da VINÍCIUS MADUREIRA MAIA*
Commenti agli oltre settanta quaderni realizzati da Antonio Candido
“Se la morte arriva di notte mi troverà irritato e inquieto, ma non impreparato”.
Amos Oz (1996)
«Allora non lo farò più
Ritrovarmi nella vita come in una strana veste
Stordito sulla Terra
E per amore dell'unica donna
E la spudoratezza degli uomini
Come oggi mentre compongo dopo tre giorni di pioggia
Ascolto il canto della curruíra e la fine della rovina
E prostrarmi ai piedi di non so cosa”.
WS Merwin (1993)[I]
Lo storico Peter Gay ci racconta di un tempo non così remoto in cui emergeva un generale e sentito bisogno di aprirsi a un confidente, anche se limitato a un compagno fittizio o artefatto sotto le spoglie di un solenne ascoltatore; un periodo in cui anche i bambini meno irrequieti venivano incoraggiati a tenere dei diari – per facilitare il controllo e, spesso, la censura delle loro confessioni da parte degli adulti, soprattutto dei parenti. Un tempo e una consuetudine di cui ancora in gran parte ci priviamo.
Quando se ne andò, Antonio Candido de Mello e Souza (1918-2017), leader della critica letteraria del Paese, oltre a una vasta bibliografia ampiamente letta e celebrata, lasciò inediti più di settanta quaderni di appunti fatti a mano, abitudine coltivato fedelmente fin dall'adolescenza su consiglio della madre, Dona Clarice, “donna geniale e grande lettrice”. Il numero dei quaderni scritti nel corso della sua vita è indeterminato, poiché confessa di averne distrutti molti altri dopo “sfoghi negativisti”. Il documentario Antonio Candido, note finali (2024), diretto da Eduardo Escorel, ruota attorno agli ultimi due volumi, scritti tra la fine del 2015 e la metà del 2017, anno della sua scomparsa.
Sul nastro sono annotate le fotografie incastonate nella profusione di riferimenti di ogni striscia di memoria. Escorel inaugura un nuovo aspetto nella sua linea di produzione e si occupa di immagini d'archivio e filmati attuali, che risalgono alla fine degli anni '1960, e al crescente apprezzamento per le figure contemporanee: quello delle immagini non più interpretate simultaneamente, come , data la natura del materiale documentato, i quaderni diventano epigrafi e glosse alle figurazioni. Le immagini sono precedute dagli appunti di Antonio Candido, che costituiscono un commento. La precedenza è quella del mondo tascabile, concreto, anche se proviene da un punto vendita.
Forse allora non suonerà strano considerare entrambi i taccuini, nonostante non siano stati riprodotti integralmente, come i personaggi principali del film, la cui trama si sviluppa in modo un po' lineare ad ogni nuova voce, pagina dopo pagina, accompagnata dalla narrazione dell'attore Matheus Nachtergaele. . La sua è la voce spettrale dell'autore defunto a cui è stato affidato il compito di raccontare qualcosa della propria vita a partire dai suoi ultimi dischi: “Nelle prime ore del 12 maggio, otto mesi prima di quel pomeriggio piovoso a San Paolo, sono morto. Quando morii, lasciai i miei quaderni nell’armadio nel corridoio dell’appartamento dove avevo vissuto per ventuno anni”.
Escorel riconosce parzialmente il debito nei confronti dello stabilimento Brás Cubas. Un espediente tutt'altro che nuovo nel panorama della nostra letteratura, ma, allo stesso tempo, una graziosa affermazione messa in bocca a qualcuno che in vita era stato un ateo tremendamente convinto e, tuttavia, sembrava divertirsi a immaginarsi oltre la tomba. , riflettendo dalla barca sul necrologio stesso in una di quelle occasioni.[Ii]
Ci sono momenti di massima obrietà, dall'inizio alla fine. Sia che si tratti di considerare quanto la classe sociale fosse radicata nelle sue posizioni e in quelle dei suoi correligionari nel 1937, quanto elitarismo ci fosse nella confusione ideologica tra il suo desiderio di democrazia durante la dittatura di Vargas e i suoi “interessi di classe disinteressati”, quanto della buona fede che questi giovani vedevano in se stessi non fosse una sorta di ottusità. Che si tratti della tua ammessa cecità da lince di fronte alle lotte dei neri e del tuo dramma fondamentale come il più grande escluso tra noi. Se si tratti di situare il Nordest come istanza di prospettive di riapertura; tanto che, fino a quando non conobbe la regione dopo i quarant'anni, pensò di non avere altro che una visione della vita elementare, liceale, ancora permeata di ingenuità e preconcetti difficilmente dissolvebili. Che sia stata la sua acquiescenza al fatto che il partito politico che ha contribuito a fondare abbia dato origine ad alcuni degli abusi di cui soffriva.
E così via, spogliandosi. Rifiutare le mascherate simboliche. Come il senescente re bretone, anche lui padre di tre figlie, che indubbiamente amava.
— Vorrei spendere una parola sull’ambivalenza delle note come consumazione e dissolvenza di un metodo critico di ricordo affettivo che un Antonio Candido nuova maniera cominciò a preferirlo e al che non pochi aggrottarono la fronte. Dell’annessione progressiva di un dominio spirituale non assediato dalla ragione pura, per renderne inespugnabile il “campo” e la generazione, salvo l’una o l’altra censura più o meno temperata. Uno sforzo parasociologico per eccellenza. E' per dopo.
A rischio di un'altra recensione scalibrata, il lettore abituato ai celebri scritti di Antonio Candido potrebbe non vedere in questi quaderni un'equivalenza (ingiustamente) attesa di maestria artigianale e profondità analitica, chiarezza di linea e buon timbro, che colpisce nei testi dei professionisti, quelli davvero. Queste note sono state pensate intimamente pro casa, a una cerchia teoricamente non più ampia di quattro persone: l'autore stesso e le sue tre figlie, alle quali talvolta fa apertamente riferimento e alle quali ha concesso il potere postumo di decidere sulla sua eventuale portata. Pertanto, non hanno la capacità di essere ciò che sono per noi, nella loro potenza teorica, ad esempio Quaderni del carcere – quelli in cui viene interrogato anche un parente – o quelli Diari di Goncourt, come ritratto d'epoca. Le note certamente non avevano ambizioni simili. Sono interessati perché sono suoi. Per aver favorito la fortuna di un tardivo ricongiungimento, anche se virtuale e uno dopo l'altro. Per pagine che si prestano meno all'istruzione intellettuale che al restauro emotivo.
Né impressiona il fine e ampio reliquiario di temi ivi raccolti, che vanno dai felici scorci dell'infanzia a Poços de Caldas alla vedovanza amareggiata per la prematura partenza dell'amata moglie; dalle robuste macchine da scrivere, donate da illustri amici in autoesilio, al pianoforte ben suonato da parenti imparentati o disaggregati; dalla consapevolezza della crescente fragilità organica all'indifferenza verso la morte che si avvicina di pari passo; dallo stupore per i primi atti arbitrari commessi dall'odioso pazzo di Curitiba contro Lula in pieno giorno a quella notte sinistra del complotto del deputato per defenestrare la prima donna eletta alla presidenza di questa “patria dispatriata”; dall’orgoglio di appartenere per un breve periodo a un movimento politico che aveva strappato milioni alla disperazione alla constatazione sgomenta del rumoroso ritorno delle disuguaglianze sociali.
Neppure i blagues e le boutades, né la cornucopia delle espressioni provenienti dall'esterno, che si dipanano in francese, tedesco, italiano, latino e perfino greco — affluenti del suo ammesso spostamento nel tempo in mandarino: a una zia e a un professore francese (Jean Maugüé ) sembrava sempre fissato nel 19° secolo. XIX; a suo modo, aveva anche un tocco di antiquato, qualcosa di vecchio. Sapeva anche che alcuni lo consideravano vanitoso, “straniero”. E che alcuni nascono postumi.
[C'è una doppia stranezza qui. Antonio Candido incarna un tempo che da tempo sta andando in pezzi, ammesso che esista ancora. Quello di un certo ascetismo imposto dallo studio serio. Di bruciarti le ciglia. Di lunga durata. Di pedagogia autoapplicata. Auto-coltivazione. Di una dedizione corporea e di una disciplina mentale che, in senso lato, non riguardano più noi, specialisti o antiintellettuali. A sua volta Antonio Candido è già tecnicamente morto, insensibile alla brutalità dei fatti, alla quale i brasiliani in generale sono abituati con tutta la loro flemma. Questo disagio emerge in diverse sfaccettature: ad esempio, nella mancanza di tempo in cui i criminali avevano il proprio codice d’onore e la maggior parte era orgogliosa di non portare armi. I tempi d'oro di Fantômas, Arsène Lupin. Oggi, con suo orrore, ogni ladro di polli è un potenziale assassino. La volgarità diffusa dell’omicidio gli ricorda il verso banale ascoltato per caso in Messico: “uccidi, che Dio perdoni / uccidi, che Dio perdoni”. Poi sospira: La stagione…E non senza motivo. I pronipoti erediteranno questo (terribile) mondo.
Un altro pregiudizio che oggi appare anomalo in Antonio Candido si rifrange nella sua formidabile capacità di trasmettere emozioni o esperienze influenzate da molte letture: se, quando risale il versante di Pamplona, gli vengono meno le gambe, è La Fontaine a spingerlo; se le aberrazioni della politica lo infastidiscono, è il Faust di Gounod a dargli il testo (et Satana conduce il ballo); se hai la sensazione di avere le valigie pronte, Eneida ti incoraggia (vieni ad acquisire eundo); e se vuole finalmente arrendersi, prende in prestito il gemito della sibilla in gabbia (άποθανεîν θέλω). Questo ricco corredo, un tempo comune a certi ambienti e poi spontaneamente percepito e catturato, è oggi sconcertante quanto l’obsolescenza dell’idea di formazione. Ma c'è chi può e vuole vederlo, con derisione, come il polveroso magazzino del gabinetto segreto di Parnasse, lo indovina lui stesso. Personalmente, e non è un’immagine docile, quest’ultimo Antonio Candido, naturalmente assorbito dal mondo delle idee, evoca un po’ il delirante Balzac che, in punto di morte, (dicono) si lamentava: “Solo Bianchon poteva salvarmi…”. Horace Bianchon era un medico a Commedia umana.]
È sorprendente vedere nei suoi quaderni che l'età avanzata non ha distrutto la capacità di pensiero organizzato e di esposizione riflessa di una delle menti più luminose del secolo. XX. Neppure da ostacolare la sua impeccabile calligrafia con la biro, che, infatti, non necessita di doppiaggio. Aumentano la chiarezza e l'equilibrio. E anche il solito pudore fa comunque gli onori di casa. Proprio lì dove la nudità artistica lo eccita: l'insolita musa Maria Flor. L'odore fugace del sesso delle ragazze, da quella canzone. Niente finalmente “si è allentato lì dentro”. Il resto del corpo svanì, l'organo più splendente rimase in ritardo. Come un evanescente gatto Chesire.
A quel punto, per ovvi motivi, si era ritirato da tempo dalla vita pubblica un quasi centenario Antonio Candido, che nel film viene solo sfiorato. Non che ciò si limiti alla sfera privata: lo spettatore non rimarrà sorpreso dalla dinamica dell'anziano signore recluso nelle sue stanze. Entrambe le dimensioni vengono soppresse, in considerazione dell'opzione narrativa di seguire rigorosamente le note, nonostante i salti (il documentario ammetteva solo due brevi monologhi di fantasia che inseriscono tutto il resto). Roberto Schwarz attirerà l'attenzione su un'assenza molto più notevole nel film: l'università,[Iii] a cui il vecchio professore deve forse tutta la sua importanza: uno degli edifici della FFLCH oggi porta il suo nome. L'argomentazione corrisponde perfettamente al fatto che la professione, componente vitale che il più delle volte interseca ambito pubblico e privato, soprattutto nel caso dell'insegnante, non compare affatto nel documentario.
Rimasto vedovo da più di un decennio, le sue figlie sono tutte cresciute ed emancipate (anche anziane), con chi ha vissuto? Veniamo informati di un frammento di vita là fuori: che trovava scomodo rispondere alle chiamate, poiché l'intervallo tra le cattive notizie, ormai quotidiane, si accorciava... che qualcuno gli veniva a trovare per caso. Ma non aveva nemmeno un cuoco al suo servizio? Hai lasciato commenti sugli operatori sanitari? Chi ha pagato le spese? Contempliamo le ombre di un vecchio eroe senza cameriere. Armi deposte.
L'utilizzo dell'autore defunto ben si sposa con la riduzione di Antonio Candido a pura voce desostanzializzata, che echeggia un po' impassibile tra le stanze dell'appartamento in cui aveva vissuto per molti anni, tra i momenti e le persone lontane su cui aleggiano i suoi ricordi. , stimolato da novità e desideri realizzati.
Ed è solo come uno spettro che lo cogliamo in lontananza, più tardi, qualche volta, due volte, tortuosamente, mentre si trascina lungo i marciapiedi di Jardins, attraversa gli incroci a ritmo di impulso — da solo. Anche quando scende nel cemento delle strade, Antonio Candido assume la forma di a spiritus clausus, più o meno nei termini di Elia, come un non essere individuale fondamentalmente indipendente, una monade senza aperture, nel cui isolamento il mondo intero, comprese tutte le altre persone, rappresenta il mondo esterno, dal quale il suo mondo interno è per natura dissociato.
Inoltre, un tipico ritratto della solitudine del morente.
Ed è proprio questa tradizionale alienazione con la quale i decrepiti vengono socialmente discriminati, che giustifica artisticamente la scelta, alquanto prevedibile, di un attore “giovane” di imitare con grande abilità il discorso del defunto professore, a parte impensabili attori di provata, licenziati in massa. . nelle ultime ondate, bandito dallo sguardo un tempo familiare del pubblico. Un Ary Fontoura, un Francisco Cuoco, un Lima Duarte, un Mauro Mendonça, un Othon Bastos o un Tony Tornado, per trattenere solo i novantenni.[Iv] Emarginati. La maggior parte sono ancora attivi. Drenato. [se si permette un commento in stile Adorno, il film è coerente nei suoi punti più discutibili]
La narrazione assume anche una funzione di compensazione, di radicamento della pura assenza fisica. Ma questa preoccupazione drammaturgica di emulare un certo registro di raffinatezza, caratteristico o attribuibile ad Antonio Candido, nasconde sottili differenze tra la parola e la scrittura. Un criterio di rappresentanza, per così dire, non bressoniano, perché meno incline alla disaffezione, a una flatus vocis. E non si adatta bene al messa in scena di un personaggio con le mani e la voce già rauca, tremante, scoordinato, fatalmente lucido, proprio per questo, a disintegrarsi da caricatura di sé stesso; con la manifestazione cosciente di chi è caduto in se stesso, spogliato.
Chiuso in se stesso, non gli resta molto. Partecipa e aspetta - è così. Ricordare. Pensare alla morte, sia quella di qualcun altro o quella futura. E, forse, rallegrarci del resto, a mo' di preambolo. “Pensare ai morti è prepararsi alla propria morte”, si chiedeva Amos Oz. “Perché i morti esistono solo nella memoria, nel mio ricordo, nella mia destrezza nel ricostruire un momento passato, quasi una riconquista proustiana di gesti precisi, che sarebbero potuti essere trascorsi cinquant’anni fa”. Antonio Candido, nei momenti decisivi, trova soddisfazione nel trascorrere ore e ore a ricostruire figure care ed episodi vissuti, condividendo con Oz il desiderio di mantenere in vita i morti il più a lungo possibile nelle loro menti e nei loro cuori incruenti: “una stanza con sei persone, e io sono l'unico ancora vivo. Chi era seduto dove? Chi ha detto cosa?"[V]
Mentre viene cantato, il vecchio lascia dietro di sé la vita e la morte.
L'intensità del film è, quindi, dovuta a un risultato secondario: non a una certa rivelazione dell'inesorabile e ovvia finitezza dell'esistenza. Ma la vecchiaia è un tetro deserto popolato di morti. Anche quello di un venerabile. Una prigione. Uno pathos sofferto in silenzio e in disparte. Di cui gli altri possono testimoniare solo indirettamente, attraverso un dispositivo. Imprevedibile. Morire, verbo intransitivo.
Ecco perché la gratitudine di Schwarz per “un'ora e mezza in compagnia di un uomo straordinario” suona un po' inappropriata.[Vi] Si è già notato, infatti, che in un altro film di Escorel “non c'è mai stata l'introduzione della persona umana con un'esistenza individuale, nella sua singolarità”.[Vii]
Non è un caso che la morte – possibilità dell’impossibilità di essere – sia la cosa più vicina a a leitmotiv, un tema ricorrente che accomuna gli altri, a seconda dell'umore e del ruolo della giornata. Appare anche nella cronaca politica, nella frustrazione per una dolorosa omissione di fronte alla sfacciataggine dei “criminali” e alla loro decantata delinquenza, nella codardia che fa vergognare il lavoratore a giornata per non essersi dato fuoco ai vestiti e essersi gettato come una fiaccola “contro questi uomini di nulla / in questa terra di nessuno” — immagine tratta dalla ballata della mangue, di Vinícius: l’immolazione come possibile soluzione. Poi si calma, realizzando la sua fantasia: è da molto tempo inattivo in materia di politica... le tracce della sua precedente militanza lo perseguitano come qualcosa di vite passate, di un altro mondo che non è più accessibile. E poi si consola facendo il punto sul fatto che in tutto questo avrebbe già pagato la sua parte…
La presenza della morte sembra tirannica e rivaleggia con quella di un'altra figura femminile di intensa evocazione: Dona Gilda de Mello e Souza. L’“irrimediabile senso di privazione” lo colpisce duramente. Dopo la sua morte, avvenuta nel 2005, cominciò a trascrivere sul retro di ogni quaderno la suggestiva prima strofa di una poesia di Novalis (Was wär' ich ohne dich gewesen?). Avere vissuto al suo fianco per più di sessant'anni costituisce, a parere del lutto, un dono immeritato. E la naturale tendenza all'isolamento trova il suo limite nel contatto con le figlie, che sono la continuazione della madre. Essere sopravvissuta le sembra una disgrazia: da quando è morta, non ha conosciuto gioie più grandi. E c'è questo rammarico di aver superato il limite della vita, che la “toporagna ombra” si sia dimenticata di prenderlo...
Non che io voglia la morte. Non gli dà nemmeno fastidio. Sei disilluso; prevale una “enorme indifferenza”. Ha solo paura che ciò gli accada lentamente, dolorosamente, con vendetta. Come sfortunatamente per il tuo. Per ciascuno, l'inevitabile.
Ed è un caso che il regista veda la realizzazione del film come una sorta di terapia di fronte allo shock e all'introspezione vissuti a seguito dei taccuini?[Viii] Antonio Candido, note finali emerge davvero come una fenomenologia dello Spirito di morte, della sua improvvisa apparizione alla coscienza comune. Ora discerni se la ferita narcisistica causata dal tuo oggetto ricordo che guarisca o meno nell'empatia è quello che sono. Se fornisce un'identificazione desiderata con il morente, un affetto. Se l'autocoscienza generata riguardo alla nostra stessa morte viene liberata dall'orgoglio pereat mundus. O se fosse solo un lampo improvviso. Tanto solipsistico quanto effimero.
È ragionevole dubitare, però, che gli ultimi anni di qualcuno della statura di Antonio Candido trascorsero secondo il suggerimento straziante delle macchine fotografiche di Escorel, che si dice ispirato da questa sensazione di spopolamento accelerato del mondo, che trabocca dai taccuini in modo a volte angosciato, comprensibilmente. Come rassegnato alla punizione di riempire il detto-di-chi. E tutto il resto è successo tra nuvole bianche. Ma, a giudicare dalle testimonianze degli amici autisti (non incluse nel nastro), le delegazioni scortate da convogli di scout spesso disturbavano la tranquillità dell'isolato proprio perché un presidente in persona potesse augurargli buon compleanno. La proverbiale timidezza non era sufficiente a superare l’ubiquità delle molestie. L'attrattiva di un profilo discreto non passa inosservata. Nemmeno lontanamente un bersaglio di una torre di ametista.
Il film paga il prezzo di una certa (lodevole) cautela di fronte ai rischi di mettere in scena una soggettività idealizzata, di una certa sottomissione ai dettami di una nota di Antonio Candido, secondo cui la riduzione della vita a parole sarebbe una una cosa potenzialmente buona, una sorta di sopravvivenza. Almeno sotto questo aspetto Antonio Candido, note finali non passa attraverso il vaglio di un'etica registica o, almeno, di un imperativo a metà tra l'ipotetico e il categorico, formulato da un altro collega documentarista, per il quale il cinema realistico deve cercare di rivelare il reale invisibile senza violarne la visibilità.[Ix]
Infine, la questione relativa ad un motto alternativo secondo il quale i taccuini stessi sarebbero un po’ meno privilegiati nella loro rappresentazione rispetto al loro stesso autore dovrebbe passare con disagio attraverso l’indagine sia dell’orientamento e degli estratti con cui ha deciso la direzione, sia da il setaccio di editing, che si occupa di tre ore di registrazioni. Ma l'una o l'altra condiscendenza di un laico o di qualcuno che non si è sporcato le mani non può impedire l'investimento di certe aspettative rispetto all'opera, né il rimbalzo di una certa frustrazione verso il suo completamento.
Come risultato, Antonio Candido, note finali guarda ciò che ha visto e colpisce ciò che non ha visto: l'insondabile appartamento che l'obsolescenza lo costringe a sperimentare. È un lavoro ben composto e ammirevole, che fotografa scorci di Prometeo incatenato. Nessuno dei tuoi prende Tuttavia, supera quelle di un film quasi dieci volte più breve, anche se meglio realizzato in termini di questo sforzo di riavvicinamento visivo con un'assenza tangibile. Tra la serie di testimonianze e interviste di Occupazione di Antonio Candido, realizzato da Itaú Cultural nel 2018 con il sostegno dei colleghi e dei familiari del celebre centenario, spicca come il più toccante tra tutti, nella sua abbondante naturalezza, la storia del suo amico Moacir Teixeira, un tassista con il quale il “professore ” sempre in giro.[X] Un certo momento nel video, che apostrofa a vanità inaspettatamente Amletico è capace di toccare anche la creatura più senz'anima. E, oltre a ciò, un istante del vero più vicino.
PS: La notte del 27/09/2024, schiacciate tra i duecento in fila al 5° piano dell'IMS Paulista, persone che non hanno avuto la fortuna di partecipare alla sessione Antonio Candido, note finali commentato dallo stesso direttore, accompagnato da Lina Chamie, Rachel Valença e Roberto Schwarz, ho potuto almeno ascoltare il seguente dialogo tra due insegnanti (mi astengo da chi), che erano già venuti dall'estremità dell'ala di un forte scontro accademico intorno a Glauber Rocha:
— Hai già visto il film?
- Non ancora. Ma da quello che mi è stato detto, ho le mie obiezioni. Ho delle obiezioni, ok?
- Quale?
—Oh, non lo so. Questo Antonio Candido lì... questo mucchio di citazioni esterne... Il genero di Escorel non mi piace per niente. Antonio Candido non era poi così snob.
—Ma aveva anche quel lato.
- O si? Aveva?!
- Poi…
La fruizione del cinema non si limita all'ambiente della sua riproduzione. Personalmente non credo che sia trapelata in alcun modo la metafisica di un genero (forse è più appropriata la percezione di quella tua zia e professoressa francese) - qualunque cosa voglia dire esattamente, come se si trattasse di un'apparente rappresentazione parziale del suocero, tradotta nella forma di una possibile vendetta per le volte in cui si è trovato messo con le spalle al muro, interrogato su migliori intenzioni, anelli di promessa, ecc. Quello che viene prima ed eminentemente: quell'atmosfera di ordinario isolamento a cui sono ridotti i vecchi, soli con le reminiscenze dei giorni perduti e conquistati, giorni “cresciuti come figlie e non più adatti al porto” delle loro braccia stanche.
*Vinícius Madureira Maia è un dottorando in sociologia presso l'USP.
Riferimento
Antonio Candido – note finali
Brasile, 2024, documentario, 83 minuti.
Regia: Eduardo Escorel.
note:
[Iv] Ecco l’avvertimento che siamo lontani dal grido identitario secondo cui certi ruoli devono essere rigorosamente conferiti a coloro che hanno le corrispondenti credenziali esistenziali. Come al solito, il buco è più basso.
[Vii] HABERT, Angeluccia Bernardes. “J.: la scelta dell'opacità e delle condizioni restrittive”. ALCEU, v. 10, n. 19 luglio/dicembre 2009, pag. 49.
[Viii] in questo collegamento.
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