da SAMO TOMŠIČ*
Considerazioni sulla concorrenza, la solidarietà e il legame sociale
Solidarietà e vita affettiva
L'assioma politico-ontologico di Margaret Thatcher implica che la somma degli individui (e delle loro famiglie) non superi in alcun modo le loro parti, che non vi sia eccedenza sociale rispetto all'organizzazione della soggettività (individualità) e della parentela (famiglia). Insistere, al contrario, sul fatto che esista una società, implicherebbe che l'essere-con o l'essere sociale supera e costituisce l'individuo e, di conseguenza, che l'individualità non implica l'indivisibilità.
Ecco cosa ha detto: “Loro [i deboli, i bisognosi e i risentiti] gettano i loro problemi sulla società, ma chi è la società? Non vi è nulla di simile! Ci sono singoli uomini, donne e famiglie, e nessun governo può fare nulla se non attraverso le persone e le persone guardano prima a se stesse”.
Non solo non ci sono individui prima del sociale, ma essi si costituiscono come individui solo nella misura in cui sono socialmente connessi.[I] Essendo socialmente connessi, sono necessariamente inseriti in uno spazio simbolico che li supera (è al di fuori di essi) e li attraversa (è al loro interno).
È qui che entra in gioco la comprensione psicoanalitica del legame sociale: “La differenza tra l'individuo e il gruppo […] è all'interno dell'individuo. Cioè, c'è qualcosa del gruppo in ogni individuo, ma questo qualcosa non può essere conosciuto coscientemente dall'individuo. Quel qualcosa nell'individuo più di se stesso è “il gruppo” o “qualcuno”, qualcosa a cui appartiene, ma in cui non è inghiottito. Perché sebbene il gruppo o l'Uno sia più grande dell'individuo, figura come parte dell'individuo. Questa è una logica peculiare – la parte è più grande di ciò di cui è parte – ma è assolutamente centrale per la psicoanalisi, che pone l'accento sulle relazioni tra gli individui. Un cambiamento in queste relazioni altera il gruppo nel suo insieme; così vedi che la parte, cioè la relazione, è allo stesso livello degli individui, non al di sopra di essi» (Copjec, Eredità).
Si può anche dire che il sociale, inteso come legame tra individui, rappresenta il superamento di sé dell'individuo, che è inerente all'individuo come sua parte costitutiva.
Oppure è altrettanto vero il movimento opposto: non solo l'individuo (parte) è maggiore del sociale (totalità); il sociale rappresenta anche il processo di esteriorizzazione di una componente costitutiva dell'individuo, proprio nella forma di un legame. In questa caratteristica, la psicoanalisi, da un lato, va contro la concezione liberale e neoliberista della soggettività politica, ma, dall'altro, richiama anche l'attenzione sul doppio legame implicito in questo processo di esteriorizzazione.
Certo, l'individuo non è mai una monade chiusa in se stessa, che precederebbe la relazionalità; è – cioè – un effetto della relazionalità. Allo stesso tempo, tuttavia, il processo di esternalizzazione spiega anche il punto che Marx ha sottolineato con la sua osservazione che gli individui non sono altro che personificazioni di categorie economiche e relazioni sociali. Ciò si esprime nel modo più drammatico sotto la maschera della spinta all'arricchimento, che può, ovviamente, essere intesa come un tratto individuale, quasi psicologico o caratteriale. Ma inserita nel legame sociale, quindi esternalizzata, ottiene l'espressione della pulsione di autovalorizzazione e di estrazione di valore dal capitale.
Allo stesso tempo, l'imperativo dell'analisi psicoanalitica, che Freud formulò nella celebre frase “Dove fu l'Esso, sarò l'Io” (Wo Eswar, soll Ich werden), potrebbe essere contestualizzata in relazione a questa complessa interazione tra, da un lato, l'individuo e il sociale, e la tensione tra il sociale e l'antisociale, dall'altro.
Il divenire dell'io è inseparabile dal divenire del sociale, che rimane internamente attraversato dalla tensione tra la tendenza a formare un legame e la tendenza a romperlo. Il "It" (Es) nella formula freudiana rappresenta proprio il rapporto ambivalente che costituisce l'essere umano come essere sociale diviso, lacerato tra le forze che uniscono il sociale e le forze che lo dissolvono.
Di qui il dualismo maturo della pulsione freudiana, che però va intesa come una tensione interna a ciò che egli chiama Triebleben, la vita delle unità. La pulsione non è né sociale né antisociale: è ambivalente. Solo l'attività che Freud chiama “lavoro di cultura” decide della sua vicenda sociale o antisociale: se la pulsione contribuisce alla costituzione dei legami sociali – in questo caso Freud la chiama “Eros” – o le pulsioni alla loro rottura, in cui caso è chiamato la pulsione di aggressione (aggressività) o pulsione di morte (Todestrieb).
La pulsione di aggressione, nella sua versione esternalizzata della pulsione di morte, mira sempre ai legami sociali e agisce contro il futuro della società; come pulsione di morte interiorizzata, mira e agisce contro il divenire del soggetto stesso (dell'io secondo l'espressione freudiana). Contro il presupposto dell'unità organica della società, che escluderebbe appunto la dimensione del divenire, Freud propone che il sociale (o il registro della cultura) rappresenti un rapporto conflittuale o dialettico tra socialità e antisocialità e, più specificamente, il predominio della legame sociale (Eros) sulla rottura di questo legame sociale (pulsione di distruzione).
Il punto della matura critica della cultura di Freud non è precisamente quello di non escludere l'antisocialità o assumere la possibilità di una condizione sociale, che sarebbe interamente purificata dalle sue impasse interne, contraddizioni e tendenze alla dissoluzione. Qui entra in gioco la pulsione di aggressività e/o di morte, che segna appunto l'impossibilità di raggiungere un sociale senza “inquietudine” e senza divenire.
La visione pessimistica di Freud della cultura, la sua insistenza sul fatto che la cultura ha fallito, è intrigante solo se preserviamo la lettura convenzionale dei suoi scritti sulla cultura, quando in realtà egli critica esplicitamente le società capitaliste in guerra e in crisi, così come la fondazione del capitalismo economia nell'imperativo universale di rinunciare alla vita.
La fragilità dei legami sociali era, infatti, una delle maggiori preoccupazioni negli scritti di Freud sulla cultura. Con la nozione di disagio, invece, Freud ha determinato un “sentimento esistenziale”, o meglio, un'affezione sistemica e, quindi, condivisa, che pone l'essere umano di fronte alla necessità di formare un legame che non sarà più basato sull'affetto delle relazioni competitive, del risentimento e l'aggressività che l'accompagna.
Come già accennato, Freud vede nell'eros la forza che spinge gli esseri umani a formare legami sociali e che sembra addirittura rappresentare l'idea stessa di legami sociali. In La civiltà e i suoi malumori, questa linea di pensiero viene perseguita nella riflessione che “la convivenza umana è possibile solo quando si riunisce una maggioranza che è più forte di ogni singolo individuo e che rimane unita contro tutti i singoli individui”.
La solidarietà, più che l'amore reciproco, è l'atteggiamento fondamentale nelle relazioni intersoggettive e nel mantenimento del legame sociale. L'espressione “passo decisivo della civiltà” permette di riconoscere nella solidarietà più che una semplice descrizione di un legame sociale; la solidarietà rappresenta uno stato affettivo, anzi un affetto sociale condiviso; il legame sociale sarebbe l'economia di questo affetto.
Sappiamo che, dal punto di vista freudiano, non esistono legami sociali che non siano anche legami affettivi, essendo l'affezione, qui, la manifestazione del sociale nell'individuo, l'esperienza del legame sociale nel corpo soggettivato. Essendo un affetto che sostiene la formazione di tali legami, la solidarietà esemplifica la fusione affettiva del simbolico e del corporeo che lo stesso Freud descrive con il termine Eros.
È chiaro che alla base della suddetta riflessione freudiana sta il mito dell'orda primordiale, secondo cui la comunità diventa possibile solo quando un'alleanza di figli si rivolta contro il padre primordiale e interrompe il ciclo della violenza uccidendolo – il legame fraterno contro un individuo eccezionale, ma anche eccessivo, personificando proprio la violenza che Freud analizza nella sua condizione culturale contemporanea.
Il padre primordiale, questo mito freudiano, è meno una figura del passato che una figura del presente; e si tratta meno di eccessiva individualità che di eccesso sistemico, aggressività e oscenità. Il “primo padre” morto è qui e ora presente nella forma decentralizzata e deindividualizzata della violenza sistemica e personificato da una moltitudine di osceni “individui separati”, come li chiama Freud.
All'inizio Freud non dice nulla di nuovo quando associa il legame sociale al legame d'amore o Eros. In Oltre le basi del piacere, evoca il Simposio di Platone e in particolare il mito di Aristofane dell'origine della diversità e del desiderio sessuale. Ma mentre nel dialogo di Platone l'amore rappresenta una tendenza all'unione o alla fusione ed è mosso da una mancanza di essere, Freud indica un'altra via, secondo la quale l'amore è un modo specifico di gestire l'alienazione che segna l'essere del soggetto.
Laddove Platone vedeva uno scenario molto semplice (lo stato originario di fusione, la divisione dei corpi come atto di vendetta divina, la tendenza all'unione), Freud riconosceva l'alienazione costitutiva (l'assunzione della violenza primaria, la formazione del legame sociale contro la perseveranza della violenza, l'antagonismo nella vita delle pulsioni nel presente, che permette finalmente a Freud di assumere lo stato originario di divisione).
Al mito di Aristofane, Freud contrappone la propria mitologia, come talvolta chiama la sua dottrina delle pulsioni (Triblehre), secondo cui Eros è una forza che conserva la vita o fa consistere la vita in primo luogo. In questo scenario, la vita è segnata da una perseveranza nell'essere, ma questa perseveranza è possibile solo perché la vita contiene una negatività irriducibile, che alimenta la sua perseveranza.
Questa è la funzione della pulsione di morte, intesa come forza immanente alla vita, ma contro di essa, antivita nell'organizzazione della vita. Sebbene alla fine di questo processo ci sia la morte (piuttosto che la fusione, come in Aristofane), Freud mira a qualcosa di più della piatta saggezza quotidiana secondo cui tutta la vita è in definitiva vita fino alla morte.
Ciò che è interessante nello scenario freudiano è che l'antagonismo tra Eros e pulsione di morte rappresenta qualcosa di diverso da un conflitto metafisico, che si esprimerebbe nella diversità delle forme di vita. Come caratteristica intrinseca del legame sociale, questo conflitto implica che i soggetti nella loro esistenza sociale si trovino continuamente confrontati con l'imperativo di sostenere un processo laborioso, che li allinei con un lato del conflitto.
Il soggetto, inoltre, non è semplicemente un effetto passivo del conflitto tra Eros e pulsione di morte, ma agisce su questo conflitto elaborandolo. Ancora una volta, dove "Esso" era, lì "Io" diventerò, per cui questo divenire soggettivo è inseparabile dal divenire del sociale. Posso diventare solo se sono in un processo condiviso di divenire sociale.
Freud non predica una ingenua politica dell'amore, ma fornisce una base sufficiente per riconoscere nell'eros la forza della solidarietà, mentre la pulsione di morte o la pulsione di aggressività rappresenta una forza di competizione e di amor proprio sistemico (che può trovare espressione , ma non dovrebbe essere limitato all'amor proprio individuale). L'eros freudiano è quindi totalmente diverso, per esempio, dalla politica aristotelica di philia, dove l'amore, o più in generale l'amicizia, è ristretto al contesto dell'aristocrazia e designa una “solidarietà” ristretta tra pari aristocratici.
Non c'è philia, non esiste una politica di amicizia nei confronti, ad esempio, dello schiavo, che è riconosciuto come essere parlante, ma non come essere di loghi. c'è anche no philia, né l'amore politico, in relazione alle donne, poiché, nell'ontologia politica aristotelica, esse sono ugualmente segnate dalla mancanza di loghi. Ciò si esprime nel presupposto, tra l'altro, che le donne non sono padrone del proprio corpo (caratteristica che le accomuna alle schiave) e devono, quindi, servire il soggetto maschile, il quale è, presumibilmente, padrone del proprio corpo ( e quindi legittimato a possedere altri enti).
Poiché Freud era un schietto partigiano dell'Illuminismo, la sua politica dell'eros, o meglio la sua politica di solidarietà, rimane in continuità con gli universali politici della Rivoluzione francese, "libertà, uguaglianza, fraternità". Certo, possiamo subito osservare che la “fraternità” rimane un problema politico universale, poiché riecheggia la politica aristotelica dell'amicizia e, sul piano della significazione, descrive la “solidarietà” maschile. “Al centro della politica rivoluzionaria c'è l'idea di solidarietà tra diverse lotte di emancipazione, una solidarietà non escludente, che ci presenta un modo di affermare la differenza in modo diametralmente opposto alla logica della competizione.[Ii]
Mentre nella competizione la differenza diventa tossica (proprio attraverso l'affetto del risentimento), nella solidarietà diventa il fondamento di un legame sociale non sfruttatore. Inoltre, in contrasto con la libertà e l'uguaglianza, la solidarietà rappresenta l'elemento affettivo della politica rivoluzionaria, che determina il carattere sociale della libertà e dell'uguaglianza, mentre l'uguaglianza garantisce il carattere illimitato e incondizionato della solidarietà.
Si può anche dire che la solidarietà rappresenta la prevalenza del bene comune sull'interesse privato e permette di invertire il rapporto tra politica ed economia, o più in generale di annullare la privatizzazione capitalistica della politica. Inoltre, il legame tra solidarietà e bene comune sostiene la formazione di una massa politica aperta, mentre la commistione della logica della concorrenza consente solo la formazione di masse chiuse, che possono solo sostenere la loro consistenza basata sulla determinazione e sull'esclusione di nuove e perenni figure di “alterità minacciosa”.
La tripla rivoluzionaria "libertà, uguaglianza, solidarietà" è evidentemente in conflitto con il quadrivio politico del liberalismo economico e politico che Marx formulò come "libertà, uguaglianza, proprietà e Bentham", per il quale, ovviamente, Bentham appare qui nel suo ruolo di filosofo dell'interesse privato e come vertice della tradizione politico-economica classica, che difende la prevalenza dell'interesse privato sul bene comune, dell'antisociale sul sociale.
La forma merce e l'istituzione della proprietà privata (che compaiono anche nel quadrivium di Marx) seguono la linea che privilegia la competizione rispetto alla solidarietà, inaugurando così un regime in cui la produzione ininterrotta di plusvalore è condizionata da un continuo smantellamento dei legami che tengono insieme la società . Imponendo le relazioni di concorrenza come paradigma del legame sociale, il capitalismo di fatto preclude il sociale, consentendo solo una politica di animosità o risentimento.
Non sorprende, quindi, che, insieme all'esclusione della solidarietà, l'uguaglianza sia stata sostituita da una visione quasi naturalizzata della disuguaglianza, mentre la libertà si associ prima di tutto al mercato, diventando così la libertà illimitata e assoluta delle astrazioni economiche. . In questo quadro, la libertà dell'altro non funziona più come condizione e vincolo della mia libertà, ma come minaccia.
In definitiva, nessuno possiede veramente la libertà tranne il mercato. Inutile ricordare che il discorso sul mercato libero e non regolamentato deve essere preso molto sul serio: in quanto soggetti del modo di produzione capitalistico, siamo tutti messi in una situazione in cui dobbiamo delegare la nostra potenziale libertà al mercato, che sarà libero per noi.
Questo è precisamente il punto già accennato nel quadrivio marxiano, la cui verità è difficilmente nascosta è la servitù, la disuguaglianza, l'espropriazione e la pulsione del capitale. La libertà di mercato nega il carattere relazionale della libertà, postulata nella triade rivoluzionaria. Se nel trio emancipatorio il significato di libertà e uguaglianza è determinato dalla solidarietà, nel quadrivio capitalista libertà e uguaglianza sono pervertite dalla proprietà “privata” (espropriazione) e dall'interesse “privato” (tendenza all'autovalorizzazione del capitale).
Non c'è da meravigliarsi, quindi, che ogni tentativo di rafforzare la solidarietà, e quindi invertire la privatizzazione capitalista del politico, sia denunciato come totalitario. Né stupisce che l'intronizzazione delle relazioni competitive come paradigma del legame sociale generi tossicità affettiva. In queste circostanze, ogni lotta per l'emancipazione si confronta con l'aumento degli affetti antisociali e non con l'aumento della solidarietà, che, proprio perché forza affettiva, guiderebbe i diversi gruppi sociali verso la formazione di una lotta unitaria e globale contro il sistema violenza in atto.
Le polemiche contemporanee che circondano il populismo ruotano attorno a questo problema. Mentre un partito di teorici politici spiega l'ascesa del populismo come un riflesso dell'imposizione neoliberista della libertà assoluta – ancora una volta, libertà slegata dall'uguaglianza e dalla solidarietà – un'altra linea sostiene che il populismo deve essere pensato nell'orizzonte dell'uguaglianza.
È qui che il populismo di destra e di sinistra viene comunemente differenziato: il populismo di destra è assolutamente libertario e quindi necessariamente neoliberista e di destra, mentre il populismo di sinistra è assolutamente egualitario e quindi tende a una politica socialista e comunista. .
Tuttavia, la controversia che circonda la questione se il populismo possa diventare un nome per la politica di emancipazione sembra essere alle prese con una caratteristica specifica del populismo: l'ambivalenza, il che suggerisce che qui potremmo avere a che fare con una politica di transizione, né intrinsecamente di sinistra né intrinsecamente di destra .
Qui è probabile che il populismo evolva in fascismo (come nel caso di Jair Bolsonaro) o in socialismo (come nel caso di altri populismi latinoamericani che Biglieri e Cadahia[Iii] contrasto con i populismi europei prevalentemente neofascisti di oggi). La stessa divisione del populismo è una conseguenza della logica della concorrenza che struttura l'universo capitalista.
Tuttavia, l'ambivalenza del populismo mostra chiaramente che ci sono due possibili organizzazioni della soggettività politica: o in termini di un insieme chiuso, un corpo omogeneo di persone che, da un lato, afferma un'uguaglianza ristretta, mentre, dall'altro, realizza un rifiuto radicale della differenza; o in termini di un insieme aperto, un corpo mutante o metamorfico del collettivo, che quindi comprende la differenza e, quindi, non si costituisce su uno sfondo di continua fabbricazione di sempre nuove figure di minacciosa alterità.
Solo in questo secondo dispositivo c'è spazio per la solidarietà, sempre nella misura in cui riconosciamo nel termine la traduzione dell'eros freudiano come forza libidica che connette e contribuisce all'organizzazione della socialità contro l'antisocialità.
*Samo Tomšic è professore di filosofia all'Università di Belle Arti di Amburgo. Autore, tra gli altri libri, di Il lavoro del godimento: verso una critica dell'economia libidica (Agosto Verlag).
Traduzione: Eleuterio FS Prado.
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note:
[I]La scena capitalista non fa eccezione. Anche qui l'individualità risulta dai rapporti economici di concorrenza e dalla sua espressione affettiva nel risentimento.
[Ii] Per ribadire, la solidarietà rappresenta un legame tra alienazione ed emancipazione, in quanto mi svincola dal mio campanilismo e dalla mia identità. In Universalità e politica dell'identità, Todd McGowan parla esplicitamente dell'universale come “assenza condivisa” (si potrebbe anche dire: negativo comune). Piuttosto che rappresentare un'astrazione, che sussume tutte le particolarità (e quindi abolisce la loro differenza), l'universale deve essere inteso come qualcosa che manca di tutte le identità e/o soggettività. Di conseguenza, il tema della politica di emancipazione rappresenta anche qualcosa di più della semplice collettività astratta e si organizza attorno a questa assenza condivisa.
[Iii] Vedi Biglieri, Paula e Luciana Cadahia. Sette saggi sul populismo: per una rinnovata prospettiva teorica. Cambridge: Politica, 2021.
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