da JOHN KENNEDY FERREIRA*
Gli approcci dei due pensatori al fascismo
Antonio Gramsci e José Carlos Mariátegui non si sono mai incontrati, forse si sono conosciuti, ma non c'è stata alcuna amicizia o attività politica o professionale in comune. Mariátegui era un'avida lettrice di L'Ordine Nuovo e spesso riportò l'opinione del settimanale e di Gramsci, nei suoi articoli indirizzati ai giornali peruviani (PERICÁS, 2010 p 41). Entrambi mantennero dialoghi con personalità del loro tempo, come Benedetto Croce, Piero Gobetti, Giorgio Sorel, Giovanni Amendola, tra gli altri, a testimonianza del clima di rinnovamento politico dell'epoca. Penso che sarà questa atmosfera che ci permetterà di osservare le somiglianze tra i due approcci al fascismo.
José Carlos Mariátegui arrivò in Italia alla fine del 1919 e vi rimase fino al 1923, periodo durante il quale fu obbligato, a causa delle sue opinioni politiche, ad essere addetto culturale presso l'ambasciata peruviana in Italia. Mariátegui arriva a metà del Biennale Rosso, un momento in cui le classi operaie e contadine hanno avuto un'ascesa spettacolare, con scioperi nelle occupazioni di fabbriche e fattorie per la riforma agraria, momento che è stato definito dal Gruppo di L'Ordine Nuovo come dualità di potere e periodo rivoluzionario.
Il giovane giornalista e poeta peruviano entra in contatto intenso con la cultura e la politica italiana, cercando di comprendere la società e la vita sul posto. In questo modo entrerete in contatto con le diverse scuole di pensiero e con i loro principali protagonisti, come si evince dagli articoli inviati ai giornali di Lima. Si cerca così di mostrare ai peruviani l'effervescenza dell'Italia nel dopoguerra. Il suo contatto con il nascente movimento fascista avverrà innanzitutto attraverso l'azione di Gabriele D'Annunzio a Fiume. È noto che Mariátegui fu un ammiratore del poeta, come si nota nel suo primo approccio alla Costituzione di Fiume, detta Carta del Carnaro.
D’Annunzio viene mostrato come un politico creativo e innovativo. Mariátegui ritiene che la Carta Costituente creata dal poeta guerriero riflette un'innovazione artistica, garantisce i diritti alla società e crede che le corporazioni artigiane rappresentino un progresso nei rapporti di lavoro. Tuttavia, poco dopo, cambiò opinione perché comprese la dimensione autoritaria e militarista di Fiume. Si rende conto anche che il poeta era più interessato alla propria estetica che alla politica. Più tardi sottolineerà che «D’Annunzio non è fascista, ma il fascismo è dannunziano» (MARIATEGUI, 2010, p. 291).
Antonio Gramsci si imbatterà nella questione di Fiume, intendendola come una delle grandi manifestazioni della perdita di legittimità dello Stato liberale. Mostra il rischio di una spaccatura dell’autorità centrale che viene disprezzata dai soldati, dalla burocrazia statale, dal comando delle forze armate, da settori significativi delle classi dirigenti, mettendo in crisi l’autorità centrale. D'accordo con Mariátegui sull'autoritarismo e sull'avventura di Fiume. Sottolinea che la borghesia ha sotto scacco il controllo sul territorio nazionale e vede nel gesto di D'Annunzio l'inizio della guerra civile: “Il governo di Fiume si oppose al governo centrale, la disciplina armata del governo di Fiume si oppose alla disciplina giuridica del governo di Roma (…) In Italia, come in tutti gli altri paesi, come in Russia, come in Baviera, come in Ungheria, è la classe borghese che scatena la guerra civile, che precipita la nazione nel disordine, nel terrore, nell’anarchia” ( GRAMSCI, 1977, p.36).
Con l’ascesa delle masse proletarie e contadine, lo Stato borghese liberale italiano fu costretto a intraprendere numerose azioni difensive e cominciò a perdere, poco a poco, il controllo sulla società. Per evitare la rivoluzione socialista, i governi dei presidenti del Consiglio dei ministri, Francesco Nitti e Giovanni Giolitti, dovettero fare concessioni economiche e politiche che li mettevano in contrasto con la propria classe e, allo stesso tempo, favorivano un clima anarchico che ha consentito l’azione di gruppi paramilitari che sostengono la coercizione statale. L'avanzata delle forze proletarie e contadine ha esaurito le istituzioni liberali, lasciando aperte due possibilità: o la ricostruzione del paese attraverso una rivoluzione socialista, oppure la restaurazione attraverso una reazione violenta.
Durante il periodo in cui visse in Italia, Mariátegui scrisse quattro articoli che trattavano specificamente dei socialisti italiani (Forze socialiste italiane, Lo scisma socialista, Il partito socialista e la Terza Internazionale e La politica socialista in Italia). Negli articoli mostra una situazione tesa e rivoluzionaria, sottolineando che le indecisioni e le controversie interne portate avanti tra le principali correnti – massimalista, collaborazionista e comunista – hanno creato indecisioni che hanno bloccato la capacità di azione e fermentato lo scisma. Da acuto osservatore, nota che l'azione è stata limitata e le tensioni interne hanno impedito un migliore andamento, sia in parlamento che fuori.
Noterete che l'inibizione e la spaccatura delle forze socialiste hanno lasciato l'azione aperta: le due ali sono coerenti con le rispettive valutazioni del momento storico. La differenza in queste valutazioni è ciò che le separa. È logico che coloro che ritengono che sia giunto il momento della rivoluzione si oppongano al fatto che il socialismo non faccia altro che accelerarla. Ed è logico che coloro che pensano il contrario vogliano che il socialismo incroci le braccia negativamente di fronte ai problemi attuali che non colpiscono una classe, ma tutte, principalmente le classi lavoratrici (MARIÁTEGUI, 2010, p. 70).
Se la preoccupazione di Mariátegui è quella di un giornalista socialista che si trovava nel suo “mezzanino privilegiato”, quella di Gramsci è quella di un leader che ha combattuto un'importante battaglia con il PSI perché potesse comportarsi all'altezza del gruppo rivoluzionario. O Biennale Rosso è stata segnata da contraddizioni di grandi proporzioni sulla scena internazionale e nazionale: grave crisi economica, svalutazione monetaria, inflazione, perdita del potere d’acquisto dei salari, disoccupazione di massa e aumento dello sfruttamento dei lavoratori, che ha raggiunto livelli insostenibili, contribuendo a tensioni sociali moltiplicate, con manifestazioni, scioperi e dure lotte contadine.
Le lotte proletarie si svolgono in tutta Italia, con scioperi economici, scioperi contro la repressione, scioperi per il divieto di trasporto di armi agli eserciti bianchi antibolscevichi e, soprattutto, l'occupazione armata delle fabbriche torinesi contro la serrata padronale. Qui nacquero i Consigli di fabbrica, che divennero una tattica generale che si diffuse in più settori produttivi. I Consigli si occupano della produzione, della disciplina del lavoro e della sorveglianza armata delle fabbriche.
Il movimento era in gran parte spontaneo e incorporava quartieri proletari e famiglie operaie. I governi liberali, in profonda crisi, non furono in grado di governare e, a loro volta, le classi lavoratrici, sempre più fiduciose nella possibilità materiale di trasformazione sociale della società, diffusero il sentimento di realizzazione della storia e del socialismo. Dal punto di vista dei lavoratori e dei loro principali leader, se non fossero riusciti a realizzare la rivoluzione e il socialismo, in Italia si sarebbe ripetuta una repressione simile a quella che aveva fatto crollare le rivoluzioni in Baviera e Ungheria. Gramsci rivelò la sua percezione di questo momento in un articolo pubblicato nel L'Ordine Nuovo, del 08/05/1920: “La fase attuale della lotta di classe, in Italia, è la seguente: o la conquista del potere politico, da parte del proletariato rivoluzionario, per modificare modi di produzione e di distribuzione che permettano una ripresa della produttività; o una tremenda reazione da parte della classe possidente e della casta dirigente” (GRAMSCI, 1977, p.133).
Per rilanciare la lotta socialista, Gramsci riteneva che il movimento dei consigli dovesse superare la condizione di rappresentanza locale delle fabbriche e diventare organi di autogoverno operaio, con l'elezione di rappresentanti di tutte le fabbriche, costituendo così consigli regionali e nazionali. Perché questo movimento avvenga, il L'Ordine Nuovo dovrebbe superare la sfiducia che esisteva nel PSI, rimasto intrappolato per anni in una logica burocratica di intermediazione tra capitale e lavoro, così come superare la sfiducia nei confronti dei sindacati.
Mentre la dirigenza torinese sottolineava la necessità di autonomia e autogoverno, le varie fazioni del PSI lo vedevano come un movimento spontaneo, anarchico, corporativo e disorganizzato e, quindi, reclamavano la subordinazione dei consigli ai sindacati e al PSI.
Gianni Fressu richiama l'attenzione sul fatto che il L'Ordine Nuovo avendo assunto un ruolo innovativo come stampa operaia. Il periodico traduceva articoli di diversi autori, allora sconosciuti in Italia, come Lukács, Zinoviev, Daniel de Leon, tra molti altri e, quindi, si relazionavano meglio e creativamente con le diverse esperienze operaie che si andavano svolgendo, come la comunali in Germania (FRESSU , 2020 p 87). Lo si vede in questo paragone fatto da Gramsci: “La natura essenziale dell'unione è la competizione, non è il comunismo. Il sindacato non può essere uno strumento di rinnovamento radicale della società e: può offrire al proletariato burocrati esperti, tecnici specializzati nelle questioni industriali generali, non può essere la base del potere proletario”. (GRAMSCI, 1977, p. 43).
Il tentativo centrale consisteva nel guidare politicamente le masse e condurle alla rivoluzione. Gramsci conclude, facendo un'autocritica, che l' L'Ordine Nuovo e la direzione socialista torinese ha peccato d'ingegno e di gioventù non costituendo a questo scopo una frazione nazionale, oltre a non costruire a Torino e in Piemonte un centro di direzione urbana (Gramsci in L'Ordine Nuovo Crinache).
Di fronte alla rivolta contadina proletaria, la direzione nazionale del PSI e i sindacati dovettero optare per un accordo economico con il governo Giolitti. Ciò portò grandi vantaggi economici alla classe operaia, ma portò alla disillusione nei confronti della lotta socialista e del PSI, portando ad un declino dell’attività di massa e al loro allontanamento dal Partito. Gramsci, in un articolo del 10 luglio 1920, commenta che il PSI stava perdendo il controllo sulle masse lavoratrici, lasciandole senza scopo e “queste senza guida, saranno gettate, dallo svolgersi degli eventi, in una situazione peggiore di quella proletaria”. masse di Austria e Germania” (GRAMSCI, 1977, p. 169).
Pochi mesi dopo, giudicando già la situazione irrimediabile, dichiarò: “I comunisti sono e devono essere pensatori freddi e tranquilli: se tutto è in rovina, bisogna rifare tutto, bisogna rifare il Partito, è necessario necessario, fin da oggi, considerare e armare la frazione comunista come un vero e proprio partito, come la solida struttura del Partito Comunista Italiano che chiama adepti, li organizza solidamente, li educa, li rende cellule attive del nuovo organismo che si sviluppa e si sviluppa fino a diventare l'intera classe operaia, fino a diventare l'anima e la volontà di tutto il popolo lavoratore (GRAMSCI, 1977, p. 233).
Un tempo forza trainante significativa nella nazione italiana, il PSI è diventato un partito parlamentare legato e limitato alle istituzioni liberali del paese. In quel momento le condizioni per la rottura con il PSI e la fondazione del Partito Comunista erano più che mature e il congresso di Livorno, nel gennaio 1921, segnò questo destino. La crisi del movimento socialista contribuì in modo significativo all'avanzamento della reazione, consentendo il passaggio da una posizione rivoluzionaria alla guerra civile. Il conflitto si intensificò prima nelle campagne, attraverso i finanziamenti della Confederazione Generale dell’Agricoltura, e poi nelle città, con i finanziamenti della Confederazione Generale dell’Industria, entrambe create nel 1920.
Mariátegui sottolinea che i governi Nitti e Giolitti si trovavano di fronte a un rapporto di forze che rendeva loro impossibile in quel momento presentare una politica repressiva. In quel frangente il mantenimento e la conservazione della società borghese erano essenziali. Ciò implicava fare concessioni ai socialisti e ai lavoratori come misura per dare slancio alla riorganizzazione dello Stato (MARIÁTEGUI, 2010, p. 102). In un altro punto osserva che dopo le ritirate «Le classi borghesi approfittano del fenomeno “fascista” per schierarsi contro la rivoluzione. (… Le forze conservatrici sono certe di frustrare definitivamente la rivoluzione, attaccandola prima che si accinga a conquistare il potere politico” (MARIÁTEGUI, 2010, p. 148).
Il giovane poeta intendeva il fascismo come un movimento di classi sociali conservatrici che volevano mantenere lo Stato capitalista. Hanno agito illegalmente con l'obiettivo di preservarsi dalle correnti socialiste che cercavano di distruggerli. Capì che il fascismo “non era un partito; è un esercito controrivoluzionario, mobilitato contro la rivoluzione proletaria, in un momento di febbre e bellicosità, dai diversi gruppi e classi conservatrici” (MARIÁTEGUI 2010, p. 179).
A sua volta Gramsci sottolinea che il processo di reazione sarebbe intrinsecamente legato allo sviluppo dello stesso capitalismo italiano, incapace di instaurare un regime liberale stabile e uniforme. L'incompetenza dei liberali si consolidò in uno Stato corrotto e autocratico che in sostanza creò le basi per rimettersi in discussione: “Lo Stato italiano, attraverso l'esame della guerra, rivelò finalmente la sua essenza più intima: lo Stato Polichinello, e il dominio dell'arbitrarietà, del capriccio, dell'irresponsabilità , disordine immanente, generante sempre più disturbi asfissianti” (GRAMSCI, 1976, p 301). Questa essenza disorganizzata e anarchica riflette un modello arretrato, dove non esiste una borghesia nazionale sviluppata, con un progetto paese chiaro e lucido, con idee e ideali diffusi in tutta la società. Gramsci rileva che i rapporti avvengono tra piccoli interessi e gruppi locali, consolidando un divario tra la realtà e la vocazione borghese dello Stato.
Questo processo venne messo a nudo dalla fine della Prima Guerra Mondiale, che mise in luce la disorganizzazione sociale, politica ed economica dello Stato liberale italiano. L’inquietudine delle classi medie, preoccupate per la loro proletarizzazione, cominciò a manifestarsi ancor prima dell’ascesa fascista, alla fine del 1919, in un attacco della piccola borghesia nazionalista-monarchica contro i deputati socialisti. Gramsci si rende conto che la piccola e media borghesia potrebbe essere utilizzata dai capitalisti come supporto per affrontare i lavoratori.
Egli osserva che durante la guerra gli strati intermedi furono posti al controllo dello Stato e che la smobilitazione bellica li lasciò senza paga e stipendio. status avevano prima: “La guerra ha messo in luce la piccola e media borghesia. Nella guerra e attraverso la guerra, l’apparato capitalista di governo economico e politico fu militarizzato: la fabbrica divenne una caserma, la città divenne una caserma, la nazione divenne una caserma. Tutte le attività di interesse generale furono nazionalizzate, burocratizzate e militarizzate. Per attivare questa mostruosa costruzione, lo Stato e le piccole associazioni capitaliste hanno effettuato una mobilitazione di massa della piccola e media borghesia”. (GRAMSCI, 1976, p. 85).
Allo stesso modo Gramsci osserva che l'apparato burocratico dello Stato stava subendo dei cambiamenti e le classi piccolo e medie borghesi, che esercitavano il loro controllo, si trovavano minacciate dall'ascesa proletaria e contadina. Nella sua analisi, la piccola borghesia aveva perso tutta la sua importanza nel settore produttivo, specializzandosi come classe politica nel cretinismo parlamentare. La reazione all'ascesa proletaria e la sua adesione al fascismo furono una manifestazione dei suoi interessi legati agli interessi del grande capitale. (GRAMSCI, 1976, p. 236).
Inoltre, le classi medie hanno promesso di realizzare una rivoluzione come alternativa al socialismo e al capitalismo. Gramsci vede però che, in realtà, la sua azione dannosa nei confronti dello Stato liberale e delle sue istituzioni mira, in ultima analisi, alla sua preservazione. Sottolinea inoltre che le classi dominanti hanno commesso un errore storico abbandonando il loro Stato e le sue istituzioni, seguendo la direzione della piccola borghesia (GRAMSCI, 1976, p. 237).
Gramsci capì che, nel dopoguerra, il capitalismo entrava in crisi a livello internazionale, portando all’interruzione delle forze produttive e rendendo lo Stato incapace di dominarle. In questo scenario, il movimento fascista e le classi medie emergono come un’interpretazione violenta e una soluzione alla crisi. Gramsci sottolinea: “Cos’è il fascismo, visto su scala internazionale? È un tentativo di risolvere i problemi della produzione e dello scambio attraverso il fuoco delle mitragliatrici e i colpi di pistola”. (GRAMSCI, Italia e Spagna).
Il fascismo agì quindi su scala nazionale, cercando di risolvere i problemi storici della società attraverso la violenza. Era allo stesso tempo un modo per la piccola borghesia di restare attiva sulla scena politica. Già Gramsci aveva osservato, nella sua critica al nazionalismo di Enrico Corradini, il pericolo rappresentato da un ideale nazionale che si sovrapponeva alla realtà delle classi sociali e agli interessi di tutti. Perché, in verità, questo era l’interesse del grande capitale. Ricorda che l’idea di una nazione proletaria che affronterebbe le decrepite nazioni imperialiste, si affermerebbe attraverso le conquiste di mercato, la guerra e con il sacrificio del sangue e del benessere dei proletari. (GRAMSCI, 1977 p. 91).
Mariátegui, a sua volta, impegnata a comprendere la logica del fascismo, constata l’assenza di un programma nelle parole dei dirigenti fascisti. Le idee dei leader fascisti sono un insieme di opinioni composte come qualcosa di mistico, con l'intenzione di formulare un'entità collettiva al di sopra delle classi, dei gruppi e degli individui: la nazione. L’interesse nazionale verrebbe soprattutto. Allo stesso modo, i fascisti credevano che la politica estera sarebbe stata l’estensione delle vocazioni nazionali sul modello degli imperi, prendendo in prestito, non senza ragione, i saluti romani usati da D’Annunzio a Fiume.
Il fascismo reagì anche alla politica estera disfattista formulata dai governi liberali. Il suo obiettivo sarebbe stato quello di riscattare l'orgoglio italiano offuscato e riabilitare il morale del soldato che combatté nella Grande Guerra e che, in quel momento, si sentì umiliato. La violenza del fascismo era vista come una risposta alla violenza totalitaria dei bolscevichi. In questo modo, mentre i socialisti agivano in nome di una classe e dei suoi interessi, i fascisti pretendevano di agire in nome dell’intera nazione. Nella loro retorica si battevano contro tutti coloro che si schieravano a favore della speculazione, dell'usura, del profitto senza lavoro e/o dell'interesse particolare di una sola classe. Nelle azioni teatrali e abili di Mussolini e nella forza dei suoi discorsi e articoli, pubblicati in Il Popolo d'Italia, il confuso discorso fascista crea un sentimento capace di mobilitare settori insoddisfatti del liberalismo e dell’azione socialista dei proletari e dei contadini.
I metodi fascisti sono evidenziati da Mariátegui come intimidazione e violenza attraverso la tortura contro oppositori di sinistra e liberali. Emblematici in questo senso sono i casi del deputato socialista Giacomo Matteotti, ucciso dalle falangi, e dei liberali Piero Gobetti e Benedetto Croce. Allo stesso modo, non credeva nella fede di Giovanni Giolitti, nella tradizione trasformatrice della politica italiana, né che i fascisti si sarebbero adattati all’ambiente parlamentare liberale.
Mariátegui credeva che la mancanza di definizione dei socialisti - a volte credendo nel parlamento, a volte boicottando la camera legislativa come contrappunto a Mussolini - avrebbe rafforzato la dittatura. Mi sono reso conto che si trattava di un movimento internazionale di capitali; non si trattava solo di un'eccezione, ma della dichiarazione di una reazione alla rivoluzione russa e alla minaccia della rivoluzione socialista in Italia. La simpatia di Mariátegui per la Terza Internazionale è chiara: vedeva nella linea d'azione del PCI una possibilità reale di combattere il fascismo. Allo stesso tempo, sottolineava che le incertezze del movimento socialista derivavano dall'adattamento del PSI ai limiti dello Stato parlamentare borghese. José Carlos Mariátegui chiarisce che lo spirito della reazione non era l’affermazione del nuovo, di una rivoluzione, ma la difesa integrale dell’ordine borghese e del capitalismo. Lo spirito del capitalismo e i suoi valori furono la vera componente policroma della religione fascista, come ci ricorda quando narra il finanziamento delle classi borghesi al movimento.
Gramsci, invece, osserva che il fenomeno del sorgere del movimento comunista e della Rivoluzione è un segno del rinnovamento internazionale della società; e, a sua volta, la reazione borghese si presenta come la restaurazione dello Stato, con l'intenzione di stabilire nuove modalità di funzionamento della società. In questo modo le classi dominanti starebbero riorganizzando lo Stato, con l'obiettivo di renderlo più resistente alle manifestazioni delle classi operaie e contadine. Lo Stato restaurato imporrebbe nuovi limiti ai lavoratori e alle altre classi subalterne, come mezzo per impedire i processi di organizzazione, consapevolezza e mobilitazione del proletariato a suo favore. “Il fascismo è l’illegalità della violenza capitalista, mentre la restaurazione dello Stato è la legalizzazione di questa violenza”.
Mariátegui giunge ad una conclusione simile: la reazione alla rivoluzione russa sarebbe un fenomeno internazionale e mobiliterebbe tutti gli sforzi della borghesia e dei settori reazionari della società. Per lui il fascismo è “una milizia civile antirivoluzionaria. Non rappresenta più solo il sentimento di vittoria. Non è più esclusivamente un’estensione del fervore bellicoso della guerra. Ora, significa un’offensiva delle classi borghesi contro l’ascesa delle classi proletarie» (MARIÁTEGUI 2010, p. 148).
Sia Gramsci che Mariátegui notano che il programma del Partito Fascista non è un corpo dottrinale, una proposta politica. Entrambi comprendono che le idee fasciste sono meglio rappresentate in altri partiti conservatori e la loro azione si concentra principalmente sulla violenza cieca:
Non esiste un partito fascista che trasformi la quantità in qualità, cioè un apparato per la selezione politica di una classe o di un gruppo: esiste solo un aggregato meccanico indifferenziato e indifferenziabile dal punto di vista delle capacità intellettuali e politiche, che vive solo perché ha conquistato, nella guerra civile, uno spirito di corpo molto forte, grosso modo identificato con l'ideologia nazionale. Al di fuori del campo dell'organizzazione militare, il fascismo non ha dato nulla, e anche in questo campo ciò che può dare è molto relativo (GRAMSCI, 1979, p. 129).
Gramsci fece addirittura un inventario dei crimini dei fascisti, concludendo che tali azioni rimasero impunite a causa della connivenza dell'apparato statale, delle lusinghe della burocrazia e della simpatia e del tacito sostegno espresso dal comando militare (Gramsci, 1977, p. 335 ). Allo stesso modo, Mariátegui identifica la complicità dello Stato e dei liberali, che capitolarono di fronte al fascismo e alla sua violenza (MARIÁTEGUI, 2010, p. 199).
Dopo la marcia su Roma, i fascisti salgono al potere, con Mussolini che presta giuramento davanti al re Vittorio Emanuele III come presidente del consiglio ministeriale. Per Gramsci questo evento significò la vittoria dei grandi proprietari terrieri sui contadini e sul proletariato, con la borghesia al secondo posto nel comando dello Stato, a causa della crisi finanziaria e industriale. Il governo sarà responsabilità della piccola borghesia, la quale, “anche per la borghesia, farà fatica ad accettare il dominio duro e tirannico dei proprietari terrieri e la demagogia irresponsabile di un avventuriero mediocre come Mussolini”. (GRAMSCI, La marcia fascista su Roma). Gramsci capisce che questo sarà un momento di dure lotte per i lavoratori e il PCI; raccomanda che il partito diventi clandestino e si concentri sull'azione cospiratoria.
Dopo un breve periodo di tentativo di governo parlamentare, la violenza fascista tornò a galla, con il principale risultato dell'omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti, divenuto famoso per aver denunciato la corruzione elettorale ed economica del governo Mussolini. La morte del parlamentare scatenò un'immensa ondata di rivolta e protesta contro i fascisti. I parlamentari si ritirarono dall'aula e fondarono il blocco Aventino. Per sei mesi il governo fascista fu sul punto di essere rovesciato. Mariátegui afferma che la “capitolazione del liberalismo e della democrazia davanti al fascismo” è stata completa. Il giornalista peruviano ricorda che il fascismo era armato e finanziato dalla borghesia e che la stampa agiva in suo favore. Inoltre, lo Stato tollerava la violenza. La Marcia su Roma incontrò poca opposizione e quando Mussolini fu armato e forte, la borghesia gli concesse il governo (MARIÁTEGUI 2010, p. 217).
Con l'omicidio Matteotti la situazione cambiò, la protesta sociale fece andare il liberalismo in opposizione al fascismo. Per Mariátegui l'atto criminale contro Matteotti equivale alla Marcia su Roma. Ciò che è cambiato da un momento all’altro è stata la sensazione della borghesia che lo Stato liberale fosse più adatto allo sviluppo capitalistico rispetto alla proposta di uno Stato fascista, con una gerarchia e dirigenti che somigliavano a quelli del Medioevo (MARIÁTEGUI 2010, p. 222 ).
Gramsci commenta che il governo Mussolini non ha l'autorità morale per gestire il caso Matteotti. La caduta del governo era necessaria perché ci fosse un giusto processo; ma come smontarlo? Questa è la domanda centrale. Dopotutto, il fascismo fu incoraggiato e organizzato dalla borghesia come mezzo per fermare l’azione proletaria. La borghesia cercò di stabilizzare il governo fascista. Gramsci mostra che il fascismo ha una sua logica e interessi interni, che il controllo delle classi dominanti sul fascismo è contraddittorio. “Inoltre, non è altro che l’espressione e la diretta conseguenza della tendenza del fascismo a non presentarsi come un semplice strumento della borghesia, ma a procedere, nella serie di oppressioni, violenze, crimini, secondo la sua logica interna, il che finisce per non tenere conto della conservazione del regime attuale” (GRAMSCI, 1978, p. 139).
Mariátegui sottolinea che l'assenza di un programma minimo tra i partiti avversari del blocco dell'Aventino ha permesso di riprendere l'iniziativa di Mussolini e dei fascisti. Poco dopo il ritorno dei deputati in Parlamento, venne instaurata la dittatura fascista con l'arresto dell'allora deputato Antonio Gramsci. Mariátegui sbagliò nel credere che la dittatura fascista sarebbe stata una dittatura parlamentare, come altre che erano già esistite nella storia d'Italia.
Dopo il Congresso tenutosi in Francia nel 1926, Gramsci e il PCI cominciarono a sostenere che il fascismo era una via per risolvere la crisi di egemonia apertasi con la Rivoluzione russa e la fine della Grande Guerra. Ciò significa che il fascismo fu un movimento capace di smantellare la sinistra e, allo stesso tempo, rinnovare l’apparato statale. (GRAMSCI, 1978 p. 219.)
Arrestato, l'allora deputato Gramsci, prosegue nelle sue analisi quaderni carcerari, cercando di comprendere il fenomeno del fascismo, utilizzando concetti come crisi di egemonia, crisi organica, cesarismo, guerra di movimento/guerra di posizione e rivoluzione passiva.
*John Kennedy Ferreira Professore di Sociologia presso l'Università Federale del Maranhão (UFMA).
Riferimenti
CALLIL, Gilberto, L'esperienza italiana e lo sviluppo del marxismo di José Carlos Mariátegui (1920-1922). Atti del IV Simposio Lotte sociali in America Latina: imperialismo, nazionalismo e militarismo nel XXI secolo. Dal 14 al 17 settembre 2010, Londrina, UEL.
CALLIL, Gilberto. José Carlos Mariátegui e Antonio Gramsci: l'interpretazione del processo di ascesa del fascismo (1921-1922). Rivista FLUP, Porto. IV Serie, vol. 10, n.1, 2020.
FRESU, Gianni. Antonio Gramsci, l'uomo filosofo. San Paolo: Boitempo, 2020.
GRAMSCI, Antonio. Futurismo italiano (lettera a Trostki) (1922). Marxisti. Disponibile su: https://www.marxists.org/portugues/gramsci/ano/mes/futurismo.htm.
__________ sul fascismo. San Paolo: Civiltà brasiliana, 1979.
__________ Scritti politici I. Lisbona: Serra Nova, 1976.
__________ Scritti politici II. Lisbona: Serra Nova, 1977.
__________ Scritti politici III. Lisbona: Serra Nova, 1978.
__________ Scritti politici IV. Lisbona: Serra Nova, 1979.
MARIATEGUI, José Carlos. Le origini del fascismo. San Paolo: Alameda, 2010.
__________ Opere complete, Tomo I. Lima: Editora Minerva, 1994.
_________. Socialisti e fascisti (1921). Marxisti. Disponibile su: https://www.marxists.org/portugues/gramsci/1921/06/11.htm.
PARIGI, Roberto. Le origini del fascismo. San Paolo: Editora Perspectiva, 1976.
PAXTON, Robert O. L'anatomia del fascismo. San Paolo: Paz e Terra, 2007.
PERICÁS, Luís. (organizzatore e traduttore). Prefazione. In: MARIÁTEGUI, José Carlos. Le origini del fascismo. San Paolo: Alameda, 2010.
SCURATI, Antonio. M. Il figlio del secolo. Rio de Janeiro: Intrínseca Ltda, 2018.
SECCO, L'Antonio Gramsci e il fascismo in https://dpp.cce.myftpupload.com/antonio-gramsci-e-o-fascismo/
TOGLIATTI, Palmiro. Lezioni sul fascismo. San Paolo: Scienze umane, 1977.
la terra è rotonda esiste grazie ai nostri lettori e sostenitori.
Aiutaci a portare avanti questa idea.
CONTRIBUIRE