da PRODUZIONE MARIAROSARIA*
Pasolini era uno scrittore più che un regista
Nella sequenza di apertura del film Pasolini (2014), di Abel Ferrara, durante l'intervista rilasciata ad Antenne 2, il 31 ottobre 1975, per l'uscita di Salò o le 120 giornate di Sodoma (Saló o i 120 giorni di Sodoma) in Francia, alla domanda sulla qualifica professionale da preferire, il personaggio di Pier Paolo Pasolini ha risposto che sul suo passaporto c'era scritto “scrittore”.
Scrittore più che cineasta, senza dubbio, perché Pier Paolo Pasolini ha scritto poesie, racconti, romanzi, opere teatrali, sceneggiature, saggi, recensioni, testi giornalistici, ecc.; ma, forse, sarebbe più esatto dire, come suggeriva Alfonso Beradinelli di considerarsi soprattutto un poeta: “scrivere poesie era per Pasolini la più naturale delle arti, un'attività quotidiana di cui non poteva fare a meno, un passione originaria e quasi maniacale che gli permetteva di riconoscersi subito: una sorta di pratica propiziatoria, devozionale, igienica, alla quale non poteva rinunciare se voleva mantenere o ritrovare la fede in se stesso. Se fossi sicuro di essere un poeta, potresti diventare qualsiasi altra cosa”.
Pier Paolo Pasolini ha esordito in letteratura con il volumetto Poesia a Casarsa (14 luglio 1942), una raccolta di quattordici composizioni scritte tra la metà del 1941 e l'inizio del 1942, a proprie spese. Il lavoro è stato suddiviso in due sezioni: “I – Poesia a Casarsa”, avente come epigrafe tre strofe della canzone “Ab l'alen tir vas me l'aire” del trovatore occitano Peire Vidal (seconda metà del XII secolo – inizi del XIII secolo), che comprendeva tredici composizioni; “II- La domenica ulula”, il cui tema è stato introdotto da quattro righe di “Madre”, di Giuseppe Ungaretti, era un dialogo tra una madre e suo figlio (chiamato in italiano), che veniva a controbilanciare la dedizione al padre. Nonostante il titolo generale, i sottotitoli e la maggior parte dei titoli delle composizioni in italiano, le poesie erano state scritte in friulano, lingua parlata a Casarsa della Delizia, paese natale della madre, dove la famiglia era solita trascorrere le vacanze.
Componendo in friulano e dedicando il volume al padre – ufficiale dell'esercito, ardente fascista, rinchiuso in un campo di prigionia in Kenya (1941-1945) –, il poeta novizio sfidò a tal punto le autorità fasciste da proibire l'uso dei versi regionali , così come la potestà genitoriale, che condannava questo tipo di trasgressione. Nella recensione dell'opera, Al limite della poesia dialettale (Corriere del Ticino, 24 aprile 1943), Gianfranco Contini ha evidenziato la “varietà fortemente differenziata” del friulano dell'autore, evidenziando come un dialetto potesse “diventare momentaneamente 'quasi una lingua'”.
Mettendo sullo stesso piano linguistico dialetto e lingua, Pasolini, pur insistendo sulla “intraducibilità” del primo, non fa altro che “sottolineare la traducibilità interna” della seconda. In questo senso, il lettore si trovava di fronte “al primo accesso della letteratura 'dialettale' all'aura della poesia contemporanea”. E così il giovane Pier Paolo si affermava già come poeta dalla sua prima pubblicazione.
Come ha sottolineato Nico Naldini, cugino di Pier Paolo Pasolini: “Il friulano parlato a Casarsa gli ha sempre risuonato fin dall'infanzia; e, sebbene in casa madre si parli il veneto come in tutte le famiglie piccolo-borghesi, il friulano è sempre stato d'obbligo nei rapporti con gli amici contadini”.
In un testo del 1963, che fa parte di empirismo eretico (1972), in una memoria scivolata nel mitico, lo scrittore registra la scoperta del friulano come lingua della poesia. In una mattina di sole dell'estate del 1941, sentì improvvisamente la parola rosa (ruggì, in italiano; rugiada, in portoghese), pronunciata proprio da un giovane contadino: “Certo, quella parola, durante tutti i secoli del suo uso nel Friuli che si estende al di qua del Tagliamento, non era mai stata scritta. Era sempre stato solo un suono. […] E ho subito scritto dei versi in quella parlata friulana della riva destra del Tagliamento, che fino a quel momento era stata solo un insieme di suoni: prima di tutto ho cominciato a rendere grafica la parola “rosa”. Quella prima poesia sperimentale è scomparsa: è rimasta la seconda, che ho scritto il giorno dopo: Sarà unbarlumida, come un fossile / a cres l'aga…”. Riguarda "Il nìni muàrt”, seconda composizione di Poesia a Casarsa:
“Il nìni muàrt”
Sere imbarlumide, tal fossàl
a' crès l'àghe, 'na fèmine plène
a' ciamine tal ciamp.
Jo ti ricuàrdi, Narcìs, tu vèvis el color
da la sere, quànt lis ciampanis
a' sunin di muàrt.,
il bambino morto
Crepuscolo luminoso, nel fossato
l'acqua sale, una donna incinta
passeggiate nel prato.
Ti ricordo, Narciso, con il tuo colore
all'imbrunire, quando suonano le campane
giocano a fare i morti.
Dal 1923 Pasolini aveva vissuto in diverse città, a causa dei trasferimenti del padre: Parma e Scandiano, in Emilia-Romagna; Belluno (dove nacque il fratello Guido) e Conegliano, in Veneto; Casarsa, Sacile (dove, a sette anni, incoraggiato dalla madre, scrisse le sue prime poesie) e Idria, in Friuli; Cremona, in Lombardia; infine il ritorno a Bologna, sua patria, nel 1936. Alla fine del 1942, lo scoppio della guerra riporta a Casarsa la piccola famiglia, privata del padre. Lì, tra l'altro, Pier Paolo si dedicò a ricordare quasi tutti i luoghi della sua infanzia, nella raccolta di poesie Via degli amori (1946), scritto, come il pioniere poesia (1945), in italiano. Il lettore interessato può leggere la traduzione portoghese di alcune di queste composizioni nell'articolo “Pier Paolo Pasolini: i primi tempi”.
Durante il periodo friulano, “l'autore riconosceva come maestro, dichiarava esplicitamente il referente, la paternità scelta come ideale – e si opponeva, in Poesia a Casarsa, per davvero – era di Ungaretti, e di Ungaretti sensazione del tempo”, raccolta del 1933, in cui il giovane poeta “riscopre il mito della lingua poetica italiana come angolo”, come ha sottolineato Francesca Cadel, riportando anche le parole dello stesso Pasolini alla fine degli anni Sessanta, per il quale il nome di Ungaretti “risuonava come simbolo di una nuova poesia e di un nuovo tempo della vita”.
Alcune poesie dialettali estratte da La meglio gioventù (che incorpora Poesia a Casarsa), raccolta pubblicata nel 1954, darà un'idea della sua opera poetica. In “Fevràr” (1943) il tema è l'allusione al ritorno invernale alla città madre a causa della guerra:
Febbraio
Sensa fuèjs a era l'aria,
sgivìns, ledris, moràrs…
si jodevin lontans
i borcs sot i mons clars.
Strac di zujà ta l'erba,
in tai dis di Fevràr,
mi sono sentito qui, bagnàt
dal zèil da l'aria verda.
Io soj divento di estàt.
E, infatti,
fuèjs è un mistero!
e àins ch'a son passàs!
Adès, eco Fevràr,
sgivìns, ledris, moràrs…
Mi sinti cà ta l'erba,
i àins son pas par nuja.,
Fevereiro
Senza foglie l'aria era,
gelsi, vigneti, valli...
In lontananza hanno visto
villaggi ai piedi di limpide montagne
Stanco di giocare sul prato,
in quei giorni di febbraio,
Mi sono seduto qui, intero
attraverso l'aria verde rugiadosa.
Di nuovo in estate.
E in mezzo al campo,
il mistero del fogliame!
quanti anni da allora!
E ora è febbraio,
fossi, vigneti, gelsi...
mi siedo sul prato,
anni invano sono passati.
La composizione successiva – “Alba” (metà anni Quaranta) – è stata ispirata da “auba”, un genere di liriche provenzali, in cui venivano cantate scene avvenute all'alba, di solito l'addio di due amanti. Questa sorta di composizione poetica trobadorica è stata scritta a Versuta, piccola frazione di Casarsa, dove Pier Paolo e sua madre si rifugiarono nell'ottobre del 1944 per sfuggire alle incursioni nazifasciste nella regione. Nella traduzione, per rispettare la polisemia del termine (“alba” e “alba” o “Aubade”), abbiamo optato per “alba”, anche se meno comune in portoghese:
camice
Il sen svejat
dal nòuf soreli!
Il getto militare
bagnàt diàgrimis!
Cu n'altra lus
Ho svej a planzi
i dìs ch'a svualin
tramite coma ombrenis.,
camice
Oh petto sveglio
al nuovo sole!
Oh il calore del letto
bagnato di lacrime!
con un'altra luce
Mi sveglio e piango
i giorni da passare
volando come ombre.
Lo schema alba sarà presente anche in “Conzeit” (1951), scritto sulla falsariga di “quando lo rossinhols”, composizione poetica trovatrice di autore anonimo. È interessante notare che la poesia non allude all'aurora, ma piuttosto esprime “il sentimento di un definitivo, desolato tramonto”, nelle parole di Furio Brugnolo, riportate in “Annota e segnala il tuo test”. In effetti, un tono di rimpianto e desiderio segna questa separazione:
Conzeit
Romài essi lontans a val,
Friuli, essi scunussùs. alla pari
Ho avuto il tempo di amare il mare
lustro e muàrt.
Inta la lus la a parte
a è finita, no ài scur tal sen
par ignì la to ombrena.,
Addio
Ora essere lontano è come dire,
Friul, essere sconosciuto. Sembra
il tempo del nostro amore un mare
lucido e morto.
Nella luce la tua parte è finita,
non c'è oscurità nel mio petto
per proteggere la tua ombra.
Nelle poesie in friulano c'erano tracce di veneziano, come aveva già spiegato lo stesso Pasolini nella “Nota” che chiude Poesia a Casarsa: “La lingua friulana di queste poesie non è quella genuina, ma quella veneta dolcemente impregnata che si parla sulla riva destra del Tagliamento; inoltre, ho usato non poca violenza contro di lui per farlo entrare in un metro e in una dizione poetica”. Col tempo l'autore lascerà da parte questo dialetto linguisticamente e stilisticamente elaborato per avere una funzione poetica, nelle parole di Guido Santato, e adotterà il friulano comune.
Al contrario, aVegnerà il vero Cristo”, scritto tra la fine degli anni Quaranta e l'inizio degli anni Cinquanta, Pasolini scambiò la parlata della località materna con il veneziano di Pordenone (allora in provincia di Údine, come Casarsa), veneziano con tracce di friulano, che non solo dà un'idea delle varietà linguistiche che usava quando versificava, come ricorda l'esodo dei giovani contadini verso il centro industriale più vicino alla loro patria:
Vegnerà il vero Cristo
No gò coraggioso vedere sogni:
il blù e l'onto de la tuta,
altrimenti è il mio cuòr de operajo.
Mort par quattro franchi, operajo,
Mi dispiace, vi odio tutti
e pers i a più veri sogni.
El era un fiol ch'el veva sogni,
un fiol blu coma la tuta.
Vegnerà il vero Cristo, operaio,
l'insegnarte a vedere veri sogni.,
Il vero Cristo verrà
Non ho il coraggio per i sogni:
il blu e il grasso delle tute,
questo è tutto nel cuore del lavoratore.
Ucciso per tre soldi, lavoratore,
il cuore, odiavi la tuta,
perso i sogni più veri.
Era un ragazzo che aveva dei sogni,
blu come la tuta.
Il vero Cristo, lavoratore, verrà
per insegnare come avere sogni veri.
Quando si prepara la pubblicazione di Un tale colore di un frutto (1953), che, l'anno successivo, sarà incorporato in La meglio gioventù, Pasolini, in una lettera all'editore Luigi Ciceri, citava la poesia “Suspi di me mari ta na rosa” (1947), affermando che lei “è lì per completare il motivo 'materno', cioè il motivo centrale del libretto, dando al libretto il suo equilibrio di contenuto”. In "Annota e segnala il tuo test”, questa informazione è completata da un riferimento ad un'altra composizione segnata dal “profondo rapporto tra la madre e la rosa”. Riguarda "la rabbia” (1960), di cui faceva parte La religione del mio tempo (1961), in cui il poeta scopre un'umile rosa nel suo giardino:
la rabbia (estratti)
Mi avvicino più ancora, ne sento l'odore...
[...] Sto solo lasciando andare
che in questa rosa riposa a respirare,
in un miserabile istante di terra,
l'odore della mia vita: l'odore di mia madre… […]
Niente avrebbe potuto, una volta, vincermi.
Ero chiuso nella mia vita come in the womb
materno, in quest'ardente
odore di rosa umile bagnata.
Ma lottavo per uscirne […]
[..] La lotta è finita
con la vittoria. Il mio archivio privato
non è più racchiusa tra i petali d'una rosa,
– una casa, una madre, una passione premurosa.
È pubblico.
La rabbia (estratti)
Mi avvicino ancora di più, lo sento...
[…] So solo che
che in questa rosa continuo a respirare,
in un solo, misero istante,
l'odore della mia vita: l'odore di mia madre... […]
Niente, prima, poteva sconfiggermi.
Mi sono chiuso nella mia vita come in un grembo
materna, in questo ardore
odore di rosa umile e bagnata.
Ma ho faticato ad andarmene […]
[..] La lotta è finita
nella vittoria. la mia esistenza privata
non si chiude più tra i petali di una rosa
– una casa, una madre, una passione tempestosa.
È pubblico.,
Stranamente non viene evidenziata la connotazione erotica che il fiore assume nella composizione, così come, in relazione alla poesia del 1947, non si accennava al fatto che la rosa bianca (intesa come macchia), trovata dalla madre nel letto del figlio, si riferisce alla pratica del piacere personale sessuale:
Suspi di me mari ta na rosa
Ti ciati tal ninsòul
bianco, rosa bianca,
fànghi il jet a me fì
ti ciati tal ninsòul.
Rosuta mi ha detto,
dulà ti aia ciolta,
parsè tiàia ciolta,
l'uomo dimmi fì?
Sei tu, salvadia,
mangia lui che a sta ora
cui sa dulà ch'alè
cu la so pas salvadia!
Mangia un tale grin dal seil
sei come ninsòul
e chel me zòvin còur
al tas sòul sot il sèil.
Dutis delle dismintiadis,
la mari e la rosa!
Zint è dolce
al nià dismintiadis.,
Il sospiro di mia madre su una rosa
Ti trovo nel foglio
bianco, rosa bianca,
Faccio il letto del figlio,
Ti trovo nel foglio.
La rosa di mio figlio,
dove hai raccolto,
perché hai scelto
la mano di mio figlio
E silenzioso, ombroso,
come lui, in queste ore
chissà dov'è
con la tua pace ombrosa!
Come nel grembo del cielo,
silenzioso sul foglio
e il mio giovane cuore
rinchiuso da solo sotto il cielo.
Dei due dimenticati,
della madre e della rosa!
Dove andrai
già dimenticato di noi.
Come affermava Berardinelli: “La prima fase della poesia di Pasolini, sia in dialetto che in italiano, ruota attorno a un centro tematico erotico e funereo: fuoco e ghiaccio, passione e morte che si alternano in sogni di purezza e in slanci adolescenziali 'impuri'. Questo è uno degli swing lirici più classici e fa parte delle tradizioni più antiche e persistenti. Ma Pasolini lo fa rivivere nel momento in cui lo accenna. Conosce bene i suoi modelli e predecessori, Leopardi e Pascoli, Rimbaud, Machado, Ramón Jiménez e García Lorca, autori che a volte sembra tradurre o trascrivere.
Ma, come si dice dei veri poeti, più che imitare Pasolini ruba”. Infatti, il giovane Pier Paolo si è appropriato dei suggerimenti di diversi autori, quando non ha realizzato quasi una traduzione di poesie che lo hanno ispirato. È stato il caso diSputacchiere in ottone”, di Langston Hughes. L'autore comunista americano, negli anni Venti, si era affermato come uno dei grandi esponenti della poesia jazz, emerso all'interno dell'Harlem Renaissance, movimento culturale e sociale che, dalla fine degli anni '1910 e nei due decenni successivi, ha dato risalto all'identità afroamericana nei campi più svariati:
Sputacchiere in ottone
Pulisci gli ispettori, ragazzo.
Detroit,
Chicago
Città atlantica,
Spiaggia delle Palme.
Pulire i spettoons.
Il vapore nelle cucine degli hotel,
e il fumo nelle hall degli hotel,
e la melma nelle stanze d'albergo:
parte della mia vita.
Hey ragazzo!
Nichel,
Dimmi,
un dollaro,
due dollari al giorno.
Hey ragazzo!
Nichel,
Dimmi,
un dollaro,
due dollari
comprare le scarpe per il bambino.
Affitto casa da pagare.
Gin sabato,
domenica in chiesa.
Mio Dio!
Bambini e gin e chiesa
e donne e domenica
il tutto mescolato con dimes e
dollari e sputacchi puliti
e l'affitto della casa da pagare.
Hey ragazzo!
Una luminosa ciotola di bronzo è bella per il Signore.
Ottone lucidato brillante come i piatti
dei ballerini del re Davide,
come le coppe del vino di Salomone.
Hey ragazzo!
Una sputacchiera pulita sull'altare del Signore.
Una sputacchiera pulita e brillante tutta lucidata a nuovo -
almeno posso offrirlo.
Vieni, ragazzo! ,
Scritto il 22 maggio 1941, “Sputacchiere in ottone” poteva essere apprezzato dai lettori italiani ancora in quel decennio, secondo Cristina Lombardi-Diop: “Nel 1949 Leone Piccioni curava un numero speciale della rivista letteraria libro di poesie (Milano) interamente dedicata a un'ampia varietà di poesie nere tradotte, tra cui 'La nostra terra', 'Canto della terra', 'Il negro parla dei fiumi', 'L'uomo menestrello', 'Sputacchiere d'ottone' e 'Anch'io', di Langston Hughes”. È probabile che la traduzione di “Sputacchiere d'ottone” sia precedente, poiché, in “Note e notizie sui testi”, si ricorda che fu pubblicata nel n. 5 della rivista Poesia, nel 1947; inoltre Leone Piccioni, nel suo libro sugli Stati Uniti, ricordava che quell'anno per la stessa rivista, in una sezione dedicata all'America, pubblicò un testo sul jazz e alcune traduzioni di poeti neri e canti anonimi.
In ogni caso, fu dalla traduzione del critico letterario che Pasolini si accorse della poesia e scrisse “Spirituale”, alla fine degli anni '1940:
Spirituale
Lustri alè el falset
muscolo tal da la cort
Sono qui con il cuore di mio marito
Quella è la cuèssis di ciavàl da la cort,
lampadario sulla stele.
Heilà, boccia!
Li barghessi,
la maia,
supiej,
i supiej da l'Anzul.
Heilà, boccia!
Li barghessi,
la maia,
supiej.
Trenta franchi per il cinema
i siòrs da olmà,
sgnapa di Sabo
massa di Domenia,
Signor!
Cine, sgnapa e messa,
e femminis di Sabo
dut insembràt cu li barghessis,
la maja, il falset
ciao siòrs da olmà.
Heilà, boccia!
Il me falsèt al è pai siòrs na stele
distinto dal piscio del secolo.
Cui sàia il colore dai vuj di un Anzul?
Quale plànzia il colore da la maja di un famèj?
Heilà, boccia! ,
Spirituale
brilla la falce
nel muschio del cortile
nelle sottane della mamma in cortile
sulle cosce del cavallo nel cortile,
Brillare come una stella.
Hey amico!
I pantaloni,
la blusa,
i sandali,
I sandali dell'angelo.
Hey amico!
I pantaloni,
la blusa,
i sandali.
Qualche cambiamento per i film
i fighi da spiare,
gocciolare il sabato
Messa la domenica,
Signore!
Cinema, pinga e messa,
e le donne il sabato
tutto confuso con i pantaloni,
la camicetta, la falce
e quelli fighi da spiare.
Hey amico!
La mia falce è una stella per i fighi
dimenticato per migliaia di secoli.
Chi conosce il colore degli occhi di un angelo?
Chi deplora il colore della camicetta di un ragazzo?
Hey amico!
Secondo Piera Rizzolatti, lo “Spirituale” pasoliniano non può essere paragonato al spirituale Nord America, perché non è un canto spirituale, ma un canto di lavoro, di sofferenza, per mettere al centro l'oppressione dei poveri da parte dei ricchi. Tuttavia, sebbene finisca con l'offerta al Signore del suo strumento di lavoro – “Una sputacchiera pulita sull'altare del Signore. // Una sputacchiera luccicante e pulita appena lucidata – / tanto posso offrire.” –, il fratello della poesia di Hughes, rappresenta tutte le persone incaricate dei compiti più umili negli hotel di lusso, non importa dove si trovino (Detroit, Chicago, Atlantic City o Palm Beach): la vita che fanno è sempre la stessa e sono sempre mal pagati, ma con quello che guadagnano è possibile arrangiarsi, arrangiarsi e concedersi piccole distrazioni. È, quindi, una canzone sullo sfruttamento e una canzone spirituale, allo stesso tempo, in cui la critica sociale predomina sull'aspetto religioso, che appare come valvola di sfogo, ma anche come tratto identitario.
Facendo "Spirituale"una specie di" traduzione di "Sputacchiere in ottone”, il poeta italiano ha trasposto il tema dell'“originario” all'universo rurale friulano, evidenziandone anche il lato sociale piuttosto che quello religioso, che, quando si manifesta, lo fa intrecciare con il primo. La composizione pasoliniana inizia con il luccicante riflesso dell'attrezzo da lavoro di un giovane contadino nell'ambiente che lo circonda: una falce che brilla come una stella. la giunzione di impostore (falce ricurva con un corto manico di legno) e la stella rimanda a una simbologia comunista e ricorda l'impegno dell'autore nella lotta dei contadini contro i proprietari terrieri, alla fine degli anni Quaranta.
E quando lo strumento agricolo e la stella luminosa riappaiono alla fine del poema, l'allusione alla stella di Betlemme non offusca la simbologia consolidata, poiché preannunciava l'arrivo di una nuova era. Il riferimento all'Angelo rafforza l'avvento di un nuovo Cristo rivoluzionario. Da un punto di vista formale, nelle strofe centrali, le più vicine alla poesia di Hughes, le caratteristiche del poesia jazz che Pasolini ha incorporato – il fraseggio più sciolto, il ritmo sincopato, le ripetizioni –, che conferisce alla poesia un'aria meno seria di quella indicata da Piera Rizzolatti.
La libertà formale diSpirituale”, indubbiamente la composizione più eccentrica rispetto alla tradizione poetica occidentale all'interno della quale si inseriva la produzione dell'autore, non fu l'unico punto di rottura di questa prima fase della sua opera letteraria, poiché vi fu un fattore ben più importante. In fondo alla pagina con le poesie in friulano, Pasolini ha posto la sua traduzione in italiano, rispettata in questo testo, con la riproduzione delle sue versioni nelle note.
Guido Santato, riprendendo il ragionamento di Contini, che, secondo lui, “coglie subito la novità poetica e linguistica dell'apparente dialettalità pasoliniana”, ha fatto di queste versioni una lettura molto interessante. Esse, a suo avviso, “rappresentano una seconda redazione, parallela e coesistente alla prima, elaborata con estrema cura [...], proprio per l'evidente intraducibilità musicale dei testi friulani”. Per l'autore, ciò che è importante sottolineare in queste traduzioni “è il fatto che le due lingue erano già coesistenti e reciprocamente alternative al momento della scrittura del testo poetico, nella biforcazione delle scritture che emergeva da un originario bilinguismo” .
In questo senso, non sarebbe paradossale affermare che, nel caso di poesie in friulano dal 1942 in poi, il testo tradotto “è l''originale', il testo poetico”, in cui l'autore “afferma un uso del dialetto come 'ideale traduttivo dell'italiano'”. Alla luce di queste considerazioni, si potrebbe avanzare l'ipotesi che, per Pasolini, vi fosse un unico linguaggio poetico, che, nella pagina, acquistava molteplici espressioni.
*Mariarosaria Fabris è professore in pensione presso il Dipartimento di Lettere Moderne della FFLCH-USP. Autore, tra gli altri testi, di “Un descampado al chiaro di luna: appunti e frammenti”, che fa parte del volume Un intellettuale in urgenza: Pasolini legge in Brasile (Unesp\Unicamp).
Riferimenti
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FABRIS, Mariarosaria. “Pier Paolo Pasolini: i primi tempi”. Rivista di letteratura italiana, Florianopolis, c. 2, n. 6, giu. 2021. Disponibile in .
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NALDINI, Nico. "Cronologia". In: PASOLINI, Pierpaolo. Tutte le poesie. Milano: Mondadori, 2003, v. io.
PASOLINI, Pierpaolo. “Dal laboratorio (Appunti en poeta per una linguistica marxista)”. In: empirismo eretico. Milano: Garzanti, 1972.
PASOLINI, Pierpaolo. Poesia a Casarsa. Bologna: Libreria Antiquaria, 1942.
PASOLINI, Pierpaolo. “La rabbia / La rabbia”. In: poesie, cit.
PASOLINI, Pierpaolo. Tutte le poesie, cit., v. io.
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SANTO, Guido. “Paesaggio simbolico e paesaggio poetico in Friuli di Pier Paolo Pasolini”.In: EL GHAOUI, Elisa (org). Pier Paolo Pasolini: previsti convegni di studio. Pisa-Roma: Fabrizio Serra, 2009.
SITI, Walter e altri. “Note e notizie sui testi”. In: PASOLINI, Pierpaolo. Tutte le poesie, cit.
note:
[1] “[Il fanciullo morta]” – “Sera mite all'ultimo barlume, nel fosso / cresce l'acqua, una femmina piena / cammina pel campo. // Io ti ricordo, Narciso, tu avevi il colore / della sera, Quero le campane / suonano a morte”.
[2] “Febbraio” – “Senza foglie era l'aria, / canali, pianelli, gelsi… / Si vedevano lontani / i borghi sotto i chiari monti. // Stanco di giocare sull'erba, / nei giorni di febbraio, / mi sedevo qui, bagnato / dal ice dell'aria verde. // Sono tornado di estate. / E in mezzo alla campagna, / che mistero di foglie! / e quanti anni sono passati! // Adesso, ecco febbraio, / canali, pianelli, gelsi… / Mi siedo qui sull'erba, / gli anni sono passati per nulla.”
[3] “Alba” – “O petto svegliato / dal nuovo sole! / Il mio brodo letto / bagnato di lacrime! // Con un'altra luce / mi sveglio a piangere / i giorni che volano / via come ombre”
[4] “Congedo” – “Ormai essere lontani, Friuli, / vale essere sconosciuti. Pare / il tempo del nostro amore un mare / lucido e morte. // Nella luce la tu parte / è finita, non ho buio nel petto / per tenere la tua ombra”.
[5] “Verrà il vero Cristo” – “Non ho coraggio di avere sogni: / il blu e l'unto della tuta, / non altro nel mio cuore di operaio. // Morto per due soldi, operaio, / il cuore, hai odiato la tuta / e perso i tuoi più veri sogni. // Era un ragazzo che aveva sogni, / un ragazzo blu come la tuta. / Verrà il vero Cristo, operaio, // a insegnarti ad avere veri sogni”.
[6] Traduzione di Maurício Santana Dias. Le altre traduzioni dall'italiano e dall'inglese sono dell'autore.
[7] “Sospiro di mia madre su una rosa” – “Ti trovo sul lenzuolo / bianco, rosa bianca, / fando il letto a mio figlio, / ti trovo sul lenzuolo. // Rosellina di mio figlio, / dove ti ha raccolta, / perché ti ha raccolta / la mano di mio figlio? // Taci tu, scontrosa, / come lui, che a quest'ora / chissà dov'è, / con la sua pace scontrosa. // Come nel grembo del cielo / taci nel suo lenzuolo / e quel mio giovane cuore / tace solo sotto il cielo. // Tutte due dimenticate, / la madre e la rosa! / Andando chissà dove / ci ha dimenticate”.
[8] “Sputacchiera di metallo” – “Pulisci la sputacchiera bro. // Detroit, / Chicago, / Atlantic City, / Palm Beach. // Pulisci le sputacchiere. // Il vapore nelle cucine degli alberghi, / e il fumo negli atri degli alberghi, / e il catarro nelle sputacchiere degli alberghi: / parte della mia vita. // Ehi fratello! // Un nichel, / una moneta, / un dollaro, / due dollari al giorno. // Ehi fratello! // Un nichelino, / una moneta, / un dollaro, / due dollari / per le scarpe del bambino. // Affitto da pagare. // Gin il sabato, / chiesa la domenica. // Mio Dio! // I bambini e il gin e la chiesa / e le donne la domenica / tutto mescolato con penny e / dollari e sputacchiere pulite / e affitto da pagare. // Ehi fratello! // Un luccicante baldacchino di metallo è bello per il Signore. // Il metallo levigato risplende come i cembali / dei ballerini del re Davide, / come i calici di Salomone. // Ehi fratello! // Una sputacchiera pulita sull'altare del Signore. // Una sputacchiera luccicante e pulita appena lucidata - / questo posso offrire. // Vieni qui, fratello!”.
[9] “Spiritual” – “Lucida è la falce / nel muschio della corte, / nelle sottane di mia madre della corte, / nelle coscie di cava della corte, / lucida come una stella. // Ehi, ragazzo! / I calzoni, / la maglia, / i sandali, / i sandali dell'Angelo. // Ehi, ragazzo! / I calzoni, / la maglia, / i sandali. // Trenta lire per il cine, / i ricchi da spiare, / grappa al sabato, / messa alla domenica, / Signore! // Cine, grappa e messa, / e donne di sabato, / tutto mescolato con i calzoni, / la maglia, la falce / ei ricchi da spiare. // Ehi, ragazzo! // La mia falce è per i ricchi una stella / dimenticata da migliaia di secoli. / Chi sa il colore degli occhi di un Angelo? / Chi piange il colore della maglia di un garzone? // Ehi, ragazzo!”.
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