da LUIZ RENATO MARTIN*
Considerazioni sul film classico di Federico Fellini
ironia intrinseca
Una costante stilistica che si può osservare a vari livelli nell'opera di Federico Fellini (1920-93) è il rapporto tra segno e referente presentato non come corrispondenza organica, consensuale o pacifica, bensì in opposizione. In generale, i titoli originali dei film non sfuggono a questa tensione interna. L'ironia è intrinseca all'opera, strutturata sulla base di varie antitesi, inversioni, negazioni o contrappunti. In questo modo i titoli denotano spesso un rapporto netto, distanziato e negativo con l'oggetto di riferimento: il tema alluso o l'opera in questione.
Iniziare con Luci del Varietà (1950, “Women and Lights”), che mostra il ventre oscuro della magia del palcoscenico del varietà. La Dolce Vita (1960, “A Doce Vida”) – titolo molto discusso – sembra alludere ai piaceri dei costumi flessibili e del consumo superfluo o suntuario, concesso dal boom economia nell'Italia degli anni 1950. Tuttavia, alla luce dell'ironia, lo stato di auto-divisione si rivela alla fine; vale a dire il sentimento di amarezza e di smarrimento o, infine, di alienazione come sapore caratteristico della vita urbana e moderna in Italia a seguito della miracolo (economico).
Un altro titolo molto accennato ma poco compreso, 8 (1963, 8) – che designa il numero di film diretti da Fellini all'epoca – denota, oltre all'ironia, anche l'autoastrazione e l'alienazione. Evidenziando immediatamente la quantificazione che oggettivizza il processo di lavoro e solleva una visione esterna del prodotto, 8 riassume parodicamente in una cifra la totalità dei risultati dell'autore. Porta così un nome vuoto, dissociato da ogni elemento interno alla narrazione – come il presunto prezzo o valore (sovrapposto al bene), per non parlare del salario che, prezzando il tempo, astrae la fatica del lavoro, convertendo in buono per l'uso di un altro. Mettiamo così subito in dubbio gli aspetti di autenticità e immediatezza insiti nel racconto delle confessioni e delle fantasticherie del protagonista di 8.
tensioni costruttive
Amarcord (1973, Amarcord") accade Io Clown (1970, “I pagliacci”) e Roma (1971, “La Roma di Fellini”), e designa come queste una nota ricorrente, un segno standardizzato dello stile dell'autore da parte dei media. In tutti questi casi l'ironia si raddoppia: si oppone all'opera che annuncia e alle attuali modalità di ricezione.[I] Così, Amarcord, oltre a prendere di mira l'idea di ricordo – quasi un logo di Fellini attualmente considerato da memorialista – delimita il movimento di introspezione cui si fa riferimento, poiché lo presenta e lo oggettiva. E allo stesso tempo fa di più: propone un legame riflessivo, un dialogo attorno a rappresentazioni che non sono personali, ma sociali o nazionali.
Infatti, la frase del titolo ("mi ricordo", in dialetto Romagnallo) – invece di proporre introversione attraverso una “password magica”,[Ii] una cifra unidirezionale o privata, come il termine "asanisimasa” (sussurrato dal ragazzo-Guido, in 8); o come ilbocciolo di rosa”, di Kane, nel film di Welles (1915-85); o, infine, invece di funzionare alla maniera dei famosi madeleine, una fusione di esperienze infantili del personaggio di Proust (1871-1922) in Cerca (…) – “amarcord” designa un'azione in corso, sottolineata dal tempo al presente. In breve, "amarcord” pone l'orizzonte attuale come parametro comune e allerta sul regime specifico di ciò che verrà narrato. Pertanto, propone la trasformazione di presunte esperienze soggettive in rappresentazioni che possono essere esaminate e dibattute dal pubblico.
Amarcord-titolo apre così l'interlocuzione e stabilisce l'esposizione del passato in un ambito plurale, per un esame collettivo. Da lì, niente di intimo ma pubblico, il fulcro narrativo del film si annuncia come dialogico. Ciò è ribadito nella sequenza iniziale, che termina con un'immagine di Giudizio, il pazzo del piccolo paese, che affronta l'obiettivo facendo un'interpellanza diretta, analoga alla frase del titolo.[Iii]
Contro l'accoglienza
il preambolo di Amarcord contrasta quindi con quello di 8, che, dopo un titolo astratto e impersonale, dispiegava in più sequenze l'incubo di Guido. Lì, è stato necessario riflettere controintuitivamente e controcorrente rispetto al corso iniziale della narrazione, per concludere (come ha fatto Roberto Schwarz[Iv]) che il regime narrativo di 8 era generalmente distaccato e ironico piuttosto che confessionale o soggettivo.
In effetti, all'epoca, l'accoglienza del film – peraltro favorita dal favore allora accordato alle idee di cinema d'autore e di espressione personale diffuse dall'influente nucleo parigino (Quaderni di cinema e New wave) nell'orbita del nuovo cinema del dopoguerra – perlopiù tendeva a identificare la figura di Guido con quella di Fellini – che, dopo la valanga di interpretazioni di 8 trattandosi di un'opera intima, si è rammaricato di non essere stato più incisivo nel trattamento comico della trama.[V]
Prevedere e prevenire una possibile tendenza soggettivante della ricezione, l'orientamento dialogico di Amarcord è scandito nel corso della narrazione da numerosi appelli al pubblico, da parte del Avvocato, dal Giudizio, dall'ambulante Biscein, ecc. Ma non solo gli espliciti interventi orali di una pluralità di narratori complementari, quasi alla maniera di un Coro, segnano e ribadiscono l'apertura dialogica del racconto di Amarcord al pubblico. Infatti, l'idea di un sé che ricorda, asserita dal titolo, è contemporaneamente relativizzata e negata, nella struttura, in molteplici modi...
Pertanto, il focus narrativo non dà mai alle scene un significato immediato. Piuttosto, elabora un affresco o murale di vita provinciale, in cui le figure sono schematicamente e ripetutamente identificate dalla selezione dei loro tratti socio-culturali, che ne evidenziano il livello gerarchico e presentano una fusione di costumi e manierismi. Ne derivano stereotipi dai quali lo spettatore è portato a differenziarsi.
La stilizzazione dei personaggi nella narrazione di 8, secondo artifici fumettistici, è stato evidenziato da Gilda de Mello e Souza (1919-2005).[Vi] Italo Calvino (1923-1985) attribuiva tale parentela a tutta l'opera di Fellini e ne sottolineava il contenuto aggressivo e popolare.[Vii] In effetti, questi aspetti risaltano in Amarcord. È come se tutto e tutti fossero visti dall'esterno, riassunti secondo i loro interessi e, con evidente sarcasmo. Ci sono solo caricature. Perché?
Il punto di vista di massa
Walter Benjamin (1892-1940) classificava la caricatura come arte di massa.[Viii] Egli ha evidenziato la sua opposizione, come fatto estetico, alla valutazione del bello, che è il risultato di un giudizio puro o disinteressato, esclusivamente contemplativo – che si colloca così nell'estetica del soggetto trascendentale, secondo Kant (1724-1804), come una delle forme di mediazione tra il sensibile e il soprasensibile. Al contrario, la caricatura opta quasi sempre per il grottesco e si pone come linguaggio di fondo immanente; denota un giudizio semplificativo e aggressivo, contrario al potere e alla fama. In questi termini assume e genera un contesto conflittuale.
L'applicazione di tali procedure riduce il valore nominale delle cifre di Amarcord; non favorisce l'identificazione proiettiva del pubblico con i personaggi, ma induce straniamento o distanza dalla forma visiva. E porta l'occhio a compiere un esame empirico che distingue la diversità dei tratti sociali. In questo modo si costituisce un fuoco, invece di essere fattore soggettivo, collettivo, oggettivante e in contrappunto critico alle figure.
Il passato in formazione (permanente) nel presente
Non solo nella figurazione dell'umano si impone la prospettiva di massa, in Amarcord, ma anche nel trattamento della scenografia e dell'immagine, che imita le tecniche riproduttive grafiche nello stile dei cartoni animati. Si noti l'uso di colori forti, luci leggermente sfumate, la piattezza degli ambienti, accanto alla demarcazione della superficiale psiche dei personaggi. Ma perché procedure così schematiche? Quale idea del passato è incorporata lì?
Se la forma porta l'impronta dell'attualità nella configurazione del passato, è perché l'attualizzazione prevale nell'atto di ricordare l'idea mitica del salvataggio senza tempo delle esperienze – che valeva in 8, per Guido, ed era al centro di Ricerca… di Proust.[Ix] In caso di Amarcord, c'è, in sintesi, tensione ed eterogeneità tra il contenuto e la forma della memoria; l'impronta del condizionamento attuale e la forma risultante hanno la precedenza sui contenuti della memoria. Pertanto, i temi mnemonici non apportano valore in sé o da soli: è nell'ambito della ricezione che si configurerà il significato.
Come spiegare il primato del presente nella formazione del passato e in che modo l'idea di memoria, in Amarcord, discostarsi da quello di 8? Nel film del 1963 il conflitto tra le serie temporali si svolge nell'anima di Guido – si oppone all'ideale dell'unità dell'io – e tende ad assoggettare il presente al passato. nel frattempo Amarcord, prodotto circa dieci anni dopo, la possibile premessa (mai dell'autore, ma dell'ignaro spettatore) di un monologo interiore lascia il posto alla rielaborazione collettiva di contenuti mnemonici. Infine, la disputa sulle valutazioni tra presente e passato in Amarcord si svolge nell'ambito dialogico del linguaggio, perde immediatezza e si oggettiva storicamente.
In questo modo, il contenuto arcaico delle esperienze nel villaggio, con radici remote sottolineate dal Avvocato (uno dei narratori complementari), ha il suo senso di origine modificato dalla nuova forma sommaria e ironica delle immagini mnestiche; il pubblico di Amarcord, contagiato dall'attuale vigore dell'impaginazione che predilige la caricatura, prende le distanze da esperienze arcaiche scandite con senso teatrale dal Avvocato (nonostante l'eruzione del fragoroso pernacchie, consegnato da una persona anonima dietro le finestre). Insomma, la divisione dei tempi incombe grande; in corso, una critica storica.
Contrasti tra Amarcord e 8 ½
Ben presto, mentre le paure individuali e i limiti di ogni tipo si profilavano all'orizzonte 8 alla luce della soggettività di Guido - già, in Amarcord, al contrario, questi fantasmi subiscono, a loro volta, riduzione e classificazione attraverso un insieme di fattori che operano come pratiche protocollari di laboratorio: l'opzione della caricatura che induce all'oggettivazione; il riposizionamento della rappresentazione mnestica a distanza da se stessa per inversione o appartenenza alla prospettiva democratica antifascista – critica dei valori richiamati – e altri di seguito discussi.
Il tono oggettivo e sarcastico della narrazione di Amarcord si rivela, nelle scene scolastiche, nella presentazione dettagliata di insegnanti e colleghi di Titta e persino nel suo uso dell'umorismo crudo, tipico degli ambienti collettivi. Viceversa, dentro 8, le figure dei colleghi erano appena percettibili, sotto le immagini forti e commoventi dei fantasmi dell'infanzia. Lì, tutto metteva in luce una verità immediata, intima e irradiante, che trascendeva ogni evento come massimo indice dell'esistenza singolare, idiosincratica e sovracircostanziale di Guido. Ben presto, i mondi del ragazzo-Guido e del regista-Guido (personaggio) si rispecchiarono l'un l'altro. La legge nascosta di tale similitudine era la cifra della sceneggiatura abbozzata da Guido, sebbene contestata da altri, a cominciare dal collaboratore critico severo ed erudito che tormentava il cineasta, dedito all'introspezione e alla rêverie come privilegi e facoltà autoriali. Infatti, creazione, realizzazione e scoperta di sé sono state combinate nelle idee produttive del regista-Guido. Il che non ha impedito all'opera di Fellini di proporre un'altra – ironica – presa di posizione di fronte alla persistente indecisione e al credo egocentrico del protagonista.
Analogo è il contrasto tra i due film nella ricostruzione delle scene familiari. In 8, l'atmosfera intima e seria dei rapporti familiari li ha dotati di un significato trascendente che ha permeato gli attuali dilemmi del protagonista. Già dentro Amarcord distanza e ironia delimitano le questioni familiari. I genitori mostrano un comportamento istrionico, tipico del circo o del teatro popolare. Il contorno visivo di tali scene suggerisce un'ambientazione teatrale e presuppone una pausa tra palcoscenico e pubblico. Il risultato è una rappresentazione schematica, volutamente generica, della vita quotidiana del periodo in questione.
Il contrasto tra le scene di confessione nei due film è dello stesso ordine. Dimostra che i presupposti unificanti di immediatezza e trasparenza – ovvero il valore originario della soggettività – professati dal protagonista di 8cedere a Amarcord, ad una ridefinizione del rapporto con se stessi o con la memoria personale, in termini di alterità intersoggettiva e secondo condizioni storiche e generali.
Quindi le figure femminili, in Amarcord, scaturiscono dalla memoria, non intimamente e immediatamente, ma mediata, come visto dal gruppo di adolescenti. Dunque, lungi dal configurare una rappresentazione inaugurale, carica e fantastica dell'erotismo, come Saraghina, nell'infanzia di Guido, le forme erotiche, di Amarcord, riflettono i valori di gruppo e di epoca.
Pertanto, come prodotti dettagliati, queste forme portano tutte la loro sensualità legata a qualità psicosociali e chiari segni storici. Questo cast o catalogo semantico della "femminilità" (dal punto di vista degli studenti in iniziazione) è incluso, dal marmo allegorico, compreso un nudo neoclassico, in onore della vittoria, alle figure femminili più emblematiche del villaggio, viste (dal adolescenti) come varie allegorie del mito, distinte in relazione alle loro attività (la manicurista di Gradisca; Volpina, sosia femminile e ambulante di Giudizio; le contadine, l'insegnante di algebra, il commerciante di tabacchi, ecc.) e comportamentali, può va detto che appaiono, nei “recitativi” alla maniera del gruppo di Titta, come corrispettivi satirici alle allegorie delle arti e dei mestieri che ornavano, con cliché neoclassici di gusto ottocentesco, angoli, spigoli e facciate di palazzi e luoghi pubblici.
Insomma, dentro Amarcord, i prodotti della memoria si mostrano “desoggettivati” ovvero privi di immediatezza e sotto ironia. L'effetto soggettivo di pienezza o incontro di sé della reminiscenza proustiana, che ha affascinato l'idiosincratico protagonista di 8, evidentemente non influisce qui. La rottura con il passato è costitutiva; "memoria involontaria"[X] – con un ruolo fondamentale nella sceneggiatura di Guido – non c'entra Amarcord, poiché spetta alla “memoria di intelligenza”, “volontaria” o interessata – esercitata nel gioco dialogico con il punto di vista dell'altro –, effettuare la selezione dei bersagli secondo il loro significato generale, cioè in il modo della pratica critica e metodica dello storico.
Secondo questo paradigma, il fumetto in Amarcord dal quadro della confessione, in mezzo ai compiti e agli interessi prosaici del sacerdote, deriva dal punto di vista controsoggettivo che ordina la narrazione. Quindi, mentre sei dentro 8 la confessione obbligatoria del ragazzo fu riscattata nella forma anch'essa confessionale del copione, abbozzato da Guido, già in Amarcord è solo un esempio di codice normativo e, soprattutto, parodiato, che poi costituisce una forma svuotata. Anche nella forma prosaica dell'aneddoto infantile, la comicità della scena dell'onanismo collettivo nel macchinino parcheggiato nell'ambiente arcaico e rurale del fienile, evoca e parodia il mimo di Chaplin (1889-1977) della frammentazione ripetitiva dei gesti per la fabbrica lavoro (e febbrile), che originariamente aveva un significato lirico, nell'ambientazione industriale stilizzata un po' futuristica di Tempi moderni (1936).
L'obiettività critica, storica e politica di Amarcord
In sintesi, il presupposto della spontaneità naturale dell'individuo – in precedenza, con un ruolo centrale nell'opera di Fellini come contrappunto critico all'egemonia del paradigma neorealista nel dopoguerra –, al contrario, in Amarcord, subisce il processo di revisione generale della successiva cultura italiana contadina, clericale e patriarcale, allo scopo di determinare le radici del fascismo. Nella sussunzione al collettivo, Amarcord si rivela un'opera visceralmente politica, come evidenziato da Fellini.[Xi]
Comunque, Amarcord è ben lungi dall'operare come derivazione, dieci anni dopo, del monologo e della sceneggiatura intima di Guido. Ora si osserva un ritratto della vita quotidiana nel fascismo, incentrato sull'esame satirico della formazione della soggettività che subisce la modernizzazione, tra accelerato e tardivo, inerente alla dipendenza.
Quindi se Amarcord mostra un'effettiva continuità con 8, questa consiste principalmente nella continuazione del punto di vista sobrio, ironico e riflessivo; vale a dire, insomma, nel dispiegarsi potenziato della decisione, di 8, di inscrivere un modello simulato di autobiografia messa in scena in un “film d'autore”, come oggetto di ironia, per esplicitare, d'altra parte, una possibilità opposta, critica e dialogica di ricezione – come, del resto, ha acutamente osservato Schwarz in una lettura precorritrice e alla controcorrente – circa 8, come storia critica e dialettica di un capitolo della tarda modernizzazione.
Amarcord costituisce, insomma, un vigoroso movimento di negazione e differenziazione del passato, in cui la memoria non restituisce figure perdute o forme originarie, ma presenta oggetti di ironia davanti ai quali la critica psicosociale, politica e storica, modulata dal dialogo con il pubblico, costruisce la prospettiva della pluralità propria della dialettica antitetica della democrazia, che rivede criticamente, con spirito eziologico, il precedente regime totalitario.
In un tale processo, rivedere il passato implica anche reinterpretare il presente. Pertanto, l'indagine sull'origine del fascismo, come Amarcord, implica l'esame simultaneo di altri due pilastri del regime, che, anche dopo la caduta militare del regime, hanno continuato a reggere e ad irradiare attivamente pratiche e modelli filofascisti nella vita sociale: la famiglia patriarcale e la cultura di massa – in questo ultimo , tra l'altro, il cinema di regime opera come prototipo essenziale. Pertanto, fattori e basi persistono, sottolinea Amarcord, per mezzo del quale un ibrido può sorgere. Come prevenire?
Pulo do gato: fascismo volgare
Amarcord innova e sorprende nell'esame del fascismo mostrandolo nella sua dimensione volgare e originale, indipendente dal nazismo. Nelle opere del dopoguerra di Rossellini (1906-1977)[Xii] e nel cinema italiano in genere il fascismo appariva intrecciato quasi filialmente al nazismo; insomma, praticamente come un outsider, senza radici locali.
La visione dell'Italia occupata e del momento bellicoso del fascismo – anzi, quello più attuale sugli schermi – favorisce la percezione del fascismo come derivazione del nazismo, essendo nota la dipendenza militare del primo dal secondo; infatti, il rapporto di dipendenza politica del fascismo dal nazismo si cristallizzò, ancorato in ambito militare, nel periodo della repubblica fantoccio di Salò (23.09.1943 – 29.04.1945).genesi del fascismo, effettivamente italiano, come la sua originalità nella creazione di modelli politici e psicologia di massa che hanno preceduto il nazismo e il franchismo di oltre un decennio.[Xiii]
In questo senso, dentro Roma (1971), un estratto, estratto da Fellini dal giornale del cinema fascista Luce, aveva presentato il fascismo come un fenomeno di autenticità paragonabile a quello del “pane e formaggio italiano”. Amarcord approfondisce la caratterizzazione del fascismo vernacolare, così come intensifica l'esame del suo rapporto organico con il cinema.
Così, Amarcord presenta e seziona Patacca (Lallo), zio di Titta, come un fascista bollato. Questo e gli amici fanno parte della categoria di vitelloni, formato da giovani sfaccendati e immaturi della classe media, che vivono con le loro famiglie e sono stati così spesso scrutati dall'obiettivo di Fellini, anche in Amarcord, che sottolinea i legami della banda Patacca con il fascismo.
Sottolineando i legami di questo gruppo sociale con il fascismo, Amarcord innesca un altro movimento critico-riflessivo: porta alla rivisitazione delle opere precedenti dell'autore, come Io Vitelloni (1953), e le ricarica di significato politico, come precedenti osservazioni sulle basi sociali del fascismo.
La Patacca si caratterizza come un tipo comune che, si sa, sopravvivrà al regime (come la vitelloni, a proposito) Anche la sua adesione al fascismo segue lo schema generale. In città, come annunciato sul palco del corteo, il 99% della popolazione era iscritto al Partito. Notevole eccezione solo il sig. Aurélio, operaio edile civile, capomastro e uomo di sinistra, denunciato dal cognato Lallo (il Patacca), per l'installazione del grammofono nel campanile per suonare la l'International (1871), rovinando il partito fascista.
La normalizzazione del fascismo in questo modo, lungi dall'essere condiscendente, è strategica e combattiva; implica una critica tagliente delle matrici socioculturali del fascismo.[Xiv] Perché la questione delle origini del fenomeno solleva anche quella della sua persistenza, nonché quella del suo ritorno al governo italiano. E, se la gravità del problema non era evidente al momento del lancio di Amarcord, all'inizio del 1974 – quando il Pci sembrava a molti avviarsi verso l'egemonia –, la questione si accentuò, vent'anni dopo [1994], con il trionfo elettorale del fascismo associato a Berlusconi (n. 1936) [per non parlare l'ascesa, sulla scia di questa, delle successive varianti, G. Fini (n. 1952), M. Salvini (n. 1973) ecc.].
Fisiologia e psicogenesi del fascismo
C'erano pochi riferimenti diretti al fascismo nell'opera di Fellini negli anni Cinquanta e Sessanta; quando avvenivano, arrivavano in modo breve e allusivo, componendo tratti di personaggi e ambienti. Tuttavia, da Io Clown (1970) e Roma (1971), la questione del fascismo è in prima linea nell'analisi psicosociale e comportamentale di Fellini sui fattori condizionanti della modernizzazione italiana.
Si distingue poi il carattere della sua strategia critica. Ciò rinnova notevolmente il focus dell'azione totalitaria del fascismo sulla vita collettiva: lo rileva in superficie, come un modello patologico di radici domestiche, proiettato sul collettivo. A partire dall'esibizionismo insito nel narcisismo, diversi segni delimitano tale estrazione: le smorfie infantili nel corteo; la reiterazione di comportamenti capricciosi e vanitosi; la passione per l'abbigliamento, la coreografia e la simmetria o in generale per le forme specchiate; il bisogno isterico dei leader; il richiamo escatologico tradotto in tortura attraverso l'ingestione di lassativi, ecc.
In questi termini, il fascismo appare come un discorso articolato all'infanzia, secondo Fellini, in due gradi: in termini di origine, come isteria o retorica propria dello stato infantile e anche, in termini di finalità, come insieme di tecniche organicamente associate con la formazione scolastica. In questo modo, se tracima e raggiunge l'applicazione sociale, è perché l'insieme sociale riproduce in gran parte uno stato atavico di minorità o di infantilismo. Ponendosi come una pedagogia delle matrici e dei parametri per i bambini, il fascismo esige la sussunzione dell'eterogeneità sociale e politica, naturalmente conflittuale, da parte del linguaggio organicista e omogeneizzante dell'orizzonte domestico.
L'amore per l'esibizione, insito nell'infanzia, trova la sua realizzazione sociale nella monumentalità scenica e coreografica. Pertanto, oltre all'infantilismo, la spettacolarità è l'altra faccia del fascismo, evidenziata da Amarcord. Negli interventi di massa, il fascismo incombe sulla città attraverso immense scenografie, che infondono il culto del grandioso insito nella fantasmagoria patriarcale, il doppio rovesciato dell'infantilismo.
Pertanto, l'equiparazione dello studio al mondo, tanto lodata come la mania di Fellini, lungi dall'essere un tratto stilistico o autoriale, mira proprio al nucleo della strategia fascista. Fa parte di un programma estetico critico che caricatura e decostruisce l'impero dello spettacolo attraverso il quale, come è noto secondo Benjamin, le masse “hanno l'illusione di esprimere la loro 'natura', ma non certo i loro diritti”[Xv] – tra l'altro, come Ciccio che immagina l'unione con Aldina, il suo ideale d'amore, celebrata da una scenografica commistione di Duce e pontefice.
Fascismo e cinema: verso e rovescio
La coincidenza dello spettacolare e dell'infantile nella caratterizzazione del fascismo evidenzia la correlazione tra cinema e fascismo. Cinecittà era infatti una creazione del regime, concepita a immagine di Hollywood e sotto la guida di Vittorio Mussolini (1916-1997), figlio del dittatore.[Xvi] Inaugurato nell'aprile 1937 dal Duce (come si chiamava), Cineccittà ha prodotto, fino alla caduta del fascismo (25.07.1943), duecentosettantanove film, quasi quattro al mese.
Il mondo del cinema era al centro del regime e diversi membri della famiglia Mussolini si dedicarono ad attività sul territorio; molte dive erano amanti dei gerarchi fascisti e diversi cineasti lavoravano per Vittorio Mussolini. Rossellini è stato lo sceneggiatore del suo primo film, Luciano Serra Pilota (1938), ruotò in Etiopia, e successivamente divenne un autore sponsorizzato e premiato (più di una volta) dal regime. Anche Antonioni (1912-2007) e Fellini esordirono nel cinema in quel periodo, in attività secondarie.[Xvii]
Pertanto, evidenziare l'associazione tra cinema italiano e fascismo significa sollevare un tema a dir poco scomodo. Oltre ad essere coraggioso, l'approccio di Amarcord, Roma e Io Clown di questo problema è pieno di conseguenze; In sintesi:
(1) fornisce l'effettiva delimitazione dello statuto e degli elementi del linguaggio cinematografico, poiché la finalità critica di Fellini (nel senso di autolimitazione) – contraria a quella dei neorealisti – non si affrettava a mettere in scena e a stabilire rappresentazioni cinematografiche, che sostituissero gli orrori della guerra - lasciando quindi che questi rimangano nella loro forma unica, per il dovuto esame storico; (2) propone una revisione radicale della cultura di massa e della sua storia in Italia, alla luce della sua reciprocità con il fascismo; un esame la cui urgenza è evidente nella crescente collusione – attraverso Berlusconi e simili – dello Stato con la comunicazione di massa;[Xviii] (3) ottiene un'analisi innovativa del fascismo, che rileva la persistenza e la riproduzione dei processi genetici (derivati dalla famiglia patriarcale, dalla cultura di massa, dal culto dell'immagine, ecc.) in piena forza; (4) in opposizione al fascismo, criticando il primato della memoria univoca, monologica o mitica – a cui Cinecittà ha attivamente contribuito –, Amarcord elabora ed esplicita un paradigma opposto (sulla scia della narrazione pseudopersonale di Roma, il film precedente): quello della narrativa democratica, strutturata dialogicamente.
* Luiz Renato Martins è professore-consulente di PPG in Storia economica (FFLCH-USP) e Arti visive (ECA-USP). Autore, tra gli altri libri, di Le lunghe radici del formalismo in Brasile (Haymamercato/HMBS).
Prima parte della versione modificata dell'articolo pubblicato su Carlos Augusto Calil (org.). Fellini Visionario: La Dolce Vida, 8 ½, Amarcord. Società di lettere, 1994.
note:
[I] Em Io Clown (1970), i clown – presi in generale, da 8, come indici lirici che alludono all'innocenza e all'infanzia – sono mostrati come esseri indigenti, alle prese con la solitudine e la vecchiaia. Analogamente, a Roma (1971), piuttosto che la visione felliniana della città come studio o ambiente essenziale, come è stata generalmente intesa dopo La Dolce Vita, ciò che abbiamo è la decostruzione della prospettiva autoriale o soggettiva, in breve, lo stile dell'autore visto dall'interno verso l'esterno, come un vuoto. Vedi LR Martins, “The Practice of the Spectator”, in Conflitto e interpretazione in Fellini/Costruzione della prospettiva del pubblico, San Paolo, Edusp/ Istituto Italiano di Cultura di San Paolo, 1994, pp. 25-50. O idem, “The Spectator’s Activity”, in Adauto Novaes (org.), Il look, San Paolo, Cia das Letras, 1988, pp. 385-97.
[Ii] Per l'acuta interpretazione di asanisimasa – come una cifra segreta anima e password di accesso a un ordine senza tempo – e la sua approssimazione con il bocciolo di rosa, di cittadino Kane (1941), di Orson Welles, vedi Gilda de Mello e Souza, “O Salto Mortal de Fellini”, in idem, Esercizi di lettura, San Paolo, Due città, 1980.
[Iii] Fellini ha pensato per la prima volta di dare un nome al film Viva l'Italia; Dopo Il Borgo. Su queste ipotesi e sulla maggiore preoccupazione di “evitare diligentemente una lettura autobiografica del film”, vedi Federico Fellini, fare unfilm, Torino, Einaudi, 1980, pp. 155-56.
[Iv] Vedi Roberto Schwarz, “8 1 / 2 di Fellini: O Menino Perdido ea Indústria” (1964), originariamente pubblicato su “Suplemento Literário”, Lo Stato di San Paolo; ripubblicato in R. Schwarz, La sirena e il sospettoso: saggi critici, Rio de Janeiro, Pace e Terra, 1981, pp. 189-204.
[V] Il citato articolo di Schwarz costituì effettivamente una notevole eccezione a questa tendenza, e suscitò persino una replica come quella di Bento Prado jr., che insistette, invece, sulla funzione commemorativa o confessionale della narrazione in 8. Vedi B. Prado Jr., “La sirena demistificata”, Alcuni Saggi, Max Limonad, 1985, pag. 239. Per l'opposizione di Fellini all'interpretazione intima, cfr. LR Martins, Conflitto …, operazione. cit. pp. 17-18, e nota 15, a p. 143.
[Vi] Cfr. G. de Mello e Souza, “O Salto Mortal de Fellini”, op. citazione..
[Vii] Italo Calvino, “Autobiografia di uno spettatore”, in Federico Fellini, Film Quattro, Torino, Einaudi, 1975, pp. XIX e XXII.
[Viii] Vedi Walter Benjamin, “L'oeuvre d'art à l'époque de sa playback mécanisée” (versione francese) in idem Écrits Français, introduzione e note Jean-Maurice Monnoyer, Paris, Folio/Essais/Gallimard, 2003, pp. 214-17; trans. reggiseni. [da un'altra versione]: L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica (seconda versione tedesca), apres., trad. e note Francisco De Ambrosis Pinheiro Machado, Porto Alegre, Zouk, 2012 Paulo, Brasiliense, 1985, vol. io, pp. 109-16.
[Ix] Vedi, tra l'altro, la menzione di un mito celtico in Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, Parigi, Gallimard, 1949, vol. io, pp. 64-65.
[X] Per la contrapposizione tra le nozioni di memoria “intelligente” o “volontaria” e, invece, quella di “memoria involontaria”, si veda Marcel Proust, op. cit., pp. 64-69. Per un contrappunto tra Proust e Baudelaire, vedi W. Benjamin, “Sur quelques thèmes baudelairens”, trad. Maurice de Gandillac, recensione di Rainer Rochlitz, in Opere/ volume III, traduit de l´allemand par M. de Gandillac, R. Rochlitz et Pierre Rusch, Paris, Folio/Essais/Gallimard, 2001; pp. 329-45, 376-87; trans. bras.: “Su alcuni temi in Baudelaire”, in Opere selezionate/ Charles Baudelaire: un paroliere all'apice del capitalismo, trad. HA Batista, S. Paolo, Brasiliense, 1989, vol. III, pp. 103-113, 139.
[Xi] “Il condizionamento buffonesco, la teatralità, l'infantilismo, la soggezione a un potere fantoccio, a un mito ridicolo, è il fulcro stesso di Amarcord… Una grande ignoranza e una grande confusione… Ancora oggi, quello che mi interessa di più è il modo psicologico, emotivo di essere fascista: una forma di blocco, qualcosa come l'essere bloccati nell'adolescenza…” Cfr. Federico Fellini, Un registro a Cinecittà, Verona, Mondadori, 1988, p. 13. Vedi anche idem, Tariffa…, operazione. cit., pp. 154-155; Ornella Volta, “Fellini 1976” in Vv. Aa., Federico Fellini, org. Gilles et Michel Ciment, Parigi, Dossier Positif-Rivages, Rivages, 1988, p. 94. (Pubblicato per la prima volta in Positif, 181, Parigi, 1976).
[Xii] Ad esempio, Roma Città Aperta (1945) e Nazione (1946), a cui Fellini partecipò anche come assistente principale dell'autore.
[Xiii] Ricordiamo che Mussolini, eletto deputato nel 1921, fu invitato dal re a guidare il governo alla fine del 1922; nel frattempo i nazisti detenevano, sei anni dopo (1928), solo 12 seggi in parlamento. Infatti, solo dopo l'elezione nel 1932 di 230 deputati nazisti Hitler divenne Cancelliere (Primo Ministro) il 29.01.1933/1922/XNUMX. Un altro indice indicativo della precedenza e dell'ascendenza del fascismo sul nazismo è che la "marcia su Roma" dell'ottobre XNUMX, che portò Mussolini al governo, ispirò l'anno successivo a Monaco il colpo di stato Il fallimento di Hitler, che lo portò in prigione dove rimase fino al dicembre 1924. Infine, vale la pena consultare un documento d'epoca, scritto con mordente e acume letterario, per i dettagli, caratteristici di Trotsky, allora da poco esiliato a Prinkipo, isola vicino a Istanbul. Firmato dall'autore il 10.06.1933, il testo traccia diversi parallelismi che mettono in luce l'originalità del fascismo e di Mussolini di fronte ai tedeschi: misticismo di qualsiasi Metternich che l'algebra politica di Machiavelli. Dal punto di vista intellettuale Mussolini è più audace e cinico”. Infine il paragrafo conclude: “(…) l'analisi scientifica dei rapporti di classe, intesa dal suo autore a mobilitare il proletariato, permise a Mussolini, quando passò nel campo nemico, di mobilitare le classi intermedie contro il proletariato. Hitler ha svolto lo stesso lavoro, traducendo la metodologia del fascismo nel linguaggio del misticismo tedesco”. Cfr. Léon Trotsky, “Qu'est-ce que le nazional-socialisme”, in idem, Comment Vaincre le Fascisme/ Écrits sur l'Allemagne 1930-1933, traduit du russe par Denis et Irène Paillard, Parigi, Les Editions de la Passion, 1993, p. 227.
[Xiv] “Mi ha fatto piacere leggere (…) che raramente il fascismo era stato rappresentato con tanta verità come nel mio film”. Cfr. Federico Fellini, Tariffa…, operazione. cit., pag. 153. Sul punto di vista di Fellini sulla persistenza del fascismo nella vita italiana, e sulla primaria importanza di questo nella Amarcord, orologio idem, ib., pp. 151-157.
[Xv] Il brano è noto ma vale la pena richiamarlo integralmente per la sua contiguità con la prospettiva analitica di Amarcord, penso: “Lo Stato totalitario cerca di organizzare le masse proletarizzate di nuova costituzione, senza modificare le condizioni di proprietà che esse, le masse, tendono ad abolire. Vede la sua salvezza nel permettere alle masse di esprimere la loro 'natura', ma non certo quella dei loro diritti*. Le masse tendono alla trasformazione delle condizioni di proprietà. Lo stato totalitario cerca di dare espressione a questa tendenza, salvaguardando le condizioni di proprietà. In altri termini: lo stato totalitario conduce necessariamente all'estetizzazione della vita politica [enfasi aggiunta] ". Cfr. W. Benjamin, “L'oeuvre d'art…” [versione francese], op. cit., pp. 217-28; trans. reggiseni. [dalla seconda versione tedesca]: «L'opera d'arte…. ", operazione. cit., pag. 117.
[Xvi] Vittorio Mussolini progettò addirittura di fondare, con Hal Roach, una casa di produzione italo-americana, la RAM (Roach e Mussolini), e si recò a Hollywood nel settembre 1937 per occuparsene.
[Xvii] Per maggiori dettagli, vedere LR Martins, Conflitto e…, operazione. cit., note 35 e 36, pp. 68-70.
[Xviii] La lotta di Fellini contro Berlusconi è vecchia; comprende querele e commenti del tipo: – “Non si dovrebbe parlare di lui (Berlusconi) in un'atmosfera da salotto. Berlusconi dovrebbe essere convocato davanti ai magistrati…”. Cfr. Tatti Sanguinetti, “Fellini, intervista”, in Quaderni di cinema, NO. 479/480, Parigi, 1994, pp. 71-73 (originariamente pubblicato in Europeo, 05.12.1987).