da RENATO DAGNINO*
Quali sarebbero e che importanza avrebbero all’interno dell’azienda i militari disposti a impegnarsi in progetti di ricerca e sviluppo?
Il momento che attraversa la nostra società è segnato dall'impatto delle testimonianze sui tentativi di colpo di stato da parte dei militari, sull'assassinio di agenti pubblici, ecc. dati che saranno noti da fine novembre 2024.
E, anche, per una cosa che, come studente di Ricerca e Sviluppo (R&S) e di attività di produzione militare, mi preoccupa. L'idea che la riproduzione di questi eventi possa essere evitata attribuendo queste attività ai militari.
Dichiarazioni in questo senso, da parte di personalità di sinistra e giornalisti molto influenti, hanno occupato uno spazio crescente nei media. È di Luis Nassif questo paragrafo pubblicato il 22 novembre 2024: “La riformulazione delle Forze Armate deve avvenire sulla base... dell'urgente necessità di rafforzare i settori tecnologici, in particolare dell'Esercito... [si] comporta la ricerca dell'autonomia tecnologica,... concentrarsi sull'obiettivo più grande di attrezzature tecnologiche... [dato che] ciò che le tre forze hanno da offrire sono i loro ingegneri, i loro istituti tecnologici, la possibilità di accordi tecnologici con università e istituti di ricerca civili...”.
Il tuo riferimento immediato è Manuel Domingo Neto, uno dei più importanti esperti brasiliani di studi sulla difesa che ha fatto riemergere l'idea che indirizzare l'attenzione dei militari (dotati di una cultura profondamente antidemocratica e di pratiche organizzative note come inadeguate) verso le attività di Ricerca e Sviluppo e di produzione militare porterebbe ad una diminuire la sua propensione interventista.
Comincio col sottolineare che la capacità di questa idea di assumere il carattere di a difesa politica e influenzare in modo significativo le politiche pubbliche, beneficia delle narrazioni diffuse dal complesso militare-industriale-accademico e dalla letteratura tradizionale dei paesi centrali. Il suo scopo è dimostrare che l’onere del bilancio militare derivante dai suoi obiettivi geopolitici può essere compensato da sviluppi economici e tecno-scientifici (spin-off) delle attività di Ricerca e Sviluppo e di produzione militare per il mondo civile è rimasta invariata per molti decenni.
Queste narrazioni, sebbene sistematicamente messe in discussione da studi basati su solidi quadri analitico-concettuali e prove empiriche attentamente analizzate da studiosi di Economia della Difesa dei paesi centrali a partire dagli anni ’1970, sembrano essere state qui sistematicamente ignorate.
Uno degli argomenti a riguardo difesa politica avrebbe giustificato, la proposta della Rete di rivitalizzazione dell’Industria della Difesa brasiliana (IDB) che ha dato origine alla Strategia Nazionale di Difesa (END) del 2008 era la possibilità di riprodurre il successo che avrebbe ottenuto. Questa argomentazione, che ancora incoraggia coloro che difendono questa idea, ignora gli innumerevoli lavori basati su questa letteratura critica che dimostrano che, anche nei suoi anni d’oro, tra il 1982 e il 1988, quando la fine della guerra Iran-Iraq fece praticamente cessare la difesa brasiliana. esistere, sviluppi di tale natura non si sono mai verificati.
Tra le prove mai messe in discussione, vale la pena ricordare che (i) pur essendo una sorta di enclave esportatrice, le sue esportazioni non sono mai state superiori allo 0,5% del totale; (ii) l’export promosso dall’élite civico-militare della dittatura, che lo pubblicizzava per un valore di 5 miliardi di dollari annui, ha raggiunto un valore massimo, nel 1987, di 570 milioni di dollari, con la sua media annua nel periodo 1975-1988 in cui esistevano effettivamente 186 milioni di dollari; (iii) anche la sua dimensione economica era molto inferiore a quanto riportato: la sua quota nella produzione industriale non ha mai superato lo 0,9%; e la sua quota del PIL non ha mai raggiunto lo 0,15%.
Né è stata messa in discussione la possibilità che gli improbabili successi tecnico-scientifici dell’Industria della Difesa brasiliana possano avere un impatto positivo sulla nostra azienda periferica, già notevolmente transnazionalizzata e da sempre importatrice di tecnologia. Un argomento la cui rilevanza si è intensificata a causa della contrazione e della diminuzione dell’intensità tecnologica della nostra industria manifatturiera che ne è seguita. Indebolendo, a monte, la sua capacità di assorbire eventuali sviluppi tecno-scientifici nell’industria della difesa brasiliana e, a valle, la sua capacità di fornire input materiali e umani per il suo consolidamento, l’errore di quelle narrazioni è diventato ancora più evidente.
In articolo pubblicato sul sito web la terra è rotonda, dove denuncia il “viaggio macabro” con una maestria che, da cittadino lodo e ringrazio, Manuel Domingos Neto registra in tono normativo (e cito senza voler decontestualizzare) che: “per restaurare la sua immagine, la caserma dovrà devono rendere conto coloro che, per decenni, hanno fomentato gli abissi dell’ultraconservatorismo ed esaltato la dittatura” e che “vale la pena discutere sulla costruzione della legittimità delle caserme perché, senza uno strumento di forza rispettato, lo Stato sovrano e la democrazia è un sogno irrealizzabile”.
E, tornando a ciò che ha difeso, scrive in modo propositivo e alludendo all’argomento qui discusso, che: “abbiamo bisogno di missili ipersonici, aerei, barche, droni e satelliti interamente fabbricati qui, con conoscenze brasiliane. La dipendenza esterna da armi e attrezzature attesta il fallimento della difesa nazionale”.
Ribadendo la sua importanza, esattamente la stessa frase appare in a articolo pubblicato con lo stesso contenuto il 9/12/2024.
Ed è qui che, da studioso di R&S e attività produttive militari, mi sento in dovere di criticare l’idea che per evitare “viaggi macabri” si debba provare ancora una volta ad attribuire queste attività ai militari.
Gli analisti, me compreso, sono dell’opinione che, dopo il progetto di rilancio dell’industria della difesa brasiliana, ratificato dalla Strategia di difesa nazionale e che sintomaticamente non è mai stato attuato, il rapporto di forze tra coloro che, durato settant’anni, “ha smosso le profondità dell’ultraconservatorismo” ed esaltava la dittatura” e coloro che, prima ancora di essa, cercavano “la costruzione della legittimità delle caserme” attraverso la via difesa dall’idea che qui critico.
I primi hanno messo in atto la ben nota strategia che oggi viene esposta e sulla quale mi astengo dal commentare. Gli altri hanno scambiato la proposta nazional-sviluppista con un comportamento apparentemente utilitaristico, ovvero quello di acquistare attrezzature straniere senza prendere molto sul serio ciò che stanno acquistando.
Solo per concentrarmi su una delle forze, cito il caso del FAB, la forza in cui i sostenitori di quella proposta considerata virtuosa sono riusciti, convivendo e negoziando con i primi, a differenziarsi dal percorso nazionale, generalmente fallimentare, di collegare ricerca e produzione.
In tal modo registro, tra l'altro, che la FAB ha abbandonato lo sviluppo di UAV nazionali, in favore dell'acquisizione di quelli israeliani attraverso un'associazione con una società che, come evidenziato dalla Procura, è gestita da First- parenti di grado dei suoi comandanti. Abbandonando l'ancestrale progetto satellitare nazionale dell'INPE, ha acquistato un satellite straniero.
A causa di presunte restrizioni di bilancio (forse derivanti dal fatto che i costi del personale delle Forze Armate rappresentano quasi l'80%, mentre negli USA sono pari al 22%), altri progetti di intensità tecnico-scientifica relativamente elevata sono stati accantonati. Le stesse restrizioni hanno riguardato l'acquisto dei Gripen, il cui pacchetto di trasferimento tecnologico è stato completamente sfigurato. Il tentativo di vendita di Embraer, che non è avvenuto perché la Boeing ha rinunciato, è un altro esempio di questo comportamento apparentemente utilitaristico, ma che è noto nei paesi centrali dove i militari sono censurati perché apprezzano giocattoli sempre più costosi.
Se guardassimo alle altre due forze, che molto meno della FAB si sono impegnate in attività che possano giustificare l'idea qui messa in discussione, forse emergerebbero eventi ancora più dannosi. Ciò porterebbe a dubitare dell’esistenza di un settore delle Forze Armate interessato a rispondere all’appello lanciato da alcuni esperti del settore, nonché dalle personalità e dai giornalisti di sinistra che ho citato all’inizio, con le migliori buone intenzioni. .
In conclusione, ma per chiarire un’eventuale controversia e avviare un dibattito pubblico, richiamo l’attenzione su ciò che sembrano pensare i formulatori della Nova Indústria Brasil (NIB) sull’argomento, inteso a orientare l’azione del governo federale sull’argomento prossimi dieci anni.
La sua sesta missione, la “missione di difesa”, contrariamente a quanto accade in tutto il mondo, non evidenzia le esigenze di equipaggiamento delle FA derivanti da scenari di conflitto o opportunità di mercato esterno, ecc.
Nonostante venga enfatizzata l’espressione tecnologie critiche per la difesa, i formulatori di Nova Indústria Brasil non sembrano propensi a promuovere attività legate a “missili ipersonici, aerei, imbarcazioni, droni e satelliti interamente fabbricati qui, con conoscenze brasiliane” al fine di ridurre “le dipendenza da armi e attrezzature [che] attesta il fallimento della difesa nazionale”.
L’elemento apparentemente più importante della sesta missione sono due grandi programmi che hanno poco a che fare con la ricerca e sviluppo e la produzione militare. Intesi come Strumenti Specifici per il Raggiungimento della Missione, sono il Laboratorio di Contenimento Biologico, orientato all'area sanitaria, che porterà alla costruzione del Laboratorio di Massimo Contenimento Biologico NB6, ospitato presso il Centro Nazionale di Ricerca sull'Energia e sui Materiali e il Reattore Nucleare Multiuso, a cui è associata l'espressione Progetto Modello di Tecnologia Nucleare al Servizio della Vita, focalizzato sui settori della salute, dell'industria, dell'agricoltura, dell'ambiente e dell'energia.
L’osservazione dell’ambiente globale e il suo confronto con ciò che accade nel nostro Paese sembra aver portato i formulatori a rendersi conto di quanto sarebbe irrealistico e costoso continuare ad insistere, aspettandosi benefici socioeconomici derivanti dalle ricadute economiche e tecno-scientifiche del mondo militare al settore civile promesso da proposte come quelle della rete di rivitalizzazione e della strategia di difesa nazionale.
Un’altra concezione della difesa sembra portarli a credere che la materializzazione di questa aspettativa di benefici socioeconomici debba essere raggiunta attraverso misure politiche volte a realizzare attività come quelle da loro suggerite.
Sembra anche che sia crescente la convinzione della tecnocrazia civile (che comprende questi formulatori), derivante da una lettura che mescola giudizi politici e morali sul comportamento dei militari, idea che qui viene criticata. Pertanto, orientare la politica di difesa del paese verso obiettivi civili e porre in secondo piano le proposte che mirano a guidare i militari verso la ricerca e lo sviluppo e la produzione militare, sarebbe un modo più repubblicano di attuare tale idea.
La domanda che rimane è simile alla precedente. Quali sarebbero e che importanza avrebbero all’interno dell’azienda per il personale militare disposto a impegnarsi nei progetti del Laboratorio di Contenimento Biologico e del Reattore Nucleare Multiuso, attività così lontane da quelle che, come dimostra ciò che sta venendo alla luce, tanto avvantaggiano loro ?
Per concludere, invito chiunque abbia letto fin qui a continuare con questa domanda sul modo migliore in cui noi, cittadini interessati a costruire un altro futuro, dovremmo partecipare a questo dibattito.
* Renato Dagnino È professore presso il Dipartimento di politica scientifica e tecnologica di Unicamp. Autore, tra gli altri libri, di L'industria della difesa sotto il governo Lula (Espressione popolare). [https://amzn.to/4gmxKTr]
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