmeno una proposta originale brasiliana, ma, tra tanti esempi, l’impegno del nazionalismo latinoamericano in generale, la cui parola d’ordine (e, compreso il suo razzismo meticciato), dal XIX secolo, è sempre stata pacificazione.[V] Allora, quali conflitti vuoi pacificare?
La mia impressione (chissà, di centesimi) è ciò di cui si parla – in questa traduzione del dibattito colorista, di risentimento e rivalità. Si parla della riluttanza a contestare i significati dell’essere nero, a formare un’alleanza con questo blocco politico. E la ragione più forte – almeno secondo l'articolo di Beatriz Bueno – è quella di salvaguardare il contenuto delle alleanze familiari nelle case “meticce”; che questa vita di intimità non venga distrutta da contraddizioni e imposizioni ad essa esterne e, si prevede, che i fondamenti etico-morali di questo ordine familiare “razza mista” e dell’ordine pubblico possano armonizzarsi e rispecchiarsi a vicenda.
Un’altra ragione è l’aspettativa che la superiorità demografica dei “marroni” rispetto a quella dei “neri” corrisponda a possibilità proporzionali di potere, leadership e diritti. Implicitamente, risponde a un sentimento di umiliazione, di vedere le “persone di colore” escluse da qualcosa che sarebbe anche loro, anche in termini di leadership e legittimità, un’umiliazione, appunto, che – per alcuni – sembrerebbe peggiore perché sono non escluso dai bianchi, ma dai neri.
L’antirazzismo incontra difficoltà nel diventare una vera filosofia di liberazione. Fondamentalmente non sarebbe possibile uscire dal registro della resistenza e della vittimizzazione ed entrare in quello dell’insurrezione e della ricreazione del mondo. Finora non sono stato convinto che la reintroduzione del meticciato come argomento di lotta antirazzista ci porti verso questa nuova strada.[Vi] Infatti, rendere il meticciato un “non-problema”, che sia solo un fenomeno aperto di libertà individuale (come, storicamente, non è stato) e non una sorta di grazia redentrice o di obbrobrio morale, ci farebbe un enorme bene.
*Wanderson Chaves È uno storico con un diploma post-dottorato presso il Dipartimento di Storia dell'USP. Autore, tra gli altri libri, di La questione nera: la Fondazione Ford e la Guerra Fredda (Appris). [https://amzn.to/3VlndjC]
note:
[I] Negli ultimi secoli, Brasile e Stati Uniti hanno oscillato tra i poli dell’inferno e del paradiso razziale, scambiandosi a vicenda. Per una storia delle prime elaborazioni del Brasile come paradiso razziale, nell'ambito dell'abolizionismo internazionale del XIX secolo, vedere: AZEVEDO, Célia Maria Marinho de. Abolizionismo – Stati Uniti e Brasile, una storia comparata: San Paolo: Annablume, 2003.
[Ii] L'antropologo Peter Fry, un noto freyriano, fa una valutazione contraria alla classica attribuzione di Oracy Nogueira di un “razzismo di marca” al Brasile e di un “razzismo dell'origine” agli Stati Uniti – e, in questo senso, contro l'opinione di Gilberto. sulle differenze tra paesi. Per Fry, le relazioni sociali in Brasile sarebbero strutturate più sulla tensione tra due tassonomie – la prima è quella del gradiente di colore e la seconda sulla differenza binaria tra bianchi e neri, che sull’opposizione tra loro. Per lui qualcosa di simile si potrebbe dire degli USA, ma con il privilegio della tassonomia binaria. Vedi: FRY, Peter. La persistenza della razza: saggi antropologici su Brasile e Africa meridionale. Rio de Janeiro: Civiltà Brasiliana, 2005, in particolare il cap. 7.
[Iii] BUENO, Beatriz e SAINT CLAIR, Ericson. Divieto di entrare in Wakanda – Riflessioni sulla parditudine, manifestazioni mediatiche e sfide di appartenenza. Intercom – Società Brasiliana di Studi Interdisciplinari sulla Comunicazione, 44° Congresso Brasiliano di Scienze della Comunicazione – VIRTUALE – dal 4/9 al 10/2021.
[Iv] Descrivo dettagliatamente questa trasformazione tematica in: CHAVES, Wanderson. Tra Mendel e Lamarck: il discorso accademico sulla razza e la controversia sul gradiente di colore. Brasile (1990-2005). Tesi di laurea. Brasilia: UnB / CEPPAC, 2007.
[V] Sulla nostra tradizione di pensiero politico, ricca di forti parallelismi con la letteratura romanzesca e seriale segnata dallo sforzo di tradurre le alleanze sessuali e coniugali in aspettative di alleanze sociali e conciliazione politica, si veda: SOMMER, Doris. Finzioni fondatrici: i romanzi nazionali dell'America Latina. Belo Horizonte: Editora UFMG, 2004.
[Vi] L’opinione freyriana secondo cui il “meticciato” è un motore “deracializzante” della società è ben nota. Peter Fry, ad esempio, porterà ulteriormente questa idea e dirà che il meticciato, per questo motivo, creerebbe l'ambiente più adatto per promuovere le libertà e i diritti del liberalismo perché incoraggia l'emergere di individui a pieno titolo (vedi nota 2). A questo proposito seguo, in mancanza di un’argomentazione più convincente, la posizione dello storico e filosofo Pierre-André Taguieff, per il quale il meticciato, elevato a condizione di ideologia e filosofia politica (e non solo come qualità descrittiva della demografia umana) è una potente forza di razzializzazione delle società. Vedere: La forza del pregiudizio: sul razzismo e i suoi doppi. Minneapolis e Londra: University of Minnesota Press, 2001.
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