da MARCOS AURÉLIO DA SILVA*
Presentazione del libro appena uscito di Stefano G. Azzarà
Stefano G. Azzarà è certamente uno dei più importanti critici della cultura postmoderna nel paese di Gramsci, angolo attraverso il quale ha esaminato con particolare astuzia le deviazioni che la sinistra italiana (e anche quella europea e occidentale) ha percorso almeno dalla caduta del muro di Berlino. Tuttavia, è la prima volta che il tema viene affrontato dal suo titolo, come appare ora in questa raccolta di saggi, che vuole essere anche un omaggio al grande filosofo italiano Domenico Losurdo, con il quale l'autore collaborò all'Università di Urbino e nella Società Internazionale Hegel-Marx per il Pensiero Dialettico.
Era Domenico Losurdo, in un seminario del 2015 tenutosi nella città di Napoli ‒ capitale filosofica d'Europa, sede dell'importante Istituto Italiano per gli Studi Filosifici ‒ dedicato alla discussione del libro Democrazia Cercasi (Cercasi Democrazia) dello stesso Azzarà,, che ha proposto di intitolare l'opera addio postmodernismo,. Nell'argomentazione di Losurdo, il lettore potrà leggere nel testo sintetico ma penetrante che introduce questo volume, i tanti addii che la cultura politica trasformista ha voluto dare al marxismo a partire dagli eventi che hanno posto fine alla Guerra Fredda, e tutti meritano una risposta al culmine dell'energia critica presente nel libro dell'autore.
Ed è proprio su questo libro che è nato il primo capitolo di quest'opera, intitolato “a una critica politico-filosofica del postmodernismo”.. È organizzato intorno alla discussione della categoria della democrazia moderna, la cui crisi postmodernista è un'espressione culturale. Non si tratta però di una mera nozione feticista della democrazia, della democrazia in quanto tale, ma del suo stesso carattere storico, espressione di un regime che, in questa condizione, nasce, si sviluppa e muore, anche se il suo fallimento non significa esattamente l'avvento di democrazia, dittatura, emergendo da essa quelle che forse potremmo chiamare forme composite post-democratiche, come una democrazia autoritaria. È la cornice del berlusconismo italiano, rileva l'autore, definendolo un bonapartismo di nuovo stile, adeguato alle condizioni attuali, cioè la società dello spettacolo.
Ma in cosa consisteva questa moderna democrazia in declino? Suffragio universale e diritti formali, senza dubbio, ma soprattutto economici e sociali ‒ capaci di superare le tre grandi discriminazioni, come diceva Domenico Losurdo, di classe, razza e genere, ‒, nonché la partecipazione attiva degli interessi sociali, capaci di autorganizzarsi e di essere rappresentati attraverso sindacati, partiti politici e parlamento. L'andamento del secondo dopoguerra, stimolato dalle lotte condotte dal partito di Gramsci e Togliatti all'indomani della Rivoluzione d'Ottobre e ancora a seguito della vittoria sul nazifascismo, appare come il culmine di questa regime, ma il modo hegeliano di trattare la storia che usa l'autore - che secondo Lenin era "molto eccellente", ‒, ci invita a concludere che si trattava di una costruzione che risale al dopo il 1850.
È il tempo della formazione degli ultimi Stati nazionali europei che, pur all'interno di processi disuguali e combinati e quindi permeati dalle lotte più drammatiche, finirono per rispondere allo scoppio della Rivoluzione del 1789 – già ricordava la critica di Gramsci allo storicismo di Benedetto Croce, che “elimina il momento della lotta”, − attraverso la progressiva introduzione, dilatata nel tempo, di processi di riforma che hanno consentito la diffusione del sistema scolastico, sanitario, pensionistico, del CCNL e del diritto di voto.
È questa stessa chiave hegeliana, o più precisamente, il marxismo che si vede scortato da Hegel ‒ un autore che nulla ha a che fare con un presunto “coscienzialismo”, ricorda Losurdo nell'introduzione, mettendo in guardia da una lettura grottesca del filosofo tedesco ‒, che il post-modernismo intende lasciarsi alle spalle. Quest'ultima si presenta, certo, come espressione della crisi del paradigma fordista, che sulla scia di grandi mutamenti tecnologici vede la fabbrica decomporsi e subisce una brutale regressione nella forma dei rapporti di lavoro, ma riflette anche la grande svolta nella geopolitica mondiale che ha posto fine alla Guerra Fredda, lasciando il posto all'imperialismo planetario USA.
Ed è così che, sul piano filosofico-culturale, emergono nuove forme di coscienza, iperindividualiste e ipercompetitive, che sostituiscono le forme cooperativo-solidali, segno distintivo del sindacalismo e dei grandi partiti di massa, cardine anche del idea fortemente moderna della possibilità di trovare un senso nel processo storico e persino di guidarlo dalla ragione umana. Incarnato in Italia dal “pensiero debole” di cui parla Gianni Vattimo,, si tratta di quel “cambiamento culturale” o “sensibilità” caro ad “autori come Foucault e Lyotard”, gli stessi che, sottolineando i “meccanismi infinitesimali” del potere e i “giochi linguistici”, si consacrarono nella “accettazione dell'effimero, del frammentario, del discontinuo e del caotico”,.
E c'è il relativismo completo, che sostituisce la nozione di totalità storicamente strutturata e le opposizioni dialettiche di Hegel e Marx che le sono inerenti, e quindi anche la "fede nel progresso generale che anima le leggi della storia", come era cara al marxismo dell'inizio del XX secolo,. Lo stesso relativismo che sta alla base della degenerazione neoliberista della democrazia moderna, ormai ridotta a doxa televisione e, più recentemente, i social network.
Il secondo capitolo, “Restaurazione e rivoluzione passiva postmoderna nel ciclo neoliberista: un trasformismo di massa intellettuale”, già pubblicato in Brasile nell'ambito delle celebrazioni per il 25° anniversario della rivista critica marxista, indaga queste trasformazioni storiche da una prospettiva gramsciana che ha anche un forte accento hegeliano. È notevole, ad esempio, l'osservazione, tratta dal quaderno 13, che “nel movimento storico non si torna mai indietro”, o almeno non c'è “restauro in toto",, brano al quale Azzarà si associa la ricerca del filosofo tedesco Jan Rehmann sulla “Nietzscheani di sinistra”, per inquadrare la critica del postmodernismo in chiave di una rivoluzione passiva, con la “particolarità di derivare immediatamente dalla cultura dell'gauchismo''', ma altrettanto carenti di una “iniziativa popolare unitaria” come quelle a cui si riferiva Gramsci,.
Del resto, non si tratta esattamente di una risposta del capitale, ma che si articola con esso da un movimento interno, poiché il trasformismo che segna l'attuale fase riparatrice è già inscritta e prefigurata nell'esasperato individualismo dei nuovi nietzscheani. Però, ecco, è proprio con questo criterio interpretativo − in grado di cogliere gli elementi progressivi della rivoluzione passiva senza che sia necessario esaltarla “liricamente”, come avvertiva Gramsci, −, che evita il riduzionismo di bollare come semplicemente reazionarie le lotte condotte in questo campo.
Il terzo capitolo, "Nonostante Laclau: populismo ed egemonia nella crisi della democrazia moderna”, è forse il più innovativo per il lettore brasiliano. Almeno se si pensa che lavori nel campo di studio in esame sono oggetto di discussione in Europa ormai da qualche anno, e che solo di recente sono stati pubblicati da noi. Stiamo parlando di La ragione populistadi Ernesto Laclau,, e Egemonia e strategia socialista, da Laclau e Chantaul Mouffe,. Una volta integrata la “prospettiva intellettuale” che pone “l'insieme delle domande relative al tema della postmodernità”,, l'esame al quale Azzarà sottopone le formulazioni di questi autori non potrebbe essere meno energico. A partire dall'uso “problematico” di Gramsci e dalla parzialità impiegata nel concetto di egemonia, rielaborato per prendere le distanze da Lenin e dal marxismo, cioè dalla “concezione classista” della società, mirando ad adattarla a le “esigenze del postmoderno”,.
Non si tratta di fare tavolo rasa dell'argomento probabilmente un po' disinformato secondo cui "il leninismo è stato un allarmante impoverimento del campo della diversità marxista",, e quindi scrollarsi di dosso l'intera serie di lotte ora in evidenza - la lotta contro il razzismo, la lotta femminista, la lotta ecologica e pacifista, tra le altre. Si tratta piuttosto di rivolgergli una critica che, prendendo come punto di partenza gli sviluppi di Losurdo attorno alla teoria della lotta di classe – una “teoria generale del conflitto sociale”, ‒, mette in discussione l'operazione di “decostruzione” che ha portato a spostare il marxismo sul terreno polisemico del postmodernismo, quando si sarebbe dovuto procedere esattamente in senso opposto.
Al centro di questa operazione, l'affiliazione heideggeriana delle formulazioni di Laclau e Mouffe, in particolare la denuncia di Vorhandenheit, e la distinzione tra essere ed essere. È attraverso di esso che gli autori organizzano il “passaggio dal marxismo al post-marxismo”, cambiamento che “non è solo” di “contenuto ontico”, ma “anche ontologico”, cioè di “un nuovo paradigma ontologico ”, poiché i “problemi di una società globalizzata governata dall'informazione” – insistono Lacalu e Mouffe – “sono impensabili all'interno dei due paradigmi” che governano il campo del materialismo storico, “quello hegeliano e, successivamente, quello naturalistico”,.
Soffermiamoci un attimo su questo punto. Per Heidegger, “conoscenza di cosa non si presenta come visione o correttezza di visione”, come emerge dalla “'metafisica occidentale' fin da Platone”, la cui teoria è il preludio a “il mondo si fa immagine” e quindi anche “l'uomo a soggetto costitutivo e produttivo”,. Questa metafisica «è in realtà una fisica, un vagabondare tra gli esseri», che dimentica «l'essere e la verità, che non è esattezza di rappresentazione, calcolo e dominio dell'ente», ma «disvelamento (a-letheia)”, e quindi “aprirsi attraverso il linguaggio”, la “casa dell’essere”,. E qui sta il programma filosofico di Heidegger, organizzato intorno all'“indebolimento dell'essenza del pensiero tecnico e metafisico”, e all'“attivazione di un 'pensiero nostalgico', filosofico-poetico, che comporta la ricerca di un supplemento di senso nella densità del lingua”, così come la ricerca della “pluralità di significati” delle “cose”,, precisamente il tour de force del pensiero postmoderno.
È questa la via attraverso la quale Laclau si lancia contro “il discorso della filosofia politica” che fin da Platone ‒ “il primo a istituirlo” ‒ interroga il populismo negli “sagomi ben delineati di una comunità razionale”,. È così che, rileva la critica di Azzarà, avendo già diluito la categoria del modo di produzione e fatto a meno dell'idea di "interesse oggettivo", ma anche senza comprendere e insieme semplificare la dialettica di Hegel, Laclau si lancia alla ricerca di una teoria dell'egemonia fondata sul populismo, un ritorno in senso stretto ai fondamenti - questo appunto - ancora "naturalistici" della comunità popolare, intesa come condivisione di radici e tradizioni.
Una lettura che non va oltre il “fatto naturale e immediato del popolo”, dice la critica di Losurdo alla sinistra populista, − non molto diverso da quello che, sempre negli anni Settanta, e ricercando le basi storico-materialistiche di una scienza (critica) dello spazio, lanciava Milton Santos alla geografia culturale di estrazione francese e nordamericana, la quale, annessa alla “ottica di una tecnica legata alla cultura e non al modo di produzione”, giunse al punto di “falsificare completamente il dibattito” “sul sottosviluppo”,
Ed è così che si può capire il monito di Azzarà secondo cui Laclau finisce per riaffermare la filosofia liberale della storia, poiché è molto severo di fronte alle esperienze del socialismo reale, ma molto poco critico di fronte al carattere genocida e coloniale del liberalismo. Un esempio tra i tanti dell'applicazione della categoria di totalitarismo al “socialismo reale”, di cui non a caso Heidegger fu uno dei primi formulatori, lo dimostra Azzarà in un articolo sull'antisemitismo storico dell'autore di Essere e tempo, confermata dalla recente pubblicazione del Schwarze Hefte (Quaderni neri) ‒ un antisemitismo non propriamente biologico, come nella vulgata di Blut und Boden (Sangue e suolo), ma soprattutto politico, antibolscevico,.
Nonostante il rifiuto aperto dei postulati del marxismo, il populismo ‒ che “pretende di essere la logica stessa dell'essere” ‒ concepisce come proprio il campo delle lotte di sinistra, e vi opera attraverso una serie di innovazioni concettuali o, meglio ancora, discorsive. Prendendo Jaques Derrida come punto di partenza, e già informato della critica di Heidegger Vorhandenheit, il campo prima visto come quello delle grandi narrazioni, governato dalla determinazione strutturale, viene ora inteso come “permeato di indecidibili”, con cui emerge la nozione di indecidibilità, dando nuovo significato al rapporto di egemonia,.
E, poiché si intende leggere Gramsci come autore di “una dimensione di egemonia” resa “costitutiva della soggettività” di “attori storici” che non si riconoscono più “meramente” come “attori di classe”, ogni rapporto egemonico non è se non il prodotto di un'articolazione contingente, considerata la “dimensione centrale della politica”,. Ed è così che, già svincolato dalla nozione “hegeliana” o “marxista” di “classe universale'”, il rapporto di egemonia non può che emergere da una catena di equivalenze in cui “una particolarità”, senza cessare di essere se stessa (la gli attori sociali sono tutti particolarità), diventa “la rappresentazione di una universalità che la trascende” ‒ con ciò che non potrà mai essere “una conquista definitiva”, essendo, al contrario, “sempre reversibile”,.
In questo modo il populismo, “una serie di risorse discorsive utilizzabili in modo molto diversificato”, ha come “nocciolo duro” i significanti fluttuanti o vuoti,: un nome può penetrare il concetto “in modo tale che alla fine, passo dopo passo, il nucleo cesserà di essere un concetto e diventerà un nome”, “un significante vuoto”, momento in cui appare “una singolarità storica” e “non abbiamo più un agente di settore, come una 'classe': abbiamo un popolo”,. Vargas, Perón, il populismo etnico europeo del XIX secolo e quelli emersi negli anni Ottanta, come il Lega Nord Italiano, ma anche Lula, Chávez... e potenzialmente Togliatti, se non fosse stato il capo di un “partito di militanti comunisti” (se non fosse stato troppo comunista, forse intendeva Laclau), l'elemento ostativo nella costituzione di un “significante vuoto” capace di articolare una “pluralità di esigenze”,.
Nella lettura di Azzarà, questo insieme di articolazioni discorsive ‒ o la politica come ermeneutica ‒ non può tutelare lo stato di salute della democrazia moderna, fondata sulla centralità degli intellettuali organici e ancor più del partito, “soggetto ontologicamente privilegiato”. Nella misura in cui la politica egemonica di Laclau (e Mouffe), impegnata in una critica della concezione classista, si identifica con i limiti dell'ontologico, non può che porsi come il “grado zero della politica”, quel primo “ricciolo “antagonista del reale che rimane “naturalisticamente” fissato alla superficie delle cose.
Ed ecco quanto sarebbe difficile partire da queste formulazioni, chiaramente transpolitiche e transideologiche, per pensare all'onda rossa latinoamericana dei primi decenni di questo secolo. Il partito di Lula, insiste Azzarà, si dichiara erede della tradizione moderna fin dal nome, mentre più importante era mettere in discussione la Dottrina Monroe, fondamento del principio classico dell'autodeterminazione dei popoli, per comprendere il successo di queste esperienze - e il malgrado tutti i limiti, aggiungeremmo noi, dei fenomeni postmoderni di ibridazione della politica di cui parla Laclau,.
Il quarto capitolo, “La svolta sovranista del neoliberismo eurofobo in Italia. Populist Revolt Against the Great Convergence and the Emergence of a Postmodern Bonapartist Democracy”, torna sul tema attualissimo del populismo di destra diventato governo. Senza smettere di fare luce su altre realtà (Trump, Bolsonaro), esamina soprattutto l'esperienza italiana, che ha conosciuto di recente l'ascesa di Lega a nord, partito con radici xenofobe e separatiste, al governo nazionale. Un processo che non a caso è stato reso possibile attraverso un'architettura politica che prevedeva una coalizione con il Movimento 5Stelle (M5S) del comico Beppe Grillo, lui stesso autoproclamato apartitico, che ora conquista ex comunisti o vecchi elettori del Pci.
Questa è una nuova fase della crisi della democrazia moderna e del bonapartismo. aggiornati, già plenipotenziaria nelle sue forme di disintermediazione della politica, con l'indebolimento di partiti, sindacati e l'emergere di rivendicazioni intorno a una democrazia diretta dai social network. Il tutto confezionato con una critica al parlamentarismo e al globalismo che assume anche le sfumature di a rinascita dell'Eurasiatismo, come sottolineava l'autore in un'intervista del 2017 che criticava una certa frenesia della sinistra per la vittoria di Donald Trump,.
Il contesto è quello della crisi riproduttiva delle società occidentali apertasi con l'esaurimento del fordismo, già segnata da rivolte di ogni genere: contro la casta dei partiti, contro l'Unione Europea, contro la scienza ufficiale, contro i mezzi di comunicazione pre-digitali. , contro la casta universitaria, e così via. Una nuova incarnazione delle crisi organiche di cui parlava Gramsci, notando quel tipo di situazione, “delicata e pericolosa”, in cui la crisi “dei rapporti tra struttura e sovrastruttura” fa emergere “soluzioni di forza”, di “ poteri oscuri” rappresentati da uomini provvidenziali e carismatici”, del rafforzamento del potere della “burocrazia (civile e militare), dell'alta finanza, della Chiesa e di tutti gli organismi indipendenti dalle oscillazioni dell'opinione pubblica”,. Ed eccone uno grande intuizione del libro, facendo riflettere sul fatto che la crisi organica che oggi scuote l'Occidente non può essere correttamente compresa se non si è disposti a esaminare il “cambiamento culturale” che porta i segni del postmodernismo.
Ma impostando la cornice più generico di questa crisi non è la semplice “descrizione spazializzante dei fatti del discorso”,, l'unicità sociale inscritta nell'eterotopia”,, come direbbe il differenzialismo postmoderno dell'imposizione di Foucault. Le tendenze di fondo di questo processo vanno ricercate piuttosto nella nuova materialità della geoeconomia e della geopolitica mondiali, un dispiegarsi contraddittorio della globalizzazione nordamericana che mette a nudo quello che Domenico Losurdo, riferendosi al processo guidato oggi dal socialismo cinese, insisteva essere l'inizio della fine del l'“era colombiana” – questa la categoria del geografo britannico Halford Mackinder, segnando il punto di partenza della storica “grande divergenza” che ha scavato un “profondo solco” tra l'occidente colonialista e il resto del mondo,.
Ed ecco ancora la raffinata formulazione della categoria della lotta di classe, concepita non solo nella sua accezione sociologica o economica, ma come riflessione attorno al conflitto politico in quanto tale, che può anche assumere forme istituzionali senza che ciò comporti conseguenze negative. Un cambiamento già avvertito dall'ultimo Engels, quando segnalava che i mutamenti della lotta di classe post 1848 facevano della “conquista del diritto al suffragio universale, della democrazia”, “uno dei primi e più importanti compiti del militante proletariato",. Lo stesso cambiamento, va notato, è ora sostenuto dal socialismo cinese su scala globale, che parla di una “riforma democratica” delle istituzioni internazionali come la via per forgiare un mondo fondato “sul rispetto della sovranità statale” e sulla “autonoma scelta del modo di vivere”. sviluppo",. Un rigoroso “universalismo concreto”, nei termini di Azzarà, che nulla ha a che fare con la “sovranità particolarista” oggi in voga.
Si arriva così al tema dell'ultimo capitolo, “Sovranità o questione nazionale? Ritorno dello stato hobbsiano e rinascita del socialsciovinismo nella politica odierna. Continua a riflettere sugli effetti della crisi organica da cui è emerso il nuovo bonapartismo, ma ora rileva la confusione che si è venuta a creare negli ambienti della sinistra europea attorno alla questione nazionale. L'oblio che questa questione ha conosciuto nel contesto dell'emergere del postmodernismo, dedito a diverse forme di nichilismo nazionale – sia concepindo la classe operaia come una totalità irriducibile, sia attraverso l'enfasi sull'individuo come soggettività assoluta e desiderante di un natura nomade –, risponde certamente di questo imbarazzo, al punto da confondere una parte della sinistra – e confondere il tema classico della questione nazionale nel marxismo – con la cosiddetta sovranità e anche con le attuali forme di socialsciovinismo sostenuto dalla destra.
Ma non meno importante in questa spiegazione è l'assimilazione dello Stato a un semplice strumento di classe – il nemico strutturale, incarnazione di ogni male −, visione propriamente astorica dello “spirito oggettivo”, incapace di intendere lo Stato come campo di forza, insiste Azzarà. Rovescio dialettico di questo insieme di dimenticanze, ma anche del mutamento storico connesso alla ricolonizzazione – anche bellica – del mondo da parte dell'Occidente dopo l'abbattimento del muro di Berlino, la crisi organica si presenta ora come una crisi morale ampia da raggiungere anche una parte della sinistra, sottoposta a ogni sorta di sterilizzazione emotiva e quindi coinvolta nella spirale di aggressività posta dall'ordine dominante (vedi la sinistra che rifiuta la lotta delle donne, degli immigrati, il movimento gay, erroneamente interpretato come disconnesso e anche disfunzionale alla lotta del proletariato e delle nazioni oppresse,).
Ed è allo stesso modo che la critica di Azzarà alla sinistra entusiasta della Brexit e la disgregazione dell'Unione Europea, un ordine sociale (o socio-spaziale, in senso stretto, già una seconda natura, potremmo dire, salvando ancora una volta il geografo Milton Santos,) che, per l'autore, non risponde semplicemente alla configurazione neoliberista e imperialista emanata dagli Stati Uniti, posizionandosi, al contrario, su molti temi – dal riscaldamento globale, al commercio internazionale e persino agli interventi militari –, in opposizione ad essa .
È questa stessa sinistra che, allontanandosi dalla questione nazionale così come emerse nel cuore dell'Europa dopo la vittoria bolscevica del 1917 – l'alleanza del proletariato con i settori medi per contrastare la colonizzazione del Trattato di Versailles in Germania nel 20, −, finisce per lasciarsi identificare, al limite anche per condurre alleanze – transpolitiche e transideologiche, ovviamente − con il diritto e la frazione di capitale che rappresenta. Anche qui, Domenico Losurdo, accogliendo lui stesso le tendenze odierne verso la formazione di Stati Federativi (Unione Europea, Alba boliviana), e questo nonostante il riconoscimento delle contraddizioni ivi presenti,, avrebbe detto: Addio, postmodernismo.
* Marcos Aurelio da Silva È professore presso il Dipartimento di Geoscienze presso Università Federale di Santa Catarina (UFSC).
Riferimento
Stefano G. Azzarà. Postmodernismo addio: populismo ed egemonia nella crisi della democrazia moderna. Traduzione: Marcos A. da Silva. Florianópolis, Ed. Insulare, 2022, 294 pagine.
note:
, Azzara, GS Democrazia Cercasi. Dalla caduta del muro a Renzi: sconfitta della sinistra, bonapartismo postmoderno e impotenza della filosofia in Italia. Roma: Imprimatur, 2014.
, riferimento al film Addio, Lenin!, regia di Wolfgang Becker, 2003.
, Losuro, D. Molta classe. Una storia politica e filosofica. Roma: Laterza, 2013, p. 91.
, Lenin, VI Quaderni filosofici. Trans. Paola Almeida. San Paolo: Boitempo, 2018, p. 320. Lenin fa riferimento all'introduzione che Hegel scrive alla sua Filosofia della storia, notando che sono “embrioni del materialismo storico” (p. 317). Vedi Hegel, GWF Filosofia della storia. 2 ed. Trans. M. Rodrigues e Hans Harden. Brasilia: Editora da UNB, 2008, pp. 11-91. È tempo di notare una acuta osservazione di Losurdo sul rifiuto dello storicismo hegeliano. Ricorda che Marcuse aveva già fatto notare che l'argomento della “svalutazione della storia” era caro al nazismo, ma insiste che l'idea copre diverse generazioni di pensiero conservatore: sia con Malthus ai tempi della Rivoluzione francese, sia con i liberali , fascisti e nazisti a cavallo tra Ottocento e Novecento, o ancora oggi, con Alain de Benoist e la Nuova destra europea. Losurdo, d. La catastrofe della Germania e l'immagine di Hegel. Napoli: Istituto Italiano per gli Studi Filosofici; Milano: Guerriri e Associati, 1987, pp. 130-145.
, Gramsci, A. Quaderni del Carcere. La cura di Valentino Gerratana. Torino: Einaudi, 1975, p. 1209.
, Vattimo, G. La fine della modernità: nichilismo ed ermeneutica nella cultura postmoderna. Trans. Edoardo Brandao. San Paolo: Martins Fontes, 2002.
, Harvey, D. La condizione postmoderna. Un'indagine sul cambiamento culturale. Trans. Adail U. Sobral e Maria S. Gonçalves. San Paolo: Loyola, 2013, pp. 45 e segg.
, Azzarà, SG Sul marxismo del XXI secolo: ricordando Domenico Losurdo. In: Azzarà, SG, Ercolani, P., Susca, E. (a cura di). Domenico Losurdo porta filosofia, storia e politica. Napoli: La scuola di Pitagora, 2020, p. 165. Come sottolinea l'autore in questo articolo in memoria di Losurdo, è proprio la perdita di senso dell'idea di progresso e di “necessità” storica che segna la profondità della crisi filosofica insita nel postmodernismo. Ma insiste che qui è d'obbligo capire «la differenza tra la necessità meccanica e quella ben diversa 'necessità' che è propria del movimento storico». (pag. 166).
, Gramsci, A., operazione. cit. P. 1619.
, Rehmman, J. I nietzscheani di sinistra. Deleuze, Foucault e il postmodernismo: una descostruzione. La cura di Stefano G. Azzarà. Roma: Odradek, 2009, p. 21.
, Gramsci, A. operazione. cit., pag. 1209.
, Laclau, E. la ragione populista. Trans. Carlos Eugênio M. de Moura. San Paolo: tre stelle, 2018.
, Laclau, E. e Mouffe, C. Egemonia e strategia socialista. Per una politica democratica radicale. Trans. Joanildo A. Burity, Josias de Paula Jr. e Aecio Amaral. San Paolo: Intermeios; Brasilia: CNPq, 2015.
, Idem, pag. 33-34.
, Per una recente discussione sull'eredità leninista del concetto gramsciano di egemonia vedi Fresu, G. Lenin lettore di Marx: dialettica e determinismo nella storia del movimento operaio. Trans. Rita Coitinho. San Paolo: Anita Garibaldi; Fondazione Maurício Grabois, 2016, pp. 18-19. La critica ai “riferimenti decontestualizzati” di Laclau e Mouffe ai Quaderni del carcere, responsabili di stabilire una “immagine post-marxista” di Gramsci, compare anche in Thomas, PD Il momento gramsciano. Filosofia, egemonia e marxismo”, Haymarket Books, Chicago (Illinois), 2010, p. 11 (nota 48).
, Laclau, E. e Mouffe, C. op. cit., pag. 35.
, Losurdo, D. 2015, op. cit., pag. 63.
, Nelle note esplicative dell'edizione brasiliana di Essere e tempo il nome Vorhandenheit si definisce “essere semplicemente dato”, aggiungendo che è formato dal sostantivo 'Hand' (= mano) e dalla preposizione 'vor' (= prima, in senso spaziale e prima, in senso temporale). Designa il modo d'essere della cosa come ciò che 'ingenuamente' si assume come sostanzialità dell'essere”. Heidegger, M. Essere e tempo. Trans. Marcia Sa Cavalcante. 10a Petrópolis: Voci, 2015, p. 563.
, Laclau, E. e Mouffe, C. op. citazione, pp. 36-7. Nella nota dei traduttori si legge: “La distinzione tra l'ontico e l'ontologico è chiaramente ispirata dalla 'differenza ontologica' tra l'essere heideggeriano e l'ente”. Idem, pag. 48.
, Body, R. La filosofia del XIX secolo (e oltre). Milano: Feltrinelli, 2015, p. 137.
, Idem, pag. 138.
, Idem, pag. 142-3.
, Laclau, E., op. cit., pag. 27.
, Losurdo, D. Marxismo o populismo? In: L'imperialismo e la questione europea. In: Alessandroni. E. (org.). Napoli: La scuola di Pitagora, 2019, p. 88.
, Santo, M. Per una nuova geografia. Dalla critica della geografia a una geografia critica. 6 ed. San Paolo: Edusp, 2008, p. 37.
, Azzarà, SG Heidegger 'innocente': un esorcismo della sinistra postmoderna. In: Critica marxista, no 42, 2016. Per una critica alla categoria di totalitarismo, si veda Losurdo, D. marxismo occidentale: come è nato, come è morto, come può rinascere. Trans. Ana M. Chiarini e Diego SC Ferreira. San Paolo: Boitempo, 2018.
, Laclau, E. e Mouffe, C., op. cit., pag. 38.
, ID Ib. pp. 39-40. ID Ib. pp. 39-40. Vale la pena ricordare qui l'interpretazione che Peter Thomas fa dei passaggi in cui Gramsci discute il rapporto tra “oggettivo” e “soggettivo”, insistendo sul fatto che se Gramsci è un critico dell'“oggettivismo”, questa critica “comporta anche un rifiuto delle filosofie del soggetto”. Tommaso, PD op. cit., pag. XXIV. Gramsci, infatti, opera sul terreno della totalità storica e non del puro soggettivismo. Associava quindi il “soggettivo” alla “dottrina delle sovrastrutture”, riferendosi anche a una “lotta per l'oggettività”. Gramsci, A., op. cit. P. 1420.
, Laclau, E. e Mouffe, C., op. cit., 40-41.
, Laclau, E. 2018, op. cit. P. 254.
, Idem, pag. 264.
, I riferimenti alla recente esperienza latinoamericana sono nell'introduzione all'edizione brasiliana di La ragione populista, operazione. cit., pp. 20-21. Il riferimento a Togliatti e ai populismi europei di matrice etnica fa parte della “saga del populismo” presentata nel capitolo 7, che appare soprattutto alle pagine 262-268 e seguenti.
, Se è possibile dire che l'Argentina dei Kirchner è il Paese in cui "il vero processo politico" è stato "più vicino all'ipotesi di Lacau", tuttavia, insiste Azzarà, si tratta di un'esperienza legata al "moderno emancipazionismo", quando ma non perché il classico populismo latinoamericano – si legge nel capitolo 4 – ha un significato “ben diverso” dalle forme assunte dal postmodernismo. Sul populismo latinoamericano si possono leggere gli studi di Francisco Weffort, che lo definisce una “(tacita) alleanza tra settori di diverse classi sociali”, in cui “l'egemonia incontra sempre gli interessi legati alle classi dominanti, ma impossibile da raggiungere senza venire incontro ad alcune aspirazioni di fondo delle classi popolari", come la "domanda di lavoro, maggiori possibilità di consumo e il diritto di partecipare agli affari di Stato". Per quanto riguarda il “sistema partitico”, non si tratta della sua dissoluzione, come nella forma postmoderna (vedi sotto l'esempio del 5 cifre italiano), ma della sua “scarsa autonomia rispetto allo Stato”. Wefort, F. Il populismo nella politica brasiliana. 4a ed. Pace e terra, 1980, pp. 75-6.
, Azzarà, SG Globalisti contro sovranisti: un conflitto tutto interno alle classi dominanti. In: Il Bene Comune, marzo 2017. L'eurasiatismo è stato criticato da Gramsci nel taccuino. Era un movimento che, nel lontano 1921, tendeva a stabilire una “revisione del comportamento degli intellettuali emigrati” nei confronti della Russia sovietica, intendendola “più asiatica che occidentale”. Secondo Gramsci, gli eurasiatici “non sono bolscevichi, ma sono nemici della democrazia e del parlamentarismo occidentale. Spesso si comportano come fascisti russi, come amici di uno Stato forte in cui la disciplina, l'autorità, la gerarchia devono dominare la massa”; i suoi membri “salutano l'ordine statale esistente nella Russia dei sovietici, nonostante il fatto che mirino a sostituire l'ideologia nazionale a quella proletaria”. Gramsci, A. op. cit., pp. 180-181. Il brano, molto esemplificativo, può essere letto alla luce dei riferimenti a Lenin fatti nel quaderno 7, dove si nota, proprio a proposito del rapporto tra il “nazionale” e l'“internazionale”, la dialettica presente nel grande rivoluzionario, definito “profondamente nazionale e profondamente europeo”. Gramsci, A. op. cit., pag. 866. Un esempio dell'odierna riedizione dell'eurasiatismo si trova nelle teorie del russo Aleksander Dugin, la cui storia intellettuale ci ricorda immediatamente la critica di Gramsci qui richiamata. La sua vita intellettuale è iniziata negli anni '80 con la partecipazione a un circolo culturale "metropolitana' per nome Yuzhinsky, le cui origini risalgono a Mosca negli anni 60. Gli interessi intellettuali del gruppo erano il fascismo, il nazismo, il nazionalismo, l'occultismo e il misticismo. Il gruppo era antisovietico, simpatizzava con il nazismo non necessariamente per amore di Hitler o antisemitismo, ma perché era "un chiaro nemico storico" (un colorato nemico storico) del proprio governo. Vedi Teitelbaum, B. Guerra per l'eternità. Il ritorno del tradizionalismo e l'ascesa della destra populista. Londra: Penguin Books, 2020, pp. 41 e 94-6.
, Gramsci, A., op. cit., pp. 1578-9 e 1603.
, Foucault, M. Sulla geografia. In: microfisica do potenza. 28 ed. Trans. Roberto Machado. Rio de Janeiro: Paz e Terra, 2014, p. 253.
, Foucault, M. Espacio, Sabre y Poder. In: Il potere, una magnifica bestia: sul potere, la prigione e la vita. 5 ed. Trans. Orazio Pons. Buenos Aires: Siglo Veintiuno, 2019, pp. 154-5.
, Losurdo, D. 2013, op. cit., pag. 313.
, Engels, F. Prefazione. In: Marx, Carlo. Lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850. Trans. Nelio Schneider. San Paolo: Boitempo, 2012, p. 21. Come è noto, l'originale di Engels fu alterato dal riformismo della Seconda Internazionale, che cercava di trasmettere l'idea che, valorizzando il lavoro parlamentare e propagandistico, Engels proclamava la fine delle risse di piazza e persino l'era delle rivoluzioni. Cfr. Fresu, G., 2016, op. cit., p. 53.
, Bertozzi, DA La Cina della Riforma: un percorso storico-ideologico. In: MarxVentuno, no 2-3, 2015, pag. 68.
, “La lotta di classe non si presenta quasi mai allo stato puro, non si limita quasi mai a coinvolgere soggetti direttamente antagonisti”, ed “è proprio grazie a questa mancanza di 'purezza' che può portare a una vittoriosa rivoluzione sociale”. Losurdo, D. 2013, op. cit. P. 27. La critica rivolta all'antiumanesimo di Althusser ricorda anche che le “lotte di classe” – questa categoria va sempre declinata al plurale, insiste Losurdo –, “lungi dall'avere una dimensione meramente economica, sono lotte per il riconoscimento”. Losurdo, D. 2018, op. cit. P. 79. La critica ad Althusser si legge anche in Losurdo, D. 2013, pp. 87-92.
, Santos, M., op. cit., pp. 246-7.
, Lo stesso Azzarà è autore di un interessante studio recente in proposito, che discute le posizioni di Clara Zetkin e soprattutto di Karl Radek negli anni Venti, quest'ultimo una sorta di pioniere tra i leninisti che si dedicarono a riflettere sul problema dell'egemonia e sui suoi intrecci con la questione nazionale. È, in senso stretto, il problema dei fronti nella lotta per l'egemonia. Azzara, SG Interrogazione comunista, fascista e nazionale. Germania 1923: fronte rossobruno o guerra di egemonia? Milano-Udine: Mimesi, 2018.
, Losurdo, D. 2019, op. cit. pp. 23-4. Si vedano in particolare i capitoli che criticano le letture che tendono a porre l'Unione europea sullo stesso piano dell'“imperialismo planetario” statunitense. Ma non è stato così per le FARC colombiane, ricorda Losurdo, e nemmeno per Cuba e la Cina, sempre molto consapevoli di questa differenza (pp. 85-6). Si tratta, come diceva Azzarà in chiave leninista, di quell'incapacità di “individuare il conflitto principale” che contraddistingue il “gravissimo analfabetismo politico” del nostro tempo. Azzarà, SG 2020, op. cit., pag. 166. L'articolo di Emiliano Alessandroni che integra in appendice questo volume postumo di Losurdo ricorda che anche Gramsci parlò a favore di un'Unione europea, insistendo sul fatto che «il processo storico tende a questa unione e che vi sono molte forze materiali che solo in questa l'unione può svilupparsi”. Alessandroni, E. Economicismo o dialettica? Un approccio marxista alla questione europea. In: Losurdo, D. 2019, op. cit. P. 455. Come abbiamo notato in precedenza, si tratta, per Gramsci, non dell'annullamento della questione nazionale, ma della sua comprensione attraverso quella dialettica che seppe trattenere Lenin, presentandosi al tempo stesso come «profondamente nazionale e profondamente europeo”, o internazionalista. Gramsci, op. citazione, pag. 866.