da RICARDO EVANDRO S. MARTINS*
Considerazioni sulla questione biopolitica della morte assistita
Una morte dignitosa
Lo stoicismo ha ricevuto molta attenzione recentemente. Per qualche ragione, la filosofia la cui etica implica un atteggiamento apatico e atarattico nei confronti delle difficoltà della vita ha avuto successo. Oserei ipotizzare che, forse, ci sia qualche coincidenza tra il mondo antico e il nostro tempo attuale per spiegare il risorgere dell'interesse per l'etica stoica, anche con la grande differenza che l'antica "filosofia della stoa" si sta consumando in un modo volgare e con tono di auto-aiuto istruire, tipico del tardo capitalismo.
Forse c’è qualche ripetizione tra il contesto delle attuali forme di vita, rese senza speranza dalle potenze imperiali contemporanee, e il contesto politico delle forme di vita sotto l’ascesa dell’Impero di Filippo di Macedonia e poi sotto il tempo dell’Impero Romano. In questo momento in cui è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo,[I] quando la fine della storia è già stata annunciata[Ii] e la vittoria del neoliberismo, il arcano imperii la vita contemporanea sembra portare, ancora una volta, a pensare a un modo di vivere, a una filosofia di vita attenta alla brevità della vita, alla sua precarietà, insomma alla morte che ci attende, e che è attesa ovunque.[Iii]
Il mondo contemporaneo sembra, allora, cercare di comprendere la massima stoica del filosofo e giurista romano Marco Tullio Cicerone, quando affermava che filosofare è imparare a morire e quando vedeva almeno quattro ragioni per trovare detestabile la vecchiaia: (i ) ritiro dalla vita attiva; (ii) l'indebolimento del corpo; (iii) privazione dei migliori piaceri; e (iv) perché la vecchiaia ci avvicinerebbe alla morte.[Iv]
Ma è di un altro Cicerone, di un'altra vita e di un'altra morte che parlo qui in questo testo. Poeta, saggista e filosofo brasiliano, nato in una famiglia privilegiata, studiò greci e latini, divenne un immortale dell'Accademia brasiliana di lettere e, inoltre, fu un grande paroliere musicale pop Brasiliano: Antônio Cícero Correia Lima. Fratello della cantante brasiliana Marina Lima, è stato compositore di successi come il malinconico – ma, in realtà, romantico – Inverno (1994), brano reso celebre dalla voce di Adriana Calcanhotto.
Il 23 ottobre Antônio Cícero è morto in Svizzera, attraverso una procedura chiamata “morte assistita”. A differenza dell'eutanasia, la morte assistita è l'atto di suicidarsi con l'assistenza medica e con una motivazione conforme alla legge. La verità è che, di norma, il Codice penale svizzero vieta la partecipazione al suicidio quando ha motivazioni egoistiche.[V] Ma, eccezionalmente, la morte assistita, o il suicidio prescritto, è consentita dietro prova di intensa sofferenza fisica e psicologica, che potrebbe motivare l'atto volontario di somministrarsi, accompagnati da personale medico, un farmaco che porterebbe il paziente alla morte.
In Brasile il “diritto alla morte” è regolato dal Codice di Etica Medica. Nel suo Capo V ci sono una serie di articoli che stabiliscono cosa è vietato ai medici che lavorano nel Paese. E precisamente nell'articolo n. 41, si dice che ai medici è vietato “[a]breviare la vita del malato, anche su richiesta del malato o del suo legale rappresentante”.[Vi] Tuttavia, l'unico comma dello stesso articolo n. 41 fa un'eccezione: “Nei casi di malattia incurabile e terminale, il medico deve offrire tutte le cure palliative disponibili senza intraprendere azioni diagnostiche o terapeutiche inutili o ostinate, tenendo sempre conto della volontà espressa dal paziente o, se ciò è impossibile, di quella del suo legale rappresentante”.[Vii]
Il nostro Codice di Etica Medica segue il Codice Penale brasiliano, nel suo articolo 122, che criminalizza l'incitamento e l'assistenza al suicidio.[Viii] Pertanto, qualsiasi possibilità di eutanasia o anche di morte assistita è illegale in Brasile. Inoltre, è illegale anche la cosiddetta distanasia, cioè l'inutile insistenza e mantenimento della sopravvivenza del paziente terminale. Ciò che invece è legale secondo la legge brasiliana è la cosiddetta ortotanasia, ovvero anche la possibilità di lasciare morire il malato, ma con la fornitura di cure palliative, che minimizzino la sofferenza.
Si tratta di una questione biogiuridica intrigante perché riguarda la regolamentazione del diritto pubblico sui corpi malati e sul libero arbitrio di decidere della propria vita. In verità, questa è una questione di biodiritto, ma soprattutto – se possiamo separarli – è una questione di biopolitica.
Sappiamo da Michel Foucault, nel suo seminario tenuto qui in Brasile, nel 1974, sulla nascita della medicina sociale, “che il corpo è una realtà biopolitica”.[Ix] In altre parole, almeno dal XVIII secolo, il corpo è stato uno spazio socializzato conteso dalle forze politiche del capitalismo. È il vivere che diventa oggetto della politica, dei suoi dispositivi di potere. Nel famoso passo di Storia della sessualità I (1976), Foucault afferma: “L’uomo, per millenni, è rimasto quello che era per Aristotele: un animale vivente e, per di più, capace di esistenza politica; l’uomo moderno è un animale nella cui politica è in gioco la sua vita di essere vivente”.[X]
Ma il tema del diritto a morire, sia suicidandosi assistito dai medici, sia “lasciandosi” morire sotto cure palliative, invece di appartenere alla cosiddetta biopolitica, è qualcosa di più tipico di ciò che il filosofo italiano Giorgio Agamben chiamava “thanapolitics” – l’“altro capo di Giano” della biopolitica:[Xi] la politica della morte.[Xii]
A questo proposito resta da vedere come quei dispositivi di potere affronteranno i temi, ma ora non con quello della vita e del suo vivere, ma con quello della morte e delle sue possibilità tecnologiche e giuridiche, e in nome di un principio guarda caso Stoico, coniato da quell'altro Cicerone, il romano, quando scrisse nei suoi Di doveri (44 a.C.) sulla dignità umana.[Xiii]
Nella sua lettera di addio agli amici, il poeta brasiliano Antônio Cícero spiega che, a causa dell'Alzheimer, ha sofferto e che “la sua vita è diventata insopportabile”. Poi, in nome della dignità con cui ha vissuto la sua vita, Antônio Cícero ha scritto che spera anche di “morire con dignità”.[Xiv]
Sebbene Albert Camus affermasse che “il suicidio è l’unico problema filosofico”,[Xv] In questo saggio vorrei riflettere su un problema filosofico derivato dal “problema” del suicidio. Questa è una questione filosofica “più difficile”, nel senso in cui Antônio Cícero ha dato l’espressione tedesca più pesante – “più pesante”:[Xvi] Come pensare l'istituto della dignità umana di fronte alla gestione della vita e della morte effettuata da dispositivi tecnici, scientifici e politico-giuridici? E mi chiederei ancora di più: come resiste la nostra dignità umana, nello stesso tempo in cui è costituita e protetta da questi dispositivi?
Di dispositivi e tanatopolitica
In un'intervista del 1977, pubblicata nella raccolta denominata microfisica del potere (1979), Michel Foucault definisce il termine “dispositivo” come, in breve, la rete che si stabilisce tra “il detto e il non detto” dell’insieme eterogeneo che “comprendono discorsi, istituzioni, organizzazioni architettoniche, decisioni normative, leggi, provvedimenti amministrativi, affermazioni scientifiche, proposizioni filosofiche, morali, filantropiche”.[Xvii]
Ma è stato in una conferenza tenuta da Giorgio Agamben, guarda caso tenutasi anche in Brasile, in cui un'audace genealogia ha potuto ampliare i significati di “dispositivo” per Michel Foucault. Utilizzato dal filosofo francese per esprimere “universali”, ma senza ripiegarvi su di essi, Giorgio Agamben, a sua volta, ne amplia il significato ricordando che il termine avrebbe origine dalla parola latina Dispositivo, mentre equivalente in greco al termine oikonomia.
In questo saggio, però, preferisco evitare di approfondire l'ipotesi di Giorgio Agamben sul come Dispositivo Il latino sarebbe una traduzione fatta all’interno della tradizione della teologia cattolica medievale per esprimere l’“economia” salvifica, cioè l’“amministrazione”, il “governo” della vita umana da parte della divina provvidenza del Figlio, nella Trinità. Per affrontare la questione filosofica del suicidio, dell’eutanasia e delle sue variazioni garantite dalle tecnologie e dalle politiche della morte, sono ora più interessato all’analogia che Giorgio Agamben fa tra “dispositivo” e il termine tedesco forgiato da Martin Heidegger: cornice.[Xviii]
Martin Heidegger si è occupato delle ambiguità di cornice nel suo famoso saggio La questione della tecnica (1954). Il testo fa luce sulla questione della tecnologia in modo originale, anche se non si può “perdonare” al cosiddetto Filosofo della Foresta Nera il suo noto e discusso coinvolgimento diretto con il nazismo. A questo proposito, lo stesso Antônio Cícero ha scritto che, “(…) nonostante le ripugnanti affinità politiche di Martin Heidegger, la sua opera non può non essere letta e discussa da chiunque prenda sul serio il pensiero filosofico”.[Xix]
In portoghese, il cornice può essere tradotto come apparato, cornice,[Xx] scheletro, composizione, insomma come dispositivo tecnologico. La parola tecnica e la sua essenza presentano molte ambiguità. “Tecnica” viene dal greco tecnico, tradotto in latino come ars. La cosa curiosa è questa ars in portoghese può essere tradotto semplicemente come “arte”. Già questo mostrerebbe già una delle ambiguità, mostrate da Martin Heidegger, proprie della tecnica, e cioè: quella del suo rapporto con poiesis, con la pratica produttiva e scopritrice della verità come “svelamento” (aletheia), e anche scopritore di ciò che è attuale nella bellezza.[Xxi]
Ma ciò che è importante, per ora, riguardo al testo di Martin Heidegger sulla questione della tecnica, è l'affermazione del filosofo tedesco secondo cui “[la] tecnica non è, quindi, un semplice mezzo. La tecnica è una forma di scoperta”.[Xxii] E, nel caso della tecnica moderna, la scienza moderna, la sua scoperta, il disvelamento della verità, dice Martin Heidegger, “(…) non si sviluppa, però, in una produzione nel senso di ποίησις [poiesis]. La scoperta, che governa la tecnologia moderna, è un’esplorazione, che impone alla natura l’intenzione di fornire energia, capace, come tale, di essere beneficiata e immagazzinata”.[Xxiii]
Così Martin Heidegger dirà che l’essenza della tecnica non si applica al pensiero greco antico quando si tratta della tecnologia moderna perché è “(…) caratterizzata da macchine e apparecchi”. [Xxiv] E, a differenza di quanto si potrebbe pensare della tecnica, come azione di mero mezzo per produrre qualcosa, Heidegger sosteneva che l’essenza della tecnologia non è “tecnica”, cioè non è un mezzo-azione con un fine estrinseco determinato. La sua essenza ha a che fare con l’atto di rendere la natura e anche gli esseri umani “disponibili”, immagazzinabili, pronti a diventare risorse naturali e risorse umane da sfruttare attraverso i suoi macchinari.
Ciò che Heidegger chiamava il “pericolo” in relazione alla tecnica moderna persiste come provocazione filosofica in molte direzioni. In quanto mera azione di scoperta della natura e delle sue potenziali risorse, la tecnica non è pericolosa. Come dice, “[la] tecnica non è pericolosa. Non esiste il demone della tecnica. [Xxv]. Ma pur essendo una composizione esplorativa, la tecnica può impedire all’uomo di scoprire qualcosa di più originale, “(…) un’esperienza di una verità più inaugurale”.[Xxvi]
Tornando alla questione dei dispositivi, partendo dall'audacia di Agamben, è in questo senso di “immagazzinamento”, di amministrazione dispensativa, di organizzazione normativa della casa – cioè di “economia” nel suo senso etimologico più radicale, di governo della casa (oikos) –, che la tecnica moderna può essere analogamente significata con il significato dato da Foucault di “dispositivo”. E la questione sulla tecnica diventa allora anche una questione sulle tecniche politiche, mediche e giuridiche, esigendo di conseguenza una questione etica attorno ad esse.
In questo numero biopolitica e biodiritto incontrano la bioetica. In questo luogo d'incontro si percepisce una zona di confine per quanto riguarda le possibilità tecniche di mantenere inutilmente e ostinatamente la sopravvivenza di un malato terminale utilizzando dispositivi, o di lasciare morire un malato terminale sotto cure palliative, o, addirittura, di porre fine alla propria vita, o ancora addirittura assistendo al suicidio di un paziente sofferente, di sua spontanea volontà, come nel caso di Antônio Cícero.
La domanda sulla gestione del corpo umano mediante la moderna tecnologia medica si esprime nella sfida etica di sapere: quando e per quale motivo i dispositivi dovrebbero essere spenti affinché la vita cessi, o quando si debba somministrare, prescrivere o assistere, l’uso di del farmaco letale e della morte imminente di un paziente terminale?
Etica, tecnica e modalità di morte
Fu uno degli studenti di Martin Heidegger – che non perdonò mai il coinvolgimento del suo insegnante con il nazismo –, il filosofo ebreo tedesco Hans Jonas, ad affrontare in modo più profondo questa questione bioetica sulla tecnologia moderna.[Xxvii] Al lavoro Principio di responsabilità (1979), Hans Jonas ha sviluppato la preoccupazione di Martin Heidegger riguardo al modo in cui la tecnologia moderna “scopre” la natura attraverso la sua trasformazione in una risorsa naturale da sfruttare. Jonas ha definito questo sguardo prepotente sulla natura un “programma baconiano” e ha sostenuto come questa nuova posizione porti con sé una contraddizione: la conoscenza tecnica, in definitiva, non protegge l’uomo dalle forze naturali, così come non lo protegge da se stesso.[Xxviii]
Ma è nel testo del nome Tecnica, medicina ed etica (1985) in cui Hans Jonas affronta specificamente la questione se esista un diritto alla morte per i malati terminali. E per pensare eticamente in questi casi, è necessario rendere più esplicito che i dilemmi etici in questione coinvolgono il rapporto medico-paziente e il problema della responsabilità medica, la legislazione penale in materia, nonché il principio del libero arbitrio, l’autonomia dei pazienti nel dettare il proprio destino. Come dice Hans Jonas, “ma in uno stato terminale in cui il trattamento curativo non è più possibile – questo mi sembra intuitivamente chiaro – il grido di sollievo supera il divieto di nuocere, e anche quello di abbreviare la vita, dovrebbe essere ascoltato. .”[Xxix]
Ricordando i versi del coro, nella terza parte della trilogia tebana, nella tragedia Antigone, di Sofocle, Hans Jonas ci ricorda che, anche se esiste la capacità di resistere ai rigori della natura, anche di fronte alla morte, l'essere umano rimane impotente.[Xxx] Ma tale impotenza si riferisce alla sfida impossibile di superare la morte. Tuttavia, la domanda rimane: che dire della sfida di porre fine a una vita già considerata indegna, soprattutto dal paziente stesso?
Sappiamo anche che a partire dal movimento psicoanalitico, soprattutto a partire dalla cosiddetta “seconda attualità”, ispirata agli studi di Sabina Spielrein, nonché influenzata dal contesto del primo dopoguerra, in Oltre le basi del piacere (1920), Sigmund Freud sosteneva che un impulso autodistruttivo compete con il principio darwiniano di sopravvivenza della specie. Rompendo con il vitalismo del XIX secolo, così come con la tradizione aristotelico-tomista sulla natura umana, Freud aderì a un pessimismo antropologico e lo basò su quello che chiamò il “principio del nirvana”: una pulsione in concorrenza con quella della vita, che ricerca l'omeostasi fondamentale, la ricerca del silenzio delle tensioni di piacere e dispiacere del corpo, dell'“apparato psichico”, cioè della “pulsione di morte”.[Xxxi]
Tenendo presente ciò, è possibile, da Sigmund Freud in poi, che si possa ancora difendere la persistenza della sopravvivenza umana, terminale e nella sofferenza, come impulso ontologico che acquista una dimensione deontologica, come se “vivesse”, in ogni modo, in ogni circostanza? , per quanto indegno possa essere, era un “dovere”? È un dovere etico non solo per il paziente, ma anche per i medici e le loro tecniche, che potrebbero addirittura acquisire status giuridico?
Mi sembra giusto pensare ad un diritto a una morte dignitosa e volontaria, ma occorrono attenzione e riflessione nel campo della razionalità pratica riguardo all'amministrazione, all'esplorazione e alla gestione della vita attraverso la tecnica della medicina. Non possiamo dimenticare la responsabilità, il rispetto per l’autonomia e non possiamo perdere la paura del potenziale futuro della tecnologia – l’“euristica della paura”, come ha detto Jonas. Inoltre, non possiamo dimenticare nel nostro orizzonte riflessivo le potenzialità tecnologiche del passato, o, per essere più specifici, non possiamo dimenticare la storia nazista in medicina, e la sua politica di morte nei campi di concentramento e di sterminio, così come i suoi recenti echi in campo medico. l’esperienza brasiliana con la pandemia.[Xxxii]
Il poeta e filosofo brasiliano Antônio Cícero si è congedato, lasciando non solo poesie, testi di canzoni e saggi di estetica, ma anche, con la sua “forma-di-morte”, un dibattito filosofico, etico, giuridico e medico. Poi ricordo la tua poesia La Capricciosa.[Xxxiii] In esso, mi sembra che Antônio Cícero abbia poeticizzato l’evidenza che “prima o poi” ci troviamo di fronte alle tempeste della vita, alle quali “tutti siamo esposti”. Ma ha anche scritto una poesia su come la notte si avvolge dolcemente di “specchi, sguardi, vini/uva, riccioli, rose, risate”.
Intanto, “dall’altra parte delle lastre di cristallo”, dice la poesia di Antônio Cícero, dall’altra parte delle finestre della casa, o dell’anima (gli occhi e i loro cristalli?), “la città sogna” – nella stessa sintassi attraverso la quale i poeti “pensano il mondo”.[Xxxiv] E da questa veglia, un atto linguistico tipico del “custodire”,[Xxxv] All'improvviso vieni svegliato dal tuo “cellulare”. Per una tecnologia, per un dispositivo. Vediamo allora che «[la morte] ha anche arte», cioè ha tecnica, ma anche poetica, potenzialità di scoperta della verità.
Morire può essere un'arte di porre fine a ogni possibilità esistenziale e, per questo, è un'esperienza impossibile, sempre tentata. Ma può anche essere come diceva Montaigne: “Meditare sulla morte è meditare sulla libertà; chi ha imparato a morire, ha disimparato a servire”.[Xxxvi]
Antônio Cícero si è svegliato mentre noi sognavamo. Per lui non c’è nessun Dio dall’altra parte delle “lame di cristallo”. Senza sapere cosa c’è possiamo solo continuare a sognare il mondo. Ispirato dalla sua opera, dalla sua vita, Antônio Cícero ci saluta, forse cercando di farci capire che non solo la morte, ma anche il vivere ha la sua arte.
*Ricardo Evandro S. Martins Professore presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università Federale del Pará (UFPA).
Riferimenti
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note:
[I] Cfr. FISHER, Marco. Realismo capitalista: è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo. San Paolo: Autonomia letteraria, 2009.
[Ii] Cfr. FUKUYAMA, F. La fine della Storia e l'ultimo uomo. Rio de Janeiro: Rocco, 1992.
[Iii] MONTAIGNE, Michel de. Come filosofare è imparare a morire. In: Saggi. San Paolo: Editora 34, 2006, p. 120.
[Iv] CICERO, Marco Tulio. A proposito di invecchiare. San Paolo: L&PM, 2007, p. 16-17.
[V] SVIZZERA. Codice penale. Articolo 115. Disponibile su: https://www.fedlex.admin.ch/eli/cc/54/757_781_799/it#art_115
[Vi] BRASILE. Codice di etica medica: Risoluzione CFM nº 1931, del 17 settembre 2009. Brasilia: Conselho Federal de Medicina, 2010. p. 28.
[Vii] BRASILE. Codice di etica medica: Risoluzione CFM nº 1931, del 17 settembre 2009. Brasilia: Conselho Federal de Medicina, 2010, p. 28.
[Viii] BRASILE. Codice penale brasiliano. Disponibile presso: https://www.planalto.gov.br/ccivil_03/decreto-lei/del2848compilado.htm.
[Ix] FOUCAULT, Michel. Nascita della medicina sociale. In: Microfisica del potere. 6.ed. Rio de Janeiro: Edições Graal, 1986. 2018, p. 80.
[X] FOUCAULT, Michel. Storia della sessualità. 5. ed. San Paolo: Paz e Terra, 2017, p. 155.
[Xi] Termine di Jean-François Deluchey.
[Xii] AGAMBE, Giorgio. Homo sacer: potere sovrano e nuda vita I. 2.ed. Belo Horizonte: UFMG, 2014, pag. 119.
[Xiii] CICERO, Marco Tulio. Dei Doveri. San Paolo: Edipro, 2019, Libro I, XXX, p. 60.
[Xiv] CNN. Antônio Cícero ha lasciato una lettera in cui diceva di andare in Svizzera per “morire con dignità”. 23.10.2024. Disponibile presso: https://www.cnnbrasil.com.br/entretenimento/antonio-cicero-deixou-carta-e-mencionou-ida-a-suica-para-morrer-com-dignidade/ Accesso effettuato il: 23 ottobre 2024.
[Xv] CAMUS, Alberto. Il mito di Sisifo. 6. ed. San Paolo: Record, 2006, p. 17.
[Xvi] CICERO, Antonio. Poesia e filosofia. San Paolo: Civilização Brasileira, 2012, p. 91.
[Xvii] FOUCAULT, Michel. Microfisica del potere. Rio de Janeiro: Edições Graal, 1986, p. 244.
[Xviii] AGAMBE, Giorgio. Cos'è un dispositivo? In: Un'altra traversata. N. 5. 2005, pag. 12. Disponibile presso: https://periodicos.ufsc.br/index.php/Outra/article/view/12576 Accesso effettuato il: 23 ottobre 2024.
[Xix] CICERO, Antonio. Heidegger e il nazismo. Folha de San Paolo. Disponibile presso: https://www1.folha.uol.com.br/fsp/ilustrad/fq2002201023.htm
[Xx] Come ha tradotto Ernildo Stein.
[Xxi] HEIDEGGER, Martin. La questione della tecnica. In: Saggi e convegni. 7. ed. Petrópolis: Vozes, 2006, p. 37.
[Xxii] HEIDEGGER, Martin. La questione della tecnica. In: Saggi e convegni. 7. ed. Petrópolis: Vozes, 2006, p. 17,18.
[Xxiii] HEIDEGGER, Martin La questione della tecnica. In: Saggi e convegni. 7. ed. Petrópolis: Vozes, 2006, p. 19.
[Xxiv] HEIDEGGER, Martin. La questione della tecnica. In: Saggi e convegni. 7. ed. Petrópolis: Vozes, 2006, p. 18.
[Xxv] HEIDEGGER, Martin. La questione della tecnica. In: Saggi e convegni. 7. ed. Petrópolis: Vozes, 2006, p. 30.
[Xxvi] HEIDEGGER, Martin. La questione della tecnica. In: Saggi e convegni. 7. ed. Petrópolis: Vozes, 2006, p. 30-31.
[Xxvii] In un’altra occasione ho scritto del “diritto a morire” basandomi sui pensieri di Jonas. Disponibile su: https://www.academia.edu/31127723/Hans_Jonas_Um_Ensaio_sobre_Direito_morte_e_um_esbo%C3%A7o_de_uma_%C3%89tica_da_consciente_m%C3%A9dica_no_tempo_da_t%C3%A9cnica_moderna
[Xxviii] JONAS, Hans. Principio di responsabilità: saggio sull'etica della civiltà tecnologica. Rio de Janeiro: Contraponto/EDIPUCRIO, 2006, p. 235-237.
[Xxix] JONAS, Hans. Tecnica, medicina ed etica: sulla pratica del principio di responsabilità. San Paolo: Editora Paulus, 2016, p. 196.
[Xxx] JONAS, Hans. Principio di responsabilità: saggio sull'etica della civiltà tecnologica. Rio de Janeiro: Contraponto/EDIPUCRIO, 2006, p. 31.
[Xxxi] FREUD, Sigmund. Oltre il principio del piacere. In: Opere complete – volume 14. São Paulo: Companhia das Letras, 2010, p. 200.
[Xxxii] Ho scritto di più sull'argomento nell'articolo Cavie umane e nazismo brasiliano, pubblicato nel Jornal Bemdito. Disponibile su: https://bemditojor.com/cobaias-humanas-eo-nazismo-brasileiro/
[Xxxiii] CICERO, Antonio. La Capricciosa. Disponibile su: https://www.tudoepoema.com.br/antonio-cicero-la-capricciosa/
[Xxxiv] CICERO, Antonio. A proposito di pensare al mondo. In: Poesia e filosofia. San Paolo: Civilização Brasileira, 2012, p. 21.
[Xxxv] CICERO, Antonio. salva. Disponibile su: https://www.tudoepoema.com.br/antonio-cicero-guardar/
[Xxxvi] MONTAIGNE, Michel de. Come filosofare è imparare a morire. In: Saggi. San Paolo: Editora 34, 2006, p. 126.
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