da CELSO FAVARETTO*
Estratto, selezionato dall'autore, dal libro recentemente pubblicato.
Tra tracce e resti
La riflessione su ciò che viene designato come arte contemporanea tenta di rispondere alla domanda: cosa sta succedendo, di cosa parliamo quando abbiamo come riferimento l'oggi che ci plasma? Così, Giorgio Agamben, parla dell'oscurità del presente, oscurità e non oscuramento, come nelle luci; Jacques Lacan dell’arte come pensiero dell’opacità, affermando che “potrebbe nominare ciò che non si vede”, apparendo “come un modo per formalizzare l’irriducibilità del non-concettuale, come pensiero dell’opacità”[I] e Giles Deleuze, che l'opera d'arte non ha nulla a che fare con la comunicazione e che da qui deriva la sua resistenza, “anche se non è l'unica cosa che resiste”.[Ii]
Il crescente interesse per l’arte, forse motivato dalla convinzione che sia un modo privilegiato di comunicare e conoscere la realtà, oscura anche l’idea che l’arte, contrariamente a quanto spesso ci si aspetta da essa, non è per essere compresa, non è conoscenza , è una sorta di enigma, o un evento, immediatamente impenetrabile, che chiede di essere chiarito.
Sappiamo che, dopo le scommesse delle avanguardie sulle possibilità del nuovo e della rottura, dopo che la sperimentazione è stata spinta ai suoi limiti, come è avvenuto nelle arti visive con le radicalizzazioni concettuali e minimaliste – in cui l’idea di creazione, l’immagine dell’artista, il sistema dell’arte, i processi e le procedure – la diffusione e la generalizzazione dell’arte, cioè il processo di estetizzazione, con la preminenza della forma merce, ha provocato, come una delle conseguenze più importanti, l’istituzione di arte come cultura.
In questo, ciò che viene enfatizzato è il modo in cui vengono presentate opere ed eventi, in cui lo stile diventa valore, rendendo molto difficile riconoscere la specificità degli oggetti artistici. A causa della diffusa estetizzazione, anche dei modi di vita, “tutto è arte o artificio”.[Iii] Così, di fronte alla perdita della prospettiva storica che dava credibilità alle avanguardie, l’arte contemporanea naviga nell’indeterminatezza, nel bene e nel male.
Nello stesso tempo in cui, a causa della depressione produttiva operata dalle operazioni moderniste, tutto diventava possibile per l'esperienza estetica, una volta liberata dalle convenzioni, dalle idee portatrici di verità, dalle esigenze di rappresentazione e dall'imperativo di diventare una sfera autonoma[Iv], l'affermazione della sua presenza è piena di ambiguità: da un lato, l'enfasi sul processo e non sull'opera; dall'altro, la difficoltà di articolare, o conciliare, l'inevitabilità del mercato dei beni simbolici e della ragione critica, da un lato, le esigenze della comunicazione e, dall'altro, la natura incommensurabile dell'esperienza estetica.
Tuttavia, l’opera moderna ha lasciato tracce: sebbene la creazione rivendichi spesso il nuovo, non è difficile verificare che laddove la sperimentazione mostra interesse per essa, riconosce non le promesse del nuovo, ma la tensione di segni, processi o dispositivi moderni, ancora attivo, proiettato in nuove condizioni di produzione, circolazione e critica. Di qui l’impulso critico a rintracciarne i segni, le rovine, ciò che resta – non ciò che resta, un’allusione a una realtà trascendente.
Tracce e resti non si riferiscono ad una presunta unità frammentata, né soltanto ai segni più immediati di espressione di un sé; implicano formalizzazione propriamente estetica, iscrizione di segni in cui si riconoscono processi di soggettivazione, modi di vita, possibilità di esistenza, divenire.[V]
L'indagine sull'importanza delle tracce dei processi moderni nell'arte contemporanea, delle tracce di opere moderne, dei resti dell'iscrizione dell'arte nella realtà, è archeologica, e ciò include il processo di ricordo di queste tracce e di elaborazione dei resti dell'opera moderna – dimenticato, sepolto, cancellato. Ma, pur ricordando con Baudelaire che i resti della modernità sono nella chiave dell’eterno, essendo, quindi, ciò che più resiste, e che le tracce nel fungibile, e, quindi, del contingente, non significa assolutamente che stiamo affermando la semplice permanenza del moderno o che la nostra situazione attuale vive della sua decadenza.
Ampliando la questione, Jean-Luc Nancy si chiede «se ogni arte non manifesti nel miglior modo possibile la sua natura o il suo impegno quando diventa vestigia di se stessa: quando, sottratta alla grandezza delle opere che danno origine a mondi, essa sembra inattuale, mostrando solo il suo passaggio” – come nel museo, “dove resta come passato, ed eccolo lì come in passaggio, tra luoghi di vita e di presenza che forse, probabilmente la maggior parte delle volte, non raggiungerà mai Ancora".[Vi]
È un tale passaggio, sulle tracce della scomparsa dell'arte stessa, della mutazione del concetto di arte, di opera d'arte e di artista, in cui si svolge il lavoro di elaborazione, dove il processo conta più che i risultati. Il senso del lavoro contemporaneo sta in questa linea: nell’indagine coinvolta nel fatto che “l’arte è oggi la propria traccia”,[Vii] intendendosi continuamente portato avanti nell'elaborazione (Durcharbeitung) che attuato sul lavoro moderno funziona come un processo rispetto a quello della terapia psicoanalitica, in cui si tenta di elaborare un dato disturbo presente associandolo liberamente ad elementi apparentemente incoerenti di situazioni passate; un “lavoro dedicato a pensare ciò che nell'evento e nel significato dell'evento ci è costitutivamente nascosto, non solo dai pre-giudizi passati, ma anche dalle dimensioni del futuro che sono progetti, programmi, prospettive”.[Viii]
Per non ripetere semplicemente il processo moderno, e nell’impossibilità di superarlo, spostando le esperienze oltre la circoscrizione storica che ha convalidato invenzioni, rotture, negatività, il lavoro contemporaneo si concentra sulla reiscrizione di ciò che rimane attivo in un campo aperto di possibilità. Come dice giustamente Ronaldo Brito, non esiste l’arte contemporanea; Ciò che esiste è uno spazio contemporaneo che non ha “una figura chiara, con ambiti pienamente definiti”, intesa come “una trave discontinua, mobile, da esercitarsi in tensione con i limiti della modernità, interessata a comprendere e superare questi limiti”, affermandosi come luogo “solo e radicalmente riflessivo (…) la sua materia è, dunque, riflessione produttiva sulla storia ancora viva e pulsante del lavoro moderno”.[Ix]
Questo atteggiamento analitico, un processo di ascolto che attraversa le rovine dei progetti e delle esperienze moderne, indaga la possibilità di altre temporalità che si aprono a un significato impressionabile. La tematizzazione di opere, teorie e progetti del tempo delle promesse, mira a configurare strategie moderne e sondare tattiche contemporanee che compongono un campo di risonanze, di intensità, che forzano il pensiero, che acuiscono la nostra sensibilità alle differenze; sondare un certo orientamento critico che vuole rendere conto di ciò che resta dell'arte riaffermando la potenza dell'invenzione che, pur attuata nel passato moderno, sopravvivrebbe.
Accogliere i resti, accentuando le tracce delle proposte e delle attività moderne, soprattutto dei gesti delle avanguardie – senza però cedere a certe manovre restaurative che mirano a fini estetizzanti per eternare l'inafferrabile, enfatizzando i modi, gli stili di presentazione dell'arte delle opere d’arte e delle cose ad esse connesse – si tenta di fare chiarezza sulla situazione contemporanea dell’arte, sul suo divenire immanente e sulla profonda trasformazione del sistema. Quest'opera, sulle rovine della modernità, si sviluppa tra innumerevoli ambiguità, soprattutto quelle derivanti dalla sua prigionia nei teatri della memoria.[X] In essi la storia non è trattata come un processo aperto, discontinuo e non teleologico dei sistemi artistici e culturali ma come formazione.
Tracciare le tracce dell'arte in vista di una ripresa critica o di un rifacimento del suo aspetto istituzionale è essenziale, ma non sufficiente per comprendere le trasformazioni contemporanee, poiché può solo sopperire alla mancanza di ideale e di utopia con ricostituzioni totalizzanti dove solo pratiche e processi esistere singolare. Questo procedimento nostalgico deriva dall'inserimento di frammenti derivanti dalla dispersione causata dall'opera moderna in totalità a venire illusorie, retrospettive o idealizzate.
Tendenza che, in nome di un’accoglienza pubblica standardizzata, erige il passato recente, la molteplicità del lavoro moderno, con tutto ciò che ha dovuto disperdere, in un territorio di consenso, che non contribuisce in alcun modo ad affrontare l’oscurità del presente. Questo è anche un certo atteggiamento postmoderno che, a causa della perdita del valore probatorio dell'arte, cerca di imporre qualche sostituto alla scomparsa del suo oggetto.
Ecco perché si osserva che la perplessità che nasce dall'indeterminatezza e dall'oscurità di ciò che oggi appare come arte, spesso secerne speranze di recupero di idee, processi e riferimenti come unica via d'uscita per la permanenza dell'arte. Sotto il nome di salvataggio si sente la voce della nostalgia per un tempo che prometteva una certa completezza: tutto era ancora da fare, soprattutto reinventare l'arte e il rapporto con la vita. Viene così cancellato lo stesso lavoro moderno, soprattutto la storicità delle operazioni d’avanguardia.
Invece dell'archeologia, incentrata sulla ricostruzione di oggetti, processi e problemi, gli elementi recuperati sono inclusi in una sorta di museo dei resti della modernità.[Xi] E con ciò, si procede a ricostituire continuità nell’orizzonte di una totalità, confondendo interesse storico – reinterpretazione della tradizione e legami reciproci con la modernità – con il recupero di fatti, idee e processi ritradotti in norme, come relativi a un’unità di esperienza. Pur esprimendo interesse storiografico, questo atteggiamento si concentra principalmente sui referenti che, una volta assolutizzati e glamourizzati, neutralizzano o feticizzano momenti, fasi, tempi storici. Ciò sostituisce rapidamente la nostalgia per il futuro con la nostalgia del passato: il restauro.
Tuttavia, se la continua accentuazione museografica, moltiplicando i teatri della memoria, ha tra le sue cause l’indebolimento del simbolico, soprattutto nelle forme di comunicazione che investono la memoria come istanza di ricostituzione, è importante riflettere sulle condizioni evidenti nella modernità ciò giustificherebbe la realtà attuale dell’arte come luogo che si stabilisce nell’intervallo tra l’aggiornamento di forme, processi e procedure del passato e nuove forze produttive, come quelle derivate dai progressi scientifici e tecnologici. In questo modo la memoria si sgancia dall'enfasi sulla riconciliazione con fondamenti, concetti e forme criticati dall'esperienza moderna, confermandosi come opera di elaborazione del passato.
Ma, come avverte Jean Luc Lyotard, ricordare non è riparare – come se fosse necessario “identificare i crimini, i peccati, le calamità generate dal moderno dispositivo, e, infine, rivelare il destino che un oracolo, all’inizio del modernità, si era preparato e consumato nella nostra storia”[Xii]. Si tratta quindi, nel passato e nel presente, di non sopprimere gli eventi, poiché questi, per non lasciare indiscusso il presente, ne mettono a nudo la ferita: la sua natura intrattabile, inattuale.
Se è vero che la modernità ha criticato l’autonomia del processo estetico, facendo della negatività il principio e la giustificazione del suo operare, e se il postulato di una contemporaneità artistica mira a elaborare virtualità moderne, è strano che, anche dopo le condizioni storiche che permetteva agli artisti di giocare con il sistema dell’arte e con il desiderio di trasformazione sociale, anche se intendevano dare efficacia – negatività – agli stessi dispositivi che promettevano l’emancipazione. In questa situazione, in cui il nuovo non opera più trasformazioni sistemiche, lo sperimentalismo generalmente promuove rinnovamenti, come se il contemporaneo potesse essere inteso come qualcosa al di là del moderno.
Ciò nonostante, è possibile individuare nella dispersione dell'attività artistica contemporanea opere sintomatiche che indicano trasformazioni; evitando la spettacolarità, non si riferiscono a riempire il vuoto, proponendo qualche sostituto alla scomparsa dell'oggetto d'arte, opere non immediatamente suscettibili di scambio. Ribadendo processi moderni, mirano a nessi e tensioni, disseminati in dispositivi moderni, non a riattualizzare forme, temi e materiali che richiamano l'impulso che li ha comandati. La reiterazione, in questi lavori, fa riferimento alle rotture moderne per chiarirle, deidealizzandole.[Xiii]
Sono opere riflessive che giocano con l'indeterminatezza del significato; non operano regole e categorie già stabilite, cercano di stabilire le regole e le categorie di ciò che è stato fatto.[Xiv] A volte agendo contro risorse facili e virtuosismi – visibili nei rinnovamenti, nelle citazioni e nell'uso decontestualizzato delle risorse moderne – evitano la retorica dell'eccesso o della tecnica raffinata; mettendo ora in luce la quasi impossibilità di articolare le immagini, affermano un “certo rapporto tra pensiero e non pensiero, di una certa presenza del pensiero nella materialità del sensibile, dell'involontario nel pensiero cosciente e del significato dell'insignificante”.[Xv]
A partire dalle avanguardie, lo spostamento dell’arte – dell’idea di arte, delle sue pratiche e del divenire storico – è stato responsabile della riconfigurazione dell’attività artistica e della riflessione estetica, concentrandosi sull’esperienza artistica, sul pensiero dell’arte e sulla i rapporti tra arte e vita. A partire da Marcel Duchamp ci si chiede: che tipo di esperienza si ricerca nell'arte, dal momento che l'arte ha smesso di offrire conoscenza e bellezza per proporsi come un continuo esercizio di spaesamento che incide su un'estetizzazione orientata ai modi di vivere, di abitare gli spazi, di di agire politicamente, tanto che ormai da molto tempo è nella vita stessa, non nelle sue rappresentazioni, che si situa l’opera d’arte.
L’arte emersa dalla sperimentazione moderna, diceva Rauschemberg, era destinata ad “agire nel vuoto che separa l’arte dalla vita”.[Xvi] esplorare cioè l'iscrizione artistica dell'antico tema del rapporto tra arte e realtà oggi, quando l'idea di realtà è stata talmente ampliata da non avere più la possibilità di essere il referente di ogni possibile rappresentazione totalizzante, come nell'arte della rappresentazione, in modo che si dica sempre che ciò che vedi non è ciò che vedi, questo è il segreto del mezzo.
Pertanto, in questa riflessione, il termine “arte contemporanea” non si riferisce ovviamente a tutto ciò che sarebbe prodotto artisticamente in un periodo successivo a quello moderno, quello in cui viviamo. La designazione vuole essere segno di un reiterato atto di confine, che tende sempre a tematizzare questo limite, “tra ciò che è ammissibile nel campo dell’arte e ciò che non lo è, o non lo è ancora (…) per renderlo percepibile e consapevole (…) Questa costante messa in discussione dei confini dell’ammissibilità artistica – l’interrogazione costantemente rinnovata – viene ripresa dalla dinamica dei rapporti tra l’artista che cerca di essere trasgressivo, il pubblico indignato e l’istituzione (gallerie, musei, amministrazioni culturali , critici…), cercando di ridisegnare un confine allargato”.[Xvii]
Quindi: se l’arte, dice qualcuno, “dovesse scendere sugli uomini come una nuvola”; e se, come dice un altro, “i pensieri sono nuvole”, la riflessione non può che intensificare l’attenzione sulla singolarità delle cose d’arte e sulla specificità del “pensiero compiuto dalle opere d’arte”, nel tentativo di attraversare, se possibile, , i confini dell’opacità e dell’indeterminatezza – “l’irriducibilità del non-concettuale”.[Xviii]
*Celso Favaretto è critico d'arte, professore in pensione presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'USP e autore, tra gli altri libri, di L'invenzione di Helio Oiticica (Edusp).
Riferimento
Celso Favaretto. Ancora arte contemporanea. San Paolo, edizioni n-1, 2023, 304 pagine.
note:
[I] Vedi AGAMBEN, G. Cos'è il contemporaneo? e altre prove. Trans. Vinícius N. Honeslo. Chapecó-SC: Argos, 2009, p. 62; Vedi SAFLATE, V. La passione del negativo. San Paolo: Unesp, 2006, p. 274. (https://amzn.to/45S2TIe)
[Ii] DELEUZE, G. “L'atto della creazione”. Trans. José M. Macedo, Folha de S.Paulo – Di più!, 27/06/99, pag. 5
[Iii] Vedi LYOTARD, J.-F. Morali postmoderne. Trans. Marina Appenzeller. Campinas, SP: Papirus, 1996, p. 27, 31.
[Iv] AMEY, C. “Esperienza estetica e azione comunicativa”. Nuovi studi Cebrap, NO. 29, marzo 1991, pag. 143.
[V] Vedi DELEUZE, G. Conversazioni. Trans. PP Pelbart. Rio de Janeiro: Ed. 34, 1992, p. 178, 183.
[Vi] NANCY, J.-L. “La traccia dell'arte”. In – HUCHET, S. (Org). Frammenti di una teoria dell'arte. Trans. Maria Amazonas Leite de Barros. San Paolo: EDUSP, 2012, p. 289.
[Vii] id. ib. p.304.
[Viii] LYOTARD, J.‑F. Il postmoderno spiegato ai bambini. Trans. Teresa Coelho. Lisbona: Dom Chisciotte, 1987, p. 97; L'inumano. Parigi: Galilee, 1988, p. 35.
[Ix] BRITO, R. “Il moderno e il contemporaneo: il nuovo e l'altro nuovo”. Arte brasiliana contemporanea- Quaderni di testo-1.Rio de Janeiro: FUNARTE, 1980, p. 6,8; prova inclusa nel Esperienza critica (Org. Sueli de Lima). San Paolo: Cosac Naify, 2005, p. 79, 85.
[X] JEUDY, H.-P. Trucchi comunicativi. Trans. LF Baêta Neves. Rio de Janeiro: Imago, 1990, p. 17.
[Xi] JEUDY, H.-P. Op. cit., pag. 126.
[Xii] LYOTARD, J.‑F. l'inumano. Parigi: Galilee, 1988, p. 36.
[Xiii] Idem. “Il moderno e il contemporaneo: il nuovo e l’altro nuovo”. Arte brasiliana contemporanea. Libro di testo- 1, P. 6-7; Esperienza critica, p.81.
[Xiv] LYOTARD, J.-F., cit., p. 26.
[Xv] RANCIERE, J. L'inconscio estetico. Trans. Monica Costa Netto. San Paolo: Ed. 34, 2009, p. 10-11.
[Xvi] COMOLI, J.-P. L'arte senza qualità. Visite: Farrago, 1999, p. 63.
[Xvii] Cfr. GALARD, J. Bellezza esorbitante. Trans. Iraci D. Poleti. San Paolo: Ed. Unifesp, 2012, p. 61.
[Xviii] Cfr., rispettivamente, TEIXEIRA COELHO. L'uomo che vive. San Paolo: Iluminuras, 2010, p. 191; LYOTARD, J.‑F. Pellegrinaggi. Trans. Marina Appenzellee. San Paolo: Estação Liberdade, 2000; RANCIÈRE, J. L'inconscio estetico. Trans. Monica Costa Netto. San Paolo: Ed. 34, 2009, p. 13; SAFLATE, V., loc.cit.
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