Antonio Candido – note finali

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da LUCA PAOLILLO*

Commento al film di Eduardo Escorel

“Chiarezza, il vento che passa. Chiarezza, un alito di dubbio. Luce intensa nella finestra. Chiarezza, un po' di musica. Chiarezza l'ombra della morte. Chiarezza, giornata così lucida. Chiarezza, un resto di fortuna. Chiarezza scomoda” (Rodrigo Campos).

1.

Chi è andato all'Espaço Itaú de Cinema in Rua Augusta il giorno della prima di Antonio Candido – Note finali (2024) guardando l'atteso film del regista Eduardo Escorel sull'ultima testimonianza di uno dei più grandi – se non il più grande – critico letterario immerso nei percorsi dell'esperienza brasiliana, ha trovato un pubblico omogeneo ed eterogeneo nel contesto sala dell'ingresso.

Insomma, niente che si discostasse da quanto ci si aspettava, visto che era composto sostanzialmente da gente proveniente dall'università e dal cinema, seppure segnato dall'esuberanza di più generazioni. Inoltre, nel paesaggio, aleggiava nell'aria un arco di classi praticamente incontrovertibile – non a caso legato alla direzione di quelli che un tempo, in un altro momento storico, potevano essere definiti dal premiato “radicali della classe media”.

Ma se l’attenzione si soffermasse per un attimo più sulle tendenze delle opinioni che su quella condizione livellatrice, nella stessa sala si vedrebbero i poli antagonisti di un’entità già logorata, ma caparbiamente riconosciuta ancora oggi come sinistra (identificata anche come tali dai loro nemici che non considerano le sfumature della strategia o dei principi né giocano sul lavoro). Se il lettore è d'accordo con tali condizioni descrittive, possiamo dire che c'era, evidenziando le differenze, una composizione di convivenza tanto peculiare quanto routinizzata sotto gli occhi di tutti in quella modesta sala d'attesa.

Per darvi un'idea, ricorrendo ad un'ipotesi assurda, se si accendessero le luci del cinema e, per qualche motivo, gli spettatori interessati a raccogliere le impressioni finali del maestro venissero convocati in posizione assembleare, la confusione, senza ombra di dubbio, sarebbe generale. Potrebbe anche presentarsi nel registro addomesticato tipico delle rovine di intellighenzia, ma, nonostante le incomprensioni da entrambe le parti, il rumore tutti confesserebbe, in sottofondo, la situazione di un lascito contestato.

Dico questo perché si vedrebbero fianco a fianco personaggi che vanno da un ex ministro del governo a giovani attivisti della più recente incarnazione degli autonomisti sulla scena di San Paolo. Qualcosa in questa gelatina non così generale dovrebbe contenere un argomento vivace da intravedere. Qualcosa a cui, in effetti, lì nessuno sembrava prestare molta attenzione e che finiva per dissiparsi come uno scherzo quando l'attesa finiva e le persone si sistemavano ai loro posti.

2.

Dopo un breve ringraziamento iniziale da parte di Eduardo Escorel, con la presentazione di parte della troupe, le luci del cinema si sono spente ed è venuto alla luce il film tanto atteso. Inizialmente, la voce di un sorprendente personaggio-narratore Antonio Candido evocato dal preciso gogó di Matheus Nachtergaele, immediatamente associato alle immagini dell'appartamento in cui viveva il nostro osservatore letterario in carne ed ossa.

Em MENO, la voce, diciamo, del narratore ci ha condotto verso la conoscenza della data della sua morte e considerazioni sui motivi di quella pratica di prendere appunti intimi – una risorsa di narrazione che ha dato al documentario una dose, già osservata,[I] de Reggiseni Cubas. Con una memoria letteraria come questa, che mai sarà invocata ingenuamente di fronte a questa tradizione, si è creata un'ironia di fondo: nella migliore delle ipotesi, quasi brechtianamente, gli spettatori più attenti hanno potuto ricordare che il narratore del documentario non poteva essere esattamente affidabile. Sarà comunque lui il cerimoniere a condurre il pubblico attraverso la lettura di brani tratti dai taccuini che hanno registrato gli ultimi sentimenti di Antonio Candido negli anni 2015, 2016 e 2017.

I primi minuti sullo schermo consegnavano anche buona parte delle risorse stilistiche magnetizzate alle strutture di montaggio: le immagini registrate per accompagnare la voce obbedivano, per la maggior parte, a un ritmo rilassato. Per lo più statici, apparivano alle retine del pubblico come blocchi successivi in ​​attesa di meditazione, quasi come diapositive. Il che, in un certo senso, ha portato a una predominanza della fotografia sul video.[Ii]

Da qui il senso di fissazione momentanea: la durata di ciascuno di questi blocchi di immagini illustrava ragioni centrali nella direzione di far emergere la percezione della libera direzione delle note quotidiane, contribuendo all'articolazione delle loro conseguenze. Davano così l'impressione di immagini sintetiche, suggerendo rapporti nella traduzione complessiva tra i diversi documenti presentati e i loro segni di temporalità: in alcuni dei momenti migliori del film, i ricordi presentati, incollati soprattutto su vecchie foto o filmati di del secolo scorso, si mescolarono alle scosse provenienti dall'abc delle catastrofi di quegli anni inquieti, un vero e proprio buco senza fondo, assimilato dal premiato come un franco crollo delle condizioni di vita nel Paese e nel mondo.

È interessante notare che, e qui usciamo un po’ dal documentario, una risorsa simile, sebbene per nulla attenta ai terremoti quotidiani, può essere vista in modo più precario, ma spontaneo, nelle produzioni video fatte in casa ospitate su piattaforme aperte. Streaming. Mi riferisco alle immagini di fondo mobilitate in modo vagamente sonnambulo per intrattenere gli occhi che cercano l'audio di vecchi dischi (supporti sonori in una certa misura distanti dal mixaggio richiesto dall'occhio e che richiedono l'improvvisazione) digitalizzati manualmente e ospitato con discrezione e volontariamente.[Iii]. Se però il lettore è interessato a valutare questa suggestione di convergenza nella traduzione dei tempi, non fraintendetemi.

Il film di Eduardo Escorel, il cineasta più venduto della casa, è fatto di opzioni strategiche per nulla casuali. Al contrario, la selezione delle immagini ha uno scopo inquietante. Per darvi un’idea, se l’intero intervallo temporale va dai ricordi della memoria ai fatti di giornale, copre un periodo robusto che, in definitiva, fa sì che gli echi del XIX secolo si confrontino con le catastrofi del XXI secolo. Tuttavia, le scene che evitano tali spostamenti suggeriscono, per la maggior parte, i limiti spaziali in cui egli sperimentò l’intensificarsi delle restrizioni relative alla fase finale della sua vecchiaia.

In questa scia, lo spettatore è accompagnato dai lenti zigzag proustiani che invitano all'osservazione di piccoli spazi propri delle esperienze reali del critico. Luoghi che spaziano dai marciapiedi su cui faceva passeggiate sempre più brevi nei pressi del suo palazzo (o banca, barbiere, farmacia, ecc.) fuori casa, alla presentazione discreta di spazi privati ​​adatti alla riproduzione della giornata. (camere da letto, cucina, soggiorno, ecc.). Oltre alle complessità di questa dinamica tra qui e là, ovviamente, c'è la vera carne promessa dal film: i momenti in cui al pubblico vengono mostrati la grafia e i ritagli di giornale delle pagine ritagliate all'interno dei quaderni. Si tratta, quindi, di un intero campo visivo da intendersi come proposta di forma.

Alla luce di ciò, se suggerire al lettore qualche indizio in direzione di una caratterizzazione generale del film è invitante, forse l'osservazione dei limiti toccati dall'insieme delle prospettive presentate può risvegliare qualcosa di valore: dall'inizio alla fine , i brani mostrati suggeriscono l'esperienza di una vecchiaia estrema vissuta in modo recluso nel mezzo di un contesto storico vertiginoso. Una congiunzione agonica che non è sinonimo, per usare le parole del critico, di una sorta di testimonianza chiaroveggente. Al contrario, seguire le scene suggerisce che l'esame cosciente del dubbio, esercitato nell'incertezza, sarebbe la vera chiave per comprendere le valutazioni finali del premiato.

Si situano quasi pendolarmente, nei loro risultati, tra la malinconia delle revisioni del passato e lo stupore (sereno o furioso) di fronte all'incalcolabile del momento. Tutto ciò può essere verificato (senza dualismi) in modo intrecciato con le condizioni di possibilità sia del corpo del nostro osservatore letterario sia delle sue risorse di assimilazione degli eventi. Impasse della vecchiaia a cui ci riportano memento mori di un campione della tradizione critica brasiliana. Quindi, al posto della chiaroveggenza, qualche commovente sensazione di miopia cosciente, confusa con l'ostinazione nel brancolare in equilibrio in alto, al vertice della scala del secolo: sono queste le condizioni non confortevoli in cui il crollo della modernizzazione accoppiato con il secolo di Antonio Candido si delinea fino agli anni delle sue ultime testimonianze – il che non vuol dire che la sua lucidità fosse priva, in queste condizioni, di sagaci intuizioni. È come se lui, diciamo, cercasse chiarezza nella sua esperienza fuori fuoco.

3.

Tanto per capirne il senso, nel 2008, e qui ci riferiamo a un esempio esterno al film, Antonio Candido negò un invito alla pubblicazione proposto da una rivista accademica per studenti universitari. Nella lettera in cui comunica il suo rifiuto, sottolinea addirittura in tono confessionale il senso della sua presa di posizione nei confronti di quel lungo periodo della vita: «il tempo per parlare non è indefinito. C’è un limite e il buon senso impone di rispettarlo. Mi sento già limitato e per questo preferisco il silenzio, a meno che 'sorga una forza superiore'”.[Iv] Mozzafiato, il testamento è valido per un'intera generazione e conserva un po' di aria familiare con la tragica fase finale di Mário de Andrade de Elegia d'aprile (1941), effettivamente pubblicato per la prima volta sulla rivista ClimaE il movimento modernista (1942).

Chiara somiglianza in brani come: “Di fronte al mondo e al Brasile così come sono, sono perplesso e un po' sconcertato, il che porta insensibilmente al pessimismo. E io, che sono sempre stato ottimista come socialista militante, per il quale è presupposto la fede nel possibile miglioramento della società e dell’uomo, non vorrei esprimere ai più giovani il mio stato d’animo un po’ negativo, così come la confessione del mio delusioni. I giovani devono credere molto, così da poter pensare lucidamente e combattere con coraggio”.[V].

Così è. Il tempo storico non risparmia nessuno e, prima o poi, ci lascia la nostalgia di qualche speranza persa da giovani. A maggior ragione in circostanze drammatiche come le nostre, sguazzando in aspettative decrescenti. Fino ad allora, è meglio agire. Non a caso, nelle più recenti conferenze in cui ha preso come soggetto il premiato, Paulo Arantes ha fatto riferimento al ritratto del critico dipinto su tela da Arnaldo Pedroso d'Horta[Vi] negli anni Cinquanta, commentato nel testo da Ana Luisa Escorel, moglie del regista, decenni dopo. In esso, i lineamenti del premiato sono ritratti in toni vicini al giallo pallido e al grigio, con tratti del viso che rimandano ad occhiaie e barba incolta, in un ambiente in cui i colori freddi del maglione verde piscina sono allineati con la figura. , accanto a una cravatta rossa, e al malinconico sfondo blu.

Preso più o meno in questa chiave dai tre, il dipinto suggerisce un ritratto di significativo scoraggiamento. Dotata, diciamo, di un messaggio proprio, la cosa curiosa è che è stata esclusa dal film. Segnato da linee politiche e personali, indica l'inaridimento di qualcosa lungo i sentieri che attraversano il tempo. In un'intervista al Museu da Imagem e Som su Oswald de Andrade, alla domanda sul temperamento del chatboy, confessa il nostro osservatore letterario: “noi [del gruppo Clima] eravamo relativamente studiosi, ma a San Paolo davano di noi un'immagine completamente falsa. Eravamo, al contrario, un gruppo estremamente pazzo e divertente. Non puoi immaginare quanto fossi divertente quando ero giovane. Se ci penso oggi, non ci credo. Potrei far ridere dieci persone tutta la notte. Fino alla Rivoluzione del 1964, che mi tolse la gioia... Fino alla Rivoluzione del 1964, che mi tolse la gioia, ogni sera mettevo in scena uno spettacolo comico per le mie figlie. Le mie figlie dicevano: Papà, basta, non ne possiamo più. Ha fatto numeri comici. Esattamente il contrario di quanto detto a proposito del chatboy. Eravamo divertenti, irriverenti, straordinari[Vii]”. Una prospettiva centrale da tenere presente quando, nel tumulto dell'agonia della carne e del paese esposto dal film, il critico suggerisce contrappunti a questa dimensione. Sia quando, con una certa soddisfazione, mostra una propensione alla serenità e al buon umore, sia quando segnala le trasformazioni valoriali nelle condizioni di vita delle classi popolari apportate nel Paese attraverso movimenti politici ambivalenti.[Viii]

COSÌ. Addentrandosi opportunamente nei pochi estratti venuti alla luce dagli ultimi tre volumi di una serie di settantaquattro quaderni inediti, l'attenzione può soffermarsi brevemente su alcune specificità degne di nota. Come mostrato nel film, i volumi seguono la successione delle pagine numerate a mano dallo stesso Antonio Candido, oltre ad essere identificati tramite date. In essi due risorse espressive sembrano centrali: i commenti motivati ​​da pubblicazioni giornalistiche e frammenti di pensiero.

A differenza dei primi, una parte significativa dei secondi sono accompagnati da titoli precisi che rimandano, al limite, a suggestioni di inquadramento di genere: Verificazioni, ABC delle catastrofi, Pensée de jour, Sentimento, Léxico cassiense, Tipologia, Ó tempora, Omen, Memorável, Classe e coscienza di classe, Intermezzo, Le intermittenze del cuore, I vizi del sistema, Le cerveau auderci, L'io e il corpo, Schrecklich, Grave innovazione, Mobilità e immobilità, Analisi differenziale, Per le figlie, Ricordanze.[Ix] Sentimenti, ricordi e osservazioni di momenti chiave della vita quotidiana registrati in mezzo alle difficoltà.

In tutti i brani è possibile trovare temi ricorrenti che segnalano il gusto del critico per l'attenzione fluttuante, ma, in questo caso, vale la pena ricordare che la loro comparsa è subordinata alle finalità di montaggio della sceneggiatura del film: durante i suoi ottant'anni sette minuti consecutivi, sono ricorrenti commenti sulla condizione della vecchiaia e sulla vicinanza della morte, paragoni mutevoli tra corpo e mente, ricordi del sud del Minas Gerais, zelo per i piccoli eventi quotidiani, attenzione alla direzione del Partito dei Lavoratori , valutazioni sui fermenti e sulle sfide perdute tipiche del secolo scorso, detti sulle deviazioni nell'itinerario delle conoscenze, appunti sulle calamità del tempo presente, brevi e rari commenti sulla letteratura e commoventi riflessioni sulla vedovanza di fronte alla perdita di Gilda.

Riguardo quest'ultimo punto, qualcosa attira l'attenzione tale da suggerire, ipoteticamente, al lettore un senso forse da protagonista (almeno in quegli esempi sulla scena) dell'interlocuzione nei diari: nella maggior parte dei passaggi riguardanti il ​​suo compagno di vita, la persona indirizzi onorati direttamente alle figlie e alle identità familiari. “A volte sento la realtà di tua madre così intensamente che è come se fosse viva, rallegrandomi con la sua grazia e il suo fascino incomparabili. E penso, cosa ci faccio ancora qui?"

Tuttavia, pur mantenendo visibili le specificità dell'assemblaggio, i curiosi alla ricerca di un aggiornamento Quanto alle posizioni finali di Antonio Candido, forse i passaggi più interessanti stanno nelle considerazioni da lui fatte riguardo al posto sociale assegnato ai neri. In sostanza, per chi lo segue da vicino, non ci sarà nulla di nuovo. Ma le proporzioni di ciò che viene presentato, insieme al tempo, consentono di rimodellare gli alloggi.

Ci sono stati almeno due momenti notevoli in cui il film ha portato a questo tema. Tuttavia, per evitare confusioni, non sarebbe eccessiva una riserva riguardo alla tradizione critica nella quale il critico è inserito: le sue posizioni di seguito non vanno in alcun modo confuse, fuori luogo e sfumatura, con il gomitolo di lignaggi in trapianto accelerato culminato in una denuncia penale contro di lui per sequestro di persona del barocco.[X]

Il primo dei due momenti è nato da un commento ad una recensione di “Women in Ashes” (2015), primo volume della trilogia Le Sabbie Dell'Imperatore, di Mia Couto. L'evocazione di Ngungunhane, potente imperatore di Gaza, ha portato il critico a ricordare storie legate al personaggio raccontate direttamente dal suo giardiniere, un soldato originario di quella regione fuggito in Brasile. Il soldato-giardiniere e sua moglie, anche lei cuoca della famiglia del critico, erano analfabeti e chiesero all'ancor giovane osservatore letterario di leggere loro Poços de Caldas Amore di perdizione (1862) di Camilo Castelo Branco.

L’episodio, un drammatico incontro di proporzioni storiche tra la letteratura portoghese, la situazione brasiliana e il combattente mozambicano, permette a chi ha buona memoria di intravedere non solo gli echi del celebre saggio-conferenza “Direito à letteratura” (1988), ma anche il ambiguità inerenti al trapianto di luci e persone rispetto alle specificità del tema formativo che richiedono una coordinazione motoria fine per garantire, ad esempio, che i bambini non vengano buttati via con l'acqua sporca in mezzo a tante sovrapposizioni che richiedono certi clic di astuzia.

Per completare il ricordo, ed è qui che in realtà il commento si conclude, la scena porta il festeggiato a citare un ramo familiare di bisnonni che si arricchirono grazie alla tratta degli schiavi, anche se la fortuna così ottenuta non prosperò lungo tutta la genealogia. . Un'occasione che gli ha fatto mostrare con coraggio quella sinistra rete di interessi che lo compenetra dal di dentro. Non da, diciamo, un’autoimmolazione catartica, ma piuttosto da un senso di testimonianza molto peculiare focalizzato quasi empiricamente sul lungo termine.

Se il lettore avrà la pazienza di avvicinarsi ad un secondo momento legato a questo argomento, sarà opportuno citare un passaggio relativo al brano intitolato “Classe e coscienza di classe”. In esso il critico riflette sulle trappole trascendenti legate alle pretese di apprensione formale dell'omonimo problema e che, diciamo, misura tutti fino al collo. Anche se mossi da buona fede (e il commento scritto dal critico lascia intendere quanto possa ingannare), cioè sia dai desideri della scienza riguardo ai luoghi del mondo, sia dai risultati di un intervento impulsivo. “Ci vuole molta esperienza, non solo letture e teorie, per sentire e comprendere quanto siamo condizionati dalla classe sociale a cui apparteniamo”.

La modesta difesa del buon senso profilattico contro i condotti sotterranei che ungono involontariamente idee e ideologie si dipana, in un momento successivo, in una curiosa riflessione, alla quale ha preso parte come testimonianza storica, sul carattere dell'opposizione democratica degli intellettuali contro la Stato Novo. Prese da questa prospettiva, le intenzioni da loro dichiarate in nome del popolo, dotate di una presunta illuminismo superiorità, servirebbe in definitiva a difendere gli interessi disinteressati della classe.

La dolorosa rassegna, che parte dalla Facoltà di Giurisprudenza di Largo São Francisco, passa per la Sinistra Democratica fino a raggiungere l'ampio fronte del Primo Congresso Brasiliano degli Scrittori (Partito Comunista compreso), si conclude con la conclusione di un tragico disaccordo: “ non siamo mai arrivati ​​a valutare correttamente che, in Brasile, il bersaglio della lotta sociale sono soprattutto i neri, che ancora oggi ne sono esclusi”. Investendo forze nell’attuale questione della non integrazione dei neri nella società classista, questo Antonio Candido alle prese con l’orizzonte perduto dell’istruzione dà l’impressione di aver trovato troppo tardi la vera chiave per un socialismo adeguato alla vita di campagna. “In questo senso la verità è che abbiamo fallito. Non sapevamo come vedere quello che stavamo guardando e questo era il problema fondamentale per una politica con una tendenza egualitaria”.

Un problema che, per lui, Cuba avrebbe risolto una volta per tutte, nonostante i suoi inconvenienti. Una condizione che ci ricorda alcuni versi del compianto poeta, un po' invecchiato per il modo in cui affrontava questi e altri problemi, quando dice che la vita è l'arte dell'incontro, anche se nella vita ci sono tanti disaccordi. Rifrazioni.

4.

Infine, oltre ai meriti del documentario, che meritano di essere elogiati, vale la pena ricordare che le prospettive ultime dell'osservatore letterario fanno venire l'acquolina in bocca. Sete che, sì o no, può essere soddisfatta attraverso l'accesso al contenuto dei quaderni. È lì che vive l'angu del nodulo. Qualcosa che accadrà, se mai, solo quando e se le note diventeranno in qualche modo pubbliche. Forse questo è il prossimo passo coraggioso da compiere per trasmettere tutto quel materiale che ci è stato generosamente mostrato nel film.

Nonostante la notevole disponibilità della famiglia Mello e Souza di aver reso disponibili nelle biblioteche di tutto il Brasile volumi significativi del fondo con libri e documenti personali di Gilda e Antonio Candido (e la parte del fondo riguardante l'IEB presso l'USP è trasparente a indicare di mettere in pubblica consultazione anche documenti relativi alle finanze personali della coppia), la goccia che il film ha fatto traboccare il vaso attorno a quei monumenti di portata più che proustiana incollati allo scorrere degli anni come un vero e proprio romanzo periferico trasformato in diario (è infatti vale la pena ricordare che Proust e Goethe furono gli autori del film preferito del premiato) conservano nei loro misteri di chissà quante pagine non solo annotazioni di carattere intimo (dati, peraltro, ben elaborati dal film e su cui si potrebbe anche ben lavorare) in edizioni per la pubblicazione), ma testimonianze preziose per comprendere i secoli XIX, XX e XXI nel mondo dal Brasile dal punto di vista di uno dei nostri più grandi maestri.

Se è vero, seguendo Homero Santiago nella sua memoria, che un professore della statura di Paulo Arantes insegnava in classe che Antonio Candido e Roberto Schwarz possono essere considerati “pensatori più inventivi di un Habermas o di un Derrida”,[Xi] Correre il rischio di limitare l’accesso di tali reliquie alle critiche roditrici dei topi potrebbe essere, con perdono sia per la blague che per l’anacronismo, un crimine contro la tradizione critica brasiliana. Voglio dire, c'è qualche volume sul 1945? 1951? 1964? E il 1968? 1970? 1988? 2013? Cosa dicono? Domande per i prossimi capitoli.

*Lucas Paolillo è dottorando in Scienze Sociali presso UNESP-Araraquara.

Riferimento


Antonio Candido – note finali
Brasile, 2024, documentario, 83 minuti.
Regia: Eduardo Escorel.

note:


[I] Vedi la recensione di Luiz Zanin su https://www.estadao.com.br/cultura/luiz-zanin/etv-2024-2-em-antonio-candido-anotacoes-finais-a-vida-reduzida-a-palavras

[Ii] Ad eccezione dell'epilogo tratto da un'intervista all'Università Federale di Pernambuco nel 1995, in tutto il film vediamo solo un'immagine in movimento di Antonio Candido. Questa è una breve ripresa di mentre si cammina accanto a un cassonetto. Inoltre, il critico sembra essere rappresentato solo da fotografie. Ritengo che questo dia qualcosa su cui riflettere sulle modalità di registrazione nel tempo.

[Iii] Si noti, ad esempio, il rapporto tra immagine e suono nel seguente video, che, infatti, è presente nelle annotazioni e costituisce la colonna sonora del film: https://youtu.be/XKGuarq8OII?si=7mTcWlch6x-6HRV7

[Iv] Vedi “Lettera di Antonio Candido” (2019) nel nono volume della rivista Umanità in dialogo: https://www.revistas.usp.br/humanidades/article/view/154259

[V] Id., ibidem.

[Vi] Vedi la conferenza di chiusura tenuta dal professor Paulo Arantes a https://www.youtube.com/live/xlwl4J47EVU?si=TSt05sMyQp5suPV6

[Vii] Estratto da un'intervista di Antonio Candido sull'influenza di Oswald de Andrade sul movimento modernista registrata per il Museo dell'immagine e del suono il 11.04.1990/274/1163 con l'équipe tecnica composta da Sônia Maria de Freitas, Marco Antônio Felix, Daisy Perelmutter, Adilson Ruize e Maria Augusta Fonseca Abramo (numero di registrazione: 274; A.1163AXNUMX; A.XNUMXA).

[Viii] Per esplorare in modo più equilibrato questo tema di carattere politico misto a scherzi di parte, tema sensibile al montaggio del film e alla sua ricezione, non c'è niente di meglio che leggere il saggio “Teresina e le sue amiche” pubblicato su Teresadentro ecc. (1980). O i commenti sul socialismo povero in “Provvidenze di un critico letterario alla periferia del capitalismo” di Paulo Arantes, pubblicato in Significato della formazione: tre studi su Antonio Candido, Gilda de Mello e Souza e Lúcio Costa (1997), libro scritto in collaborazione con Otília Beatriz Fiori Arantes.

[Ix] Questi erano i titoli che gli occhi dell'autore hanno potuto catturare a caldo con un taccuino nel buio della sala durante la seconda sessione di presentazione alla Cinemateca. Idem i tentativi di trascrizione che seguiranno. Nessuno di essi, ovviamente, può vantare una pretesa assoluta di accuratezza. Inoltre è bene ricordare che l'uso delle virgolette senza indicazione nelle note d'ora in poi farà sempre riferimento al film.

[X] Per una corretta lettura dei commenti che seguono, sarebbe interessante che il lettore tenesse presente l’ambito delle problematiche presenti in Il sentimento della dialettica nell'esperienza intellettuale brasiliana: dialettica e dualità secondo Antonio Candido e Roberto Schwarz (1992) o “Ideologia francese, opinione brasiliana: uno schema”, raccolti nel volume Formazione e decostruzione: visita al museo dell'ideologia francese (2021), di Paulo Arantes o in “Nacional por subtação” di Roberto Schwarz, saggio raccolto in Che ore sono? (1987).

[Xi] vista: Memorial (presentato per il concorso di insegnamento della disciplina Storia della Filosofia Moderna I presso il Dipartimento di Filosofia dell'Università di San Paolo) (2004) di Homero Santiago, citazione tratta dalla pagina numero ventidue.


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