da PRODUZIONE MARIAROSARIA*
Commento al film “Il mostro in prima pagina”, diretto da Marco Bellocchio
Nel 1972 Marco Bellocchio fu invitato a subentrare nella direzione di Sbatti il mostro in prima pagina (Il mostro in prima pagina), in sostituzione di Sergio Donati,, sceneggiatore, sceneggiatore e regista del film, ufficialmente allontanato dal progetto per motivi di salute, o forse per dissapori con il produttore o con il suo interprete principale, Gian Maria Volonté, o ancora perché non si sentiva all'altezza del compito. di cimentarsi in un genere di lavoro diverso da quelli che caratterizzavano la sua produzione, Bellocchio chiese alcuni giorni di riscrivere la sceneggiatura, avvalendosi della collaborazione del critico Goffredo Fofi, ambientando la storia nel momento politico che l'Italia stava vivendo alla vigilia del elezioni del 7 maggio 1972 e mettendo in luce il ruolo della stampa e il suo rapporto con il potere.
La trama del film ruota attorno all'omicidio di Maria Grazia Martini, una giovane studentessa milanese, dell'alta borghesia, il cui corpo violato era stato ritrovato in una discarica alla periferia della città., Una banale notizia di cronaca poliziesca, che si trasforma in un procedimento penale di grande contraccolpo dall'instaurarsi di un legame tra lo studente e un attivista politico di estrazione proletaria, Mario Boni. Chi coglie l'occasione è Giancarlo Bizanti,, redattore capo Il Giornale, interessata a distogliere l'attenzione dei lettori dalle accuse che gravavano sul titolare della rivista, l'ingegner Montelli,, implicato nell'armamento dell'ala più radicale della destra, come denunciano con insistenza i giornali di sinistra e di estrema sinistra (paese sera, lui manifesto, la lotta continua)., E così, con la complicità del delegato incaricato delle indagini e con la presenza del fotografo e giornalista Lauri,, Entrambi Il Giornale, al momento dell'arresto – che garantisce al tg del mattino uno scoop –, un “mostro” finirà in prima pagina su Il Giornale, con un titolo in cui si evidenzia la sua ideologia politica: è un estremista di sinistra.
La collaborazione involontaria, perché abilmente manipolata da Bizanti, dalla professoressa Rita Zigaina,, che ha dato rifugio al militante in cambio di briciole d'amore, permetterà di smontare l'alibi del giovane, che prima nega di aver incontrato la ragazza nel fatidico giorno, per poi ammettere l'incontro, ma proclamare la sua innocenza. L'estrema sinistra contrattacca, convocando una conferenza stampa per denunciare la campagna diffamatoria portata avanti dal quotidiano milanese e minimizzare il rapporto tra il giovane operaio e il malleabile educatore.
Nel foglio di convocazione si legge: “…strategia della tensione, inaugurata dalle bombe in Praça Fontana.Il Giornale, organo della destra più reazionaria, è il principale responsabile dell'arresto di Mario Boni. Il Giornale con la polizia è noto a tutti e, soprattutto in questo caso, non è certo per amore della giustizia, ma per fornire all'opinione pubblica la vittima giusta al momento giusto.
Lo scoop non basta a Bizanti, che tenta invano di creare una situazione di scontro durante la conferenza stampa, mandando a rappresentare il giornale l'ingenuo Giuseppe Roveda, con la speranza che venga aggredito. Per mantenere vivo l'interesse dei lettori, chiede ancora una volta la collaborazione dello spregiudicato Lauri, che scopre e denuncia alla polizia l'ubicazione dell'ordigno appartenente ai compagni del giovane attivista, che porta all'arresto di altri cinque membri del gruppo Luta Contínua, amici del “mostro”, come si ricorderà Il Giornale.,
Incaricato del caso, Roveda, durante la ricostruzione del delitto, dialoga con un collega di un altro quotidiano, il quale richiama la sua attenzione sull'uso elettorale che il giornale del mattino sta facendo di quella vicenda. Sentendosi un burattino nelle mani del suo capo, Roveda si ribella, ma riceve un duro rimprovero, in cui Bizanti svela la sua ideologia come mai prima: “Vuoi criticare la nostra linea politica o vuoi darmi una lezione di etica? […] Il caso Martini è un sintomo, un indizio della situazione. Ti sei mai chiesto perché Il Giornale ricevere così tante lettere? Perché per la gente comune questo omicidio è un simbolo del crollo del Paese e la gente ha paura. […] Sono d'accordo, io e Il Giornale stuzzichiamo. Non contiamo oggettivamente la realtà, ma quale oggettività, Roveda? Vi siete mai chiesti chi è Mario Boni? È un emarginato che rifiuta le regole dell'interazione sociale, [...] attacca Il Giornale, aggredisce gli operai che non vogliono scioperare, rapisce i capi, ribalta le macchine e dà loro fuoco, è uno che odia anche te, Roveda, con i suoi buoni sentimenti ei suoi nobili idealismi. Lei vede nel giornalista un osservatore imparziale. Ebbene, vi dico che questi osservatori imparziali mi fanno pena, dobbiamo essere protagonisti, non osservatori, siamo in guerra, facciamo anche la lotta di classe, non è stata inventata da Marx e Lenin”.
Un'ideologia che riappare in una tavola rotonda trasmessa in televisione, in cui il caporedattore si schiera dalla parte della “maggioranza di cittadini che rispettano le norme più evidenti della convivenza civile” e contro una “minoranza di persone, diciamo , turbolento, ed io, in quella minoranza, includiamo pervertiti, pervertiti, malati pericolosi e anche nichilisti, che vogliono distruggere tutto, senza porsi il problema di cosa opporsi. Mi chiedi chi è la maggioranza? E rispondo chi lavora, chi paga le tasse…”
Un altro quasi soliloquio, in cui Bizanti riprende un discorso sull'intrinseca servitù che lo sottopone alla titolare del giornale oa qualsiasi padrone, plasmando per lei le sue idee ed essendo pienamente consapevole della sua scelta. È la conversazione che ebbe con Rita Zigaina, durante il primo incontro tra i due, quando lei lo accusò di essere un giornalista di merda:
“Guarda, c'è solo una cosa che non voglio diventare, mezzo rivoluzionario e mezzo tonto come certi patetici colleghi. Pertanto, è meglio scrivere consapevolmente per un giornale di merda piuttosto che fingere di salvarsi l'anima sputando nel piatto che si mangia. Al giorno d'oggi, secondo me, non possiamo permettercelo, per essere romantici, anche a vent'anni. Non capisco il loro idealismo, la loro libertà non mi affascina”.
Le indagini di Roveda portano alla scoperta del vero autore del delitto - il bidello della scuola, innamorato della giovane studentessa e scontento della sua libertà sessuale -, ma ciò non interessa né al direttore né al titolare di l'ufficio. Il Giornale, che decidono di fare la farsa e forse svelare la verità solo dopo le elezioni.
Il mostro in prima pagina è stato girato in modo molto avventuroso. In pochi giorni [...], ho dovuto improvvisarmi regista e persino rielaborare l'intera sceneggiatura, perché non credevo affatto alla sceneggiatura che era stata scritta. Ho chiesto aiuto a Fofi, perché anche la sceneggiatura sembrava carente rispetto ai canoni tradizionali. E abbiamo pensato di approfittare dell'occasione per fare un discorso politico più vivo, avevamo pochi giorni ed era inevitabile essere schematici. Siccome, in quelle settimane, era in corso la campagna elettorale del 1972, abbiamo pensato di renderla protagonista del film. Prima era semplicemente un poliziotto italiano, che poco aveva a che fare con la politica. Abbiamo provato, in qualche modo, a parlare di tutti quei linciaggi politici della grande stampa italiana di allora” – affermava Bellocchio in una conversazione con Sandro Bernardi, nel 1978.
Lino Micciché, in disaccordo con il cineasta, ha ritenuto che la trama inventata da Donati “funzionasse molto bene, che gli espedienti narrativi sembravano orchestrati da uno sceneggiatore professionista, che il senso polemico della storia fosse rivelato, significativo ed evidente”, nel esempio di “caso di banditismo giornalistico” portato avanti da un periodico che faceva un uso reazionario e classista dell'informazione.
Sulla base della nuova sceneggiatura, un film poliziesco diventa l'ennesimo esponente del cinema politico italiano e un'opera su commissione riceve una forte carica autoriale, grazie all'aggiunta di una grande dose di ideologia, oltre ad alcuni elementi che da sempre caratterizzano le realizzazioni di il regista, come la patologia del vero assassino, o l'estremo amore dell'insegnante. Per Gian Piero Brunetta, invece, in Il mostro in prima pagina – come era stato dentro A nome del prete (Nel nome del padre, 1971) e sarà in Marcia Trionfale (marcia trionfale, 1976) –, lo “sguardo dell'autore” non si manifestava chiaramente; al contrario, “questi film adottano[ndr] lo stile di Ferreri, Petri, Damiani, Rosi”, anche se non nella stessa misura.
Brunetta riunisce così in un unico fascio sia i registi emersi come rinnovatori del cinema italiano nei primi anni Sessanta (Marco Ferreri, Bellocchio), sia quelli che sono diventati i grandi rappresentanti del cosiddetto cinema politico italiano (Elio Petri, Damiano Damiani) o coloro che erano transitati tra i due filoni (Francesco Rosi). Mettendo tutti sotto il segno del cinema politico, lo storico del cinema non solo ha negato l'impronta autoriale, poiché le realizzazioni di questi registi sembravano intercambiabili, ma ha anche permesso di mettere in gioco l'efficacia stessa, se non l'esistenza, del cinema politico domanda.
In effetti, in quegli anni, dovendo piegarsi agli schemi dell'industria cinematografica, le conquiste del cinema impegnato furono accusate di partecipare “in tutto e per tutto al gioco produttivo e ideologico del potere, ponendosi, peraltro, come una falsa alternativa al cinema spettacolare e dichiaratamente borghese, mistificando così fatti e uomini che appartengono alla cultura e all'ideologia rivoluzionaria”, nelle parole di Goffredo Bettini ed Elena Miele.
Bellocchio, però, non solo disdegnava il cinema politico italiano, ma dichiarava più volte di non voler tradire i suoi compagni di lotta, nemmeno in un film su commissione, pur non essendo più un attivista politico. Il regista non era stato attivo nel gruppo incentrato nel film Lotta continua, ma aveva partecipato all'organizzazione maoista Unione dei comunisti italiani (marxisti-leninisti), nata nell'ottobre 1968 dalla fusione del Movimento studentesco di Roma e il collettivo milanese Falce e martello., che, inizialmente legato alla Quarta Internazionale trotskista, aveva aderito al marxismo-leninismo con la diffusione delle idee della Rivoluzione culturale cinese, iniziata nel 1966. L'UdCI, che curava il periodico Servire il popolo, nel 1969 finanziò la produzione di documentari Il popolo calabrese ha rialzato la fronte e Viva il 1° maggio rosso e proletario, che Bellocchio ha diretto in forma anonima.
I compagni di Luta Contínua, però, demolirono il film, rimarcando un rapporto meramente casuale tra finzione e realtà, considerando personaggi folcloristici sia militanti che giornalisti, poliziotti e potenti, accusando il regista di piovere sul bagnato, come avevano fatto i trucchi del potere già smascherata, e di aver denigrato la classe operaia, che, praticamente assente dalla trama, “corre il rischio di sembrare, invece che una classe potenzialmente rivoluzionaria, una classe di quelli che stanno ai margini”, secondo un articolo pubblicato sul organo del movimento.,
A differenza dello scrittore di la lotta continua, Sandro Scandolara, in una lettura molto generosa, ha fatto notare che nessuno dei personaggi, anche quelli minori, è stato appena abbozzato: “tutti forniscono le più precise giustificazioni al loro comportamento e in ognuno si percepiscono, a volte grottesche, a volte drammatiche, la divergenza tra la percezione soggettiva espressione di valori e azioni e il loro effettivo ruolo all'interno del contesto capitalista”. Per quanto riguarda il punto di vista della classe operaia, c'è un'evidente distorsione nella lettura che l'autore dell'articolo fa delle parole dell'ingegner Montelli, attribuendole all'autore e non al personaggio:
“Ognuno deve stare al suo posto. La polizia che reprime e i giudici che condannano, la stampa che convince a pensare come si vuole, tutti in fondo stanno compiendo il proprio dovere. Sono i lavoratori che non accettano il gioco. Non lavorano abbastanza, non gli importa, vogliono sempre soldi. Non siamo riusciti ad aumentare la produzione, questo è il vero problema. Che importanza può avere l'innocenza o la colpevolezza di un Mario Boni di fronte a tutto questo?
La maggior parte dei critici dell'epoca non sempre apprezzava il risultato finale del film. Secondo Alberto Moravia, il cineasta è partito da uno schema preconfezionato e “l'ha applicato alla realtà del giornalismo”, e questo ha portato a risultati schematici, “da quello schema unidimensionale e spedito dell'opuscolo, […] tanto più parti propriamente politiche” dell'opera. Come lo scrittore romano, anche Micciché deplorava “l'approccio frettoloso e insicuro” a un tema che, se ben approfondito, sarebbe riuscito a coinvolgere il pubblico nella sua decostruzione “del mito della stampa 'libera e indipendente' in una società come quello italiano”. Secondo lui, ci sono stati dei guadagni nel film, quando ha funzionato concretamente su fatti appena accaduti. D'altra parte, gli atteggiamenti di alcuni personaggi – che sarebbero usciti dal piano del reale per entrare nel grottesco, fino ad essere astratti (il caporedattore, il proprietario del giornale) – hanno sbilanciato un film la cui Lo “schema ideologico generale” era “corretto e pertinente” – rendendolo didattico.
Bernardi indicò Il mostro in prima pagina una doppiezza che non ha giocato a suo favore: “la struttura del poliziotto si attenua progressivamente, tagliata dall'ingerenza dei personaggi e da un cambio di prospettiva, per questo l'interesse del film non è più l'indizio che porta all'assassino, ma il tecnica di produzione dell'assassino […] sulla stampa”.
L'inchiesta non ha un'unica versione, ma una doppia: la prima, da parte della polizia, che si risolve con una visita del questore con il messaggero in un'officina; e un secondo, quello di Roveda, che procede solo. La scissione – prima e seconda verità, colpevole apparente e vero colpevole – fa ancora parte delle convenzioni del poliziotto, ma si allontana da lui quando le due storie, invece di incrociarsi e risolversi a vicenda, proseguono per conto proprio, ciascuna con il proprio colpevole. . Si duplica anche quella che doveva essere la sequenza finale, il confronto con l'assassino: prima Roveda va a casa del messaggero e lo scopre; poi Bizanti, il capo, informato dal giornalista, va ad accertarsi della verità e, nello stesso tempo, a tenerla nascosta. Il colpevole, quindi, è solo una pedina. Nella sequenza finale, vediamo i veri giocatori. Byzanti e il Boss.
Questo doppio finale è complicato dal fatto che non c'è un solido legame tra le due storie, ma quella più potente 'accende' l'altra, proprio come il regista licenzia il giornalista. In questo modo il thriller il politico si sostituisce all'altro poliziotto, ma senza smontarne i codici, solo modificandoli un po' per i loro scopi. Il nesso dovrebbero essere forse i ritagli documentaristici, che però sono ben separati da entrambe le storie: l'inizio dalla sepoltura di Feltrinelli – come l'inizio da un suicidio che poteva benissimo essere un delitto – è emblematico per mettere in moto un itinerario che scopre la verità sotto la finzione”.
Lo schematismo messo in evidenza da Moravia è stato ammesso, in diverse interviste, dallo stesso Bellocchio, che condivide anche la critica di Micciché a un realismo sopra le righe nella parte fittizia della sua opera. Per quanto riguarda le osservazioni di Bernardi, ci sono diverse questioni da discutere.
È evidente, dalle inquadrature iniziali, che cosa conta Il mostro in prima pagina è la manipolazione delle informazioni a fini elettorali. Del resto l'obiettivo del caporedattore è sempre stato quello di non additare a nessuno la colpa della morte della ragazza, ma un colpevole di estrema sinistra, nella sua servile manovra per evitare che l'attenzione si rivolgesse ai loschi affari del titolare del giornale. . Come notato da Bruno Di Marino, questa idea non era nuova, poiché già in Informarsi su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (Inchiesta su un cittadino irreprensibile, 1969) il poliziotto che uccide l'amante, «per sviare le indagini sulla sua persona, […] ha costruito un colpevole: cioè lo studente di estrema sinistra Pace». E Bellocchio, pur non apprezzando il cosiddetto cinema politico italiano, come si è detto, riconobbe l'importanza di quest'opera di Petri.
Nel film non ci sono due storie che corrono parallele, ma una trama subordinata all'altra, poiché l'uso dell'assassinio della ragazza è solo l'elemento centrale per dimostrare le procedure di Byzanti. Trama e sottotrama sono sempre intrinsecamente connesse e, alla fine, sarà proprio sul momentaneo o permanente silenzio imposto da Byzanti al beadle che l'attivista rimarrà imprigionato. In questo senso, più che duplicarsi, si dispiega la scoperta dell'assassino, perché, più che la rivelazione della verità in sé, ciò che conta mostrare è l'occultamento di quanto realmente accaduto, affinché la “verità” di Il Giornale imporsi. E così, il vero mostro si rivela: non è il presunto criminale, la cui identità è stata sbandierata dalla stampa; Né lui, nonostante tutta la sua passione patologica per la ragazza, il voyeur assassino; è Bizanti, il cui volto campeggia sui manifesti. Per quanto riguarda gli operatori di questo gioco, sono presenti dall'inizio del film e durante tutto questo il pubblico non li scopre nella sequenza finale (infatti è la penultima).
Gli stralci del documentario (di cui la sepoltura di Feltrinelli non è il primo, ma l'ultimo) non sono staccati dal resto della trama, poiché è in gioco l'esito delle elezioni e l'escalation della violenza conta per assicurarsi il potere. la destra.
Visto oggi, quando l'eco degli anni '1960 e '1970 sta svanendo dalla memoria collettiva, Il mostro in prima pagina risulta essere un'opera stimolante, nonostante tutte le critiche mossegli, anche dallo stesso regista. Stimolante soprattutto per i suoi cinque minuti iniziali in cui è protagonista il Milan del periodo pre-elettorale. La metropoli è presa da manifestazioni contro e a favore della sinistra,, da violenti scontri tra forze dell'ordine e militanti estremisti,, da striscioni di propaganda di partito., Se i comizi attirano folle in piazza, anche i funerali del direttore Giangiacomo Feltrinelli riempiono il cimitero di compagni che lo salutano a pugni chiusi, cantando bandiera rossa., La città sembra una polveriera in procinto di esplodere, come il resto d'Italia, che sta vivendo la cosiddetta strategia della tensione,, quando la scena nazionale è stata manipolata dal potere per mantenere il status quo.
Queste immagini documentarie – costituite, come già visto, da materiale d'archivio (nota 11) e sequenze girate dalla troupe del film (relative alle note 10, 12 e 13), – introducono lo spettatore, improvvisamente, nel clima di quei giorni e se, forse, erano sacrificabili quando l'opera è stata filmata, se visti o rivisti oggi diventano preziosi. Come ha sottolineato Brunetta, chiarendo il suo primo commento a quest'opera di Bellocchio: “Il mostro in prima pagina, con marce di protesta, repressione poliziesca, guerriglia urbana, slogan, i volti degli studenti coperti dai passamontagna, il corteo per la morte dell'editore Giangiacomo Feltrinelli, i ricordi ancora brucianti della Strage di Piazza Fontana del 1969, la morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli,e il passaggio quasi impercettibile alle immagini di fantasia,, […] è uno dei pochi documenti di fantasia dell'epoca con una grande carica, capace di restituire la sua temperatura ideologica e il suo grado di tensione sociale”.
Fatto nella foga del momento, Il mostro in prima pagina si rivela istigante per la Storia che si insinua tra le righe, e ancor più inquietante per l'incorporazione di eventi reali, che gli conferisce un tono documentario e ne fa una testimonianza di quel tempo travagliato, portando lo spettatore moderno a riflettere su questo momento così cruciale per la società italiana.
*Mariarosaria Fabris è professore in pensione presso il Dipartimento di Lettere Moderne della FFLCH-USP. Autore, tra gli altri libri, di Neorealismo cinematografico italiano: una lettura (Edusp).
Versione riveduta di “Quei pochi minuti in cui la storia entrò nella finzione”, pubblicata in Atti del IV Seminario Nazionale Cinema in Prospettiva e VIII Settimana del Cinema Accademico (Curitiba: Unespar, 2016, p. 352-364), volume a cura di Agnes CS Vilseki et al.
Riferimento
Il mostro in prima pagina (Sbatti il mostro in prima pagina)
Italia, 1972, 93 minuti
Regia: Marco Bellocchio
Interpreti: Gian Maria Volontè, Laura Betti, Fabio Garriba, Jacques Herlin
Disponibile per intero (con sottotitoli) su https://www.youtube.com/watch?v=wWiN0QHM5IM
Bibliografia
[Artista di la lotta continua] “Sbatti Bellocchio in sesta pagina”. In: CASA, Steve Della; MANERA, Paolo (org.). Sbatti Bellocchio in questa pagina: il cinema che creò il sinistro extraparlamentar 1968-76. Roma: Donzelli Editore, 2012, p. 9-10.
BERNARDI, Sandro. "Antologia". In: MARINO, Bruno Di (org.). Sbatti il mostro in prima pagina. Roma: Gianluca e Stefano Curti Editori, 2011, p. 13-14 [inserto DVD].
BERNARDI, Sandro. “L'autore sul film”. In: MARINO (org.), op. cit., pag. 10.
BETTINI, Goffredo; MIELE, Elena. “Il cinema sostiene la classe al potere”. CinemaNuovo, Firenze, anno 206, n. 1970, lug.-ago. 279, pag. XNUMX.
BRUNETTA, Gian Piero. Cent'anni di cinema italiano. Roma-Bari: Laterza, 1991, p. 516-517.
FABRIS, Annateresa. "Le polaroid di Aldo Moro". In: KUSHNIR, Beatriz et al. (org). Annali del XVI Incontro Regionale di Storia dell'ANPUH-Rio: conoscenze e pratiche. Rio de Janeiro: ANPUH-RIO, 2014 [risorsa elettronica].
MARINO, Bruno Di. “Intervista a Marco Bellocchio”. In: BELLOCCHIO, Marco. Sbatti il mostro in prima pagina. Roma: Gianluca e Stefano Curti Editori, 2011[DVD extra].
MARINO, Bruno Di. "Presentazione: Sbatti il mostro in prima pagina. Un film profetico su stampa e potere”. In: MARINO(org.), op. cit., pag. 3-5.
MICCICHE, Lino. “Sbatti il mostro in prima pagina di Marco Bellocchio”. In: ___. Cinema italiano degli anni '70: cronache 1969-1979. Venezia: Marsilio, 1989, p. 138-140.
MORAVIA, Alberto. “Il direttore a caccia di mostri”. In: ___. Cinema italiano: recensioni e interventi 1933-1990. Milano: Bompiani, 2010, p. 904.
SCANDOLARA, Sandro. "Antologia". In: MARINO (org.), op. cit., pag. 12.
note:
, Donati era già apprezzato come sceneggiatore, soprattutto grazie alla sua collaborazione con Sergio Leone on Per ogni dollaro in più (Per pochi dollari in più, 1965) e Il buono, il brutto, il prigioniero (tre uomini in conflitto, 1965), che non fu accreditato, e in C'era una volta il West (C'era una volta nel West, 1968) e giù la fronte (Quando la vendetta esplode, 1971). romanziere, professore di Scuola scritturale di Omero (specializzato in scrittura narrativa, cinematografica e giornalistica), è stato autore di serie televisive, oltre ad aver scritto sceneggiature per vari generi cinematografici, in Italia e a Hollywood.
, La morte della ragazza farebbe riferimento al caso di Milena Sutter, una studentessa di tredici anni, rapita e assassinata il 6 maggio 1971, da un ragazzo di venticinque anni, come lei, dell'alta società genovese. Lorenzo Bozano era considerato dal padre uno psicopatico, con una forte pulsione sessuale. La sua lussuosa auto sportiva rossa è stata vista diverse volte intorno alla scuola di Milena nei mesi precedenti l'omicidio. Nel film c'è anche un'auto: la famosa macchina gialla che il giovane extraparlamentare usa per andare a prendere la studentessa quando esce dalle lezioni.
, Nel personaggio di Bizanti, molti hanno visto la figura dell'editorialista Indro Montanelli, convinto anticomunista, all'epoca però già insoddisfatto della svolta a sinistra imposta dal nuovo proprietario e dal nuovo direttore della Corriere della Sera. Secondo Lino Micciché, se il “tipo di lettore”, i “rituali gerarchici” e la linea editoriale del giornale, riferita al Corriere della Sera, gli atteggiamenti politici di Il Giornale indicherebbe più alle riviste Il Tempo, da Roma, e La notte, da Milano. Nel 1974, guarda caso, Montanelli fondò Il Giornale (il primo numero uscì il 25 giugno), in cui si schierò con una destra ideale, che dovrebbe farsi portavoce dei voleri di quelle che considerava le forze produttive della società italiana: la piccola e media borghesia. Il 2 giugno 1977 il giornalista viene colpito alle gambe dalle Brigate Rosse. In un'intervista, Bellocchio dice di non sapere a chi si sarebbe ispirato Volonté per comporre il personaggio e Bruno Di Marino non vede alcuna somiglianza tra il tipo freddo e lucidamente cinico di Bizanti e il carattere esplosivo, passionale e coraggiosamente combattivo di Montanelli.
, L'ingegner Montelli, sempre chiamato con il suo titolo accademico, sarebbe un riferimento a Gianni (Giovanni) Agnelli, detto il l'Avvocato, sebbene non avesse mai esercitato la professione forense. Per Micciché, questo personaggio si riferirebbe ad Attilio Monti, proprietario della SAROM (Sociedade Anônima de Refining Mineral Oils) e di cinque periodici, il cui successo finanziario è stato facilitato dagli enti ufficiali. L'effetto devastante della SAROM sulla zona industriale di Ravenna (Emilia-Romagna) è stato evidenziato da Michelangelo Antonioni in deserto rosso (deserto rosso, 1964).
, Nei titoli di coda, c'è un ringraziamento per la collaborazione di paese sera e L'Unità, l'altro organo del Partito Comunista Italiano. lui manifesto – fondato da membri radicali del PCI, espulsi dal partito alla fine dello stesso anno, per aver criticato l'invasione della Cecoslovacchia da parte dell'Unione Sovietica – iniziò ad essere pubblicato nel giugno 1969. I suoi membri finirono per organizzarsi in un partito politico , partecipando alle elezioni del 1972. la lotta continua era il giornale dell'omonimo movimento, formato da gruppi rivoluzionari della sinistra extraparlamentare. Il gruppo Luta Contínua nasce nella seconda metà del 1969, dalla scissione del Movimento Operai-Studentisti di Torino, che, nella prima metà di quello stesso anno, aveva articolato le lotte all'università e alla FIAT.
, Per la mancanza di scrupoli con cui ha ottenuto o inventato la notizia, Lauri sembra riferirsi a Giorgio Zicari, cronista di polizia del Corriere della Sera, famoso per la sua capacità di ottenere scoop: è stato infatti il primo a denunciare, nell'edizione straordinaria del Corriere d'Informazione (pubblicazione serale del quotidiano milanese), che il tassista Cornelio Rolandi aveva riconosciuto Pietro Valpreda, come il passeggero che aveva lasciato in piazza Fontana il giorno dell'esplosione della banca (vedi nota 14). Per uno scrittore di articoli la lotta continua, Zicari avrebbe ispirato la composizione di Bizanti.
, Il personaggio della maestra sarebbe stato ispirato da Rosemma Zublena, testimone dalla personalità debole, facilmente influenzabile, le cui dichiarazioni contro un gruppo di anarchici furono firmate non da lei, ma dal delegato Luigi Calabresi (11 luglio 1969).
, L'arresto arbitrario di Boni e compagni ricorda quello degli anarchici accusati della strage di Praça Fontana.
, Sebbene anonima, la recensione pubblicata in la lotta continua (1 novembre 1972) potrebbe essere stato scritto dal giornalista e attivista Adriano Sofri, leader del gruppo Luta Contínua.
, I minuti iniziali del film registrano un comizio della Maggioranza silenziosa (movimento nato nel 1971, che riuniva diversi partiti anticomunisti), durante il quale Ignazio La Russa, esponente del Fronte della Gioventù, l'ala giovanile del MSI ( Movimento Sociale Italiano), diretto erede, parla di fascismo. Secondo Bruno Di Marino, il volto inquietante di La Russa somigliava a quello di Rasputin.
, Materiale d'archivio, in bianco e nero e a colori, sui gravi disordini a Milano l'11 marzo 1972.
, La macchina da presa avanza lungo via Dante, occupata dagli striscioni delle varie organizzazioni politiche che si stavano contendendo le elezioni per la Camera dei Deputati e per il Senato: Partito Socialista Italiano, Partito Liberale, Partito Comunista Italiano, Movimento Sociale Italiano, Democrazia Cristiana, che confermerà la sua leadership nel panorama politico italiano.
, Ex-partigiano e fondatore della casa editrice Feltrinelli, fu espulso dal Partito Comunista Italiano per aver lanciato, nel 1957, la prima edizione mondiale del romanzo Dottor Zivago, di Boris Pasternak. Negli anni '1960, durante un viaggio in America Latina, entra in contatto con Régis Debray e, prima ancora, con Fidel Castro, che gli affida la Il diario del Che in Bolivia, che Feltrinelli pubblicherà, oltre alla celebre foto del guerrigliero scattata da Alberto Korda. Alla fine di quello stesso decennio entra in clandestinità e, nel 1970, fonda uno dei primi gruppi armati di sinistra in Italia, i GAP (Gruppi di Azione Partigiano). Il corpo di Feltrinelli fu ritrovato dilaniato dall'esplosione di una carica trotile, il 14 marzo 1974, ai piedi di un traliccio dell'alta tensione alla periferia di Milano. Omicidio politico compiuto dalla CIA o incidente durante un'azione di sabotaggio (causando un black out in città per danneggiare il congresso del Pci), come affermarono sette anni dopo i membri delle Brigate Rosse?
,L'espressione strategia di tensione è stato tradotto dall'inglese - strategia della tensione –, essendo stata assunta da Leslie Finer in un articolo pubblicato dal settimanale L'Osservatore, il 7 dicembre, 1969. Basandosi su documenti dei servizi segreti britannici, il giornalista si riferiva a una strategia politico-militare degli Stati Uniti.stati Uniti, che, con l'appoggio dei colonnelli greci, mirava a favorire la conservazione o l'instaurazione di politiche reazionarie nel bacino del Mediterraneo. Attraverso atti terroristici, che avrebbero spaventato la popolazione, si voleva creare un clima di violenza e di scontro, con l'obiettivo di giustificare un intervento autoritario, che permettesse di contenere l'avanzata del PCI (e del PSI, compreso) nelle elezioni e nelle conquiste delle lotte sociali del 1968-1969. I punti di riferimento cronologici della strategia della tensione sono il 12 dicembre 1969 e il 2 agosto 1980, sebbene la datazione possa essere resa più flessibile. Diciassette morti e ottantotto feriti è stato il bilancio lasciato dall'esplosione di una bomba nella Banca Nazionale dell'Agricoltura, situata in piazza Fontana, nel cuore di Milano, al primo appuntamento; mentre, per lo stesso motivo, lunedì nell'atrio della stazione ferroviaria di Bologna sono morte ottantacinque persone e più di duecento sono rimaste ferite. Tra i due eventi, nuovi attacchi su larga e piccola scala e altri incidenti. Nonostante siano stati perpetrati da forze reazionarie, molti atti sono stati inizialmente attribuiti a membri dell'estrema sinistra. L'attentato di Milano è stato attribuito ad anarchici, con Pietro Valpreda come autore; imputato anch'egli dello stesso delitto, la notte del 15 dicembre 1969, dopo tre giorni di interrogatorio, Giuseppe Pinelli “cadde involontariamente” da una finestra dell'ufficio del questore Luigi Calabresi. La caduta è stata probabilmente inscenata per nascondere che il ferroviere sarebbe morto durante un interrogatorio con estrema violenza. L'ultimo a vedere vivo l'anarchico fu Pasquale Valitutti, arrestato nella stanza attigua, che contestò l'ipotesi del suicidio e l'assenza di Calabresi nell'ora fatale. Valitutti “ha vissuto per un periodo in una comunità anarchica nei pressi di Curitiba”, come ha sottolineato Annateresa Fabris. “Giustiziato dalla sinistra extraparlamentare, che lo riteneva responsabile della morte di Pinelli, e considerato il simbolo di uno Stato oscuro, coinvolto in complotti e impegnato a difendere la propria immutabilità”, Calabresi, a sua volta, sarà assassinato il 17 maggio, 1972 , probabilmente per “un 'regolamento di conti' all'interno dell'apparato poliziesco, artefice della 'pista anarchica'”. Le accuse – mosse da Leonardo Marino, nel 1988, durante la sua premiata denuncia – che il gruppo Luta Contínua fosse coinvolto nell'evento non furono provate. Il livello del confronto era in aumento, così come il reciproco scambio di accuse tra destra e sinistra e, soprattutto, tra i rappresentanti più radicali di entrambi gli schieramenti.
,C'è anche un piccolo estratto documentario, subito dopo la conferenza stampa e il momento in cui Lauri è di vedetta davanti alla sede di Luta Contínua, quando si registra una manifestazione vicino alle mura del carcere di San Vittorio, i cui partecipanti intonano slogan come “Capi dentro, compagni fuori”, “Compagni incarcerati, sarete liberati” e “L'unica giustizia è la giustizia proletaria”. Anche la sequenza che chiude il film non è di fantasia: sono i primi momenti in cui le acque tornano a circolare in maniera naviglio, uno dei canali che attraversano la metropoli lombarda. L'immondizia portata via dall'acqua appare come metafora della feccia (Bizanti e compagnia) da cui la società avrebbe bisogno di liberarsi.
, L'episodio di Praça Fontana è stato accostato dal teatro e dal cinema: il drammaturgo Dario Fo ha registrato la fatale caduta di Pinelli in Morte accidentale di un anarchico (Morte accidentale di un anarchico, 1970), ancora nella foga del momento, mentre il regista Marco Tullio Giordana tratteggia un incoraggiante ritratto di Calabresi in Romanzo di uno strage (Romanzo di un massacro, 2012). Fuori dal circuito cinematografico commerciale, il documentario 12 dicembre, realizzato dal gruppo Luta Contínua tra il 1970 e il 1972, che, pur essendo firmato da Giovanni Bonfanti, aveva sequenze girate da Pier Paolo Pasolini.
,È la sequenza dell'attentato, con bombe molotov, le Il Giornale, riferimento all'attacco contro Il Corriere della Sera, nel fatidico giorno dell'11 marzo 1972.
, Oltre alla vivace scenografia autentica offerta dalla città durante le riprese e ai probabili riferimenti a personaggi reali, anche le scenografie, al servizio delle diverse ideologie focalizzate, contribuiscono all'atmosfera d'epoca: l'auto di Mario Boni, con il drago rosso in la cassaforte e la foto di Mao Tse-tung sul pannello; il poster di Ernesto Che Guevara nell'ufficio dell'appartamento di Rita Zigaina; il manifesto nella stanza di Maria Grazia Martini, con uno degli slogan del movimento del maggio 1968: “È vietato proibire” (“È vietato vietare”); il manifesto nella redazione del giornale, con due poliziotti armati di manganello e la scritta “La violenza si [combatte] con la democrazia”; l'impostazione dell'apparato di Lotta Continua; l'arredamento tipico dell'alta borghesia delle residenze dei Bizantini e dell'ingegnere Montelli.