La rivoluzione come questione pedagogica

Chila Kumari Singh Burman, Rivolte rosse su carta indiana, 1981
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da MASSIMO GABELLA*

Antonio Labriola e il problema della formazione dell'essere umano

C'è nel marxismo, e nella politica cui questa concezione del mondo rimanda, un elemento pedagogico irresistibile, che si declina in almeno due livelli interconnessi. Il primo riguarda il problema della formazione dell'essere umano, sia in relazione alla sua storicità irriducibile ad ogni nozione essenzialista della natura umana, sia in relazione alla brutalità della condizione umana sotto il capitalismo e, quindi, alla questione della formazione dell'“uomo nuovo”.”. Tutte le esperienze storiche di transizione al socialismo, dall'Unione Sovietica alla Cina, passando per Cuba, hanno affrontato questo problema, anche se in modi diversi.

Il secondo livello riguarda la costruzione del concreto soggetto storico il cui compito è portare avanti il ​​processo rivoluzionario e, quindi, realizzare questo immenso processo di educazione di massa. Se si esclude che la rivoluzione socialista possa realizzarsi da sola, senza l'intervento di alcuna soggettività cosciente, si pone immediatamente il problema della formazione di tale soggettività: questa può essere concepita come un processo pedagogico, in quanto legato all'acquisizione di strumenti concettuali per comprendere la realtà, la direzione consapevole dell'azione delle grandi masse, il superamento di una subalternità politica e culturale che porta i soggetti sociali sfruttati ed emarginati a recuperare la capacità di gestire il processo di riproduzione sociale oppressiva e, quindi, la loro propria educazione.

Il pensiero di Antonio Labriola offre importanti spunti per affrontare questa vasta gamma di questioni, per diversi motivi: in primo luogo, l'alta qualità generalmente riconosciuta della sua riflessione filosofica; in secondo luogo, per la centralità del tema educativo lungo tutto il suo percorso, a partire dalla lunga fase che precede la tarda adesione del pensatore al marxismo; infine, tenendo conto della fase storica particolarmente delicata e, potremmo dire, “transitoria” della crescita e maturazione del movimento operaio e socialista, durante la quale si collocava la sua riflessione marxista, interrotta solo dalla morte.

I nostri quaderni carcerari, Gramsci considera Antonio Labriola l'unico marxista italiano che, «affermando che la filosofia della prassi è indipendente da ogni altra corrente filosofica, e che è autosufficiente», ha cercato di costruirla scientificamente, contribuendo così a gettare le basi per la elaborazione dell'autonomia teorica della classe operaia, parallela e inscindibile dalla politica, entrambe decisive per la formazione e l'azione del soggetto storico rivoluzionario; da qui la necessità di rimetterlo in circolazione «e far prevalere il suo approccio al problema filosofico».

In altra pagina, il pensatore sardo pronuncia un severo giudizio sull'aneddoto raccontato da Benedetto Croce, il quale avrebbe sentito Antonio Labriola insistere sulla difficoltà di esercitare un'azione pedagogica diretta sugli indigeni di Papua, affermando che, prima di educarli, avrebbe sia opportuno “farli schiavi”. Questo approccio al problema, simile al “modo di pensare di Gentile in relazione all'insegnamento religioso nelle scuole primarie”, sembrava rivelare ad Antonio Gramsci “un falso storicismo, un meccanismo molto empirico molto vicino al più volgare evoluzionismo”; un errore che, a suo avviso, si potrebbe riscontrare anche, ancor più “evidentemente”, nell'intervista sulla questione coloniale rilasciata nel 1902, dove Antonio Labriola contava su una rapida colonizzazione della Tripolitania da parte dell'Italia.

La stessa domanda è stata spesso posta agli interpreti nel secondo dopoguerra: come conciliare in Antonio Labriola la rivendicazione dell'autonomia teorica e politica del proletariato, realizzabile attraverso un complesso processo di autoeducazione rivoluzionaria, con il giudizio sulla -adeguatezza pedagogica della sottomissione coloniale dei popoli extraeuropei? Con questo lavoro si intende tornare su queste questioni utilizzando come “angolo visivo” (per riprendere un'espressione spesso usata dal filosofo) il nodo del rapporto tra politica ed educazione nel suo pensiero marxista.

È nota la centralità dei problemi pedagogici nella riflessione e nella biografia di Antonio Labriola, da sempre impegnato nel mondo della scuola, dell'istruzione e della formazione. Alcuni studiosi hanno evidenziato la dimensione pedagogica di tutta la sua riflessione – “sempre proiettata verso il futuro, verso una trasformazione in meglio della situazione, attraverso l'educazione dell'uomo, la sua illuminazione, il suo divenire più lucido, più razionale, inserito in una società migliore” ( E. Garin) –, dando luogo a una serie di indagini su Antonio Labriola come “educatore” e “maestro perpetuo”.

Alcuni interpreti hanno poi indicato qual è il coefficiente appropriato di questo impegno pedagogico: la “fine etico-politica” che rimane immutata lungo tutto il suo percorso. “È un compito disperato” – scriveva Garin – “cercare di comprendere il suo pensiero senza riferirsi alla sua attività politico-pedagogica, sia nel periodo moderato che nel momento socialista”. Si tratta di un rapporto di reciprocità: da un lato, l'approccio ai problemi educativi parte sempre da un quadro generale di carattere politico; d'altra parte, la politica è sempre un'opera di educazione, di formazione della coscienza collettiva e di coscientizzazione, un tentativo di promuovere un progresso intellettuale e morale generale. Tuttavia, le forme concrete in cui si esprime questo motivo profondo del pensiero di Antonio Labriola mutano radicalmente nei diversi momenti dello sviluppo della sua traiettoria politica e intellettuale, in contesti storici altrettanto diversi.

Il rapporto tra educazione e politica rappresenta senza dubbio un punto di osservazione privilegiato per apprezzare lo sviluppo del pensiero di Antonio Labriola. Colpisce, invece, la sostanziale assenza, nell'ultima fase del suo itinerario, di scritti e interventi esplicitamente dedicati ai temi della scuola e della pedagogia, pur continuando ad insegnare stabilmente questa materia all'Università. Per quali motivi? Come è stato ridefinito, negli anni del marxismo, il legame tra educazione e politica? Come concepisce il marxista Labriola il problema della formazione dell'essere umano?

Quali direzioni indica per affrontare la questione dell'arretratezza culturale delle masse? In che termini il tema della formazione del soggetto storico rivoluzionario da lui concepito, viene trattato come un problema pedagogico? Come si rapportano questi interrogativi all'impegno politico e alle riflessioni filosofiche espresse nel Saggi intorno alla concezione materialista della storia? Perché, infine, arriva a considerare le conquiste coloniali passaggi necessari per il progresso dei popoli extraeuropei? Se diventa evidente che, nell'economia del suo discorso, la generale funzione politico-etico-pedagogica passa, come marxista, “dallo Stato al movimento operaio” (S. Cingari), si ha l'impressione che molte domande rimanere aperto.

*Massimo Gabella ha conseguito il dottorato in filosofia presso la Scuola Superiore di Studi Storici dell'Università di San Marino.

Estratto dall'introduzione del libro La rivoluzione come problema pedagogico. Politica ed educazione nel marxismo di Antonio Labriola (1890-1904). Bologna, il Mulino, 2022.

Traduzione: Paolo Butti di Lima.

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