Antonio Dias – arte negativa

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da LUIZ RENATO MARTIN*

Commento sulla traiettoria dell'artista plastico, le cui opere sono visibili in due mostre precursori del 34a. Biennale di San Paolo

Per Neil Davidson (1957-2020) [I]

A partire dalle opere di Winckelmann (1717-1768) e Herder (1744-1803) a metà del XVIII secolo, l'universalismo, da un lato, e il nazionalismo, dall'altro, rivendicano la superiorità dei loro valori artistici su quelli dell'avversario. Pur risalendo all'epoca illuministica, la disputa si svolge ancora oggi, poiché in parte – inconsapevolmente e malgrado i suoi stessi termini – riflette i ritmi e le conseguenze disuguali del processo di sviluppo sistemico e globalmente combinato della modernizzazione capitalista, avviato dal mercantilismo. Così, per valutare la persistenza del contrasto, basti ricordare la polemica del postmodernismo e del multiculturalismo contro la concezione del modernismo del critico d'arte formalista nordamericano Clement Greenberg (18-1909).

Nonostante il carattere aspro e feroce del confronto tra “universalisti” e “localisti”, entrambe le parti hanno molto in comune e condividono, ad esempio, la nozione di autonomia estetica, fondata sulla convinzione dell'immunità della forma estetica alla materialità del processo storico generale. Questo lavoro non entrerà in questa disputa, i cui argomenti sono marcatamente antidialettici da entrambe le parti.

Inizierò invece qui con un commento di Trotsky (1879-1940), del 1922, sul Futurismo. In esso, Trotsky osservava che i "paesi arretrati" riflettevano più di una volta - "con maggiore forza e brillantezza" - le conquiste dei "paesi avanzati" rispetto a questi ultimi. La distinzione, pur senza sviluppo o prova, appare come uno degli argomenti iniziali del saggio intitolato “O Futurismo”, firmato il 08.09.1922.

Il saggio fu incluso e citato in modo prominente nelle introduzioni del settembre 1923 e nella seconda edizione del luglio 1924 di Letteratura e Rivoluzione. In esso, Trotsky affermava: “osserviamo un fenomeno ripetuto più di una volta nella storia; paesi arretrati ma con un certo livello di sviluppo culturale riflettono con maggiore lucidità e forza nelle loro ideologie le conquiste dei paesi avanzati. Pertanto, il pensiero tedesco nel XVIII e XIX secolo rifletteva le conquiste economiche degli inglesi e le conquiste politiche dei francesi. In questo modo il futurismo ha raggiunto la sua espressione più chiara non negli Stati Uniti o in Germania, ma in Italia e in Russia” (TROTSKY, 2015, p. 285, il corsivo è mio).

Qual è la posta in gioco in questa breve osservazione mai seguita di Trotsky? L'appropriazione di forme avanzate da parte dei cosiddetti “paesi arretrati” e il loro riutilizzo in stampi periferici e con superiore potere chiarificatore. Infatti, come è noto, i paesi periferici subiscono incessantemente e in tutti i domini l'impatto delle forme generate nelle economie capitalistiche avanzate e sono costretti a rispondervi. In genere, lo fanno importando moduli avanzati su scala inferiore, acquistando quindi tecnologie obsolete o per altri contesti e scopi, nonché idee inadeguate o frammentarie e incomplete, utilizzandole in modo improprio e impreciso.

Ma non è il momento della subordinazione, ma il caso opposto, che voglio discutere qui. Cioè proprio quella suggerita da Trotsky nel saggio sul futurismo del 1922, osservando il superiore vantaggio critico e riflessivo che i “paesi arretrati” ricavano in certi casi dalle “forme avanzate” proprie dei paesi egemonici. Per fare ciò, estrarrò esempi dal lavoro dell'artista visivo brasiliano Antonio Dias (1944-2018).

Era allo spettacolo opinione 65 (MAM-RJ, 12.08-12.09.1965), a Rio de Janeiro, che la sua opera è esplosa con grande impatto non solo per aver risposto frontalmente al colpo di stato, ma anche per aver evitato la trappola del nazionalismo che aveva catturato gran parte della sinistra pre -64, indebolendolo prima dell'imminenza del colpo di stato.

In cosa consisteva la nuova sintesi proposta da Dias di fronte allo schema dualistico nazionale x estero? Proprio nell'appropriazione dialettica dei materiali di pop art reintrodurli uniti a segni di violenza e di esiti tragici, in stampi periferici. Si prega di notare che la nozione di "arte negativa”, secondo una nota fatta sul taccuino della Dias, tre anni dopo, è già intuito e realizzato in questi quadri del 1965, così come un'altra idea formulata e annotata anch'essa nel 1968, quella di “pittura come critica d'arte” – denominazione forse parallela a quello di “arte negativa” (DIAS, 1967-69; MIYADA, 2019, pp. 234-7).

 

Figura 1: Antonio DIAS, Taccuino, 1967-69/Parigi-Milano, 20 x 30 cm, col. dell'artista.

 

Figura 2: Antonio DIAS, Taccuino, 1967-69/Parigi-Milano, 20 x 30 cm, col. dell'artista.

 Esaminiamo concretamente l'esempio di un'operazione di pittura negativa, in un'opera appartenente alla serie denominata dazibao (1972) (DIAS, 2010, pp. 126-7). In questa serie, il colore rosso funge da strumento di taglio. Attraverso il rosso, infatti, si ricostruiscono i giornali, e Dias non solo costruisce una pittura che nasce dalle negazioni (come annunciava nella citata nota del 1968) ma elabora anche delle sintesi che anticipano, a suo modo, la risposta che egli sarebbe venuto a rilasciare in un'intervista a Köln (Colonia), Germania, nel giugno 1994. In essa, alla domanda dell'intervistatore – perché usava forme geometriche abbinate a parole –, rispondeva: “(…) per mostrare questa totalità che esiste al di fuori della cornice, e che da lì la invade” (DIAS, 1994, pp. 54-55).

Figura 3: Antonio DIAS, L'ILLUSTRAZIONE DELL'ARTE / DAZIBAO / LA FORMA DEL POTERE, 1972, serigrafia e acrilico su tela, 121 x 317 cm, col. particolare.

Infatti, in contemporanea con la nota sull'“arte negativa”, Fai da te: Freedom Territory (Fai da te: Freedom Territory, 1968),[Ii] un lavoro prima di dazibaos, anche portato operazioni negative – non isolatamente, ma unita all'affermazione del suo legame intrinseco con la realtà. Così, tra il 1968 e il 1969, Dias, accanto a Hélio Oiticica (1937-1980), fissa i principi e il programma dettagliato di un modo di lavorare legato a quella che Oiticica chiamava “arte ambientale”, proprio per alludere alla permanente permeabilità del lavoro. arte alla realtà.

Figura 4: Antonio DIAS, Fai da te: Freedom Territory (Do It Yourself: Território Liberdade), 1968, nastro adesivo e tipografia sul pavimento, 400 x 600 cm. Nei dettagli inferiori, Antonio DIAS, ALLA POLIZIA (ALLA POLIZIA), in FAI DA TE: IL TERRITORIO DELLA LIBERTA', bronzo, 3 pezzi, 14 cm ciascuno (diametro).

Si noti, per favore, che tale nozione è strettamente contemporanea e risponde al cosiddetto “svolta linguistica (linguistic turn)”, in atto in quel periodo nell'ambiente universitario anglo-americano e con parallelismi anche nel post-strutturalismo francese, senza contare, ovviamente, gli echi periferici di tali mode. beh, dentro Fai da te: Freedom Territory – la cui struttura era palesemente espropriata dalla cosiddetta arte minimalista – sia il terreno della pratica artistica che quello dell'esperienza dell'osservatore si sono riuniti, così come l'opera stessa, sotto forma di un pezzo di pavimento a scacchiera mediante di un nastro adesivo. Nell'area di lavoro, designata come territorio libero, ma esposta ad attacchi, erano comprese alcune pietre che portavano appesa una targhetta metallica, che ricordava i pezzi identificativi che i soldati portavano al collo. Sulle targhe – segno di origine convertito qui in segno di finalità – era scritto: alla polizia (1968).

In tal modo, l'inversione e l'ironia – cioè le cose tolte agli altri – si sono convertite nelle armi dell'artista e, quindi, anche del pubblico. Durante l'atto di espropriazione, le prospettive di libertà e di lotta si sono alimentate a vicenda.

Fallo da solo:…, accanto Ovunque è la mia terra (1968), oltre ad alcuni altri lavori di analoga linea – e molto diversi dai lavori del ciclo precedente in chiave “contropop”, per così dire – sono state tutte realizzate nei primi anni di esilio in Europa. Insomma, oltre ad alludere all'esilio, tali opere erano chiaramente basate su strutture poetiche apertamente contrastanti con i temi scelti.

 

Figura 5: Antonio DIAS, OVUNQUE È LA MIA TERRA, 1968, acrilico su tela, 130 x 195 cm.]

In questo modo, Dias, invece di ricercare la forma unica e adeguata per il suo lavoro, come è usuale nell'arte, ha colto forme ostili o quanto meno inospitali, di cui si è appropriato o rapito dall'arte concettuale e dall'arte minimalista. Li ha usati per contrabbandare dialetticamente ricordi e osservazioni di un esule del Terzo Mondo. Il risultato di tale antitesi fu contraddittorio e allo stesso tempo distaccato e drammatico.

Figura 6: Antonio DIAS, L'ILLUSTRAZIONE DELL'ARTE / UNO E TRE / BARELLE / MODELLO, 1971-74, legno laccato, 110 x 550 cm.]

La serie L'illustrazione dell'art, sviluppatosi dal 1971 al 1978 sostanzialmente in esilio, era analogamente costituito da procedimenti artistici analitici, incessantemente esposti, condizionati e alterati da fattori esterni o “invasioni”, per riprendere il termine stesso di Dias – visibilmente complici del fenomeno che convertì tutte le sue opere in atti di un incessante processo di sabotaggio della “forma pura”.

La serie L'illustrazione dell'arte si estese anche oltre un viaggio di tre mesi in Nepal nel 1977. Lì, Dias si stabilì in comunità rurali che producevano carta a mano. Ma evoco solo brevemente e sommariamente l'immersione dell'opera di Dias in un modo di produzione precapitalista o primitivo. Parimenti, evocherò solo brevemente la tappa successiva che si è svolta in Brasile – quindi, in un contesto diverso da quello di una modalità precapitalista, e più propriamente chiamata, a mio avviso, “sviluppo nel sottosviluppo”, secondo la formula elaborata in altre circostanze dall'economista André Gunder Frank (1929-2005).

In effetti, il mio obiettivo qui, pur guidato, come ho sottolineato all'inizio, dalla riflessione sulle contraddizioni del processo di sviluppo disomogeneo e combinato, è principalmente quello di stabilire il nesso tra il operazioni negative, che vengono provocatoriamente ribadite da Dias, con il principale vettore storico della sua opera, secondo l'impegno strategico di ricostruire il realismo.[Iii]

In questo senso esaminiamo il nuovo ciclo produttivo del lavoro di Dias dopo il suo ritorno in Brasile alla fine degli anni Settanta, iniziato a Milano nel 1970. Per molti versi lo stage brasiliano (presso il Núcleo de Arte Contemporânea del Università Federale del Paraíba, in collaborazione con il critico e partner Paulo Sérgio Duarte), ha avuto luogo ancora nell'ambito del progetto L'illustrazione dell'arte, che era stato, come abbiamo visto, creato contro la grana della linea analitica. Già all'inizio del prossimo ciclo, ora a fuoco, ci troviamo di fronte a cambiamenti tattici cruciali non solo per quanto riguarda la direzione operazioni negative, che si rivolgono a nuovi obiettivi, ma anche nel contenuto visivo di forme oggettive progettato da Dias.

Prendo in prestito il concetto di “forma oggettiva” dalla critica letteraria di Roberto Schwarz, per il quale modo oggettivo comprende una “sostanza storico-pratica” e in questa condizione condensa esteticamente il “ritmo generale della società” (cfr SCHWARZ, 1999, pp. 30-31 e, in generale, pp. 28-41).[Iv]

Penso che siamo di fronte, infatti, alla descrizione di un processo riflessivo contiguo o parallelo a quello a cui si riferiva Dias descrivendo, con le sue parole sopra citate, la “totalità” che, dall'esterno della tela, “invade la cornice”. Ovvero, la descrizione, secondo Schwarz, della traduzione estetica di un “ritmo generale della società” in “sostanza pratico-storica” di una forma artistica, designata poi come “forma oggettiva”, rimanda ad un analogo processo di comunicazione o passaggio da materiali o contenuti socio-storici a relative forme estetiche, che, nei termini indicati, hanno rinnovato il dibattito sul realismo.[V]

Procedendo con l'ipotesi del parallelismo delle formulazioni, entrambe relative al passaggio da materiali extraestetici a forme estetiche, il forme oggettive coniato da Dias - sotto forma di operazioni negative –, nel caso in questione, imprimono soprattutto i tratti del combattimento tra le forze che invadono il quadro, come diceva Dias, e la risposta artistica ad esse, generando nuove forme – come quelle di due corpi mescolati in una lotta fisica .

Applicata in questi termini, la nozione di modo oggettivo aiuta a chiarire i cambiamenti intervenuti quando la Dias tornò a stabilirsi a Milano, nel 1980. Così, dopo il “superamento dialettico” – cioè attraverso l'incorporazione dell'oggetto negato – del ciclo produttivo artigianale della carta (legato alla permanenza in comunità artigiane in Nepal, ampliato con l'inserimento di nuovi materiali al ritorno in Brasile), questa volta al ritorno a Milano una nuova serie di forme oggettive, basato su cartone da imballaggio, giornali, ecc. Lo spostamento verso materiali di origine industriale più economici e lavorati più velocemente appare combinato con una manciata di elementi che a prima vista sono insiti nel lessico espressionista. Come spiegare una tale combinazione? È ciò che conta stabilire. Vale a dire, per restare nei termini di Dias, quali sarebbero le forze che questa volta (a Milano, 1980) sono venute a prendere spazi e ad occupare i quadri?

Infatti, nel mondo fuori dallo schermo, Thatcherismo e reaganomica erano le forze in ascesa. Il monetarismo estremo è stato in prima linea in una dura offensiva contro le strutture sindacali ei diritti sociali. Inoltre, in tutto l'occidente anglo-americanizzato, la soggettività e la socialità si trovarono sottoposte a una sorta di processo di colonizzazione da parte della forma-denaro.

Insomma, la nuova situazione ha affiancato l'ascesa del capitale fittizio e l'a rinascita della pittura (transavanguardia, cattiva pittura, in particolare il neoespressionismo e così via), galleggiando sempre in fiumi di denaro. Che tipo di antitesi c'era dunque, allora, tra i termini del tardo capitalismo in processo di mutazione e il nuovo discorso pittorico di Dias, anch'esso in accelerato processo di mutazione? Come si articolavano tra loro?

Emergono così cliché neoespressionisti accostati a materiali eterogenei: elementi della pittura bizantina, residui di vari materiali – pigmenti industriali, solventi, ossidi e anche alcuni segni emblematici: ossa, armi, utensili, bandiere, simboli del dollaro, circuiti tracciati in oro, ecc. . Al posto delle vernici/colori, sono stati utilizzati materiali di scarto per esaltare l'opacità dei supporti. Inoltre, gli schermi sono stati preparati operazioni negative, come il lavaggio di superfici verniciate o la rimozione (mediante raschiatura o altra lavorazione) di elementi precedentemente aggiunti. Si presentava così un espressionismo da laboratorio, molto controllato e meticoloso.

Grandi superfici – in cui gli accidenti e le irregolarità della texture si configuravano come particelle di un sistema – apparivano ricorrentemente impregnate della polvere grigio-argentea della grafite, uno dei “colori” ricorrenti dell'opera di Dias in questo periodo. Poiché questo era, ed è tuttora, il colore generale delle armi (pugnali, fucili e aeroplani) e anche il colore dominante delle auto prodotte in quel periodo, era chiaro dove tale forme oggettive e dov'era la riforma generale della sensibilità allusa all'andare. Come si può facilmente vedere per le strade ancora oggi, l'uso ostensivo di artigli – come nuove divise – genera incessantemente “eserciti di consumatori”.

As operazioni negative avevano anche il precedente dipinto di Dias nel mirino. Così nel ciclo della Nuova Figurazione, grosso modo 1964-67, le opere di Dias, quando negarono il pop art e hanno risposto al golpe militare, sono apparse piene di corpi straziati e segni di dolore.[Vii] Del resto, con la Dias che operava in controtendenza rispetto all'egemonia del neoespressionismo, anche i segni e gli emblemi di prima erano negato e sostituito da strumenti, ossa e simboli del dollaro. Alla fine, hanno lasciato il posto a simboli spogli del lavoro – vivo o morto – e accumulazione primitiva, ricordando quel poco che restava della vita sotto l'egemonia neoliberista.

La ricorrente inclusione dei giornali nelle tele di Dias prodotte dopo il suo ritorno a Milano diventa allora segno distintivo, eclatante ed emblematico, rievocando senza dubbio l'episodio iniziale del collage nella storia dell'arte moderna, all'interno del capitolo del cubismo. Ma non solo, perché il operazioni negative appaiono anche qui. Così, mentre il collage cubista consisteva in operazioni sostanzialmente additive, già nelle opere di Dias dopo il suo ritorno a Milano, le corrispondenti operazioni erano chiaramente sottrazioni. Analogamente, invece della ricostruzione cubista di antiche nature morte e del piacevole armamentario caratteristico della vita bohémien, fatto di bicchieri, bottiglie, strumenti musicali, pagine di spartiti e così via, nelle scene di Dias spiccavano ossari e segni di assenza o morte, insomma tracce di sgomberi programmati ed estinzioni.

In termini di forme oggettive, i dipinti di Dias hanno anche portato altri elementi a fungere da richiami. Erano i costrutti in oro, rame o metalli lucidi presentati in forme circolari ovali, circolari o dorate. Oltre a tali icone o doppioni dell'aureola e della forma-moneta, vi era un'altra famiglia: quella dei contenitori e dei flaconi di profumo (a cui si faceva riferimento nei titoli delle opere). La menzione delle essenze aromatiche, certamente ironica – vista la famosa piattezza o bidimensionalità del dipinto, celebrata da “svolta linguistica” –, evocato anche in questo caso l'aura o il feticcio della merce. Allusioni a fiale di veleno e di morte completavano la panoplia di questo periodo. Tutti questi oggetti, così come i contenitori o le forme della soggettività e le superfici dorate, operavano come cliché della mitologia della supremazia globale delle forze di mercato. Così, tali figure apparivano isolate in vaste aree o campi pigmentati, monopolizzando ogni attenzione – come i loghi e gli emblemi dei marchi nei cieli e negli orizzonti urbani e stradali oggi.

Entrano in scena, inoltre, diverse “monete pittoriche”, come pennellate, impasti o simili, che evocano il modo di essere delle soggettività. Tutto ciò alludeva ironicamente alla soggettività contemporanea. Che tipo di soggettività era quindi implicita? O mi esprimo in una tale schiera di simboli c'era certamente il calcolo. Il neoespressionismo in questa chiave consisteva nell'espressionismo degli investitori. Così, il loro discorso somigliava a quello di neo manager e manager, a quello di specialisti in “capitale umano” e altre questioni aziendali, a quello di giornalisti specializzati in investimenti e finanza.

As forme oggettive del neoespressionismo sezionato da Dias appariva allora spogliato di ogni apparente significato soggettivo, per apparire come mera fantasmagoria pertinente a un regime perduto e svuotato di soggettività. Segni glaciali di soggettività vuote tornarono a circolare, ma solo come lavoro morto e meccanico. Rappresentavano l'espressione della soggettività automatica del capitale – una soggettività narcisistica che calcolava offerte e simulava rischi secondo l'esclusiva regola del proprio interesse.

Emergono così gli elementi del neoespressionismo colti dall'ironia di Dias come riflessi di spensieratezza, mostrando il proprio vuoto. Così, secondo Dias, il neoespressionismo rivela, suo malgrado, segni di isteria. In quanto godimento dislocato e rappresentato, tale stile costituiva la rievocazione di una manifestazione di soggettività che non si era verificata perché, al suo posto, la sostanza esistente era solo quella dell'opera morta.

Riassumendo e fissando prima di concludere, la consapevolezza del circuito dell'arte, cioè dell'economia propria di tale modalità di circolazione, ha costantemente costituito l'obiettivo strategico immediato dell'azione della Dias. In questo modo, i conflitti endogeni delle pratiche artistiche feticizzate precedono nel loro lavoro – come percorso o crocevia inevitabile – tutti gli altri conflitti che si trovano in esse. Di conseguenza, nessuna delle sue opere ha una superficie o una tecnica omogenea. Pertanto, incessantemente confrontata e investita da fattori eterogenei, la ricezione è sollecitata a fare passi da gigante ea sforzarsi di conquistare dialetticamente diversi punti di vista e gradi di riflessione.

Così, le opere di Dias, radicate nella dimensione storica – distinta sia come storia generale che come storia dell'arte – uniscono domini che nella tradizione formalista dominante della storiografia moderna erano considerati intrinsecamente distinti o posti come continenti incomunicabili.

Combinando l'esperienza immanente dello sguardo con quella della riflessione storica, guidata da titoli o sottotitoli, lo spettatore è portato a ricostruire le parti di un processo storico molto più ampio delle opere visive che incontra. Vale a dire, da una tale posizione, l'osservatore affronta “la totalità, che esiste al di fuori della cornice, e che da lì la invade”. E invasione – vorrei aggiungere – che avviene in modo disomogeneo e combinato, come afferma la tesi di Trotsky, e anche secondo le opere di Dias (almeno a partire dalla mostra Nuova figurazione), combinando elementi di temporalità storiche visibilmente eterogenee.

Infine, ti suggerisco di considerare e osservare, per completare questo percorso operazioni negative e forme oggettive, alcuni montaggi dell'ultima fase del lavoro di Dias:

Figura 7: Antonio DIAS, STORIA RIASSUNTA PER BAMBINI, 2006, acrilico, pigmento, malachite, foglia d'oro e rame su tela, 120 × 420 cm.

Figura 8: Antonio DIAS, HOSTAGE: JOHN WAYNE FINDS HARUN AL-RASHID, 2007, acrilico, ossido di ferro, foglia oro e rame su tela, 180 × 450 cm.

 

Figura 9: Antonio DIAS, REFÉM, 2008, acrilico, cera e foglia di rame su tela, 75 × 135 cm.

 

Figura 10: Antonio DIAS, LÍNGUA FRANCA, 2010, acrilico, ossido di ferro, foglia oro e rame su tela, 180 × 360 cm.

 

Figura 11: Antonio DIAS, MANIVELAS, 2011, acrilico, ossido di ferro, foglie d'oro e rame su tela, 90 × 120 cm.  

Figura 12: Antonio DIAS, HOMEM QUEIMANDO, 2015, acrilico, foglie oro e rame su tela, 180 x 180 cm.

 In queste opere la pittura abbandona ogni residuo della tradizionale superficie quadrangolare (forma che di per sé aveva un forte potere evocativo di totalità, secondo consuetudini radicate nella tradizione visiva occidentale), per adottare invece costruzioni e schemi.[Viii] Cosa suggeriscono queste nuove disposizioni spaziali? Insomma, e tanto per andare avanti, mi limito ad elencarlo, perché siamo di fronte a cose che oggi risaltano a tutti: operazioni e complotti speciali – campi operativi, insomma, in cui ogni porzione si costituisce come teatro di specifiche Azioni. Ti viene in mente qualcosa in questo senso?

Uso di proposito i termini usati dai media generici per riferirmi agli attuali atti di terrorismo di stato. Basta infatti rivedere i titoli di cui sopra e altri degli ultimi lavori di Dias e si può concludere che questo artista – che ha utilizzato i giornali come fonte di attualità per buona parte del suo lavoro – si riferisse proprio a un tipo di eventi globalmente attuali nell'era attuale.

Posso così delineare e azzardare un'interpretazione sulle radici dell'ultimo ciclo di forme oggettive, dal lavoro di Dias? Penso che il nucleo del tema essenziale del suo ultimo ciclo – inerente, insomma, a quella che Naomi Klein ha definito l'era del “capitalismo d'urto” – consista essenzialmente in: vedute aeree di obiettivi da bombardare; pratiche genocide e tecniche di distruzione di massa, bombe corrosive e soluzioni chimiche detersive; e pratiche di interrogatorio simili a quelle applicate ad Abu-Ghraib. Questo è ciò che posso dire dell'ultimo momento di quest'opera, il cui autore è stato, in modo costante, acutamente e vividamente legato al suo tempo – fino a quando non è stato abbattuto dalla malattia letale che lo ha riportato alla nostra memoria.

* Luiz Renato Martins è professore-consulente di PPG in Storia economica (FFLCH-USP) e Arti visive (ECA-USP). Autore, tra gli altri libri, di Le lunghe radici del formalismo in Brasile (Chicago, Haymmercato/HMBS, 2019).

Revisione e assistenza alla ricerca by Gustavo Motta.

Originariamente pubblicato con il titolo “Arte negativa e rapimenti dialettici nell'opera di Antonio Dias”, in Aurora: rivista di arte, media e politica, San Paolo, v.13, n. 38, pag. 50-69.

Riferimenti


Diverse decine di opere importanti di Antonio Dias sono attualmente visibili in due mostre che hanno preceduto la 34a. Biennale di San Paolo. Dei due, il più grande (Antonio Dias: sconfitte e vittorie, a cura di Felipe Chaimovich) si svolge al MAM-SP ed è aperta fino al 21.03.2021. Presenta opere della collezione dell'artista, strategicamente emblematiche dei suoi diversi cicli, dal primo all'ultimo. Sintetica, completa e vigorosa, la mostra offre una chiara visione dell'opera nel suo insieme. Introduce i non iniziati al potere critico e plastico del lavoro di Dias. Ma serve anche ottimamente, per il già familiare osservatore, a distinguere e coniugare i momenti di inflessioni strategiche e riscontri critici del duello intelligente e irriverente, che Dias mantenne sempre con le correnti internazionali dominanti, per tutta la sua carriera.

In contemporanea, nel padiglione principale della Biennale, la mostra Vento (preliminare del 34a. Bienal), curata da Jacopo Visconti e Paulo Miyada, riunisce le opere di 21 artisti che saranno nella mostra principale della Bienal a settembre. In mostra altre opere di Dias: il set di dieci urne cubiche nere, intitolato teste(1968) e tre tele nere, tutte realizzate in esilio nel 1970-1. Questi pezzi, che anticipano il tono delle due dozzine di quadri neri di Dias in mostra a settembre, sono anche ottimi esempi delle operazioni negative con cui l'artista ha sovvertito e corroso le correnti artistiche allora dominanti. Nel caso delle opere esposte al secondo piano del padiglione della Biennale, le operazioni erano rivolte all'arte minimalista, allora in voga negli USA. In tempi di dipendenza da trono e rassegnazione generalizzata alla situazione di un frammento, ciascuna di queste opere è acida e tonica allo stesso tempo (LRM).

Riferimenti


BANDEIRA, João (curatore). Tra costruzione e appropriazione: Antonio Dias, Geraldo de Barros, Rubens Gerchman negli anni '60. Mostra catalogo presso Sesc Pinheiros, San Paolo 05.04 – 03.06.2018. San Paolo, SESC, 2018.

CANDIDA, Antonio. Dialettica di Malandragem [1970]. In: Il discorso e la città. Rio de Janeiro, Oro su blu, 2004a, pp. 17-46.

____. Di caseggiato in caseggiato [1973/1991]. In: Il discorso e la città. Rio de Janeiro, Oro su blu, 2004b, pp. 105-129.

DAVIDSON, Nei. Sviluppo irregolare e combinato: modernità, modernismo e rivoluzione permanente. Trans. Pedro Rocha de Oliveira; org., rev. critica e postfazione di Luiz Renato Martins; intro. di Steve Edwards; pref. di Ricardo Antunes. San Paolo, Idee economiche / Ed. UNIFESP, 2020 (in corso di stampa).

GIORNI, Antonio. Taccuino [Taccuino], 1967-69.

____. In conversazione: Nadja von Tilinsky + Antonio Dias. In: vv. Ah..Antonio Dias: Opere / Arbeiten / Opere 1967-1994. Darmstadt/San Paolo, Cantz Verlag/Paço das Artes, 1994, pp. 50-64.

____. Antonio Dias: Ovunque è la mia terra. Catalogo della mostra alla Pinacoteca do Estado de São Paulo (S. Paulo, 11.09 – 07.11.2010), curatore generale Hans-Michael Herzog, edizione trilingue: inglese, portoghese e spagnolo, testi di Sônia Saltzstein e Hans-Michael Herzog. Zurigo / Ostfildern (Germania) / São Paulo, Daros Latinamerica / Hatje Cantz / Pinacoteca do Estado de São Paulo, 2010.

____. Antonio Dias. Testi di Achille Bonito Oliva e Paulo Sergio Duarte. San Paolo, Cosac & Naify/APC, 2015.

____. Antonio Dias: Il potere della pittura. Catalogo della mostra (Porto Alegre, 14.03 – 18.05.2014, curatore Paulo Sérgio Duarte). Porto Alegre, Fondazione Iberê Camargo.

MARTINS, Luiz Renato. Alberi del Brasile. In: Le lunghe radici del formalismo in Brasile. A cura di Juan Grigera, tradotto da Renato Rezende, introdotto da Alex Potts. Chicago, Haymarket, 2019, pp. 73-113.

____. Ben oltre la forma pura. In: DAVIDSON, Neil. Sviluppo irregolare e combinato: modernità, modernismo e rivoluzione permanente. Trans. Pedro Rocha de Oliveira; org., rev. critica e postfazione di Luiz Renato Martins; intro. di Steve Edwards; pref. di Ricardo Antunes. San Paolo, Idee economiche / Ed. UNIFESP, 2020 (in corso di stampa), pp. 283-348.

MIYADA, Paolo (org.). AI-5 50 anni: non è ancora finito. Catalogo dell'omonima mostra. San Paolo, Instituto Tomie Ohtake, 2019.

SCHWARZ, Roberto. Adeguatezza nazionale e originalità critica [1991/1992]. In: Sequenze brasiliane: Saggi, San Paolo, Companhia das Letras, 1999, pp. 24-45.

____. due ragazze. San Paolo, Companhia das Letras, 1997.

TROTSKY, Leon. Letteratura e Rivoluzione [1923/1924]. Nota preliminare, selezione di testi, traduzione e note di Alejandro Ariel González; introduzione di Rosana López Rodriguez e Eduardo Sartelli. Buenos Aires, edizioni Razón y Revolución, 2015.

note:


[I] Opera presentata sotto il titolo Arte negativa e rapimenti dialettici nell'opera di Antonio Dias, in data 06.09.2019, nell'ambito del panel “New Directions in Cultural Analysis”, in conf. Sviluppo irregolare e combinato per il 21 ° secolo: una conferenza (05-07.09.2019, Università di Glasgow), coord. Neil Davidson, supporta Socialist Theory and Movements Research Network e Historical Materialism Journal.

[Ii] La struttura a scacchiera, tracciata con nastro adesivo, è stata assemblata per la prima volta, nel 1969, al National Museum of Modern Art, a Tokyo, nell'ambito della mostra Arte Contemporanea: Dialogo tra Oriente e Occidente. L'installazione comprende, come assemblaggio, un'altra opera (descritta di seguito): alla polizia, denominati a parte, ma quasi sempre articolati all'impianto.

[Iii] Sul movimento di costruzione di un nuovo realismo, in risposta al golpe del 1964, vedi MARTINS, 2019.

[Iv] Per l'origine dell'idea di “forma oggettiva” e il processo di traduzione estetica del “ritmo generale della società” nel romanzo brasiliano, vedi CANDIDO, 2004a [1970], pp. 28 e 38; così come CANDIDO 2004b [1973-1991], pp. 105-29. Per la formulazione concretamente esemplificata e discussa di “forma oggettiva” come “nervo sociale della forma artistica”, vedi SCHWARZ, 1997, p. 62.

[V] Per una trattazione più lunga e dettagliata della dialettica culturale e artistica tra paesi periferici ed egemonici nella chiave proposta da Trotsky e del rinnovamento del dibattito sul realismo, nel contesto storico del dibattito brasiliano sulla “formazione”, si veda MARTINS, 2020.

[Vii] Per le immagini delle opere stimolanti del ciclo Nova Figuração, principalmente quelle su carta, generalmente molto meno esposte rispetto ai già noti dipinti del periodo, vedere gli esempi in tutto il catalogo DIAS, 2010; vedi anche FLAG 2018.

[Viii] Per le riproduzioni di altre opere del periodo più recente si veda DIAS, 2014; e DIAS, 2015.

 

 

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