da PRODUZIONE MARIAROSARIA*
Commento ad una poesia in forma di saggio documentario di Pier Paolo Pasolini
Il 13 aprile 1963, al Cine Lux di Genova, la rabbia (La rabbia, 1963), firmato da Pier Paolo Pasolini (prima parte) e Giovannino Guareschi (seconda parte). Il film rimase in mostra per due giorni a Milano, Roma e Firenze, e smise di circolare fino all'inizio degli anni '1990, quando venne distribuito in videocassetta e trasmesso dalla televisione di Stato.,
Se il pubblico ha accolto il documentario con indifferenza, la critica in generale non lo ha apprezzato, detestando la parte di Guareschi e non entusiasta di quella di Pasolini, delusa, come gli spettatori, dalla mancanza di scontro tra gli ideali di un regista di sinistra e quello di un regista di sinistra. il diritto, poiché nell'opera non vi era contrasto dialettico tra i due autori, ma solo giustapposizione di visioni antagoniste.
Con la rabbia, tuttavia, Pasolini cercò di aprire la strada a “un nuovo genere cinematografico”, in linea con l'esplorazione di nuove forme espressive in campo letterario e affini, all'inizio degli anni Sessanta, secondo Maria Rizzarelli. Alla fine degli anni Cinquanta, infatti, lo scrittore accettò di scrivere per il mensile un servizio dal titolo “La lunga strada di sabbia”. successo, quando, tra giugno e agosto 1959, percorse praticamente tutta la costa italiana, in un viaggio in macchina., Questo resoconto, in cui Pasolini già cominciava a coniugare le sue impressioni con immagini prodotte da altri – le foto erano di Paolo Di Paolo – conteneva ancora il germe del documentario. Comezi d'amore (manifestazioni d'amore, 1964), quando, al volante della sua automobile, percorreva l'Italia in ogni direzione, brandendo un microfono, per intervistare i suoi connazionali sulla sessualità.
Inoltre, dentro Appunti per un'Orestiade africana (Appunti per un'Orestea africana, 1969), le sequenze preliminari girate in Uganda e Tanzania, come se fossero effettivamente quelle dell'opera da realizzare, erano intervallate da materiale d'archivio e dal dibattito tra Pasolini e gli studenti africani dell'Università di Roma, ai quali ha presentato il progetto del film. Mai modificato Appunti per un romanzo sull'immondezza (1970), in cui aveva filmato le assemblee degli spazzini in sciopero e il loro umile lavoro per le strade della capitale italiana, l'audio, andato perduto, conteneva interviste e un commento in poesia – probabilmente l'omonima composizione – in che gli operai esprimevano in italiano popolare e in latino, la lingua degli angeli: così, poeticamente, Pasolini inserirà il suo discorso politico in quella che avrebbe dovuto essere una mera cronaca. Caratterizza anche il mix di materiali Uccellacci e uccellini (falchi e uccelli, 1966), in cui le immagini commoventi della sepoltura di Palmiro Togliatti venivano inserite nel corpo del lungometraggio di fantasia.
Più dei tre film di finzione che lo hanno preceduto – Accattone (disadattato sociale1961), Mamma Roma (Mamma Roma, 1962) e “La ricotta”, 1963) –, il documentario del 1963 rappresentò un punto di arrivo nel percorso di Pasolin: la letteratura non bastava più all'autore, che, ampliandone il significato, cominciò a perseguire, come ha sottolineato il poeta Andrea Zanzotto, “poesia totale”, cioè un'unità “sovrappoetica”, da lui forse individuata nel cinema. Carlo di Carlo, assistente alla regia presso la rabbia, a differenza di Zanzotto, non ha dubbi: “Sono sicuro che ci sia in lui un primo approccio poetico al testo di la rabbia, in cui – […] già convinto di aver scelto un mezzo più immediato, più reale, più liberatorio, che era il cinema con il suo linguaggio – cercò di sperimentare il suo linguaggio nel linguaggio del cinema” (dichiarazione a Tatti Sanguineti) .
la rabbia, corrispondendo a un punto di arrivo, ha rappresentato anche un punto di partenza per nuovi percorsi cinematografici (come notato), in cui si emulavano esperienze poetiche che Pasolini aveva già portato avanti, in cui il lettore era invitato a completare immagini liriche lasciate in suspense.,
o titolo la rabbia non era nuovo all'opera di Pasolin, poiché aveva già citato una poesia pubblicata dalla rivista Nuovi argomenti (settembre-ottobre 1960), successivamente inserito nella collezione La religione del mio tempo (1961), e un volume inedito di racconti, scritti nel 1960 e pubblicati sui giornali tra il quarto trimestre di quell'anno e l'inizio di quello successivo. Il 16 luglio 1962 Pasolini firmò un contratto con il produttore Gastone Ferranti e cominciò a dedicarsi al soggetto e alla sceneggiatura del documentario, dando inizio alla travagliata avventura di la rabbia.
Ferranti, produttore del cinegiornale settimanale Mondo libero (novembre 1951-1959),, ebbe l'idea di sfruttare le immagini d'archivio di cui disponeva per realizzare un film in sei episodi (diretto da Mino Guerrini; Enzo Muzii e Piero Nelli; Ugo Guerra; Ernesto Gastaldi; Gualtiero Jacopetti e Pasolini), sulla scia di lo spot pubblicitario di enorme successo Canna Mondo (Il mondo dei cani, 1962), di Jacopetti, Paolo Cavara e Franco Prosperi, nella cui vertiginosa successione di sequenze filmate predominava un tono sensazionalistico, anche se mascherato da considerazioni morali.
Il progetto collettivo Pianeta Marte non entra sulle avventure dei marziani sulla Terra, dove scoprono le contraddizioni della vita moderna, fu tralasciato, ma Pasolini convinse il produttore ad affidargli l'impresa. La sua prima reazione esaminando il materiale d'archivio non fu positiva, ma alcuni di quei fotogrammi in bianco e nero lo incantarono, come dichiarò in un'intervista a Maurizio Liverani (“Pier Paolo Pasolini ritira la firma dal film la rabbia»”, paese sera, Roma, 14 aprile 1963): “Attratto da queste immagini, ho pensato di fare un film, purché potessi commentarlo con versi. La mia ambizione era inventare un nuovo genere cinematografico. Fare un saggio ideologico e poetico con alcune nuove sequenze”.
La sceneggiatura del film fu scritta probabilmente tra l'estate e l'autunno del 1962 (nell'emisfero settentrionale), preceduta dalla stesura di un'ampia sceneggiatura, pubblicata nel n. 38 della rivista nuova vita (20 settembre dello stesso anno), in cui, più che elencare i fatti da narrare, ciò che interessava a Pasolini era determinare l'approccio politico-poetico della sua riflessione sul mondo che lo circondava: da poeta impegnato, rifiutava la “normalità” ” nato nel dopoguerra, osservando da lontano una pace ancora minacciata da continui conflitti sociali e politici, e proclamò lo “stato di emergenza”, segnalò cioè che qualcosa intossicava la natura umana.
Nella premessa che ha preceduto l’argomentazione, l’autore ha dichiarato che si tratta di un “lavoro giornalistico” più che di un “creativo”, un “saggio” più che di un “racconto” sugli eventi accaduti tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e i primi anni '1960; tuttavia, secondo Georges Didi-Huberman, ha finito per consegnare al pubblico “un commovente atlante dell'ingiustizia contemporanea” (espressione riportata dal critico letterario Andrea Cortellessa). Inoltre, nonostante Pasolini indichi “una certa ipocrita prudenza ideologica”, nell’argomentazione l’approccio marxista del film non veniva mimetizzato, anzi, veniva esaltato nell’utopica visione finale del “cammino del cosmo” che si apriva prima degli uomini.
Oltre all'argomento, Pasolini aveva anche pubblicato cinque versi estratti dalla sceneggiatura nell'articolo di Luigi Biamonte, “Commenti in versi di Pier Paolo Pasolini per la rabbia”, pubblicato dal quotidiano romano Paese (12 ottobre 1962). Tra gli estratti poetici figurano composizioni scritte in altre occasioni: nelle ultime due sequenze del copione dedicato al cosmonauta russo German Titov, la “Ballata intellettuale per Titov” (edita da L'Europa letteraria, nell'ottobre 1961).
La “Sequenza di Marilyn” rivisita anche, con variazioni, la poesia “Marilyn”, scritta dopo la morte dell'attrice (4 agosto 1962) e cantata da Laura Betti in uno spettacolo di cabaret letterario (16 novembre dello stesso anno); Inoltre, due sequenze sull’Algeria facevano riferimento alla famosa poesia di Paul Éluard, “Liberté” (“Libertà”, 5 marzo 1942). Riducendo drasticamente le dimensioni della composizione, Pasolini trasformò l'inno alla libertà del territorio francese dall'occupazione nazista nel lugubre canto di liberazione degli algerini dalla lunga colonizzazione, mentre sullo schermo apparivano foto di persone torturate e maltrattate, forse influenzato dalla lettura di I Dannati della Terra (1961) di Frantz Fanon.
Il regista ha utilizzato anche sequenze di cinegiornali cechi, inglesi e sovietici; foto tracciate dall'assistente alla regia, riproduzioni di opere a tema sociale di Ben Shahn (cinque dipinti), George Grosz (un disegno) e Renato Guttuso (otto dipinti); opere astratte di Jean Fautrier (tempere e pastelli), riproduzioni in bianco e nero di dipinti di pittori di epoche diverse: Giovanni Pontormo, Georges Braque e Jackson Pollock.
Le voci erano previste per la colonna sonora ancora, a cui si alternavano, di volta in volta, momenti di silenzio, rumori (rumore di bombardamenti, cannoni, scontri a fuoco; rintocchi di campane, sirene, ecc.), temi musicali, canti popolari, canti rivoluzionari cubani e algerini, canti popolari russi . Le voci ancora Erano tre: il voce ufficiale, cioè la voce narrante del materiale d'archivio, e le due “voci che leggono” – come le chiamava Pasolini –, le voce nella poesia e voce in prosa, che formava una nuova voce narrativa, dispiegata e sovrapposta all'audio originale. Mentre le tre voci leggevano – a volte isolate, a volte intrecciate –, le carte a volte venivano intervallate.
Se il voce ufficiale Era quello del conduttore del cinegiornale, lo scrittore Giorgio Bassani, a cui era stato affidato il compito quasi sempre pacifico voce nella poesia, mentre il pittore Renato Guttuso ne aveva curato l'animazione voce in prosa. Le voci del commento autoriale, chiaramente definite nella sceneggiatura, a volte si fondono e diventano indistinguibili nell'audio del documentario, non solo quando i due interpreti si alternano nella lettura, ma soprattutto perché, spesso, il linguaggio poetico non era legato alla metrica regole e ritmiche, mentre la prosa rivelava un tono lirico.
L'ordine di presentazione dei fatti narrati nel documentario non deve essere strettamente cronologico, perché è subordinato al principio del montaggio, per affinità o contrasto tematico, come metodo di costruzione del discorso di Pasolin. Infatti, seguendo alcune linee tematiche, le sequenze previste nella sceneggiatura possono essere raggruppate in sezioni o macrosequenze.
La prima sezione potrebbe includere sequenze sul nuovo ordine mondiale del dopoguerra e sulle conseguenze della Guerra Fredda. Dopo la solenne sepoltura dell'ex presidente del Consiglio Alcide De Gasperi (23 agosto 1954), invece, si sarebbe svolta la semplice cerimonia di rimpatrio delle spoglie dei soldati italiani trucidati in Grecia dalle truppe naziste (1 marzo 1953). Sebbene la minaccia di una guerra atomica incombesse sul mondo, la stessa vecchia Europa, guardando al futuro, rinasceva insieme, con il capitalismo pronto a ricominciare a manipolare la classe operaia.
Una statua di Cristo, con le braccia tese in segno di pace, fu deposta sul fondo del mare in Italia (29 agosto 1954); in Corea però la lotta fratricida era continuata fino all'armistizio del 27 luglio 1953, e mentre vi era uno scambio di ostaggi tra nazionalisti e comunisti, gli ultimi prigionieri italiani in Russia tornavano in patria (15 gennaio 1954). Nel mondo sembrava regnare la pace, ma in Svizzera i quattro rappresentanti delle nazioni che avevano vinto la Seconda Guerra Mondiale – Dwight D. Eisenhower (Presidente degli Stati Uniti), Anthony Eden (primo ministro Britannico), Nikolai Bulganin (premier dell'Unione Sovietica) e Edgar Faure (primo ministro francese) – “si ritrovarono con la guerra nel cuore”, secondo Pasolini.
Non appena la vita riprese il suo corso, le alluvioni, soprattutto nella prima metà degli anni Cinquanta, punirono diversi “paesi innocenti”: l’Inghilterra (invasa dalle “acque del Diavolo”), la Francia (dalle “acque del Feudalesimo”), Germania (dalle “Acque dei Semiti”), Australia (dalle “acque dei Millenni”) e Italia (dalle “acque dell’Ultima Ora”). Elencandoli, il poeta sembrava pronunciare una sorta di anatema contro di loro, che dovevano pagare per i propri errori, un monito ironico, senza quella “falsa misericordia” con cui la Pontificia Opera di Assistenza aveva prontamente aiutato le vittime italiane.
Al “male della vita” si era accompagnato il “bene della vita”, che aveva innescato una serie di manifestazioni artistiche popolari in Germania, Australia, Venezia, Pavia, ecc., intervallate da riproduzioni di opere di Shahn e Grosz, manifestazioni che servì a controllare la popolazione e a preparare il terreno all’avvento della televisione, “una nuova arma […] inventata per diffondere la falsità, la menzogna” e la “morte dell’anima”. Quindi, il bene e il male nella vita erano uguali.
Una sequenza di immagini dedicate alla Rivoluzione ungherese aprirebbe una nuova sezione, insieme a due segmenti sulle manifestazioni di solidarietà a Roma e Parigi. Nel film, il testo, con la sua intonazione melodiosa, sovrapposto alle immagini sembra suggerire un sentimento di pietà da parte del poeta nei confronti degli insorti, ma si tratta di un falso indizio, perché l'uso ripetitivo e cadenzato dell'aggettivo “nero”, abbinato ad altri due aggettivi, “bianco"E"Borghese” – tutti e tre con il significato negativo di “reazionario, conservatore, conformista” – e con il sostantivo “Controllo”, rivela quanto Pasolini fosse schierato con il Partito Comunista Italiano nella sua visione negativa degli avvenimenti di Ungheria (23 ottobre-10 novembre 1956).
Due frammenti sulla crisi del Canale di Suez (ottobre 1956-marzo 1957) inquadrano la sezione dedicata alla questione del Terzo Mondo e della Nerezza, che comprendeva sia la Rivoluzione Cubana (1959) che la successiva Invasione della Baia dei Porci (1961). nonché la fine del colonialismo europeo in Africa – Congo (1960), Tunisia (1956), Tanganica (1962), Togo (1960), Algeria (1962) – con rapidi riferimenti anche ai paesi asiatici (India, Indonesia).
Alla liberazione dei paesi del Terzo Mondo – gioiosa, nonostante l’arduo cammino da percorrere – il poeta contrappose la liberazione dei paesi del Terzo Mondo, la gioia volgare dei servi del capitale, in una piccola serie di sequenze che esaltavano le vite futili dei potenti, nonché i loro riti vecchi e nuovi. Emergono così le immagini dell'incoronazione della regina d'Inghilterra, dell'elezione di Ike Eisenhower, della morte di Pio XII e dell'ascensione al soglio pontificio di Giovanni XXIII, del quale, per le sue origini contadine, il poeta auspica che diventi “il Pastore dei Miserabili”, al quale appartiene il “Mondo Antico”.
L'utopia di Pasolin di una nuova società basata sulla tradizione lo portò a esaltare molto l'Unione Sovietica: “Una nazione che ricomincia la sua storia, innanzitutto, restituisce agli uomini l'umiltà di assomigliare innocentemente ai loro genitori. La tradizione!…". Il poeta le dedica una macrosequenza, in cui al radioso futuro socialista, ancorato all'arcaico mondo contadino, si contrappone subito l'allarmante futuro neocapitalista. La visione di Pasolini dell'Unione Sovietica trova il suo fondamento negli ideali della Rivoluzione d'Ottobre, che aveva fatto propri i “valori dell'umanesimo contadino”, nelle parole di Francesca Tuscano, rappresentata da Nikita Kruschev, il quale, nell'ultima sequenza del film, risponderà al vostro appello per la pace.
L'unica nota dissonante rispetto all'Urss è la visita alla Galleria Tretyakov, in cui le “glorie della pittura sovietica” venivano descritte con la stessa ironia con cui Pasolini attaccava l'informalismo di Fautrier, l'arte astratta preferita dai neocapitalisti. Al rifiuto del realismo socialista, ereditato dall'epoca stalinista, contrappose la vitalità del pittore siciliano Renato Guttuso, con un di viaggio delle sue opere più significative per rappresentare sullo schermo il periodo nel documentario.
Nella sequenza dedicata alla morte di Marilyn Monroe – “La cosa migliore, a mio ricordo, del film, l'unica parte degna di essere preservata”, come dichiarò a Jon Halliday –, foto dell'attrice, immagini di esplosioni atomiche, di una processione della Settimana Santa, tra gli altri, stabilì una relazione sui generis di assemblaggi paralleli, poiché appartenenti a spazi e tempi diversi.
È proprio da Pasolini – per il quale il montaggio cinematografico era un gioco di montaggio e smontaggio – che Didi-Huberman analizza l'importanza del montaggio nella poetica che presiede al frammento su Marilyn e, successivamente, a quello delle mogli dei minatori italiani morti nel 1955. , quando l'autore raggiunse, dal punto di vista poetico, uno dei momenti più alti della sua sceneggiatura. Più di ogni altro, questi due frammenti sono attraversati dal “paradigma della morte”: “sembra che il montaggio sia destinato a tener conto della morte per smontarlo e poi rimontarlo di nuovo stesso, stabilendo così una forma di sopravvivenza. Ora, la configurazione principale di tale forma – la forma antropologica e poetica principale dell’intera operazione – non è altro che trenos, il canto funebre che Pasolini, in la rabbia, volevo ostinatamente ritornare da solo”.,
Quando l'autore ha finito di montare la copia (100 minuti) e prima di iniziare la registrazione della voce fuori campo, ha mostrato il film al produttore, che è rimasto sorpreso dal risultato e, temendo i tagli della censura e un fallimento commerciale, ha proposto di istituire un contrappunto alle idee di un autore anticomunista, Giovannino Guareschi. al fine di garantire che gli stessi eventi storici fossero mostrati da diversi punti di vista.
All'inizio di gennaio del 1963 Guareschi è già a Roma per lavorare dal canto suo, mentre Pasolini dà una nuova struttura al film (per adattarlo ai 50 minuti previsti), tagliando sedici sequenze iniziali e iniziando la seconda versione con la Rivoluzione ungherese. , al suono di Adagio in sol minore, di Tommaso Albinoni. Alcune sequenze furono spostate o fuse con altre o addirittura accorciate, il che alterava il ritmo cadenzato della successione delle immagini, fatti riscontrabili in un minuzioso confronto con la sceneggiatura, poiché la copia originale non si è conservata.
Sebbene gli autori lavorassero separatamente e senza sfidarsi a vicenda, il produttore inventò un disaccordo per alimentare la stampa e stuzzicare la curiosità del pubblico. Una trovata pubblicitaria alla quale i due si sono prestati, con dichiarazioni e anche uno scambio epistolare. Il poeta, però, vedendo la parte di Guareschi – non solo reazionaria e indifferentista, ma soprattutto pericolosamente demagogica – si indignò e annunciò che avrebbe tolto la sua firma dal film, fatto che rimase alquanto nebuloso.
Distribuito in poche copie, il documentario fu ritirato dalla circolazione dalla Warner Bros, probabilmente a causa dei contenuti antiamericani di Guareschi, in cui gli Stati Uniti venivano chiamati carnefici e assassini, il presidente John Kennedy veniva ridicolizzato e l'inno della Marina veniva diffamato. Alla fine il discorso poetico di Pasolini era stato sconfitto dal populismo di Guareschi.
Cercando di salvare il salvabile, Ferranti pensò di rielaborare il film, contattando prima Guareschi, la cui proposta prevedeva un vero confronto tra i due autori e stabiliva una serie di temi che alteravano l'intera struttura del documentario. Terminato il contratto e interessato a nuovi progetti, Pasolini non cadde nella nuova trappola del produttore, che finì per assumere il regista Ugo Gregoretti, il quale suggerì modifiche molto vicine alla proposta di Guareschi; la nuova versione, tuttavia, non è decollata.
Nel 2001, il testo originale di la rabbia pasoliniana e, nel 2007, Tatti Sanguineti, vedendo la copia restaurata del documentario del 1963, mise in guardia sulle differenze tra la sceneggiatura e il film, lanciando l'idea di provare a riportare sullo schermo la versione originale, dal momento che era disponibile anche il materiale. Giuseppe Bertolucci ha assunto l'incarico e, alla 65esima edizione del Festival di Venezia, ha presentato La rabbia di Pasolini. Ipotesi di ricotruzione della versione originale del film (28 agosto 2008). I sedici temi iniziali furono recuperati, ma altri tagli no; lo stesso regista e lo scrittore Valerio Magrelli furono le nuove voci, ma la versione “restaurata” non convinse tutta la critica, sollevando dubbi anche sulla sua validità filologica.
Sessant'anni dopo, la rabbia continua ad essere un’opera “bifronte”, per la contrastante convivenza tra il “poesia-fiume» (la sceneggiatura pasoliniana) e il documentario firmato da Pasolini e Guareschi., La rabbia di Pasolini. Ipotesi di ricotruzione della versione originale del film è un’opera di Bertolucci, non è un film restaurato, né lo è”cinema ritrovare”, poiché l’edizione del 1963 fu il risultato di modifiche apportate dallo stesso Pasolini per far posto alla parte di Guareschi. La sua versione cinematografica, dunque, è questa e accettare solo la metà pasoliniana significherebbe rifiutare il confronto estremo di idee – così caratteristico di quegli anni della storia italiana – che nasce dal sodalizio dei due autori.
*Mariarosaria Fabris è professore in pensione presso il Dipartimento di Lettere Moderne della FFLCH-USP. Autore, tra gli altri libri, di Neorealismo cinematografico italiano: una lettura (Edusp).
Questo testo è un succinto riassunto di un lungo saggio, “la rabbia di Pier Paolo Pasolini: appunti su un poem in forma di documentario”, di prossima pubblicazione dalla Rivista italiana di studi letterari Campus immaginabili.
Riferimenti
Cortellessa, Andrea. “Nella miniera” [nota introduttiva a “'Syntagmi di vita e paradigma di morte. Presentazione di: Georges Didi-Huberman, Sentire il grisou', Orthotes, 2021”). La rivista di engramma, Venezia, n. 181, maggio 2021.
didi-huberman, Georges. “'Sintagmi di vita e paradigma di morte. Presentazione di: Georges Didi-Huberman, Sentire il grisou', Orthotes, 2021”. La rivista di engramma, Venezia, n. 181, maggio 2021.
Halliday, Jon. Pasolini su Pasolini. Conversazione con Jon Halliday. Parma: Guanda, 1992 (https://amzn.to/3YP9pxj).
Pasolini, Pier Paolo. “Osservazioni sul pianoforte-sequenza” (1967). In Pasolini, Pier Paolo. empirismo eretico. Milano: Garzanti, 1972 (https://amzn.to/3OMVq6J).
Pasolini, Pier Paolo. "Premessa." In: pasolini, Pier Paolo. Cinema di profilo. Milano: Mondadori, 2001, volume II (https://amzn.to/3QU6BwZ).
Pasolini, Pier Paolo. “La rabbia” (1962-1963); “[Il 'trattamento']” (1962). In: pasolini, Pier Paolo. Cinema di profilo. Milano: Mondadori, 2001, volume I (https://amzn.to/3QU6BwZ).
Rizzarelli, Maria. “Una rabbia 'non catalogabile' – Pasolini e il montaggio della poesia”. La rivista di engramma, Venezia, n. 150, ott. 2017.
SANGUINETI, Tatti. “La Rabbia 1, La Rabbia 2, La Rabbia 3… L'Arabia” [Contenuto extra del DVD la rabbia]. Bologna: Gruppo Editoriale Minerva RaroVideo, 2008.
Toscano, Francesca. La Russia in poesia di Pier Paolo Pasolini. Milano: BookTime, 2010 (https://amzn.to/47JjUX3).
Zanzotto, Andrea. “Pasolini poeta”. In: zanzotto, Andrea e NALDINI, NICO (org.). Pasolini: poesia e ritrovate pag. Roma: Lato Side Editori, 1980.
note:
[1] Nella seconda metà degli anni Sessanta, l'associazione di sinistra ARCI (Associazione ricreativa e culturale italiana) promosse la diffusione di alcune copie (1960 mm., bianco e nero) della sola parte di Pasolini; Quella di Guareschi è poi andata in onda sul canale di Silvio Berlusconi.
[2] Gli articoli furono pubblicati il 4 luglio, il 14 agosto e il 5 settembre dello stesso anno. Nel mio articolo “Percorsi pasoliniani” (Revista Dialogos Mediterranicos, Curitiba, no. 9, 2015, consultabile su internet), cinque pagine erano dedicate al testo di Pasolin. Nel luglio 2022, il Centro Culturale Banco do Brasil di Rio de Janeiro ha presentato le foto di Paolo Di Paolo nella mostra Lungo una lunga strada sabbiosa – La lunga strada di sabbia.
[3] Il termine “appunti”, che si ripete nel titolo di alcuni documentari e di altri testi pasoliniani, denota che l'autore considerava queste opere “incompiute”, nel senso di “lavori in corso".
[4] L’espressione “mondo libero” (= mondo libero) era stato creato da Winston Churchill (5 marzo 1946) per riferirsi ai paesi occidentali allineati con gli Stati Uniti durante il periodo della Guerra Fredda.
[5] Il concetto di montaggio di Didi-Huberman riecheggia quello di Pasolini in “Osservazioni sul piano sequenza” (1967): “La morte crea un montaggio devastante delle nostre vite: sceglie cioè i suoi momenti veramente significativi (e ormai non più modificabili da altri eventuali momenti contrari o incoerenti) e li pone uno dopo l'altro, trasformando il nostro presente, infinito, instabile e incerto, […] in un chiaro , passato stabile, giusto […]. Solo grazie alla morte la nostra vita ci serve per esprimere noi stessi. Il montaggio opera dunque sulla materia filmica […] ciò che la morte opera sulla vita”. A loro volta, le idee di Pasolin si riferiscono al contrappunto freudiano tra vita e morte, presente nel saggio Oltre il principio del piacere (Jenseits de Lustprinzips, 1920): è il pensiero della morte che dà senso alla vita.
[6] La convivenza di generi diversi sarà presente anche nel cortometraggio “La terra vista dalla luna”, terzo episodio di Le streghe / come bruxas, 1966), poiché la sceneggiatura aveva una versione scritta e una versione comica, riprodotta per la prima volta in Pier Paolo Pasolini, Ho progettato 1941-1975 (1978). In più il pezzo inedito Teorema (1966) ha dato origine a un frammento della composizione lirica poeta delle ceneri (1966-67), che può essere considerato l'argomento del film Teorema e la bozza del romanzo omonimo, entrambi del 1968.
la terra è rotonda esiste grazie ai nostri lettori e sostenitori.
Aiutaci a portare avanti questa idea.
CONTRIBUIRE