da CARLOS ENRIQUE RUIZ FERREIRA*
La tesi di Flávio Dino è che il delitto di occultamento di cadavere continua a verificarsi nel tempo, al di là del suo evento inaugurale. È un crimine permanente
Prendersi cura dei morti
Per gli antichi greci ogni morto era un Dio, un essere sacro, come osservano Eschilo ed Euripide. Jean Pierre Vernant ci ricorda che la morte, in fondo, è “al di sopra della condizione umana” e richiede il compimento di una serie di cerimonie (Mito e religione nell'antica Grecia). I romani si rivolgevano ai defunti come dei criniere, “sono uomini trapassati dalla vita: considerateli come esseri divini” (Cicerone, In legibus).
Il Codice di Manu afferma che i riti funebri sono i più antichi dell'umanità e svolgono la funzione di far riposare le anime dei defunti, oltre a portare pace e benessere alla famiglia.
Nel Candomblé il ciclo naturale della morte deve essere onorato con riti che garantiscano l'equilibrio tra il mondo fisico e quello spirituale, tra i quali si cura, attraverso varie procedure religiose, il passaggio dell'anima del defunto dal Sì, sì su Orun. Questi riti sono chiamati Àsèsè, “ritorno alle origini” (José Beniste, Órun-Àiye – L'incontro di due mondi).
Em Antigone, di Sofocle, opera considerata da molti uno dei baluardi dei diritti umani, il dramma si concentra in gran parte sul decreto del re di Tebe, Creonte (che incarna il diritto positivo). Ordina che Polinice, considerato un traditore, venga insepolto e lasciato alla mercé degli uccelli rapaci. Antigone, sua familiare, manca di rispetto alla Legge, allo Stato, e si preoccupa di onorare il corpo del fratello, evidenziando l'eterno dilemma tra giustizia e diritto, o tra diritto naturale (e diritti umani) e diritto positivo.
Fustel de Coulanges ritiene che “la religione dei morti sembra essere la più antica che esistesse” tra i popoli indoeuropei. Che ancor prima di «adorare Indra o Zeus, l'uomo adorava i morti, ne aveva paura, li pregava». E conclude: «Sembra che lì abbia avuto origine il sentimento religioso». (La città antica)
In molte religioni e culture del mondo, quindi, la cura dei morti, la cura del corpo di qualcuno che è venuto a mancare, costituisce una delle dimensioni più importanti della vita umana, e può quindi essere considerato un diritto inalienabile.
La decisione di Flávio Dino sull'occultamento dei cadaveri
Questo preambolo evidenzia la portata della recente decisione del togado Flávio Dino sull'occultamento dei cadaveri, pratica abominevole e “crimini permanenti” commessi ripetutamente dai militari brasiliani nella lunga notte della dittatura. La decisione del Ministro della Corte Suprema Federale (STF) fa riferimento ad un ricorso del Ministero Pubblico Federale (i cui autori vanno accolti) alla Corte Suprema, visto il rigetto da parte del Tribunale Regionale Federale della 1a Regione del discussione. Questa casa, TRF1, ritiene che il reato di occultamento di cadavere sia protetto dalla legge sull'amnistia.
I “media nativi”, nel gergo di Mino Carta, dicono che la decisione del magistrato Flávio Dino mira a rivedere la legge sull’amnistia. È molto più che ovvio che la famigerata Legge debba essere rivista, alla luce dei più elementari principi dei diritti umani, internazionalmente riconosciuti, e della giustizia, ma, in questa particolare discussione, non è così.
Risulta che la legge sull'amnistia ha concesso la grazia per i reati politici in un periodo di tempo determinato: tra il 2 settembre 1961 e il 15 agosto 1979. La tesi di Flávio Dino è quindi che il reato di occultamento di cadavere continua a verificarsi nel tempo, in oltre alla sua impresa inaugurale. È un crimine permanente e, anche se è stato commesso inizialmente durante l’interregno dell’amnistia, continua oltre, continuando fino ai giorni nostri. La legge sull'amnistia, quindi, non può essere applicata.
La decisione contiene un'ampia base sul sistema giuridico internazionale e nazionale, illustri giuristi e giurisprudenza. Riguardo a quest'ultimo ne sottolineo uno: «Rimuovere la salma dal luogo dove dovrebbe restare e portarla in un altro dove normalmente non sarà riconosciuto caratterizza, in teoria, il reato di occultamento di cadavere. La condotta mirava ad impedire che l'omicidio venisse scoperto e, in modo evidente, a distruggere le prove del delitto. Questo è un crimine permanente che continua fino al momento della scoperta del cadavere” (HC 76678-8 RJ, Rel. Min. Maurício Corrêa. 2° Pannello, DJU 8-9-2000, p 5)
Sostiene il ministro Dino: “Nel reato permanente l'azione si estende nel tempo. L'applicazione della legge sull'amnistia estingue la punibilità di tutti gli atti compiuti fino alla sua entrata in vigore. Risulta che, man mano che l’azione si estende nel tempo, ci sono atti successivi alla legge sull’amnistia”. (Ricorso Straordinario con Ricorso 1.501.674 Pará, STF)
Cristallino come l'acqua di una fontana: la pratica dell'occultamento dei cadaveri attuata dai militari energúmenos durante la dittatura è un crimine che continua a verificarsi, continua ad essere vigoroso, perpetuando un dolore indescrivibile nella famiglia e negli amici della vittima.
Ciò che diventerà giustizia, se gli altri membri della STF adempiranno alle tesi di Dino, sarà quindi un rito funebre per una delle tante impunità che il Paese ancora permette che esistano nel nostro territorio fisico, emotivo e immaginario.
Dolore permanente – “Sono ancora qui”
A cosa si riferisce l’idea “Sono ancora qui” nel film con lo stesso titolo? La molteplicità è necessaria.
Parlando con Malu Ferreira, la sua interpretazione era che “Sono ancora qui” alluderebbe a sua madre, Eunice, e alla sua presenza familiare, nella cura dei suoi figli, nel suo lavoro, per esempio. Quando sono uscito dal cinema avevo pensato a due proposte. Il primo, influenzato dal Nego Bispo, quel “Sono ancora qui” ci diceva che Rubens Paiva è ancora tra noi.
È nel film, con la sua famiglia, per onore dei ricordi. Rubens Paiva divenne ancestrale. La seconda interpretazione che ho avuto è che la dittatura è ancora qui. Nel militare che ha recentemente presieduto il Paese, nel tentato colpo di stato dell'8 gennaio, nel piano del pugnale verde e giallo (con omicidi premeditati) divenuto noto in questi giorni e, forse ancora peggio, nella cultura di violenza, bolsonarista, così presente e radicata nei cuori e nelle menti della maggior parte dei brasiliani.
Ma con tutto questo dibattito, sollecitato dal MPF e dal ministro Flávio Dino, possiamo anche supporre che “sono ancora qui” si riferisca al corpo di Rubens Paiva e alle tante, tante morti crudeli i cui corpi rimangono dispersi. “Sono ancora qui” sono le parole che risuonano dai corpi non ritrovati.
Carlos Enrique Ruiz Ferreira è professore di scienze politiche presso l'Università Statale della Paraíba.
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