da PRODUZIONE MARIAROSARIA*
Eros e Thanatos nella Tetralogia della morte di Pier Paolo Pasolini
"In mezzo al cammin di nostra vita / mi ritrovai per una giungla oscura / ché la diritta via era smarrita"(Dante Alighieri. La divina commedia - L'inferno).1
la foresta oscura
“Sesso, sesso, sesso, sesso, sesso, sesso, sesso, sesso, sesso, sesso, sesso, sesso, sesso, sesso, sesso… Il mondo diventa l'oggetto del desiderio di sesso, non è più il mondo, ma un luogo di un unico sentimento. Questo sentimento si ripete, e con esso si ripete il mondo, finché, accumulandosi, si annulla… Del mondo resta solo la proiezione miracolosa…”.2
La ripetizione infinita di una parola la svuota di significato. L'ossessione di un sentimento lo trasforma e, trasformandolo, lo annulla. Questa è una delle lezioni che il narratore (in prima persona) di la mimesi divina riceve dalla sua guida, quando si perde, “sulla quarantina d'anni”, nella “'Giungla' della realtà del 1963”. La guida, in cui il nostro narratore/autore si proietta narcisisticamente, è “un piccolo poeta civico degli anni Cinquanta”, che cantava la coscienza divisa “di chi è fuggito dalla sua città distrutta, verso una città ancora da costruire. E, nel dolore della distruzione misto alla speranza della fondazione, adempie oscuramente al suo mandato».3
Inseguito dalle tre bestie che escono dalle cantine della sua stessa anima – il giaguaro (agile, camaleontico, spregiudicato), il leone (predatore egoista) e il lupo (lussuoso), il più temuto –, perso nel buio di quel momento della sua vita, l'autore Pier Paolo Pasolini cerca una luce: “la luce della vecchia verità […] davanti alla quale non c'è più niente da dire”.4
E, per cercarlo, percorrere la retta via ("la mia strada, giusto!”), si rivolge al passato, a quello che era una volta – un poeta civico, consapevole delle sue contraddizioni –, voce dissonante in un Paese che, sepolte le pulsioni democratiche del dopoguerra, continuava ad essere immerso in una cultura borghese a cui si alleava “l'ignoranza delle masse illimitate della piccola borghesia”,5 torna al fascismo, lasciandosi marcire in un “benessere che è egoismo, stupidità, incultura, maldicenza, moralismo, costrizione, conformismo”.6
Consigliato e accompagnato dalla sua guida, che non è altro che se stesso, il nostro poeta si reca in “un luogo che non è altro che il mondo”, oltre il quale non può andare, “perché il mondo finisce con il mondo”.7
la mimesi divina
In quest'opera, iniziata nel 1963 (e proseguita tra il 1964 e il 1966 o 1967, ma lasciata incompiuta), la visione dell'Italia di Pier Paolo Pasolini è quella di una nazione sotto il dominio del neocapitalismo, una visione in linea con le idee espresse nel film di quel periodo o precedenti.
Avere come modello Alla divina commedia (La Divina Commedia), che Dante Alighieri compose tra il 1307 e il 1321, Pasolini, dispiegandosi come un vate e la sua guida, il poeta latino Virgílio, riporta in campo immaginario lo scontro con la realtà del suo tempo, o meglio, con l'Irrealtà, che è come ha definito la realtà plasmata dalla logica del borghese e del piccolo borghese.8
Se Dante avesse intrapreso il suo viaggio attraverso i tre regni dell'Aldilà – Inferno (luogo dell'espiazione), Purgatorio (luogo della penitenza) e Paradiso (luogo della gioia celeste) –, in cui anime incorporee ancora palpitavano di vita, lo scrittore bolognese, pur seguendo le orme del grande poeta, interrompe il suo viaggio nell'Inferno (luogo del presente e di un passato prossimo che si proietta nel presente), perché gli altri regni, i Due Paradisi – il proiettato (neocapitalismo) e il attesa (quella del comunismo) –, perché appartengono al futuro, sono ancora in costruzione.9
E, per continuare a manifestarsi senza alcun pudore, è consapevole che riprendere il cammino dantesco consisterà “nel salita e vedere, nel suo insieme, tutto da lontano, ma anche dentro accucciarsi e vedere tutto da vicino10, sua espressione metaforica modus operandi, in cui è necessario “scendere” al reale per, ritraendolo nella sua crudezza, “sollevarlo” in un progetto poetico, e dal suo modus vivendi, in cui si fondevano carattere pubblico e personalità artistica.
Diverso
Se è vero che è un luogo comune dire che l'opera di Pier Paolo Pasolini è segnata dall'intrinseca relazione tra i fatti da lui vissuti e la loro trasformazione in finzione, non meno vera è la difficoltà di sfuggire a questo luogo comune. il nostro autore ha sentito di partecipare, intervenire, commentare la realtà circostante è presente in tutti i campi della cultura (intesa anche come impegno civico) a cui si è dedicato.
Per dare maggior peso ai suoi interventi, Pasolini spesso trasforma un fatto della sua vita privata – il fatto di essere a diverso – il punto da cui osservare e provocare la società italiana. Diverso, in italiano, significa “diverso”, ma è anche un eufemismo per designare l'omosessuale. E Pier Paolo ha saputo fare della diversità sessuale il suo differenziale ideologico rispetto a una realtà nazionale che non lo soddisfaceva. Come sottolinea Giovanni Dall'Orto: “[…] solo un omosessuale poteva diventare quello che era Pasolini. Solo un omosessuale può fare dell'ossessione erotica uno dei punti nodali della sua visione del mondo (e della sua arte), lasciando che essa influenzi, formi la sua concezione della società”11. Un'ossessione latente, in misura minore o maggiore, fin dai suoi primi lavori cinematografici, celebrati nel trittico dedicato alla vita e sviliti in salò.
Dedico tutta la mia vita
Diversi autori omosessuali hanno sottolineato il fatto che Pier Paolo Pasolini lo fosse diverso, ma no gay, pensando al primo significato di questa parola: gaio, cioè felice, che rivela la gioia. Per Gualtiero De Santi, il cineasta non poteva, “per sua indole e cultura, condurre la propria condizione e psicologia a uno stato di felicità inconscia”, quindi gioiosa. Inoltre, gli mancava “l'orgoglio della sua omosessualità”, sottolinea Giovanni Dall'Orto. E lo stesso regista ha affermato: “Sono nato per essere sereno, equilibrato e naturale: la mia omosessualità era un'altra cosa, dall'esterno, non aveva niente a che fare con me. L'ho vista al mio fianco sempre come una nemica, non l'ho mai sentita dentro di me”12.
Non accettando la propria omosessualità, Pasolini la visse come un peccato a cui sottoporsi e, per giustificarla, cercò una causa ereditaria in una delle sue nonne materne, come ricorda il cugino Nico Naldini. Ad eccezione dell'idilliaco periodo friulano, la vita (omo)sessuale di Pier Paolo era segnata, secondo Naldini, da voluttà, ossessione, interattività, sadomasochismo e, infine, da rituali, tra cui la necessità di avere incontri di gruppo in luoghi sordidi su la periferia romana, con i giovani della plebe – i “ragazzi della vita” (ragazzi di vita), immortalata nella sua narrativa – che per lui rappresentava “l'ingenuità, la gioia, la saggezza popolare, l'intensità della vita popolare, la naturalezza, la fantasia di affrontare la vita ricorrendo ad espedienti”13.
È questa idea di giovinezza, di vitalità che il cineasta vuole trasmettere traducendo in cinematografia tre grandi opere della letteratura universale: decameron (Il Decamerone, 1349-1353), di Giovanni Boccaccio, I racconti di Canterbury (I racconti di Canterbury, 1387-1400), di Geoffrey Chaucer, e Le mille e una notte (Alf laylah wa laylah, leggendaria raccolta di racconti arabi compilata a partire dal IX secolo d.C.). Tra il 1971 e il 1974 le emozioni corporee esplodono nel cinema di Pasolini. Inni alla vita e all'eros? Così sembrava, e il suo autore fu il primo a dirlo. Ma, in un articolo scritto durante l'esecuzione salò, il regista abiura la “trilogia della vita”, per aver compreso che il desiderio scaturito da quei “corpi innocenti” era stato strumentalizzato dalla cultura della tolleranza al servizio del potere14.
La tetralogia della morte
Alcuni critici, tra cui Adelio Ferrero e Lino Micciché15, invece di continuare a insistere sulla chiave del vitalismo presente in decameron (Il Decamerone1971), I racconti di Canterbury (Nei racconti di Canterbury, 1972) e Le mille e una notte (Il fiore delle Mille e una notte, 1974), seguendo la stessa visione di Pier Paolo Pasolini, ha preferito lasciare da parte le intenzioni del regista di interrogare le opere. E la pulsione di morte rivela la sua presenza a uno sguardo più indagatore.
decameron finisce per sfociare in una "triste epopea dell'impossibilità di Eros"16, in cui questa si riduce a spasmi febbrili, a frenesia orgasmica, a lussuria sfrenata, che la Morte osserva, per punire i trasgressori. non sarà diverso in I racconti di Canterbury, in cui si manifesta la stessa cruda visione dell'abbraccio carnale, la stessa ossessione animalesca per il sudore, lo sperma, lo sterco, il sangue. La sessualità diventa una variante della violenza collettiva, in cui le donne vengono abusate con ferri roventi e i peccatori vengono sodomizzati da mostri alati, sotto lo sguardo di Satana. L'eros viene degradato a mero appetito vorace e trionfa il concetto di peccato. Anche in Le mille e una notte, in cui l'Eros “pagano” ignora la nozione di peccato originale e di caduta17, La morte è sempre in agguato, poiché solo due storie hanno un esito positivo.
Per quanto riguarda gli altri due, Le mille e una notte pulsa di vita, ma in essa siamo nel campo della favola, quindi di ciò che non esisteva, di ciò che era “sognato”. Ed è proprio come “un sogno di un sogno” che Pasolini definisce questo film al quale si opporrà, in salò, l'“incubo di un incubo”, nelle parole di Lino Micciché18. È per questa linea di continuità che si può stabilire tra i quattro film che il critico italiano li ha raggruppati in una tetralogia della morte.
La più temuta delle bestie – che negli anni Sessanta aveva cercato di impedirgli di raggiungere la luce – riappare sulla sua strada, con la sua inesorabile pulsione sessuale. È la lupa, con la sua “carne divorata dall'abiezione della carne, puzzolente di merda e di sperma”, come la descriveva lo scrittore in la mimesi divina19, opera che riprese nel 1974, in cui, secondo lui, “a un Inferno medievale, con le vecchie pene, si oppone un Inferno neocapitalista”20. Come in questo lavoro, in salò (Salò o le 120 giornate di Sodoma, 1975) inoltre, questi due inferni si confrontano, o meglio, si confondono. Nell'"Inferno" di Dante Alighieri, il presente e il passato sono ritratti fianco a fianco e si fondono, così come la corporeità delle anime dei dannati, in cui pulsano ancora le passioni, fa sì che il passato diventi presente e si proietti in un tempo eterno. , immobile, definitivo, che conferisce all'opera un'esemplarità paradigmatica21.
Em salò, Pasolini cerca di raggiungere la stessa esemplarità dantesca, proiettando gli anni Quaranta sulla contemporaneità. Egli fonde anche due mondi, pur “invertendo” l'ordine di presentazione, in quanto è il mondo storico a fare da cornice al mondo “contemporaneo”: all'interno del palazzo, la Repubblica Sociale Italiana o Repubblica di Saló (1940 settembre 23 – 1943 aprile 25), il momento dell'agonia del fascismo22, diventa l'Italia degli anni '1960 e '1970, dominata, a suo avviso, dal nuovo fascismo.
Così, il romanzo che il marchese de Sade scrisse tra il 1782 e il 1785, Le centoventi giornate di Sodoma o l'elogio della licenziosità (Les cent vingt journées de Sodome ou l'école du libertinaggio), da cui il regista parte per realizzare il suo film, più che una trasposizione diventa una citazione, come dice Giovanni Buttafava23.
Una citazione costante, espressione di una cultura borghese che non fa altro che strumentalizzare l'arte, trasformandola in un esercizio di potere: “Il sesso, oggi, è l'adempimento di un obbligo sociale, non un piacere contro obblighi sociali. Da ciò deriva un comportamento sessuale radicalmente diverso da quello a cui ero abituato. Per me, quindi, il trauma era (ed è) quasi insopportabile. il sesso dentro salò è una rappresentazione o metafora di questa situazione, quella che stiamo vivendo in questi anni: il sesso come obbligo e bruttezza. […] Oltre alla metafora del rapporto sessuale (obbligatorio e brutto), che la tolleranza del potere consumistico ci porta a sperimentare in questi anni, tutto il sesso in salò (e ce n'è una quantità enorme) è anche la metafora del rapporto di potere con chi ne è soggetto. In altre parole, è la rappresentazione (anche onirica) di ciò che Marx chiama la reificazione dell'uomo: la riduzione del corpo a cosa (attraverso lo sfruttamento). Nel mio film, quindi, il sesso è chiamato a svolgere un orribile ruolo metaforico. […] Nel potere – in qualsiasi potere, legislativo o esecutivo – c'è qualcosa di beluine. Infatti, nel suo codice e nella sua prassi, l'unica cosa che si fa è sanzionare e rendere praticabile la più primordiale e cieca violenza dei forti contro i deboli, cioè, ripetiamolo ancora una volta, quella degli sfruttatori contro gli sfruttati”.24.
Forse è per questo che, senza precedenti nella storia del cinema, nei titoli di coda di salò, Pasolini sente il bisogno di dichiarare gli autori da cui ha letto Sade – Roland Barthes (Sade, Fourier, Loyola, 1971), Simone de Beauvoir (Faut-il brûler Sade?, 1953), Maurice Blanchot (Lautréamont et Sade, 1949), Pierre Klossowski (Sade, mon prochain e Il filosofo scélérat, 1947) e Philippe Sollers (L'écriture et l'experience deslimits, 1968) –, a sottolineare, quindi, che la sua è un'approssimazione mediata, e a porsi esplicitamente come discepolo di Dante Alighieri, dando alla sua opera la stessa struttura ternaria di Alla divina commedia. In effetti, il film è diviso in tre cerchi ("gironi”) – quello della mania (perversioni), quello della merda (coprofilia) e quello del sangue (tortura e morte) – preceduto da Anteinferno, che funge da prologo. Secondo il regista, questa struttura è emersa quando si è reso conto che Sade, "mentre scriveva, stava sicuramente pensando a Dante"25.
“l'inferno esiste solo per chi ne ha paura”26
Invocare Dante significa risalire alle origini della lingua, della letteratura, della cultura italiana, un'origine esaltata, un tempo precedente al sorgere della borghesia mercantilista, capitalista, neocapitalista. Questo ritorno a un tempo precedente, però, significa anche tornare a un passato recente, a un tempo mitico, quello dell'immediato dopoguerra, quando le speranze della Resistenza contro il Fascismo avrebbero potuto realizzarsi, il tempo che vide il poeta dovere civico di lasciarsi alle spalle le rovine della guerra e impegnarsi nella ricostruzione morale della propria nazione. Ma mettersi sotto il segno di Dante, cioè sceglierlo come guida, significa anche scendere in un Inferno personale, quello dei propri desideri, per esorcizzarli, poiché questi non erano più sinonimo di libertà. , ma conformismo alla falsa liberazione proclamata dall'ordine borghese.
Mentre Pier Paolo Pasolini compiva questo viaggio interiore, il 2 novembre (giorno dei morti) il suo corpo fu ritrovato sulla spiaggia di Ostia, la stessa spiaggia dove, nel III Canto dell'Inferno, le anime di coloro che, non potendo per essere riscattati dal peccato originale, attendevano la barchetta dell'angelo che li avrebbe portati al Purgatorio.
E tu, che se' costì anima viva,
....partiti da cotesti, che son morti”.
....Ma poi che vide ch'io non mi partiva,
disse: “Per altra via, per altri porti
....verrai a piaggia, non qui, per passere:
....più lieve legno convien che ti porti”27.
*Mariarosaria Fabris è professore in pensione presso il Dipartimento di Lettere Moderne della FFLCH-USP. Autore, tra gli altri libri, di Nelson Pereira dos Santos: uno sguardo neorealista? (Edusp).
Sotto il titolo “Seguendo il sentiero di salò”, questo testo è stato pubblicato in Studi cinematografici di società (São Paulo: Annablume-Socine-Fapesp, 2007, p. 15-22), volume a cura di Rubens Machado Jr., Rosana de Lima Soares e Luciana Corrêa de Araújo. Questa versione è stata rivista e aggiornata.
note:
[1]ALIGHIERI, Dante. La divina commedia - L'inferno. Milano: Rizzoli, 1949, p. 15. Versione portoghese: "Nel mezzo del cammino di questa vita / mi trovai ad entrare in una giungla oscura, / dove la direzione era stata persa". DANTE. Inferno (La Divina Commedia). Traduzione di Cristiano Martins. Belo Horizonte: Press/Pubblicazioni, 1971, p. 17.
2PASOLINI, Pierpaolo. la mimesi divina. Torino: Einaudi, 1975, p. 18.
3Ibid., pag. 5, 15.
4Ibid., P. 5.
5Ibid., pag. 9, 14.
6apud: NALDINI, Nico. Pasolini, una vita. Torino: Einaudi, 1989, p. 262.
7PASOLINI, Operazione. città., pag. 19.
8Vedere ibid., pag. 45.
9Vedere ibid., P. 19, 59.
10ibid., pag. 25.
11ORTO, Giovanni Dall'. “Contro Pasolini”. In: CASI, Stefano (org.). Desiderio di Pasolini. Torino-Milano: Edizioni Sonda, 1990, p. 151.
12SANTI, Gualtiero De. “L'omosessualità nel cinema di Pier Paolo Pasolini”; ORTO, Operazione. cit.; Pasolini, apud: ibid.; cfr. anche SITI, Walter. “Postfazione in forma di lettera”. In: CASI (org.), Operazione. cit., P. 106, 173, 179 e 186 rispettivamente.
13NALDINI, Nico. “'Un fatto privato'. Appunti di una conversazione”. In: CASI (org.), Operazione. cit., P. 16; cfr. anche pag. 13-15. La spinta all'autoflagellazione esplode in “Appunto 55 – Il Pradone della Casilina” [nota 55 – O descampado da Casilina], uno dei capitoli di Petrolio (Torino: Einaudi, 1992, p. 201-229), opera incompiuta pubblicata postuma. In essa il protagonista, Carlo, si concede a venti ragazzi, in un lotto abbandonato alla periferia di Roma. Lo scrittore ha così affidato alle “pagine scabre”, di “estrema letteralità” del romanzo, “il compito di dare libero sfogo alla sua omosessualità, facendola sfociare in un 'desiderio di oscenità' senza freni e senza veli: nudo , o meglio, smisuratamente esibito, con piacere”. CINZARI, Stefania. “sessione di colore Petrolio. Notte di morte dedicata a Pasolini”. L'Unità, Roma, 14 maggio 1994, p. 9. Il rituale erotico di Petrolio ha influenzato diversi artisti, che lo hanno portato sul palco e sullo schermo. Ad esempio, Abel Ferrara, nel film Pasolini (2014), ha condensato in pochi scatti gli eventi di quella notte, mentre in Appunto 55bis (2005), la compagnia teatrale L'Archimandrita ha rappresentato la storia di Sandro, uno dei giovani partecipanti all'orgia. Già nel 1996 Giuseppe Bertolucci aveva registrato, in video, il monologo teatrale Il piatto di Casilino, da lui diretta, per celebrare il “'sacrificio letterario' che Pasolini ha compiuto, per anni, dentro la sua testa e la sua scrittura”. Cfr. FABRIS, Mariarosaria. “Pasolini, un Pasolini”. In: MIGLIORIN, Cezar e altri (org). Annali dei testi integrali del XXI Meeting Socine [risorsa elettronica]. San Paolo, Socine, 2018, p. 554-555; “Il piatto della Casilina e la storia di Sandro”. Disponibile in . Accesso: 2005 nov. 05; apud: “Il piatto del Casilino”. Disponibile in . Accesso: 8989 nov. 19.
14PASOLINI, Pierpaolo. “Abiura dalla 'Trilogia della vita'”. In: Trilogia della sua vita. Milano: Mondadori, 1987, p. 8. Sebbene scritto il 15 giugno, l'articolo fu pubblicato postumo, il 9 novembre 1975, dal quotidiano milanese Il Corriere della Sera.
15FERRERO, Adelio, “La ricerca dei popoli perduti e il presente come orrore”. In: Il cinema di Pier Paolo Pasolini. Milano: Mondadori, 1978, p. 109-155; MICCICHE, Lino. “Qual è colui che a suo dannaggio sogna”. In: Pasolini nella citazione del cinema. Venezia: Marsilio, 1999, p. 191-208. Le idee sviluppate di seguito sono state ispirate da questi due autori.
16MICCICHE, Operazione. cit., P. 194.
17Cfr. BOYER, Alain-Michel. Pierpaolo Pasolini. Qui êtes-vous?. Lione: La Manufacture, 1987, pag. 213.
18MICCICHE, Operazione. cit., P. 200.
19PASOLINI, la mimesi divina, cit., pag. 17.
20apud: NALDINI, Pasolini, una vita, cit. P. 387.
21Cfr. BATTAGLIA, Salvatore. Letteratura italiana: Medioevo e Umanesimo. Firenze-Milano: Sansoni-Accademia, 1971, p. 189.
22In un precedente testo dedicato a salò, ho approfondito altri aspetti del film, qui tralasciati, per sottolineare il parallelo con l'opera di Dante Alighieri da la mimesi divina. Cfr. FABRIS, Mariarosaria, “Requiem per una repubblica”. In: Annali del XVIII Convegno Regionale di Storia – Lo storico e il suo tempo. ANPUH/SP-UNESP/Assis, 24-28 luglio. 2006, cd.
23BUTTAFAVA, Giovanni. “Salò o il cinema in forma di rosa”. In: GIAMMATTEO, Fernaldo Di (org.). Lo scandalo Pasolini. Roma: Bianco & Nero, 1986, p. 43.
24apud: GIAMMATTEO, Fernaldo Di. “Pasolini l'eresia quotidiana”. In: GIAMMATTEO (org.), Operazione. cit., P. 31.
25apud: NALDINI, Pasolini, una vita, cit., pag. 388. Questa struttura, con il prologo che fa da cornice alla narrazione, può rimandare anche ad un altro classico della letteratura italiana, il già citato decameron, un'opera che esprime il desiderio di un'epoca superata dalla realtà dei tempi nuovi.
26ANDRE', Fabrizio De. “Preghiera in gennaio”. In: Fabrizio De André – Volume n. 1. Giocare a lungo. Milano, Produttoriassociati, 1970. Versione portoghese: “l'inferno esiste solo per chi lo teme”.
27ALIGHIERI, Operazione. cit., P. 27. Versione portoghese: “'Ma tu, che sei vivo, e vedo mescolato / con i morti, lasciali andare e va' presto'. / E, siccome stavo lì, // 'Il tuo porto è un altro, la tua strada è da sola / attraverso di loro', disse, 'passerai un giorno: / so che questo più leggero ti porterà'. DANTE, Operazione. cit., P. 37. Cfr. PROVENZALE, Dino. “La Commedia”. In: Enciclopedia degli studenti. 9 v. Milano: Ullmann, 1955, v. VI, pag. 191. La spiaggia di Ostia (dove scorre il Tevere) è vicina a Roma.