da JOSÉ GERALDO COUTO*
Commento al film diretto da Heitor Dalia.
Con il semplice titolo Anna, uno dei film brasiliani più interessanti dell'ultima stagione, o meglio della penultima stagione, è nelle sale, poiché è stato realizzato nel 2019 e solo ora arriva sugli schermi. È il settimo lungometraggio di Heitor Dhalia e, insomma, tratta il backstage di un montaggio della tragedia Borgo, di Shakespeare, oggi a San Paolo.
Al centro di tutto il rapporto teso tra il direttore del gruppo, il veterano e consacrato Arthur (il ragazzo argentino Olmi), e Anna (Bela Leindecker), la giovane attrice scelta per incarnare Ofélia, l'adolescente infelice innamorata del non meno infelice principe dalla Danimarca.
Se il comportamento del regista con i membri del gruppo spinge i confini tra esigenza professionale e abuso di autorità, nei suoi rapporti con Anna il problema si acuisce con l'aggiunta della tensione erotico-amante. È difficile sapere dove finisce l'ammirazione artistica e inizia la seduzione, e dove finisce la seduzione e inizia la pura e semplice oppressione.
Come spesso accade nei film incentrati sulla messa in scena di un dramma classico (ancora di più con Shakespeare), c'è un dialogo nascosto, un riverbero reciproco tra il testo originale e l'ambiente di montaggio. In caso di Anna, il regista Arthur evidenzia questa correlazione quando dice alla giovane attrice che la posizione di Ofelia rispetto ad Amleto è quella della sottomissione della ragazza povera e ingenua davanti a un principe, un essere socialmente e intellettualmente superiore a lei. Sembra pensare che questa asimmetria sia analoga al suo rapporto con la provinciale Anna.
Ma niente è così semplice e meccanico. Personaggi secondari, diverse situazioni in scena e fuori scena e occasionali riferimenti ad altre opere di Shakespeare (da Romeo e Giulietta a Riccardo III) rendono tutto più complesso e stimolante.
Per fortuna, Anna si collega a quelli che potremmo definire meta-adattamenti di opere teatrali, cioè film il cui fulcro è il processo di trasposizione dei grandi classici nella situazione contemporanea. Sono, in generale, documentari: Zio Vanja a New Yorkdi Louis Mallè Riccardo IIIdi Al Pacino Cesare deve morire, di Paolo e Vittorio Taviani, Mosca, di Eduardo Coutinho.
Ma Anna è un film di finzione, e al suo centro c'è l'esplosivo gioco di dominio tra un regista e un'attrice. Anche per i suoi tenui sviluppi sadomasochisti, un riferimento qui potrebbe essere la pelle di Venere, di Roman Polanksi, ma senza la stessa concentrazione drammatica. In entrambi i casi si tratta di un mutevole rapporto uomo-donna, anche se l'altalena di Polanski è un giocattolo molto più radicale.
In questo equilibrio di sfondo (il gruppo, il montaggio) e figura (l'affare Arthur-Anna), il film di Heitor Dhalia oscilla tra la grandezza di Shakespeare e uno psicodramma più convenzionale, non privo di luoghi comuni. Forse è inevitabile: le nostre circostanze sono ancora più banali. E, a volte, anche il grande regista Arthur sembra scoprire che la recitazione intensa si confonde con urla sempre più isteriche. Le persone di teatro possono identificare figure e comportamenti familiari nel personaggio.
È interessante notare che ci sono due riferimenti laterali nel film a registi che hanno viaggiato tra teatro e cinema: David Mamet, autore del libro Teatro, da cui Arthur estrae una citazione per impressionare l'impressionabile Anna; e Ingmar Bergman, figura centrale nelle memorie di Liv Ullmann che un collega presenta alla giovane attrice, richiamando l'attenzione sul parallelismo tra le coppie Bergman/Ullmann e Arthur/Anna.
Heitor Dhalia filma con eleganza e precisione, sfruttando bene il palcoscenico e lo spazio del pubblico, la coreografia dei corpi e il gioco di luci. Non c'è un solo momento poco interessante o lento Anna.
Se ci sono dei difetti, si riferiscono a una certa disuguaglianza delle prestazioni e, soprattutto, alla caratterizzazione piuttosto monolitica e unilaterale del regista Arthur, che sembra volersi imporre sempre e solo attraverso l'intelligenza e l'aggressività. Forse sarebbe più convincente come seduttore se mostrasse più sfumature, vulnerabilità, umorismo e flessibilità. È sorprendente che solo un'attrice del gruppo (Nash Laila) si ribelli ai suoi abusi autoritari.
Ma si tratta di piccole riparazioni, che nulla tolgono alla brillantezza e all'interesse dell'impresa, certamente l'opera più matura del regista fino ad ora.
José Geraldo Couto è un critico cinematografico. Autore, tra gli altri libri, di André Breton (brasiliese).
Originariamente pubblicato su BLOG CINEMATOGRAFICO
Riferimento
Anna
Brasile, 2019, 106 minuti.
Regia: Heitor Dhalia.
Sceneggiatura: Nara Chaib Mendes e Heitor Dhalia.
Fotografia: Azul Serra.
Interpreti: Bela Leindecker, Boy Olmi, Gabriela Carneiro Cunha, Tulio Starling.