da ERNANI CHAVES*
Considerazioni sul libro di Friedrich Nietzsche.
Jeanne-Marie Gagnebin, sempre più vicina, in lontananza.
Le cosiddette opere del “secondo periodo” del pensiero di Nietzsche, che comprendono canonicamente le due parti di Umano, fin troppo umano, Aurora e la gaia scienza, scritti e pubblicati tra il 1877 e il 1882, hanno ricevuto pochissima attenzione da parte degli studiosi brasiliani. Ciò deve molto a una sorta di anatema che si è abbattuto su di loro, quasi fossero l'espressione del positivismo di Nietzsche o addirittura un mero momento di transizione tra gli scritti folgoranti della “giovinezza” e le “grandi opere” della “maturità”.
Chiunque decida di fare ricerca, consultando ad esempio libri, riviste, giornali o anche la Banca delle Tesi dei Capi, potrà verificare che la stragrande maggioranza degli studi su Nietzsche (e sono tanti, troppi!) finisce per che ruota attorno a tre testi fetish: O nascita della tragedia, Così parlò Zarathustra e Genealogia della morale. Di più: delegano ai cosiddetti concetti fondamentali forgiati nel “terzo periodo”, soprattutto quelli di eterno ritorno, al di là dell'uomo e volontà di potenza, il ruolo di concetti chiave, definendo in ultima istanza il pensiero di Nietzsche (e qui seguono Heidegger, esplicitamente o implicitamente).
Il fatto che Nietzsche abbia ripreso, nei suoi ultimi testi, numerosi temi e motivi del suo primo libro facilita il collegamento tra la prima e la terza fase, lasciando così la seconda sempre relegata a un ruolo secondario. Aggiungerei, infine, un motivo in più per la relativa trascuratezza di questi testi: non hanno consentito un'immediata e rapida appropriazione da parte dei cosiddetti teorici postmoderni, così come sostengono ben poco l'idea di un “pensiero debole” .
Il mio obiettivo ultimamente è stato esattamente l'opposto. Ho cercato di mostrare quanto i libri della cosiddetta seconda fase, tutti “libri di aforismi”, che ne segnano l'unicità, contengano elementi estremamente indispensabili e importanti, senza i quali le grandi opere della maturità restano, in un certo senso modo, incomprensibile. Inoltre, seguendo la proposta di Mazzino Montinari, ritengo che la massima rottura nel pensiero di Nietzsche avvenga già con Umano, fin troppo umano. Il suo distacco da Wagner è qui fondamentale, in quanto rende possibile una valutazione dell'arte in quanto tale e non più, come prima e dopo. O nascita della tragedia, confinato all'arte moderna.
Nietzsche conserva certamente la centralità degli “impulsi artistici”, ma rispetto ad essi promuove un duplice spostamento: dapprima ne svela i contorni storici, la porta di accesso alla comprensione del passato, in cui arte e religione, insieme, costituiscono uno degli elementi decisivi collegamenti; in secondo luogo, critica l'arte suprema del suo tempo, quella di Wagner, denunciandola, fin da allora, come il culmine dell'istrionismo e dell'atteggiamento avverso nei confronti della scienza. A questa immagine di Dichter, del poeta, in quanto “creatore” per eccellenza, Nietzsche contrappone quello del fra geist, lo spirito libero.
Mentre nel periodo di nascita della tragedia il mondo aveva ancora bisogno di una “giustificazione estetica”, ora è proprio la “facoltà estetica” che allontana sempre più l'umanità dalla verità. La “necessità metafisica”, che prima era ancora una “consolazione”, non è più una necessità eterna, ma, al contrario, profondamente storica, in modo tale che ci rimarrebbe solo la ricerca di un'ideale sapienza contemplativa, che Nietzsche ha forgiato, appunto, attraverso l'immagine dello “spirito libero”.
Questo processo di eliminazione delle illusioni giovanili è completato Aurora progettando un Neue Leidenschaft, One passione nuova, come appare nei frammenti preparatori del libro, e trova la sua formulazione più compiuta nell'aforisma 429, intitolato “La nuova passione”. La nostra paura di tornare alla barbarie, il nostro odio per la barbarie – così Nietzsche inizia l'aforisma – è dovuto al fatto che la nostra felicità è impensabile senza la “spinta alla conoscenza”, quindi è impossibile per noi pensare alla felicità senza la conoscenza .
In questa prospettiva, riprendendo il de l'amour, di Stendhal, Nietzsche considera la “passione della conoscenza”, questa “nuova passione”, come la più estrema di tutte le passioni, caratterizzandola con gli stessi termini tradizionalmente attribuiti alla passione amorosa: il “disagio” provocato da questa “nuova passione è simile a quella provocata nell'amante da un amore “infelice” non corrisposto. Tuttavia, come l'amante infelice, l'amante della conoscenza preferisce i tremori e le paure dell'inquietudine all'indifferenza apparentemente placante. In altre parole: la passione non ha paura del dolore e non vi rinuncia in nome di uno stato non doloroso.
In questa prospettiva, la passione per la conoscenza non è solo un amore appassionato, ma anche un amore infelice: «L'inquietudine di scoprire e risolvere è diventata per noi tanto attraente ed essenziale quanto l'amore infelice per chi ama: che non Non cambierei mai lo stato di indifferenza; – sì, forse anche noi siamo sfortunati amanti! La conoscenza in noi si è trasformata in una passione che non vacilla davanti a nessun sacrificio e teme, in fondo, solo la propria estinzione; crediamo onestamente che, sotto l'impeto e la sofferenza di questa passione, tutta l'umanità debba credersi più sublime e consolata di prima, quando non aveva ancora vinto l'invidia del grossolano benessere che accompagna la barbarie.
Con tutto il suo dolore, questa nuova passione, sempre pronta a sacrificarsi per "l'umanità intera", può rappresentare insieme una nuova elevazione e una nuova consolazione. Una nuova elevazione, in quanto ci allontana dalla barbarie e dal suo crudo piacere: la passione per la conoscenza genera il “sentimento del potere”. Una nuova consolazione, perché se le verità, solo per il loro contenuto, non consolano, la passione per la conoscenza, però, può ancora consolarci, poiché l'inquietudine dello scoprire e del sentire non dipende, come la gioia della caccia, dalla natura. delle verità trovate. Ma questa nuova elevazione e questa nuova consolazione non possono distoglierci dal “grande paradosso” della passione, e cioè che anche per essa tutta l'umanità può perire, poiché la “passione della conoscenza” genera anche il “dongiovanni della conoscenza”.
Non a caso, “gioia nella caccia” riprende la caratterizzazione di “amore alla don Juan” in Stendhal come “un sentimento nel genere del gusto per la caccia”, come un bisogno crescente “che deve essere risvegliato da oggetti diversi” e che mette “incessantemente” in dubbio il talento del conquistatore. Confronto Don Juan ao Werther di Goethe, Stendhal sottolinea nel primo il rapporto tra l'infelicità dell'incostanza e la noia, tra l'infelicità, la disperazione e la morte; mentre il secondo incanta ancora, per quanto fugace, la visione della donna amata, la scoperta della novità, l'attività contrapposta alla noia. La “passione della conoscenza” per Nietzsche coglie questo paradosso, diventando un misto tra l'amore-passione secondo Don Juan e Werther, in cui la felice scoperta del nuovo e la possibilità di perire vanno di pari passo.
Em La Gaia Scienza, la passione per la conoscenza sarà pensata, tra l'altro, attraverso il tema della “distanza”, “distanza”, “lontano”, che Nietzsche declina ora come ferne, ora come Distanza, in un'oscillazione terminologica che non deve sfuggirci. Il filo conduttore di questo tema è fornito dall'aforisma 15 del libro intitolato, significativamente, Da lontano: “Da lontano”, come tradotto da Paulo César Souza. La risonanza romantica del tema è evidente fin dall'inizio dell'aforisma e dal suo riferimento alla montagna che domina completamente il paesaggio, trasmettendo un forte stimolo non solo allo spettatore, ma anche al paesaggio stesso. Ora, data questa grandiosità naturale e la sua attrattiva, l'impulso a salire, a salire fino alla sua sommità è inevitabile.
Ritroviamo qui un tema centrale dell'estetica romantica (in concomitanza con la filosofia della natura, a partire da Schelling e Goethe) in particolare della pittura, che deve essere soprattutto una “pittura di paesaggio”, un Landschaftsmalerei, che si caratterizzerà, sulla scia del Terza critica di Kant, come “pittura del sublime”. La natura ha il ruolo di elevare l'immaginazione e renderla sensibile all'esperienza del sublime, e per il romanticismo di Jena, questa idea significa che la natura non è solo una rappresentazione negativa del sublime, ma, al contrario, il sublime. nella natura – la natura diventa una sorta di “teofania” –, e la mediazione dell'arte renderà possibile la sua comprensione attraverso la conoscenza teorica. Con ciò la pittura romantica riesce a mettere in primo piano il paesaggio e non più quadri religiosi o storici, come era comune fino ad allora. L'opera artistica di Caspar David Friedrich, immersa in una luce crepuscolare, costituisce, forse, il corollario di questa prospettiva, in cui l'“occhio spirituale” e non “l'occhio del corpo” dialoga con il mondo esterno, come in un processo psichico.
Ora, se il punto di partenza dell'aforisma di Nietzsche è romantico, il suo punto di arrivo, al contrario, non lo è. Questo forse spiega il passaggio terminologico dal ferne dal titolo al Distanza all'interno dell'aforisma. Perché questo cambiamento? Perché il ferne romantico, che spinge lo spettatore a cercare di cogliere il sublime in natura, si rivela, alla fine, assolutamente inefficiente e frustrante, in quanto porta a dimenticare il Distanza, dimenticando cioè che «qualche grandezza, come qualche bontà», si vede solo «da una certa distanza, Distanza”. E ancora di più: a distanza non dall'alto, ma dal basso!
Nietzsche è qui in totale opposizione al più famoso dei dipinti di Caspar David Friedrich, intitolato Der Wanderer über den Nebelmeer, del 1818, in cui il “viandante”, di spalle allo spettatore, vestito alla maniera borghese, contempla dall'alto di un monte la nebbia che, mista come un mare in tempesta, si distende davanti a lui. Da questa prospettiva, Distanza ha, nel vocabolario nietzscheano, il senso critico di opporsi all'illusione romantica, alimentata dalla topos da ferne.
Questo tratto critico viene ripreso alla fine dell'aforisma, quando, rivolgendosi a un interlocutore, un lettore immaginario, Nietzsche afferma che alcuni uomini “vicini a te”, vicino, hanno bisogno di rivedere la propria idea di “conoscenza di sé”, se si nutrono ancora di questa illusione, cioè se hanno ancora “bisogno di vedersi solo da una certa distanza, ferne”, in modo che possano trovarsi sopportabili, attraenti o ammirati. L'“arte di vivere”, in cui Nietzsche è impegnato in questo momento, non può dunque essere guidata dalla possibilità di conoscere il sublime espresso nella natura. la distanza come ferne finisce per diventare, agli occhi di Nietzsche, una sorta di nostalgia immobilizzante, che crede ancora che il mondo abbia un senso da trovare, che una volta scoperto implica, nella stessa misura, la scoperta di se stessi.
Lo stesso principio argomentativo presiede alla formulazione dell'aforisma 60, “Le donne e il loro effetto a distanza”. Se la parola che apre l'aforisma già nel titolo è ferne, la tua ultima parola è precisamente Distanza. E cosa succede tra i due, cioè di cosa parla questo aforisma? Se nel suddetto aforisma tutto ruotava attorno al vedere e alla possibilità di apprendere ciò che l'intelletto vedeva, qui si tratta di enfatizzare l'udito e, in certo modo, la “regressione dell'udito” nel mondo moderno. Ora, il mondo moderno penetra nel soggetto attraverso l'orecchio, è attraverso di esso che il rumore, compresa anche un'aria, “assorda come un toro muggito”, trasformando la vita in un “labirinto infernale”. Poi, poco distante, appare una grande barca a vela, “silenziosa come un fantasma” (in un probabile riferimento al Nave fantasma wagneriana), una “bellezza spettrale”, “ammaliante”, “spettrale”. Come se quella nave portasse con sé tutta la tranquillità e il silenzio del mondo, come se, finalmente, la felicità trovasse il suo posto nel silenzio, come se l'ioIo) felice", il "mio secondo io (Selbst) eterno” trovò la pace non essendo né vivo né morto.
Il romanticismo è qui criticato insieme al nichilismo schopenhauriano, in cui l'idea di felicità è accoppiata a questo stato di Nirvana, di indifferenza al dolore e al piacere, questo non essendo né morto né vivo, come dice Nietzsche. Ovvero, ricordare la nave fantasma, la storia dell'“olandese errante”, raccontata da Wagner, che come Odisseo o l'“ebreo errante” incarna la nostalgia del riposo, della tranquillità dopo il lungo e faticoso viaggio. Pertanto, questa barca a vela si paragona, con le sue "vele bianche", a una "farfalla immensa" (ancora l'idea di "sublime") che corre "sul mare oscuro", cioè "che corre su esistenza”, in quanto ignora che l'esistenza è un composto di dolore e di piacere. Tutto questo rumore, ci dice Nietzsche, ci porta a credere che la felicità risieda nella quiete e nella distanza, dentro ferne.
Di nuovo, la distanza intesa come ferne appartiene al vocabolario romantico e alla visione romantica del mondo, che Nietzsche continua a criticare, perché presuppone una nostalgia che volta le spalle all'esistenza, all'affermazione della vita nella sua integrità, per idealizzare un Nirvana, un mondo in cui si non è né vivo né morto, dove il viandante vuole un porto felice, un ancoraggio sicuro. Ebbene, ecco perché non possiamo ingannarci con la promessa della felicità, come quiete e riposo, incarnati dal fascino femminile, come se in prossimità delle donne, al loro fianco, insomma, potessimo trovare felicità e solitudine.
Ed ecco, anticipando le celebri pagine iniziali di Oltre il bene e il male, in cui Nietzsche costruisce una sorta di favola, in cui spesso la “donna-verità” sfugge al cacciatore-filosofo, egli allude al “fascino e all'effetto potente delle donne” secondo il linguaggio dei filosofi, cioè il linguaggio metafisica, come “effetto distanza”, eine Wirkung in die Ferne. Ma aggiungere, subito dopo, prima in latino, a azione a distanza e infine completo: “ciò che richiede prima e soprattutto – distanza, (Distanza)!”
Il cerchio si chiude: l'effetto a distanza delle donne, quando espresso nel linguaggio della metafisica, si trova nella stessa vena della prospettiva romantica, in quanto le donne sarebbero l'incarnazione idealizzata della felicità, da cui derivano il loro fascino e potere. . Tuttavia, tale idealizzazione non fa che accentuare, al contrario, la sua parentela con la distruzione e la morte, come “Senta”, la donna di cui si innamora l'“olandese errante” wagneriano. Chiedendo ancora una volta il Distanza, invece di ferne, è come se Nietzsche, andando controcorrente rispetto ai movimenti femministi del suo tempo e da lui tanto criticati, insistesse sulla storicità del “femminile”, al di là delle idealizzazioni della donna, così tipiche del romanticismo e dei movimenti esigenti.
Infine, nell'aforisma 107, “La nostra ultima gratitudine all'arte” (tradotto da Rubens Rodrigues Torres Filho), Nietzsche introduce il tema della künstlerische Ferne, di “distanza artistica”, senza alcun riferimento a Distanza. Che cosa significa? Che Nietzsche soccombe al romanticismo? O che trasforma il ferne romantico in qualcos'altro?
Letto attentamente, questo aforisma ci mostra che la questione di un “arte di vivere”, arte di vivere, in cui si sviluppa NietzscheLa Gaia Scienza, riprende il tema della vita come fenomeno estetico, che già compare inO nascita della tragedia. Ora, ciò che separa questi due libri, ciò che distingue in essi la comprensione della vita come fenomeno estetico, è proprio il tema della “distanza”, assente nel primo libro. Anzi, una “distanza artistica” e non una distanza qualsiasi. Qui, mi sembra, è il sovvertimento di Nietzsche del tema romantico di ferne, cioè vi aggiunge una dimensione propriamente “artistica”, esprimibile sia attraverso il tragico che attraverso il comico.
Ecco, dunque, "la nostra ultima gratitudine all'arte": se l'esistenza ci è ancora sopportabile attraverso l'arte, se attraverso di essa "ci vengono dati occhi e mani e, soprattutto, una buona coscienza", allora il nostro compito è di poter per fare di noi stessi un fenomeno estetico, per fare della nostra vita un'opera d'arte. Nietzsche relativizza così la sua critica secca al rapporto romantico tra “lontano” e “conoscenza di sé”, come enunciato nell'aforisma 15. Dice ora che “ogni tanto abbiamo bisogno di riposarci da noi stessi, guardandoci dall'alto e sotto. via", ma aggiungendo subito: "e, da una distanza artistica, ridendo di noi o piangendo per noi".
Da questo punto di vista, a differenza O nascita della tragedia, una "prospettiva da lontano" è essenziale per il tragico e il comico. Pertanto, la considerazione della distanza non segna la differenza tra il tragico e il comico, ma piuttosto la differenza tra la prospettiva dell'arte e la prospettiva della conoscenza. Siamo, come vedete, ben lontani dal positivismo! Nel tragico, allontanarsi significa trasfigurarsi ed elevarsi; nel comico, invece, significa prendere le distanze da se stessi attraverso l'umorismo. La prospettiva dell'arte differisce da quella della conoscenza proprio perché fa a meno della “distanza artistica”, che porta a un'unica certezza possibile: che nella nostra passione per la conoscenza c'è sempre qualcosa di interessante. eroe e tolo.
"Dobbiamo rallegrarci", continua Nietzsche, "della nostra stupidità di tanto in tanto, per continuare a gioire della nostra saggezza". Con ciò Nietzsche indica che la “distanza artistica” ci insegna anche a guardare noi stessi, da una distanza che non va più confusa con lo sguardo alto, dall'alto, tipico di chi scala le montagne per impossessarsi del sublime. Infine, però, in un capovolgimento completo, che allontana Nietzsche dagli elementi oscuri provenienti sia da Schopenhauer che dai romantici, il comico, cioè il riso, lo scherno, il bambino che può ancora abitarci, si impone perché non lo facciamo” perdiamo la libertà di librarci sopra le cose”.
Contrariamente a chi vuole librarsi al di sopra della vita, ciò che Nietzsche insiste qui è che questo “librarsi al di sopra delle cose” significa non tornare indietro, non ricadere nella rete della morale e così via”potenza anche stare sopra di morale”. Ora, ciò che rende possibile questo stare “al di sopra” della morale è anche l'arte o, più propriamente, l'arte. künstlerische Ferne, la “distanza artistica”. Inoltre, così come non si può fare a meno dell'arte per questo compito di “trasvalutazione”, non si può nemmeno fare a meno del “pazzo”, che con il suo “cappello da sciocco”, danzando e fluttuando, ci fa sempre ridere e prendere in giro noi stessi, la serietà della nostra scienza, il rigore della nostra ricerca, la rilevanza sociale dei nostri studi.
Ciò che la prospettiva dell'arte insegna alla prospettiva della scienza non è giusto, come in O nascita della tragedia, il valore dell'illusione, dell'errore, della menzogna, ma il valore di una “distanza”, che per essere “artistica”, cioè creativa, per non essere fiera delle sue conquiste viste dall'alto, come se lo sguardo dello scienziato (come quella dell'artista romantico) poteva racchiudere il “sublime”, poteva finalmente affermare l'integrità dell'esistenza e, con ciò, “librarsi sopra le cose”. Non come un gesto eroico, come si immagina l'amante della conoscenza, in quanto non rinuncia alla sua passione, ma molto più come il gesto di un pagliaccio, di un pazzo, di un Narr, come colui che, per imparare a prendersi gioco di se stesso, ha bisogno di riconoscersi nell'elenco degli “uomini seri e pesanti”. Ecco perché l'arte, questo "buono volontà dell'apparenza” ci è indispensabile, così come lo è lo stolto.
Questo viaggio attraverso tre aforismi di La Gaia Scienza, significativo per il tema della “distanza”, ha mostrato come la critica di Nietzsche al romanticismo (parziale, certamente ingiusta in alcuni punti) e anche a Schopenhauer e a Wagner lo porti non solo ad opporsi al Distanza à ferne, ma finisce anche per trasformare l'elemento romantico della distanza, attraverso l'idea di “distanza artistica”. L'elemento estetico della “distanza”, che ne sottolinea l'aspetto creativo, rimarrà nel concetto fondamentale di “ della distanza”, presente nella terza fase del pensiero di Nietzsche, dal Zarathustra.
La “passione per la lontananza”, l'“amore del più lontano”, che “Zarathustra” contrappone al cristiano “amore del prossimo”, non risponde ad alcun desiderio nostalgico di integrazione, di unità o di trascendenza, ad alcun radicale ritiro dal mondo, ma a una considerazione di sé e del mondo, che implica la creazione e ricreazione permanente di valori. In un mondo senza senso, abbandonato al suo destino dopo la “morte di Dio”, il “ della distanza” si riferisce a un'opera che mira alla trasformazione permanente della vita in un'opera d'arte e quindi fa dell'etica una “estetica dell'esistenza”.
*Ernani Chaves È professore presso la Facoltà di Filosofia dell'UFPA. Autore, tra gli altri libri, di Alle soglie del moderno (Pacatatu).
Originariamente pubblicato sulla rivista Criterio, NO. 112, dicembre 2005.