(09/10/1962 + 10/08/2020 Brasile/Mato Grosso/Rondonópolis/Cuiabá/
Adir Sodré de Souza. Pittore, disegnatore, cantante, artigiano, critico verbale d'arte e di musica, serio seguace della politica e studioso della vita, in ogni dove.
Deve aver cominciato a disegnare sulle pagine dei quaderni (i quaderni, quando erano di filo metallico, erano migliori, ma erano più costosi, più rari), su fogli sciolti, per terra, sui muri. Quel che è certo è che ha frequentato l'Atelier Livre della Fondazione Culturale del Mato Grosso, sotto la guida di Dalva Maria de Barros (1935) e Humberto Espíndola (1943). Quel che è certo è che è stato riconosciuto quasi subito da Aline Figueiredo, il primo riconoscimento, il più importante di tutti i tanti altri che sono arrivati. Nasce, come artista, ingenuo, primitivo, naïf, per tradurre, in pittura, la denuncia delle disuguaglianze del mondo, la miseria del mondo, ma, soprattutto, la colorazione del mondo, la diversità di tutto. E non ha mai smesso di mescolare colori, gesti, influenze, saperi, ritmi, musiche, nella sua pittura, nei suoi disegni, nei suoi oggetti. Era un mattisiano quando lo voleva o ne aveva bisogno, tornava, perché non aveva mai smesso di essere, ingenuo, caboclo, quando ne aveva voglia. All'inizio il suo nome fu sempre ricordato insieme a quello dell'amico e concorrente Gervane de Paula (1962), poi la grande pietra miliare della sua carriera fu il collettivo Come stai, generazione 80?, al Parque Lage, Rio de Janeiro. E per il ragazzo di Pedregal si è aperto il mondo delle arti: ha conquistato spazi, critiche, musei, muri, riviste, giornali e collezioni. È stato un bravo manager della sua carriera, conquistando spazio, riconoscimenti, critiche. Ha mantenuto una vasta rete di relazioni, contatti, amici e uomini d'affari. Avevo perso l'ingenuità della vita molto tempo fa. Infine, penso che avesse visto che il gioco era troppo pesante, era più tranquillo, più chiuso, dipingeva nel suo cortile per il suo cortile (Cuiaba); curando la mente, il corpo, provando nuovi voli, promettendo di tornare, un giorno, a conquistare il mondo ancora e ancora, ma “la morte lo portò, come un pacco, nel suo manto”. Belchiorre, l'amico di Didí, e che predisse questo versetto, non sbaglia mai, sbaglia sempre.