Accattone

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da TESSUTO MARIAROSARIA*

Considerazioni su Il film d'esordio di Pier Paolo Pasolini

Partendo da un'idea di Lino Micciché, potremmo dire così disadattato sociale (Accattone, 1961)[1] nato sotto il segno di Jean-Paul Sartre, sul piano esistenziale, e Jean Cocteau, dal punto di vista cinematografico. Per Sartre, infatti, l'uomo, quando muore, non è altro che la somma dei propri atti e, per Cocteau, il cinema documenta la “morte in azione”. E disadattato sociale è il lungo viaggio di Vittorio (il cui soprannome “Accattone” significa mendicante, cioè persona che non vive del proprio lavoro) verso la morte, vista da Pasolini come l'unico modo per sfuggire a una condizione sociale avversa. L'intero film è scandito da immagini e dialoghi che, quando non si riferiscono direttamente alla morte, ci rimandano ad essa.

La presa che si apre disadattato sociale, subito dopo i cartelli, c'è un piano medio di Scucchia, residente in un quartiere periferico di Roma, che porta un mazzo di fiori, come se stesse andando a un funerale. Nel dialogo che segue l'idea della morte sarà presente più volte. Uno dei giovani del circolo magnaccia gli chiede se non è ancora morto, perché il lavoro uccide. Scucchia ribatte che sembrano usciti dall'istituto medico legale e Accattone inizia a parlare della morte di un compagno, Barbarone, che, secondo lui, sarebbe morto di fatica e non di indigestione, mentre cercava di attraversare a nuoto il Tevere, poco dopo. dopo pranzo. Provocato da uno dei ragazzi, Accattone accetta la sfida di ripetere la stessa impresa che ha ucciso l'altro.

Dopo un lauto pasto, durante il quale si parla di come sarà la sepoltura, Accattone è pronto per l'impresa. Proprio mentre si tuffa in acqua, nel primo fotogramma condivide il campo con una delle sculture del Bernini che adornano il Ponte Sant'Angelo, un angelo che porta una grande croce, che ricorda la statuaria funeraria. I canti dialettali che compaiono in queste sequenze iniziali del film hanno lo stesso tema: il locale, barca romana, narra il suicidio di una ragazza per amore e il napoletano, fenesta ca lucive, racconta della morte di una giovane donna. Se si tratta di riferimenti rapidi, man mano che la narrazione procede, i segni diventano sempre più evidenti.

Non avendo di che vivere, dopo l'arresto di Maddalena, la prostituta da lui sfruttata, Accattone cerca di riconciliarsi con Ascensa, sua moglie. Mentre percorri una lunga strada assolata, senti il ​​rintocco funebre di una piccola campana. Vedendolo passare, un amico, il ladro Balilla, si fa il segno della croce, come se vedesse un'anima persa, e gli dice che dall'altra parte c'è il cimitero. Poco dopo, una sepoltura incrocia il loro cammino e, per un attimo, i due correranno paralleli, ma in direzioni opposte. Quando attraversa con il corteo funebre, due bambini si fanno il segno della croce.

Avremo anche alcuni riferimenti funebri, prima della fine del film (come, ad esempio, quando vedendo che suo figlio Iaio non lo riconosce, Accattone dice che è quella povera anima di suo padre; quando, litigando con il suo cognato, lo minaccia di morte e il suocero cerca di aggredirlo con un coltello, dopo avergli rivolto una maledizione; quando Maddalena, denunciandolo, urla che non è degno di vivere in questo mondo ), in cui la morte del personaggio è preceduta da un sogno premonitore, in cui ritorna la lunga strada assolata.

Nel sogno, Accattone, dopo essere stato chiamato dai quattro napoletani che compaiono all'inizio del film, si accorge che sono morti e poi ritrova i suoi amici che, portando dei fiori, si stanno recando al proprio funerale. Indossando gli stessi vestiti neri di questi, cerca di seguirli, ma prima trova Balilla e vede passare il corteo funebre, come quando era andato a cercare la sua ex moglie. Giunto al cimitero viene fermato, quindi salta oltre il muro e, vedendo il becchino aprire la sua fossa nell'ombra, gli chiede di scavarla alla luce.

Finito il sogno, poco prima della fine del film, quando Accattone, per non aver sopportato il mestiere, decide di diventare un ladro, abbiamo ancora due momenti che rimandano all'idea della morte: il primo, quando Balilla è seduto su un carro tra i fiori; la seconda, quando i tre ladroni stanno riposando e Accattone dice a Cartagine, l'altro ladro che si è tolto le scarpe, che puzza più da vivo che da morto. Dopodiché, c'è il furto finale che determina la morte del personaggio, che chiude rapidamente il film.

La lunga strada verso la morte di questo essere che viveva ai margini della società è stata segnata anche da momenti in cui cercava il riscatto, quando, innamorato di Stella, conosciuta lavorando ad Ascensa, non riesce a prostituirla e tenta lavorare per sostenerla. . Considerando la traiettoria del protagonista, ci si rende conto che Pasolini, raffigurandolo senza alcuna traccia di autocoscienza, il che giustifica una certa purezza di atteggiamenti e sentimenti, lo ha fatto in modo epico, in quanto Accattone è portatore di un “innocente e il primitivismo primitivo “disperatamente vitale” (nelle parole di Micciché), e lo immerse in un'atmosfera sacra, tradotta non solo dalla musica di Bach – Passione secondo San Matteo – ma soprattutto per il parallelismo che spesso è possibile stabilire tra la sua vita e quella di Cristo.

La predestinazione alla morte, esistente, come abbiamo già dimostrato, fin dalle prime fasi; la sequenza nell'osteria, con i quattro napoletani, in cui la posa di Accattone, quando si sente male, rimanda a modelli pittorici di ultime cene; la prigione; l'umiliazione a cui è sottoposto dopo la lite a casa dell'ex moglie, quando se ne va insultato dal cognato, come se fosse una delle stagioni di Via Crucis; i nomi stessi delle tre donne della sua vita, una che allude al peccato (Maddalena), due che ricordano la redenzione (Ascensa, Stella); il resto nel retro di un furgone dove l'inquadratura del suo volto ricorda la testa pendente di un Cristo morto; la frase che esclama alla fine della sua giornata di lavoro (“Sia fatta la volontà di Dio”); la fine del suo viaggio in compagnia di due ladroni e la sua morte rassegnata autorizzano una lettura religiosa del film. Lo stesso Pasolini, tra l'altro, in un'intervista rilasciata alla rivista Bianco e nero, nel 1964, riconosce questa caratteristica epico-religiosa della sua poetica:

“In fondo, la mia visione del mondo è sempre di tipo epico-religioso; anche e soprattutto nei personaggi miserabili, personaggi che sono al di fuori di una coscienza storica, e in questo caso concreto, al di fuori di una coscienza borghese, questi elementi epico-religiosi giocano un ruolo importantissimo. La miseria, per le sue caratteristiche intrinseche, è sempre epica, e gli elementi che entrano nella psicologia di un misero, di un povero, di un sottoproletario, sono sempre in certo modo puri, perché privi di coscienza e, quindi, essenziale. Questo modo di vedere il mondo dei poveri, dei sottoproletari, è sottolineato, credo, non solo nella musica, ma anche nello stile stesso dei miei film. La musica è l'elemento, diciamo così, di punta, l'elemento clamoroso, la veste quasi visibile di un fatto stilistico più interiore. (...) Non è altro che l'abbigliamento, ripeto, di un modo di essere, di vedere le cose, di sentire i personaggi, un modo che si realizza nella fissità, in un certo modo gerarchico, delle mie inquadrature (. ..), fissità – quella che scherzosamente chiamo romantica – nei personaggi, nella frontalità delle inquadrature, nella semplicità quasi austera, quasi solenne delle vedute panoramiche (…). Molto si è detto dell'intima religione di Accattone, del fatalismo della sua psicologia (…). Ma solo attraverso procedimenti e stili tecnici si può riconoscere il valore reale di quella religiosità: che diventa approssimata e 'giornalistica' in chi la identifica con i contenuti, espliciti o impliciti. In definitiva, la religiosità non era tanto nel supremo bisogno di salvezza personale del personaggio (da esploratore a ladro!) o, in prospettiva esterna, nella fatalità, che tutto determina e conclude, di un ultimo segno di croce, ma era ' nel modo di vedere il mondo': nella sacralità tecnica del vederlo”.

L'intervista è molto significativa per l'analisi che proponiamo, soprattutto quando Pasolini dice che i suoi miserabili personaggi sono “fuori da una coscienza storica”, “fuori da una coscienza borghese”, che “gli elementi che entrano nella psicologia di (...) sottoproletari sono sempre in certo modo puri, perché privi di coscienza” e che “la religiosità non era tanto nella suprema esigenza di salvezza personale del personaggio (…), di un ultimo segno di croce, ma era 'nella modo di vedere il mondo'".

Queste caratteristiche, segnalate dallo stesso autore, ci permettono di toccare alcuni punti cruciali. Infatti i personaggi di disadattato sociale appartengono alla sfera di coloro che non hanno accesso alla realtà politica e sociale del Paese, perché abitano ai margini di quella società, quindi vivono al di fuori della storia, poiché non ne sono gli attori. Questa condanna storica, alla quale sembrano destinati, si incarna nel film in quella specie di muro di grattacieli (indicazione dello sviluppo neocapitalista dell'Italia che si ricostruisce, dopo la fine della guerra), che, segnando la limite tra città e periferia sembra chiudere il sottoproletariato in un ghetto.

Non si tratta però di una condizione contemporanea e questo nel film è evidente nel nome scelto per i due ladroni che accompagnano Accattone alla morte: Balilla, che viene a ricordare la miseria imposta dal fascismo, il cui ordine alla società italiana di quegli anni sembravano emulare (“balilla”, durante il vicenio fascista, erano ragazzi tra gli 8 e i 14 anni che facevano parte di formazioni paramilitari), e soprattutto Cartagine (Cartagine), che risale agli albori della storia italiana. Questa lettura si ispira alle seguenti parole di Pasolini:

“Il sottoproletariato (…) è, solo apparentemente, contemporaneo alla nostra storia. Le caratteristiche del sottoproletariato sono preistoriche, sono decisamente precristiane, il mondo morale di un sottoproletariato non conosce il cristianesimo. I miei personaggi, per esempio, non sanno cosa sia l'amore in senso cristiano, la loro morale è la morale tipica di tutto il sud Italia, fondata sull'onore. La filosofia di questi personaggi, seppur ridotta in briciole, ai minimi termini, è una filosofia precristiana di tipo stoico-epicureo, sopravvissuta al mondo romano e passata indenne attraverso la dominazione bizantina, papale o borbonica. Il mondo psicologico del sottoproletariato è praticamente preistorico, mentre il mondo borghese è evidentemente il mondo della storia».

Essere preistorico significa non avere coscienza, significa vivere un'innocenza mitica, significa opporsi all'ordine repressivo, significa non lasciarsi contaminare dalla logica borghese. Una non contaminazione che si manifesta anche nella lingua di Accattone e compagni, che non conoscono la lingua standard, la lingua unitaria della penisola. Anche in questo, e non solo nel tema e nel trattamento riservato ai personaggi, sta la matrice comune tra disadattato sociale e i primi due romanzi che Pasolini pubblicò, ragazzi della vita (Ragazzi di vita, 1955) e una vita violenta (una vita violenta, 1959), in cui già rifiutava i mezzi linguistici che la tradizione borghese offriva e creava una nuova lingua, un misto di romanesco, dialetti meridionali e gergo criminale, con cui dare voce alle classi popolari, agli strati emarginati della vita nazionale.

Rispetto ai due libri, il film non arriva, attraverso la ripetizione tematica, a chiudere un ciclo, ma ad approfondire, con i mezzi propri del cinema, il discorso letterario di Pasolin. Se, invece, in una vita violenta, il romanzo a cui il film è stato più vicino dalla critica, Tommasino muore, ma la classe cui appartiene si salva, in disadattato sociale, con la morte di Accattone, solo lui si salva, perché, come ha detto lo stesso autore, la sua crisi è “una crisi tutta individuale: si svolge non solo nell'ambito della sua personalità irriflessa e inconsapevole, ma anche nell'ambito la sua condizione sociale irriflessa e inconsapevole mi sono imposto di vedere cosa accadeva dentro l'anima di un sottoproletario della periferia romana (insisto nel dire che non si tratta di un'eccezione, ma di un caso tipico di almeno mezza Italia); e lì ho riconosciuto tutti i mali antichi (e tutto il bene antico e innocente della vita pura). Non ho potuto fare a meno di notare: la loro miseria materiale e morale, la loro feroce e inutile ironia, la loro sfacciata e ossessiva foga, la loro sdegnosa indolenza, la loro sensualità senza ideali e, mescolata a tutto ciò, il loro atavico, superstizioso cattolicesimo pagano. Pertanto, Accattone sogna la morte e il paradiso. Dunque, solo la morte può 'aggiustare' il suo pallido e confuso atto di resa. Non c'è altra soluzione intorno a lui, così come non c'è altra soluzione per un numero enorme di persone simili a lui. Un caso come quello di Tommasino è molto, molto più raro di un caso come quello di Accattone. Con Tommasino ho creato un dramma, con Accattone una tragedia: una tragedia senza speranza, perché sospetto che pochi spettatori vedranno un senso di speranza nel segno della croce con cui si conclude il film”.

Infatti, se nel gesto di Balilla non c'è traccia di speranza, mentre si fa il segno della croce con le mani ammanettate, anche la morte di Accattone non è esemplare per nessuno, perché solo lui si libera dal dramma quotidiano che sta vivendo la gente del proprio status sociale. Se lui accetta la morte sorridendo ed esclama: “Aaaah… Adesso sto bene!”, gli altri continueranno a vivere in questo “calvario” in cui, come dice Sandro Petraglia, “si proiettano ombre gigantesche di un sistema basato sullo sfruttamento dell'uomo e in assenza di valori reali”.

Pertanto, nonostante la religiosità che permea il film (non una religiosità cristiana, nonostante tutti i parallelismi che potremmo tracciare, ma, come abbiamo visto, una religiosità dei popoli primitivi), la morte di Accattone non riscatta come fatto collettivo (superando la propria condizione di classe), ma solo come fatto individuale, poiché salvare ideologicamente un'intera classe equivarrebbe a uscire dal ghetto ed entrare nell'altra logica, quella del lavoro capitalista, la logica dell'universo borghese, che il personaggio rifiuta, sebbene inconsapevolmente emula (nell'esplorazione pimping, vagando per le strade della città per otto ore prima di riuscire a rubare qualcosa). Ed è una cosa a cui Pasolini non voleva sottoporre Accattone.

In vari momenti del film l'idea del lavoro si lega all'idea del sacrificio, dello sfruttamento, della morte, qualcosa di profano: per esempio, quando i ruffiani chiedono a Scucchia se il lavoro non uccide e lo chiamano martire ; quando Sabino, il fratello minore di Vittorio, dice che andrà a lavorare e uno dei ragazzi esclama che è maledetto; quando Stella commenta che al lavoro le pagano solo quello che le serve per non morire di fame; quando Accattone associa il luogo dove lavora per un giorno a un campo di concentramento (Buchenwald). Questo rifiuto violento di ogni attività lavorativa, che permetterebbe di uscire dalla condizione di sottoproletario per quella di proletario, è legato al fatto che ciò significherebbe instaurare un ordine dove predomina l'anarchia, e l'idea di ordine, come Ricorda Leonardo Sciascia, in Italia evoca subito l'idea del fascismo. In questo senso, bisogna tener conto che la traiettoria di Accattone si svolse nella stagione estiva del 1960, cioè in corrispondenza di un periodo in cui, in paese, si respirava aria di restaurazione neofascista. Come osservava lo stesso Pasolini,

"disadattato sociale nasce in un momento di sconforto, cioè durante l'estate del governo Tambroni. Ecco perché, disadattato sociale è, in un certo senso, una regressione rispetto a una vita violenta. una vita violenta è nata negli anni Cinquanta, prima della crisi stalinista, quando la speranza, nell'ottica della Resistenza e del dopoguerra, era ancora viva, era un fatto reale, che rendeva la prospettiva di una vita violenta (…) il viaggio di Tommaso Puzzilli attraverso fasi contraddittorie, passando dal puro fascismo-arroganza alla tentazione di una vita ordinata democristiana e infine al comunismo. Niente di tutto questo esiste in disadattato sociale. Effettivamente, da un punto di vista, diciamo, di un'etica strettamente comunista, disadattato sociale regredisce ed è, in un certo senso, un'involuzione rispetto a una vita violenta. (…) Nel libro, oltre alla denuncia sociale, alla descrizione di un certo ambiente, avevo presentato anche una soluzione esplicita ai problemi di questo mondo, costringendo il mio personaggio a fare una scelta dichiarata, cioè scegliere, anche se in modo confuso, il Partito Comunista. Al contrario, dentro disadattato sociale, un po' come in ragazzi della vita, il problema sociale si limita ad essere una denuncia, un elemento di fatto, che assume maggiore importanza solo perché ragazzi della vita era una denuncia apparsa verso la fine del dopoguerra, e quindi aveva un lato evidente. disadattato sociale, al contrario, si svolge nel tempo del benessere capitalistico, e quindi la stessa denuncia è più cruda, poiché corrisponde a dire che mezza Italia, da Roma in giù, non è l'Italia del benessere capitalista” .

Quando ricordava, come aveva fatto nei suoi romanzi, le sacche di miseria che persistevano in un paese che marciava rapidamente verso il boom economica, e, allo stesso tempo, non trovando nella consapevolezza una soluzione a questa tragedia contemporanea, poiché alla fine del percorso di Accattone non c'è speranza, Pasolini ha dispiaciuto ancora una volta tutti, soprattutto a sinistra, che dicevano che il film presentava una visione ideologica sbagliata.

Come suggerisce Lino Micciché, però, questa critica non ha ragione di esistere, poiché disadattato sociale “non si propone, in alcun modo, come rappresentazione ideologica della condizione proletaria, ma solo come applicazione ad un mondo sottoproletario (…) dell' 'ideologia della morte' che tormenta ed eccita l'intellettuale borghese Pier Paolo Pasolini . Con Accattone, dunque, non muore un sottoproletario 'storico' delle periferie, ma si concretizza formalmente una prima ipotesi di morte che parte dall'universo pasoliniano interiore e cerca di verificarne la validità nella rappresentazione di una realtà (...) . Poco importa, in questo senso, misurare la realtà dell'opera con quella del sottoproletariato che essa intende rappresentare (e rispetto alla quale vale, sociologicamente parlando, come 'film di denuncia'). (…) È importante, però, riferire la realtà dell'opera a una visione del mondo che già negli antecedenti poetici e letterari di Pasolini era stata definita carica di presagi di morte. (…) La verità è che la condizione 'preistorica' del sottoproletariato permette a Pasolini di portare avanti apertamente il suo discorso sulla morte, come la conclusione più logicamente insita nella premessa. La morte, per Pasolini, non è, o non è tanto, la conclusione biochimica dell'esistenza biologica, quanto la legge che caratterizza l'esistenza, la pulsione sovrana, la conclusione obbligatoria e definitiva (l'unica definitiva e, quindi, l'unica veramente necessaria). di ogni discorso e di ogni esistenza: e quindi l'unica, predominante, tensione della realtà”.

La morte è dunque per Accattone l'unica soluzione possibile a una condizione sociale senza uscita. Pertanto, solo la morte può permettergli di raggiungere la riva della redenzione.

*Mariarosaria Fabris è professore in pensione presso il Dipartimento di Lettere Moderne della FFLCH-USP. Autore, tra gli altri libri, di Neorealismo cinematografico italiano: una lettura (Edusp).

Versione riveduta dell'articolo “Il limite della redenzione: considerazioni su Accattone”, pubblicato su Revista de Italianistica no. 1, 1993.

 

Riferimenti


Ciclo Pasolini anni '60. Lisbona: Fondazione Calouste Gulbenkian, 1985 [la traduzione portoghese delle testimonianze di Pasolini ha subito alcune modifiche].

FABRIS, Mariarosaria. “La lingua come ideologia”. Lingua e letteratura, San Paolo, n. 15, 1986.

MICCICHE, Lino. Il cinema italiano degli anni '60. Venezia: Marsilio, 1975.

PETRAGLIA, Sandro. Pier Paolo Pasolini. Firenze: La Nuova Italia, 1974.

SCIASCIO, Leonardo. “Il mio contesto”. L'Espresso, Roma, anno XXXV, n. 50-51, 24 dic. 1989.

 

Nota


[1] Pur non essendo d'accordo con il titolo dato in Brasile al film d'esordio di Pasolini, fu adottato per non creare confusione tra opera e personaggio. Affinché il lettore possa meglio seguire l'analisi proposta, ecco la sinossi di disadattato sociale: Accattone è un magnaccia, che vive alle spalle della prostituta Maddalena, la quale, per stare con lui, aveva denunciato l'uomo che in precedenza l'aveva sfruttata. Con il suo arresto, Accattone aveva iniziato a mantenere moglie e figli. Un giorno Accattone viene cercato da quattro napoletani, uno dei quali è amico dell'ex magnaccia di Maddalena; di notte vanno a cercare la prostituta per vendicare il loro amico, picchiandolo violentemente. In questura, Maddalena, non riuscendo a identificare i suoi aggressori tra i vari uomini con cui deve vedersela (tra cui Accattone), finisce per incolpare alcuni ragazzi del suo quartiere, per vendicarsi di uno scherzo che le avevano fatto. La menzogna però viene scoperta e lei viene arrestata per falsa testimonianza. Senza nulla per cui vivere, Accattone inizia a vendere i suoi gioielli e, alla fine, va a cercare Ascensa, la sua ex moglie; al lavoro incontra Stella, una giovane donna ingenua. Rifiutato dalla moglie e dalla sua famiglia, vede in Stella la possibilità di cambiare le cose. Per conquistare la ragazza, che è molto povera, le compra un paio di scarpe e, per farlo, ruba la catenina d'oro del figlio. Stella si rassegna a prostituirsi per amore di Accattone, ma, con suo grande sollievo, non ci riesce. Intanto, in carcere, Maddalena, saputo da un'altra prostituta arrestata che Accattone si è procurato una nuova donna, per vendicarsi, lo denuncia e lui comincia a essere sorvegliato dalla polizia. Accattone è innamorato e per questo amore è disposto ad affrontare qualsiasi sacrificio, anche per lavorare, ma resiste solo un giorno e, pur di sopravvivere, va a cercare il ladro Balilla da associare a lui e Cartagine. . Dopo una lunga giornata in giro per le strade di Roma, i tre non ottengono nulla, finché non vedono un camion di salumi, da cui rubano del formaggio e un prosciutto. La polizia li accerchia e, mentre Balilla e Cartagine sono ammanettati, Accattone prende una moto e fugge. Subito dopo che la moto slitta, Accattone cade e muore. I due amici corrono al ponte, e mentre Accattone spira, Balilla si fa il segno della croce.

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